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Nigeria: per la Chiesa quanto avviene nel Nord è simile all’Iraq

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2014

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“Quello che sta accadendo nel nord-est della Nigeria è molto simile a quello che è avvenuto di recente nel nord Iraq” dice all’agenzia Fides padre Patrick Tor Alumuku, direttore delle Comunicazioni dell’arcidiocesi di Abuja, commentando le recenti conquiste territoriale della setta islamista Boko Haram nel nord della Nigeria. “Come i guerriglieri dello Stato Islamico in Iraq, Boko Haram ha iniziato da almeno due anni a minare il morale della popolazione e dei militari con una serie di attentati sempre più spettacolari, per poi sferrare l’attacco volto alla conquista territoriale”.

“Hanno iniziato ad attaccare le scuole, con la scusa che non vogliono l’educazione occidentale, poi hanno colpito le stazioni della polizia, in seguito hanno alzato il tiro colpendo le caserme dell’esercito – spiega padre Patrick -. Boko Haram ha quindi preso di mira gli uffici governativi, da un Comune all’altro. Nel frattempo seminava il panico mettendo bombe nei mercati. Niente è stato fatto a caso. Si è trattato di un’attività preparatoria che è durata a lungo, per passare poi alla presa e al controllo del territorio. Mi sembra molto simile a quello che è successo in Iraq” osserva il sacerdote.

“Gli assalti alle chiese e ai cristiani rientravano quindi in questa strategia più ampia volta alla conquista del territorio, ‘liberato’ dalla presenza dei cristiani, proprio come è avvenuto in Iraq” precisa padre Patrick.

Il direttore delle Comunicazioni dell’arcidiocesi di Abuja ricorda che “di recente si è scoperto che finanziamenti per Boko Haram provengono dalla penisola arabica, attraverso Aqmi (Al Qaida nel Maghreb Islamico). A volte i fondi transitavano per alcuni uffici di cambiavalute. Per questo la Banca Centrale nigeriana ha imposto controlli più severi su queste attività”.

Padre Patrick ricorda che “per gruppi come Al Qaida la Nigeria è un obiettivo fondamentale, perché è uno dei Paesi con il più alto numero di musulmani al mondo. Su 170 milioni di abitanti, quasi la metà è musulmana. Gli estremisti sperano di trovare una base forte dalla quale lanciare l’attacco ad altri Paesi africani. Io dico che però non tengono conto della complessità della Nigeria, uno Stato federale formato da 36 Stati”. (R.P.)

Fonte: Radio Vaticana

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Preghiera a Madre Teresa di Calcutta

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2014

Madre Teresa dei poveri
Tratto da: Madre Teresa. Una goccia d’acqua pulita. Del Card. Angelo Comastri, Ed. Paoline

Preghiera a Madre Teresa di Calcutta dans Cardinale Angelo Comastri qrknbc

Madre Teresa dei poveri!
Mentre la società del benessere
spinge a moltiplicare i consumi,
tu hai spinto il mondo
a moltiplicare l’amore per i poveri:
così ci hai ricordato che la gioia
non si compra con i soldi,
ma si ottiene dando amore
e spendendo la vita per gli altri.

Madre Teresa degli ultimi!
Il tuo passo veloce è andato sempre
verso i più deboli e i più abbandonati
per contestare in silenzio coloro che sono
ricchi di potere e di egoismo:
l’acqua dell’ultima cena
è passata nelle tue mani instancabili
indicando a tutti coraggiosamente
la strada della vera grandezza.

Madre Teresa di Gesù!
Tu hai sentito il grido di Gesù
nel grido degli affamati del mondo
e hai curato il corpo di Cristo
nel corpo piagato dei lebbrosi.
Madre Teresa, prega affinchè diventiamo
umili e puri come Maria
per accogliere nel nostro cuore
l’amore che rende felici.
Amen

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Papa Francesco ci invita ad unirci in preghiera per l’Iraq

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2014

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“Prego ogni giorno per quanti soffrono in Iraq. Pregate con me”.

Papa Francesco

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«Ho paura ma c’è bisogno di me». Le volontarie italiane in Iraq e Siria

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2014

«Ho paura ma c’è bisogno di me». Le volontarie italiane in Iraq e Siria
Federica, Micol, Marta: cooperanti nelle terre dell’Isis malgrado i rischi. Le storie delle ragazze che continuano a partire per il Medio Oriente
di Elisabetta Andreis – Corriere della Sera

«Ho paura ma c’è bisogno di me». Le volontarie italiane in Iraq e Siria dans Articoli di Giornali e News 15n5cav

L’ultima a partire, due giorni fa, è stata Micol Alberizzi, 24 anni: è atterrata col buio ad Erbil, nel nord dell’Iraq, per supportare come operatrice umanitaria di Terre des Hommes i profughi iracheni in fuga dall’Isis.  Cosciente dei rischi, prudente, a dispetto della giovane età, preparata. Ma soprattutto, tra brutali decapitazioni, sequestri come quello delle volontarie italiane Greta Ramelli e Vanessa Marzullo in Siria, e violenze che scuotono l’opinione pubblica, molto coraggiosa. «È importante accantonare la paura e partire per dare supporto alle organizzazioni proprio adesso che l’emergenza è drammatica e molti volontari, visti i fatti di cronaca, spaventati si tirano indietro», dice con tono fermo.

Non è eroismo, il suo, ma qualcosa di diverso. E non è la sola: anche se sempre più alla spicciolata gli operatori delle onlus italiane, spesso giovani motivati, atterrano anche in questi giorni in Medio Oriente, sfiorando gioco forza le zone più calde e rischiose. Passione, senz’altro. Ma anche un senso del dovere che nasce dallo studio in facoltà come «Scienze della cooperazione per lo sviluppo e la pace», e dalla consapevolezza che in quei Paesi ogni conforto – pratico, tecnico e psicologico – non può che arrivare da fuori, da noi, dai Paesi «vicini».

«Chi vede con i propri occhi quanto bisogno c’è di aiuto non riesce più a stare tranquillo a casa, deve muoversi», testimonia Marta Galbiati via skype con un segnale a singhiozzo che restituisce l’idea dell’estrema precarietà del contesto. Trentun anni, tornata in Italia dopo quasi un anno a Kabul, è subito ripartita con Emergency per Khanaquin, nella parte del Kurdistan vicina al confine iraniano. E in un attimo si è attivata come logista in una clinica dove ogni giorno accorrono «almeno cinquanta» profughi iracheni da visitare. Si trova a 20 chilometri da Jalawla, città controllata dall’Isis, e intorno combattono i peshmerga (le forze di sicurezza curde): «La paura ti soffia sul collo – racconta -. Ci dicono di questi uomini che girano con Suv ed enormi pick up, armati fino ai denti, poco lontano da qui». Ma come si vince il terrore? «L’unica difesa è appoggiarsi agli altri, e usare mille precauzioni. Ogni volta, prima di uscire di casa, noi ci informiamo su ciò che dice la gente perché la situazione potrebbe essere cambiata in modo improvviso. E poi bisogna stare sempre in gruppo, non andare nei luoghi affollati». La sicurezza, qui, si guadagna sul campo.

Non è un caso, infine, che in questo pezzo siano tutte donne: se – come pare – i reporter lì, in questo momento, sono per lo più uomini, è certo per contro che in forza alle onlus è l’altra metà del cielo ad essere più attiva. Eppure essere donna, con le violenze e le sopraffazioni di cui le operatrici purtroppo raccolgono testimonianze dirette, «fa sentire ancora più vulnerabili». Pesa la poca libertà di movimento, spiace dare pensieri a chi si lascia a casa («Cerco di chiamare il più spesso possibile i miei, c’è una sorta di egoismo nell’andare, me ne rendo conto, ma loro sono anche orgogliosi», si fa forza Deborah Da Boit, 33 anni, che ha appena lasciato il «piccolo paradiso» di Macugnaga per decollare verso Damasco in Siria e distribuire kit igienico-sanitari e latte in polvere a donne e bambini ai paesi lì intorno.

La motivazione è più forte di tutto, pare di capire. «Ho studiato i protocolli di sicurezza, cercato di capire ogni angolo di questo territorio, so l’arabo e vorrei imparare il curdo, posso offrire competenze e umanità – convince Federica Gino, torinese di 29 anni arrivata in Kurdistan con Intersos -. Da quando sono arrivata, dieci giorni fa, soltanto nel nostro quartiere si sono ammassate 20.000 persone in più. Le milizie estremiste dell’Isis han messo a ferro e fuoco le province settentrionali del Paese, il numero di sfollati sfiora il milione e mezzo, e 400.000 persone hanno trovato rifugio precario in scuole, parchi, chiese. La paura, di fronte a tutto questo, rimane secondaria». L’importante è «sapere individuare il limite entro cui ce la si può fare da soli e quando invece è necessario scappare o chiedere aiuto», dice ancora Marta. E Federica: «Ci sono zone precise in cui si lavora bene, e aree pericolose dove è sconsigliato andare. Magari sono a pochi chilometri di distanza, ma c’è una bella differenza». Loro lo sanno bene.

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