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Dio: una favola per bambini ed anziani?

Posté par atempodiblog le 15 septembre 2014

Dio: una favola per bambini ed anziani?
di Francesco Agnoli - Il Foglio
Tratto da: Una casa sulla Roccia

Dio: una favola per bambini ed anziani?  dans Articoli di Giornali e News oj0403

Russell Stannard è un fisico americano che indaga il rapporto tra scienza e fede. In Italia è stato pubblicato un suo testo, La scienza e i miracoli, in cui vengono intervistati molti scienziati, sui temi più scottanti. Alcuni di essi, dopo essere stati genetisti, fisici, astronomi, hanno deciso di diventare anche teologi. Perché la loro scienza non gli bastava.

Il libro inizia con una descrizione: quella di un gruppetto di scolari di 9 anni presso un Osservatorio astronomico. Ad alcune domande sull’origine del cosmo, delle stelle, degli alberi, racconta Stannard, tutti tirano in ballo Dio. Per i bambini Dio è una realtà vera e presente. Vi sono studi che sostengono che l’idea di Dio sia innata negli uomini, e particolarmente efficace proprio nei bambini. Come fossimo “programmati” per credere. Ma la certezza dell’esistenza di Dio, continua Stannard, naufraga clamorosamente quando, invece che bambini, si interrogano giovani universitari o adulti.

Allora Dio diventa… una favola per bambini. Trovo questo fatto interessante. E ammetto subito di simpatizzare per i bambini, il cui innato senso religioso rende conto di un fatto: checché se ne dica spesso, da secoli, la fede non nasce affatto dalla paura, o da chissà quale desiderio da sublimare, ma dallo stupore originario con cui guardiamo il mondo. Stupore originario di chi, oltre all’evidenza, non ha eredità di ragionamenti, nè di scelte morali passate, attraverso cui filtrare la realtà così com’è…

Credo che se si facesse uno studio, si scoprirebbe che la maggior parte delle persone perdono la fede in età adolescenziale, o all’inizio dell’età adulta. Sì, proprio nell’età in cui, se non guidati e sorretti, facilmente si trasforma la brama di esistere e di essere riconosciuti, in ribellione: contro i genitori, la scuola, la realtà, il proprio aspetto fisico… In quest’ansia di agire, di essere, di crescere, di contare… Dio sembra, talora, solo un limite, come i genitori, come molte altre cose… e viene piano piano accantonato. Poi si cresce e un po’ di studio, magari un pezzo di carta chiamato laurea, convince tanti di aver capito tutto: “Dio non serve: è dei bambini e dei vecchi…“. Così i giovani universitari sentiti da Stannard: “O credi nella scienza o credi nella Creazione“.

Eppure i più grandi scienziati (scienziati-bambini?) erano spiriti profondamente contemplativi e religiosi. Personaggi che maneggiavano una lucertola con rispetto, come scrive Chargaff; che guardavano il mondo con stupore e senso del sacro, come scriveva Russell; che cercavano Dio nei cieli e nelle foglioline; che, come Newton, si paragonavano, guarda un po’, ad un bambino che camminando sulla spiaggia osserva sassolini e conchiglie, mentre ha davanti a sé un “oceano di mistero” che gli sorride e lo affascina. Poi, dopo l’età infantile, l’età adolescenziale e l’età adulta: il secolo dei lumi. Con le sue certezze: “Sappiamo tutto; tutto ci è chiaro, ormai“. E’ l’epoca dei filosofi atei, di alcuni scienziati, spesso di mediocre livello, che hanno chiaro che Dio è dei bambini e dei vecchi. Una superstizione che passerà. E invece… oggi abbiamo mille conoscenze in più che in passato. Il cittadino medio sa più cose di Newton e di tutti i filosofi materialisti del Settecento e dell’Ottocento… Eppure, accanto a scienziati atei, vi sono ancora campioni della scienza, premi Nobel ecc che si dichiarano credenti. Che smentirebbero volentieri, se interrogati, la visione dei giovani universitari: “O credi nella scienza o credi nella Creazione”. Quantomeno dichiarando ridicolo l’aut aut.

Ma torniamo al passaggio da bambini ad adulti. Cosa fa il bambino? Sapendo poco, osserva tanto. E così facendo, impara. E l’adulto? Spesso crede di aver osservato abbastanza, e di non averne più bisogno: ha capito. Quanto più si crede di sapere, però, tanto più ci si chiude alla conoscenza vera, profonda, della multiforme e variopinta grandezza della realtà. Sfuggono i colori, le sfumature, ciò che è più profondo, meno evidente, ma non meno reale. La chiusura a priori è un atteggiamento mentale diffuso. E’ proprio di tanti adulti che si ritengono “colti”, arrivati, perché hanno magari una laurea e leggono libri alla moda.

I più ignoranti sono sempre coloro che credono di aver già capito tutto. Ma chi crede di aver capito tutto? Chi ha capito, un po’, un qualchecosa di qualcosa. Così certi scienziati: conoscono benissimo il funzionamento di una reazione chimica, o di una proteina, e, mentre si innamorano dei dettagli, dimenticano che le cause seconde non sono la prima, che il dettaglio non è l’insieme, precludendosi la possibilità di vedere tutto il quadro…

Il meccanismo è quello descritto da Pasteur, e, prima, da Bacone e Boyle: “poca scienza allontana da Dio, molta vi riconduce”. Poca scienza rende, spesso, superbi, tanta umili. Ecco perchè, a mio avviso, la fede è, spesso, dei bambini e degli adulti più maturi, dei vecchi.

Nei bambini c’è un’umile apertura alla realtà (senza paura); in tanti adulti, invece, si mescolano orgoglio, presunzione di sapere e cinismo; il passare degli anni permette a molti di incontrare di nuovo la realtà, non con l’umiltà originaria e meravigliata dei bimbi, ma con quella più sofferta, insegnata dall’esperienza e dalla vita stessa.

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Coroncina alla Beata Vergine Maria Addolorata

Posté par atempodiblog le 15 septembre 2014

Coroncina alla Beata Vergine Maria Addolorata
Tratta da: Il giornalino di Radio Maria

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Spiritualmente uniti all’Addolorata (liturgicamente ricordata il 15 settembre), rinnoviamo anche noi il nostro “sì” al Dio che ha scelto la via della croce per salvarci. Ci aiuti Maria a prendere ogni giorno la nostra croce e a seguire fedelmente Gesù sulla via dell’obbedienza, del sacrificio e dell’amore.

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Credo

A me peccatore e a tutti i peccatori, concedi il pentimento sincero per i nostri peccati. (3 volte)

Vergine addolorata, nel meditare le parole che ti disse il santo vecchio Simeone nella presentazione al tempio del tuo Figlio Gesù: «E anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35), fa’ che io comprenda il tuo dolore e ottienimi di saper sempre compatire quanti soffrono nell’anima e nel corpo.

Padre nostro • 7 Ave Maria Gloria al Padre

Vergine addolorata, allorché Erode ordinò la strage dei bambini per uccidere anche il tuo Figlio Gesù, quanto dolore provasti nel tuo Cuore di madre per tante morti innocenti. Ottieni a questa umanità di saper rispettare, favorire, promuovere la vita dal concepimento alla morte naturale.

Padre nostro 7 Ave Maria Gloria al Padre

Vergine addolorata, allorché ti accorgesti della scomparsa del tuo Figlio Gesù, grandi furono il dolore e l’ansia nel ricercarlo per tre giorni finché non lo trovasti nel tempio di Gerusalemme, mentre discuteva con i dottori della Legge. Ottieni a quanti vivono lontano dal Figlio tuo di ritrovare la strada della Chiesa attraverso l’ascolto della Parola di Dio.

Padre nostro • 7 Ave Maria Gloria al Padre

Vergine addolorata, quando sul Calvario vedesti il tuo Figlio Gesù disteso sulla croce, spogliato delle sue vesti, quanto dolore e vergogna provasti! Nel sentirlo insultato e deriso quanta amarezza nel tuo Cuore di madre! Ottieni, a quanti si dedicano a curare quelli che soffrono, sensibilità, disponibilità e amore, e a tutti rispetto per quelli che sono in uno stato di emarginazione.

Padre nostro • 7 Ave Maria Gloria al Padre

Vergine addolorata, tu che ai piedi della croce ricevesti le ultime parole del tuo Figlio Gesù: «Donna, ecco tuo figlio!» (Gv 19,26), non staccare mai i tuoi occhi misercordiosi da noi peccatori e ottienici di chiudere la storia della nostra vita terrena in pace con Dio e con i fratelli, confortati dai sacramenti e assistiti dalla tua presenza.

Padre nostro • 7 Ave Maria Gloria al Padre

Vergine addolorata, quando la spada del soldato trafisse il costato del tuo Figlio Gesù, anche il tuo ne venne squarciato dal dolore, come ti aveva predetto il vecchio Simeone. Ottieni a quanti sono ostinati nel peccato di aprire il loro cuore alla grazia e a tutti la sensibilità ai bisogni del prossimo, senza chiudersi nel loro egoismo.

Padre nostro • 7 Ave Maria Gloria al Padre

Vergine addolorata, quando deponesti il corpo del tuo Figlio Gesù nel sepolcro, non perdesti la fede e la speranza nella risurrezione. Ottieni anche a noi di tenere sempre viva la fede nella vita eterna e nella risurrezione dei morti, perché da tutti il sepolcro sia considerato solo una sosta, nell’attesa della risurrezione e della gloria eterna.

Padre nostro • 7 Ave Maria Gloria al Padre

Preghiamo
O Dio, che nei tuoi ammirabili disegni, hai voluto la Madre del tuo Figlio associata a lui nel compimento della nostra redenzione, concedi a noi, che condividiamo in terra i suoi dolori, di partecipare ai suoi gaudi nella vita eterna, per Cristo nostro Signore. Amen.

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Non si può correggere una persona senza amore e senza umiltà

Posté par atempodiblog le 12 septembre 2014

Non si può correggere una persona senza amore e senza umiltà
La vera correzione fraterna è dolorosa perché è fatta con amore, in verità e con umiltà. Se sentiamo il piacere di correggere, questo non viene da Dio. E’ quanto ha detto il Papa nell’omelia mattutina a Santa Marta, nel giorno in cui la Chiesa celebra la Memoria liturgica del Santissimo Nome di Maria.

di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

Non si può correggere una persona senza amore e senza umiltà dans Correzione fraterna 200td0l

Nel Vangelo del giorno Gesù ammonisce quanti vedono la pagliuzza nell’occhio del fratello e non si accorgono della trave che è nel proprio occhio. Commentando questo brano, Papa Francesco torna sulla correzione fraterna. Innanzitutto, il fratello che sbaglia va corretto con carità:

“Non si può correggere una persona senza amore e senza carità. Non si può fare un intervento chirurgico senza anestesia: non si può, perché l’ammalato morirà di dolore. E la carità è come una anestesia che aiuta a ricevere la cura e accettare la correzione. Prenderlo da parte, con mitezza, con amore e parlagli”.

In secondo luogo, – ha proseguito – bisogna parlare in verità: “non dire una cosa che non è vera. Quante volte nelle comunità nostre si dicono cose di un’altra persona, che non sono vere: sono calunnie. O se sono vere, si toglie la fama di quella persona”. “Le chiacchiere – ha ribadito il Papa – feriscono; le chiacchiere sono schiaffi alla fama di una persona, sono schiaffi al cuore di una persona”. Certo – ha osservato – “quando ti dicono la verità non è bello sentirla, ma se è detta con carità e con amore è più facile accettarla”. Dunque, “si deve parlare dei difetti agli altri” con carità.

Il terzo punto è correggere con umiltà: “Se tu devi correggere un difetto piccolino lì, pensa che tu ne hai tanti più grossi!”:

“La correzione fraterna è un atto per guarire il corpo della Chiesa. C’è un buco, lì, nel tessuto della Chiesa che bisogna ricucire. E come le mamme e le nonne, quando ricuciono, lo fanno con tanta delicatezza, così si deve fare la correzione fraterna. Se tu non sei capace di farla con amore, con carità, nella verità e con umiltà, tu farai un’offesa, una distruzione al cuore di quella persona, tu farai una chiacchiera in più, che ferisce, e tu diventerai un cieco ipocrita, come dice Gesù. ‘Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio….’. Ipocrita! Riconosci che tu sei più peccatore dell’altro, ma che tu come fratello devi aiutare a correggere l’altro”.

“Un segno che forse ci può aiutare” – ha osservato il Papa – è il fatto di sentire “un certo piacere” quando “uno vede qualcosa che non va” e che ritiene di dover correggere: bisogna stare “attenti perché quello non è del Signore”:

“Del Signore sempre c’è la croce, la difficoltà di fare una cosa buona; del Signore è sempre l’amore che ci porta alla mitezza. Non fare da giudice. Noi cristiani abbiamo la tentazione di farci come dottori: spostarci fuori del gioco del peccato e della grazia come se noi fossimo angeli… No! E’ quello che Paolo dice: ‘Non succeda che dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato’. E un cristiano che, in comunità, non fa le cose – anche la correzione fraterna – in carità, in verità e con umiltà, è uno squalificato! Non è riuscito a diventare un cristiano maturo. Che il Signore ci aiuti in questo servizio fraterno, tanto bello e tanto doloroso, di aiutare i fratelli e le sorelle a essere migliori e ci aiuti a farlo sempre con carità, in verità e con umiltà”. 

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O SS. Maria nel tuo nome risuona il nome di Gesù

Posté par atempodiblog le 11 septembre 2014

 O SS. Maria nel tuo nome risuona il nome di Gesù dans Citazioni, frasi e pensieri Beato-Russolillo-e-Maria

O SS. Maria, vergine madre di Dio, nel tuo nome risuona il nome di Gesù e il nome stesso di Dio, e al tuo nome, come a quello di Gesù e di Dio, trema l’inferno e fugge il nemico, si calma la tempesta, si apre il cielo e accorrono gli angeli tuoi, o Maria.

Se al nome di Gesù ogni ginocchio si piega in cielo, in terra e negli abissi, al tuo nome ogni anima in esilio si sente sollevata, ogni cuore si sente consolato e ogni eletto nella patria si esalta nel gaudio della gloria! O Maria, liberami dall’abisso ove solamente si trema al suono del tuo santo nome!

Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

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Il Primo Cero della Grotta

Posté par atempodiblog le 11 septembre 2014

Il Primo Cero della Grotta dans Apparizioni mariane e santuari hwi9zq

Quando Bernadetta andava alla grotta, teneva un cero in mano. Questo cero era delle sue zie, che erano fierissime di imprestargliene uno a turno.

Un giorno, durante l’apparizione della Vergine, Bernadetta teneva in mano il cero della sua zia più giovane, Lucilla Castérot, sorella di sua madre. Dopo che la vergine era partita, la fanciulla si chinò verso la zia e le disse: “Mi permetti di lasciare il tuo cero alla grotta?”. “Sì, te lo regalo. Se vuoi, va pure a portarlo alla grotta”.

Allora la fanciulla andò fino al fondo della grotta… issò il cero acceso nella sabbia, appoggiandolo alla roccia.

“La Signora mi aveva chiesto, disse la sera a sua zia, se andandomene volevo lasciare il cero ad ardere nella grotta”.

– Perché la Santa Vergine ha chiesto questa cosa a Bernadetta?

Quando tu metti un cero presso l’altare della Santa Vergine, lo fai perché esso prenda il tuo posto presso di Lei. Tu te ne vai, ma il cero resta. La sua piccola fiamma dice alla Vergine: “La tale bambina mi ha messo qui presso di Te. Ella vorrebbe ottenere una grazia, non è potuta restare, perché ha altro da fare: io la chiedo per lei.”

La Santa Vergine diceva a Bernadetta: “Vuole lasciare il suo cero acceso nella grotta perché tenga il suo posto?”. Da allora, vi sono sempre dei ceri accesi nella grotta, a chiedere grazie per gli assenti. Belle preghiere che salgono al Cielo queste piccole fiamme dei ceri!

PROPOSITO: La tua piccola offerta del mattino, fatta bene, resta per tutta la giornata davanti alla Vergine, come il cero. Falla dunque bene.

di Henry Perroy
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Le candele non possono certo pregare, ma possono aiutarci a pregare. Le candele hanno diversi significati nella vita dell’uomo.

In primo luogo in ogni candela c’è come un riflesso di quella luce che un tempo scese a Betlemme nel buio del nostro mondo.
Così come la luce delle candele rischiara le tenebre, anche la nostra vita possa essere illuminata dalla vita di Gesù, che ci porta un messaggio che orienta la nostra vita.

La candela ci ricorda il Battesimo, l’inizio del nostro cammino con Cristo e la vocazione alla Vera Vita, alla Vita Eterna.

Che possa sempre più rivelarsi il significato che la Luce ha nella tua vita.

Signore,
Io accendo una candela.
Forse non so pregare nel modo giusto.
Questa candela è un po’ di ciò che possiedo
e un po’ di ciò che sono.

Signore, questa candela, che io qui accendo, sia per me la luce con cui Tu mi illumini nelle difficoltà che mi assillano e nelle decisioni che prenderò. Sia un fuoco attraverso il quale Tu bruci in me ogni malvagità, per trasformarla in qualcosa di nuovo e di buono. Sia un fuoco che scaldi il mio cuore e m’insegni ad amare.

Signore, non posso restare a lungo nella Tua Chiesa. Con questa luce che arde vorrei che restasse qui una parte di me, una parte che desidero donarti.

Aiutami a continuare la mia preghiera in tutto il mio essere e nel lavoro che svolgerò in questo giorno.

Signore, davanti a me c’è una candela. Essa brucia inquieta, a tratti con una piccola fiamma, altre volte con una fiamma più grande. Signore, anch’io sono a volte inquieto/a: lascia che io trovi in Te la calma interiore.

Essa mi offre luce e calore. Signore, lasciami diventare una luce per il mondo.

La candela si smorza, si consuma nel suo proprio compito. Lascia che anch’io diventi un servitore/ una servitrice.

Con questa candela si possono accendere altre candele. Signore, lasciami diventare un esempio per gli altri così anch’essi risplendano e rechino luce al prossimo.

Fonte: Vienna International Religious Centre

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“Andate sulla strada di Gesù, che è la misericordia”

Posté par atempodiblog le 11 septembre 2014

Questa è la prima e più grande forma di misericordia che noi dobbiamo avere per il nostro prossimo, così come vorremo che sia per noi stessi. E noi siamo minacciati di giudizio di Dio senza misericordia se noi stessi non mostriamo misericordia.
Quando veniamo a conoscenza di un errore, una colpa del nostro prossimo ci assicureremo che la sua conoscenza rimarrà sepolta in noi, e quell’idea morirà in noi, tanto più ne siamo coinvolti, in un mare di misericordia e compassione.

Ognuno dovrebbe essere consapevole del fatto che il Signore permette che veniamo a  conoscenza di un errore o colpa di un fratello così che possiamo caricarcene noi davanti al Signore, e lavarlo con la preghiera e il Sangue di Gesù. Riguardo a riferirlo al superiore, dovremmo astenercene, con l’eccezione di casi che sono moralmente contagiosi o una minaccia al bene comune; chiunque occupa un ufficio, quando sia possibile, dovrebbe provare a risolvere le cose da solo, senza riportarlo alle più alte autorità.

Se ognuno, al primo indizio di qualsiasi problema, porterà la sua preoccupazione al Signore e cercherà un rimedio attraverso la preghiera e il Sangue di Gesù, non ci sarà bisogno di riportarlo a nessuno.

Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

“Andate sulla strada di Gesù, che è la misericordia” dans Don Giustino Maria Russolillo Beato-Russolillo

Papa Francesco: “Per questo chi giudica sbaglia, semplicemente perché prende un posto che non è per lui. Ma non solo sbaglia, anche si confonde. E’ tanto ossessionato da quello che vuole giudicare, da quella persona – tanto, tanto ossessionato! – che quella pagliuzza non lo lascia dormire! ‘Ma, io voglio toglierti quella pagliuzza!’… E non si accorge della trave che lui ha. Confonde: crede che la trave sia quella pagliuzza. Confonde la realtà”. (23/06/2014)

Papa Francesco: “Andate sulla strada di Gesù, che è la misericordia; siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Soltanto con un cuore misericordioso potremo fare tutto quello che il Signore ci consiglia. Fino alla fine. La vita cristiana non è una vita autoreferenziale; è una vita che esce da se stessa per darsi agli altri. E’ un dono, è amore, e l’amore non torna su se stesso, non è egoista: si dà”.

Gesù, ha ripreso, ci chiede di essere misericordiosi e di non giudicare. Tante volte, ha detto, “sembra che noi siamo stati nominati giudici degli altri: chiacchierando, sparlando … giudichiamo tutti”. E invece il Signore ci dice: “Non giudicate e non sarete giudicati. Non condannate e non sarete condannati”. E alla fine chiede di perdonare e così saremo perdonati. “Tutti i giorni – ha rammentato Francesco – lo diciamo nel Padre Nostro: ‘Perdonaci come noi perdoniamo’. Se io non perdono, come posso chiedere al Padre: ‘Mi perdoni?’”. (11/09/2014)

Tratto da: Radio Vaticana

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Olga e tutte le sorelle che “se la sono cercata”

Posté par atempodiblog le 10 septembre 2014

Olga e tutte le sorelle che “se la sono cercata”
di Luigi Santambrogio – La nuova Bussola Quotidiana

Olga e tutte le sorelle che “se la sono cercata” dans Articoli di Giornali e News 28re3qe

Sarà come dice padre Mario Pulcini, Superiore dei Saveriani a Bujumbura, che non crede in una strage nata dall’odio verso la religione e contro quelle tre povere suore italiane. Loro erano venute in Burundi a portare la speranza, soprattutto quella cristiana, in quel pezzo dell’Africa tormentato da feroci violenze, massacri tribali, fame e povertà. «I musulmani», dice il Superiore, «sono appena il 10 per cento della popolazione. Conviviamo pacificamente. C’è tanta povertà e violenza. I giovani sono allo sbando, non vanno a scuola, non hanno lavoro». Speriamo che sia davvero così, ma uccise in nome del jihad o per una rapina senza bottino, le cose non cambiano. Olga Raschietti, 83 anni, Lucia Pulici, 76 anni e Bernadetta Boggian, 79 anni, trucidate nel loro convento della missione di Kamenge situato nella zona nord della capitale del paese, Bujumbura, sono altre tre martiri che si aggiungono alla già lunga lista dei testimoni cristiani, uomini e donne, religiosi e laici, che hanno pagato il prezzo delle fede con il loro sangue.

Nel 2013, rivela l’agenzia Fides, sono stati 23 i missionari uccisi, quasi il doppio rispetto al 2012. Si tratta di 20 sacerdoti, 1 religiosa e 2 laici. La maggior parte degli omicidi si è consumata in America, dove sono stati ammazzati 15 sacerdoti: 7 in Colombia, 4 in Messico, 1 in Brasile, 1 in Venezuela, 1 a Panama e 1 ad Haiti. Per quanto riguarda l’Africa, sono stati assassinati 1 sacerdote in Tanzania, 1 religiosa in Madagascar, 1 laica in Nigeria. Ci sono da aggiungere poi gli omicidi avvenuti nel resto del mondo, in Asia e in Europa, vale a dire 1 sacerdote in India, 1 in Siria, 1 laico ammazzato nelle Filippine e 2 preti uccisi, uno in Italia e l’altro in Ungheria.

Le tre religiose italiane in Burundi avevano fondato un centro per i giovani, nell’impresa eroica di dimostrare che una convivenza tra tribù diverse era possibile, sfidando l’antico odio tra Hutu e Tutsi, le due etnie responsabili dei più atroci eccidi nel Continente africano. Rapina o assassinio in nome di qualche Dio, poco importa (la verità, se sarà possibile arrivarci, è ora faccenda di polizia), ma è la domanda sul senso della morte, e dunque della vita di quelle tre sorelle che dal Burundi arriva fini a noi. Perché una ragazza (e loro lo erano quando sono partire dall’Italia) lascia tutto per finire lì, tra i disperati del mondo, in un villaggio nel cuore dell’Africa, in India, in Colombia o nel Bangladesh?

Sono suore, e questo potrebbe bastare a trovare una risposta, in fondo accomodante: l’avevano messo in conto un finale così quando hanno lasciato la famiglia per infilarsi nelle tenebre della guerra e della fame, in quei Paesi dove massacri, esecuzioni e decapitazioni sono spettacolo quotidiano, uomini che si sbranano per un niente, come gli animali feroci dello loro foreste. Normale, allora, che prima o poi un prete o una suora finiscano come sono finite le tre sisters saveriane: letteralmente “se la sono cercata” e lo possiamo dire senza correre il rischio di essere accusati di cinismo. Perché è vero, drammaticamente ma evangelicamente vero, che suor Olga, Lucia e Bernadetta “se la sono cercata”. Lì, a Bujumbura (nome che pare uscito da una barzelletta), loro hanno scelto di andarci, si sono preparate per anni, sapevano delle stragi tra Hutu e Tutsi, dei sacrifici umani. Sapevano che portare Cristo in quella terra comportava dei rischi, anche quello di morire. Da più di 50 anni erano sul fronte della missione, avevano corso rischi ma l’avevano scampata, angeli del Vangelo tra gente che all’inizio non deve averle certo accolte a braccia aperte. Olga è arrivata in Burundi dopo più di 40 anni trascorsi nella Repubblica Democratica del Congo. Suor Lucia, infermiera e ostetrica, era stata in Brasile e poi spedita in Burundi. Bernadetta, anche lei aveva lasciato il Congo per Bujumbura, sette anni fa. Insomma, mica ragazzette alle prime armi.

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É per questo, forse, che oggi la loro morte atroce solleva certo orrore e pietà, ma verrebbe da dire, a “bassa intensità”. Troppo composti e silenziosi per essere veri. Nessuna prima pagina di nessun giornale tutta per loro, nessun filmato mandato e rimandato con ripetizione ossessiva a ogni Tg per non farci dimenticare i loro volti. Com’è successo invece con i due reporter decapitati dai tagliagole del Califfato islamico. Nessuna fiaccolata, marcia di protesta, veglia di preghiera o laica sottoscrizione com’era stato per Vanessa e Greta, le due ragazzine rapite dagli stessi guerriglieri che le tenevano sotto « protezione », sparite nel nulla nell’inferno siriano. Ma loro sono volontarie, carine, generose, con la foto su Facebook e, soprattutto, giovani. Magari incoscienti fino alla stupidità, però a fin di bene. E questo basta e avanza a zittire ogni voce di dissenso e di buonsenso. Olga e le sue sorelle, erano suore, per giunta anziane, poco fotogeniche e senza amici sui social network. Ma soprattutto, “se la sono cercata”.

«La mia vocazione è l’Africa», diceva sempre suor Olga. Ecco la parola giusta, “vocazione” se si vuole capire qualcosa del sacrificio, ma soprattutto dell’esistenze di quelle tre ragazze, cresciute, invecchiate e morte in missione. E di quelle che come loro oggi spendono la loro vita nelle missioni nei luoghi più disgraziati della Terra, a testimoniare la chiamata (cioè la vocazione) di Cristo nella concreta dedizione all’uomo, a persone che hanno bisogno di tutto, di cure mediche, di cibo, di futuro, ma soprattutto di una speranza di vita che non è quella di cui parlano statistiche della Fao o della Banca Mondiale. C’è un popolo che ha fatto questa strana scelta: missionari, sacerdoti, religiosi e suore che vivono lì dove nessuno ci andrebbe senza essere pagato con cifre a sei zero, o per tentare la fortuna con l’Isola dei Famosi. Ma oggi anche questo popolo si sta assottigliando: dopo il boom degli anni ’60, le vocazioni hanno iniziato a scarseggiare. L’Italia detiene ancora il primato della presenza missionaria nel mondo, ma è in pieno crepuscolo.

Secondo i dati della Santa Sede, l’oltre milione di suore nel mondo del 1970 era sceso a 82 mila nel 2001 ed è oggi ottimisticamente circa la metà. I missionari italiani, invece, oggi sono circa 10 mila. Sono in Africa, Asia America Latina, Oceania, ma anche nella vicina Europa, divenuta anch’essa “terra di missione”. L’età media di chi ha scelto di partire si è alzata con il tempo: oggi è di 63 anni. Pochi i giovani e soprattutto un trend in costante calo dai primi anni ’90, quando si toccò il record di 20mila presenze di missionari italiani all’estero. Stando ai dati degli archivi storici, nel 1934 l’Italia aveva 4.013 missionari, nel 1943 erano 7.713, nel 1954 più o meno quanti ce ne sono oggi, 10.523, fino a toccare i 16.000 negli anni Ottanta, e oltre 20.000 nel 1991. A partire da allora il calo. Ma nel calo generale è la componente dei religiosi e delle religiose che si è assottigliata negli anni, forse anche a causa della generale crisi vocazionale. Mentre il numero di laici che vengono inviati dalla Chiesa lontani dalle loro case è in costante aumento e anche la loro età media è decisamente più bassa: il 58% è sotto i 40 anni e meno di uno su 4 ha superato la soglia dei 50 anni. Quasi il 56% sono donne e il 60% è sposato. Tanti partono con il coniuge e con i figli. Il 55,7% dei missionari laici è in Africa, il 38,6% in America latina.

Le cifre segnano la crisi, ma non raccontano le meraviglie e i frutti miracolosi di quelle vocazioni missionarie. Storie di infinita gratuità e dedizione quotidiana, che solo una umanità graziata dall’amore di Cristo è capace di offrire. Storie che restano sconosciute e in ombra, inarrivabili alle cronache quotidiane dei giornali, tranne il giorno in cui si chiudono nel modo più tragico. Ma è solo per qualche ora: anche sconcerto e pietà hanno i loro implacabili time-lapse e cronometrate soglie di attenzione. La vita corre, lo show continua. E poi erano solo tre suore, per giunta “se la sono cercata”.

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La Chiesa è Madre: insegna le opere di misericordia

Posté par atempodiblog le 10 septembre 2014

La Chiesa è Madre: insegna le opere di misericordia dans Fede, morale e teologia mijd51

[...] La madre Chiesa insegna a stare vicino a chi è in carcere. “Ma Padre no, è pericoloso questo, è gente cattiva”. Ma ognuno di noi è capace… Sentite bene questo: ognuno di noi è capace di fare lo stesso che ha fatto quell’uomo o quella donna che è in carcere. Tutti abbiamo la capacità di peccare e di fare lo stesso, di sbagliare nella vita. Non è più cattivo di te e di me! La misericordia supera ogni muro, ogni barriera, e ti porta a cercare sempre il volto dell’uomo, della persona. Ed è la misericordia che cambia il cuore e la vita, che può rigenerare una persona e permetterle di inserirsi in modo nuovo nella società.

La madre Chiesa insegna a stare vicino a chi è abbandonato e muore solo. E’ ciò che ha fatto la beata Teresa per le strade di Calcutta; è ciò che hanno fatto e fanno tanti cristiani che non hanno paura di stringere la mano a chi sta per lasciare questo mondo. E anche qui, la misericordia dona la pace a chi parte e a chi resta, facendoci sentire che Dio è più grande della morte, e che rimanendo in Lui anche l’ultimo distacco è un “arrivederci”… Lo aveva capito bene la beata Teresa questo! Le dicevano: “Madre, questo è perdere tempo!”. Trovava gente moribonda sulla strada, gente alla quale incominciavano a mangiare il corpo i topi della strada, e lei li portava a casa perché morissero puliti, tranquilli, carezzati, in pace. Lei dava loro l’”arrivederci”, a tutti questi… E tanti uomini e donne come lei hanno fatto questo. E loro li aspettano, lì [indica il cielo], alla porta, per aprire loro la porta del Cielo. Aiutare a morire la gente bene, in pace.

Cari fratelli e sorelle, così la Chiesa è madre, insegnando ai suoi figli le opere di misericordia. Lei ha imparato da Gesù questa via, ha imparato che questo è l’essenziale per la salvezza. Non basta amare chi ci ama. Gesù dice che questo lo fanno i pagani. Non basta fare il bene a chi ci fa del bene. Per cambiare il mondo in meglio bisogna fare del bene a chi non è in grado di ricambiarci, come ha fatto il Padre con noi, donandoci Gesù. Quanto abbiamo pagato noi per la nostra redenzione? Niente, tutto gratuito! Fare il bene senza aspettare qualcos’altro in cambio. Così ha fatto il Padre con noi e noi dobbiamo fare lo stesso. Fa’ il bene e vai avanti!

Papa Francesco
Fonte: La Santa Sede

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Un frate venuto dall’Africa il prossimo santo di Milano

Posté par atempodiblog le 10 septembre 2014

Un frate venuto dall’Africa il prossimo santo di Milano
Jean Thierry è stato carmelitano a Legnano, dove è morto nel 2006. Se il Vaticano confermerà, sarà il primo beato di colore della diocesi ambrosiana
di Paolo Foschini – CorSera

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Beatificarne uno per raccontarne cento. Forse è questo il messaggio che la storia semplice di Jean Thierry, venuto dal Camerun senza una gamba per farsi prete in Italia e morirci a neanche ventiquattro anni, mormorando «come è bello Gesù» tra le braccia di sua mamma, continua a lanciare oggi a otto anni dalla fine del suo calvario. Un ragazzo il cui unico miracolo sicuro, almeno finora, è stato l’aver sopportato una sofferenza tremenda con lo stesso sorriso disarmante che si vede tuttora nelle sue foto su Facebook. Sofferenza sostenuta evidentemente da una grande fede, e nel suo caso particolarmente terribile. Ma che in fondo non può non richiamare, oggi più che mai, quella delle migliaia di disperati la cui unica vocazione per attraversare il Mediterraneo sta nel provare a salvarsi la vita rischiandola. Salvo invece perderla.

Ecco, per la diocesi di Milano questo ragazzo merita di diventare santo. Primo santo di colore della diocesi ambrosiana. Certo, bisognerà fare tutte le tappe e servirà ancora tempo. Ma il mattone più importante della procedura è stato già piazzato. E lo ha messo giù ieri il cardinale Angelo Scola chiudendo a Legnano, dove Jean Thierry morì il 5 gennaio 2006, la fase iniziale del suo processo di beatificazione prima che le carte passino al Vaticano: «Dopo essere stati noi a portare il Vangelo in tante zone del mondo – ha detto Scola, con un rinnovato pensiero alle tre suore appena trucidate in Burundi – accogliamo con gioia l’arrivo di evangelizzatori e testimoni che giungono da queste terre, come Jean Thierry, perché la nostra fede risorga e per imparare di nuovo ad amare chi ci sta vicino».

La storia di Jean, dunque. Questo ragazzo era nato il 4 febbraio 1982 in una città tra le montagne del Camerun che si chiama Bamenda. Alzi la mano quanti l’avevano mai sentita, eppure è uno scherzetto da mezzo milione di abitanti. Non meno ignote, per la maggior parte di noi, sono del resto le altre città della sua adolescenza: figlio di genitori cattolici, Jean si iscrive a 13 anni nel seminario di Guider, poi finisce il liceo scientifico a Monatélé nel 2002 e l’anno dopo entra nel Carmelo teresiano di Nkoabang. Dicono che fosse felice. Dicono che ripetesse sempre «voglio diventare come Gesù». Tre settimane dopo l’inizio del suo noviziato gli viene un tumore a un ginocchio e di lì a poco gli tagliano la gamba destra.

Ma lui non si avvilisce. Nel 2005 padre Gabriele Mattavelli, provinciale dei carmelitani scalzi in Camerun, decide di portarlo con sé in Italia per fargli proseguire il noviziato a Concesa, vicino a Milano, e intanto provvedergli cure migliori di quelle che avrebbe in Africa. Va in porto solo la prima parte del progetto: l’8 dicembre dello stesso anno Jean fa effettivamente la sua professione solenne di carmelitano prendendo il nome di «Fra’ Jean Thierry di Gesù Bambino e della Passione», ma l’unica cura che i medici possono offrirgli è una terapia del dolore e alla vigilia della successiva Epifania, il 5 gennaio 2006, Jean muore all’ospedale di Legnano. «Non ha mai smesso di sorridere», dice chi gli è stato vicino.

Il suo duplice funerale, prima a Legnano poi in Camerun dove è stato riportato, richiama una folla pazzesca. Un gruppo di amici apre in sua memoria una pagina Facebook. La sua tomba, nel cimitero di Nkolbisson-Yaoundè, è meta di continui pellegrinaggi da allora.

Il processo canonico avviato l’anno scorso dalla Chiesa ambrosiana per dichiararlo beato è quello la cui prima fase, si diceva, è stata chiusa ieri dal cardinale Scola. «La figura di Jean Thierry – è stata la sua considerazione finale – ci spinge a prendere in mano noi stessi e a porci la stessa domanda che per lui fu bruciante: per chi viviamo?». Che poi è una di quelle domande di fronte alle quali, in fondo, non ci sarebbe neppure bisogno né di processo né di proclamazione ufficiale: quando hai trovato la risposta beato te.

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Il Papa: come Maria, lasciamo che Dio cammini con noi

Posté par atempodiblog le 8 septembre 2014

Il Papa: come Maria, lasciamo che Dio cammini con noi dans Fede, morale e teologia 97qq9c

“Oggi possiamo guardare la Madonna, piccolina, santa, senza peccato, pura, prescelta per diventare la Madre di Dio e anche guardare questa storia che è dietro, tanto lunga, di secoli e domandarci: ‘Come cammino io nella mia storia? Lascio che Dio cammini con me? Lascio che Lui cammini con me o voglio camminare da solo? Lascio che Lui mi carezzi, mi aiuti, mi perdoni, mi porti avanti per arrivare all’incontro con Gesù Cristo?’ Questo sarà il fine del nostro cammino: incontrarci col Signore. Questa domanda ci farà bene oggi. ‘Lascio che Dio abbia pazienza con me?’. E così, guardando questa storia grande e anche questo piccolo paese, possiamo lodare il Signore e chiedere umilmente che ci doni la pace, quella pace del cuore che soltanto Lui ci può dare, che soltanto ci dà quando noi lasciamo Lui camminare con noi”.

Papa Francesco
Fonte: Radio Vaticana

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Mettiamo la nostra vita al servizio della Madonna

Posté par atempodiblog le 8 septembre 2014

Mettiamo la nostra vita al servizio della Madonna dans Citazioni, frasi e pensieri 2dsjuv4

Qualsiasi cosa facciamo, in qualsiasi situazione ci troviamo, anche nella vecchiaia, nella malattia, nella solitudine, persino quando si è nelle carceri, nei lavori più umili, nei lavori più stressanti, noi lavoriamo nella vigna del Signore.

Ogni giorno, quando ci alziamo, dobbiamo cacciare l’amarezza che satana cerca di insinuarci ogni mattina, ma pensare: questa è una nuova giornata in cui Gesù mi chiama nella  Sua vigna, per farla fruttificare, per aiutarLo a salvare le anime, per aiutarLo a portare il Suo amore alle altre persone.

Quindi apro la giornata in questo modo, mi riempio dell’amore di Gesù e dico: “In questa giornata Gesù ti voglio portare a tante persone, a tutte le persone che incontro, qualsiasi cosa faccia, voglio dare il sorriso, una mano, una parola buona, la gioia, la speranza”.

È in questo modo che noi strappiamo le anime a satana, le strappiamo all’impero delle tenebre, costruiamo e diffondiamo giorno per giorno il Regno di Dio.

La Madonna ci ringrazia per questo impegno quotidiano che noi possiamo fare.

di Padre Livio Fanzaga

Trascrizione dall’originale audio ricavata dal sito: www.medjugorjeliguria.it

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“Buon compleanno Mamma”. Nel giorno natale della Beata Vergine Maria (8 settembre)

Posté par atempodiblog le 7 septembre 2014

Nel giorno natale della Beata Vergine Maria (8 settembre)
del beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

“Buon compleanno Mamma”. Nel giorno natale della Beata Vergine Maria (8 settembre) dans Amicizia Nostra-Signora-di-Lourdes

O SS. Maria, vergine madre di Dio, ti salutiamo nel tuo primo apparire in mezzo a noi e onoriamo nel gaudio il tuo natale, unendoci alla festa di amore di san Gioacchino e di sant’Anna, tuoi santi genitori, e di tutti i giusti del Vecchio e del Nuovo Testamento!

Glorifichiamo con tutta la Chiesa e con te stessa, o celeste figlia, la festa dell’amore infinito del Creatore e le sue eterne compiacenze in te, nel suo pensiero divino, che solo in te si attuava senza attenuazioni, nel suo desiderio divino che solo in te riceveva ogni sua soddisfazione.

O SS. Maria, vergine madre di Dio, quanto la grazia dell’immacolata concezione ha già progredito in te dal suo inizio al giorno della tua nascita!
E così sarà del natale di ogni tuo anno, di ogni tuo mese, di ogni tuo giorno, di ascensione in ascensione!

Glorifichiamo in questi tuoi inizi dei periodi della vita, in gradi di grazia e meriti sempre superiori, l’idea divina anche dei nostri e ti supplichiamo di ottenerci che la nostra realtà corrisponda sempre, di giorno in giorno, al pensiero, al desiderio e ai disegni del Signore.

O SS. Maria, vergine madre di Dio, ora che sei madre nostra nella grazia, dipendono anche da te tutti i natali dei nostri anni, dei nostri mesi, dei nostri giorni nell’ordine soprannaturale! E da te li avremo in una perenne elevazione, se tutto e sempre cominceremo da te, come vogliamo fare con la grazia di Gesù.

O Maria, noi crediamo che come un giorno il divin Verbo, mandato a noi dal Padre, venne a noi per mezzo tuo, così ogni grazia a noi meritata da Gesù e donata dal Padre, sarà affidata a te dallo Spirito Santo perché tu sei per noi il perenne natale di tutte le grazie!

O Maria, o Maria, che cosa è nato con te sulla terrà? Che cosa nasce continuamente dalla tua mente? Dal tuo cuore? Nella mente ha sede la divina sapienza, nel tuo cuore risiede il Santo Spirito, da te nasce continuamente la luce della grazia di Dio!

Da te nasce continuamente il fiore dell’amore di Dio; e un giorno questo tuo fiore di luce ci darà il frutto della vita, Gesù! Gloria a Dio nel più alto dei cieli e vita di grazia ai poveri mortali, e pace e santità a tutte le anime che nella loro buona volontà cercano Dio Gesù, da te, o Maria!

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La correzione fraterna: evitare il clamore della cronaca e il pettegolezzo della comunità

Posté par atempodiblog le 7 septembre 2014

“Davanti a Dio siamo tutti peccatori e bisognosi di perdono”. E’ quanto affermato da Papa Francesco all’Angelus, in Piazza San Pietro, incentrato sulla “correzione fraterna” nella comunità cristiana. Il Pontefice ha inoltre levato un forte appello per la pace in Ucraina e nel Lesotho, dove nei giorni scorsi vi è stato un colpo di Stato. Quindi, ha rivolto il pensiero ai cristiani perseguitati in Iraq e a quanti sono impegnati a sostenerli.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

La correzione fraterna: evitare il clamore della cronaca e il pettegolezzo della comunità dans Commenti al Vangelo Papa-Francesco

Ucraina e Lesotho, due Paesi molto lontani tra loro e tuttavia, purtroppo, accomunati in questo momento dalla violenza. Ai loro popoli che soffrono è andato il pensiero e la vicinanza di Papa Francesco all’Angelus. Il Pontefice ha osservato che, negli ultimi giorni, “sono stati compiuti passi significativi nella ricerca di una tregua nelle regioni interessate dal conflitto in Ucraina orientale, pur avendo sentito oggi delle notizie poco confortanti”:

“Auspico che essi possano recare sollievo alla popolazione e contribuire agli sforzi per una pace duratura. Preghiamo affinché, nella logica dell’incontro, il dialogo iniziato possa proseguire e portare il frutto sperato. Maria, Regina della Pace, prega per noi. Unisco inoltre la mia voce a quella dei Vescovi del Lesotho, che hanno rivolto un appello per la pace in quel Paese. Condanno ogni atto di violenza e prego il Signore perché nel Regno del Lesotho si ristabilisca la pace nella giustizia e nella fraternità”.

Francesco ha quindi rivolto il pensiero ad un convoglio di volontari della Croce Rossa italiana partito per l’Iraq e che si recherà ad Erbil “dove si sono concentrate decine di migliaia di sfollati iracheni”:

“Esprimendo un sentito apprezzamento per questa opera generosa e concreta, imparto la benedizione a tutti loro e a tutte le persone che cercano concretamente di aiutare i nostri fratelli perseguitati ed oppressi. Il Signore vi benedica”.

Divisore dans San Francesco di Sales

Prima degli appelli di pace, Francesco si era soffermato sul tema della “correzione fraterna” presentato dal Vangelo domenicale. Gesù, ha detto, “suggerisce un progressivo intervento” quando devo correggere un fratello cristiano che “fa una cosa non buona”. Le “tappe di questo itinerario – ha osservato – indicano lo sforzo che il Signore chiede alla sua comunità per accompagnare chi sbaglia, affinché non si perda”:

“Occorre anzitutto evitare il clamore della cronaca e il pettegolezzo della comunità – questa è la prima cosa, evitare questo -.  «Va’ e ammoniscilo fra te e lui solo» (v. 15). L’atteggiamento è di delicatezza, prudenza, umiltà, attenzione nei confronti di chi ha commesso una colpa, evitando che le parole possano ferire e uccidere il fratello. Perché, voi sapete, anche le parole uccidono! Quando io sparlo, quando io faccio una critica ingiusta, quando io ‘spello’ un fratello con la mia lingua, questo è uccidere la fama dell’altro! Anche le parole uccidono”.

Nello stesso tempo, ha soggiunto, questa discrezione di parlargli da solo ha lo scopo di non mortificare inutilmente il peccatore”. Scopo della correzione fraterna, ha ribadito, “è quello di aiutare la persona a rendersi conto di ciò che ha fatto, e che con la sua colpa ha offeso non solo uno, ma tutti”:

“Ma anche di aiutare noi a liberarci dall’ira o dal risentimento, che fanno solo male: quell’amarezza del cuore che porta l’ira e il risentimento e che ci portano ad insultare e ad aggredire. E’ molto brutto vedere uscire dalla bocca di un cristiano un insulto o una aggressione. E’ brutto. Capito? Niente insulto! Insultare non è cristiano. Capito? Insultare non è cristiano”.

In realtà, ha detto, “davanti a Dio siamo tutti peccatori e bisognosi di perdono. Tutti! Gesù infatti ci ha detto di non giudicare”. La correzione fraterna è, allora, “un aspetto dell’amore e della comunione che devono regnare nella comunità cristiana, è un servizio reciproco che possiamo e dobbiamo renderci gli uni gli altri”. Ma, ha ammonito, “correggere il fratello è un servizio ed è possibile ed efficace solo se ciascuno si riconosce peccatore e bisognoso del perdono del Signore”. Francesco ha evidenziato che “la stessa coscienza che mi fa riconoscere lo sbaglio dell’altro, prima ancora mi ricorda che io stesso ho sbagliato e sbaglio tante volte”. Per questo, all’inizio della Messa, “ogni volta siamo invitati a riconoscere davanti al Signore di essere peccatori”:

“Tra le condizioni che accomunano i partecipanti alla celebrazione eucaristica, due sono fondamentali, due condizioni per andare bene a Messa: tutti siamo peccatori e a tutti Dio dona la sua misericordia. Sono due condizioni che spalancano la porta per entrare a Messa bene. Dobbiamo sempre ricordare questo prima di andare dal fratello per la correzione fraterna”.

Al momento dei saluti ai pellegrini, il Papa ha ricordato che domani celebreremo “la ricorrenza liturgica della Natività della Madonna”. Questo, ha affermato, è “il suo compleanno”:

“E cosa si fa quando la mamma fa la festa di compleanno? La si saluta, si fanno gli auguri… Domani ricordatevi, dal mattino presto, dal vostro cuore e dalle vostre labbra, di salutare la Madonna e dirle: “Tanti auguri!”. E dirle un’Ave Maria che venga dal cuore di figlio e di figlia. Ricordatevi bene!”.

Divisore dans San Francesco di Sales

Per approfondire:

Freccia dans Viaggi & Vacanze Guadagnare un fratello (di don Fabio Rosini)

Freccia dans Viaggi & Vacanze La correzione non sia un atto di accusa (di padre Raniero Cantalamessa)

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Le parole fanno un effetto in bocca, e un altro negli orecchi

Posté par atempodiblog le 7 septembre 2014

Le parole fanno un effetto in bocca, e un altro negli orecchi dans Alessandro Manzoni vp9ego

[Renzo] Prima d’allora era stato un po’ lesto nel sentenziare, e si lasciava andar volentieri a criticar la donna d’altri, e ogni cosa. Allora s’accorse che le parole fanno un effetto in bocca, e un altro negli orecchi; e prese un po’ più d’abitudine d’ascoltar di dentro le sue, prima di proferirle.

Alessandro Manzoni - I promessi sposi
Tratto da: Congregazione per il clero

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Solo la Chiesa è davvero cattolica. La Chiesa in ciabatte da spiaggia

Posté par atempodiblog le 6 septembre 2014

Solo la Chiesa è davvero cattolica. La Chiesa in ciabatte da spiaggia
di Costanza Miriano – Credere

Solo la Chiesa è davvero cattolica. La Chiesa in ciabatte da spiaggia dans Articoli di Giornali e News 2m35rna

Una delle cose più belle della vacanza, insieme al brivido di andare in giro senza smalto, al privilegio di poter puntare la sveglia cattolica, come la chiama il mio amico Pippo (ci si alza «quando Dio vuole»), alla bellezza di stare con le persone a cui si vuole bene, è andare a Messa in posti lontani, a volte sconosciuti, a volte estranei, e sentirsi lo stesso a casa, o comunque in un luogo amico, dove si sa di cosa si stia parlando, dove si è amici della stessa Persona, dove si è parte dello stesso corpo.

È vero, la vicina con la gonna che proviene da un’altra era geologica può avere i capelli raccolti da un’audace architettura di forcine mai vista, il signore davanti indossa una camicia furi moda almeno dal 1972, ma queste sono quisquilie. Quello che conta è che solo la Chiesa è davvero cattolica, cioè la stessa in tutto il mondo abitato.

Solo noi possiamo trovare un posto aperto per accoglierci, senza che ci venga chiesto nulla, soldi, documenti o certificati di appartenenza. Un posto nel quale si celebrerà un rito che conosciamo, in cui verranno ripetute parole che ci sono state regalate e consegnate duemila anni fa, in cui verremo ammessi al mistero di Dio che si fa pane e si lascia mangiare da noi.

Con tutti i nostri limiti, i difetti, le pecche, noi cattolici possiamo, dobbiamo essere orgogliosi di appartenere a una famiglia così grande e così accogliente. Si dice, un po’ scherzando, che la prova che Dio esiste è che la Chiesa vada avanti nonostante i suoi uomini.

Io credo che vada avanti perché essa è di Dio, perché chi entra in chiesa avverte che si sta dicendo qualcosa di fondamentale su di lui, qualcosa che riguarda la sopravvivenza stessa dell’uomo, qualcosa di essenziale, non un rito, ma la vita stessa.

I riti cambiano, passano, si dimenticano, ma la verità sull’uomo la troviamo solo lì. Anche in quell’edificio anonimo, pieno di gente in ciabatte da spiaggia.

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