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La fede si diffonde per irradiazione

Posté par atempodiblog le 30 septembre 2014

La fede si diffonde per irradiazione dans Fede, morale e teologia ie3xh1

La preghiera è l’incontro con Dio, la preghiera è l’esperienza di Dio, la preghiera vissuta è adesione dell’anima a Dio, è l’incontro col Signore; la preghiera rinnovata durante la giornata riempie il cuore di gioia e di pace.
Questo tutti noi lo sperimentiamo, quando preghiamo, magari siamo inquieti, siamo scontenti e abbiamo qualcosa da farci perdonare.
Ci mettiamo davanti a Gesù, gli diciamo le nostre cose, chiediamo perdono delle nostre mancanze, ci lasciamo accarezzare dalla Sua luce, dal Suo amore, dal Suo perdono, lasciamo che ci stringa al Suo Cuore. Allora, quando c’è questa esperienza, che poi è il cuore della vita cristiana, nel nostro cuore entra la pace e la gioia e noi questa pace e questa gioia dell’incontro con Gesù, la dobbiamo testimoniare agli altri perché anche loro gioiscano.
Quindi, come vedete, come ci ha insegnato Benedetto XVI, citato anche più volte da Papa Francesco: “la fede si diffonde per irradiazione”. Infatti la Madonna ci invita ad essere “come le stelle”.
Anche questa è un’immagine biblica che dice: “coloro che insegnano a molti la giustizia”, cioè la volontà di Dio, la retta via, “brilleranno come stelle nel cielo”. Così noi che testimoniamo la fede nella gioia siamo come stelle che brillano nel cielo, effondono il loro splendore, la loro luce, la loro bellezza e non hanno bisogno di pronunciare tante parole.
Le stelle brillano, quindi anche noi dobbiamo brillare con la luce che esce dal nostro cuore e che illumina i nostri occhi, che si esprime nel nostro sguardo, nel nostro sorriso, nelle nostre parole di pace, di perdono, nelle mani tese, nella bontà, nella comprensione, tutto questo, cari amici è essere delle stelle, delle stelle che emanano la fede per irradiazione.
Ecco perché Papa Francesco ha detto: “attenzione, la fede non è proselitismo, cioè non è lavaggio del cervello che si fa agli altri”, ma è irradiazione. La Madonna sposa assolutamente questa posizione, a tutti noi dice: “siate credenti gioiosi e la vostra luce, la vostra bellezza, la vostra pace, la vostra gioia si infondono negli altri”.
Questo è il modo di compiere la missione che è alla portata di tutti ed è anche il modo più efficace.
Poi la Madonna ci ha ricordato che “la pace è dono prezioso di Dio”.

di Padre Livio Fanzaga

Trascrizione dall’originale audio ricavata dal sito: www.medjugorjeliguria.it

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Chi semina «la zizzania delle chiacchiere» è Satana

Posté par atempodiblog le 30 septembre 2014

Papa Francesco alla Gendarmeria vaticana
«Non seminare bombe». È un impegno che per Francesco va perseguito anche trovando il coraggio di dire: «Per favore signore, per favore signora, per favore padre, per favore suora, per favore eccellenza, per favore eminenza, per favore santità, non chiacchierare, qui non si può!».
Tratto da: L’Osservatore Romano

Chi semina «la zizzania delle chiacchiere» è Satana dans Angeli wsjv50

Il diavolo, sicuramente. Chi semina «la zizzania delle chiacchiere», che deflagrano come «bombe» distruggendo «la vita degli altri» e anche «la vita della Chiesa», è il diavolo. Non «un’idea» —  ha puntualizzato Papa Francesco nella messa celebrata per la Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano sabato mattina, 27 settembre, nella cappella del Governatorato —  ma «una persona». Che «è cattiva, astuta» e «sa come uccidere».

A offrire al Pontefice lo spunto per l’omelia è stata la figura del patrono del Corpo, san Michele arcangelo. «Sempre attento» nel «custodire la Chiesa», egli «ci insegna questa virtù del custodire», nella quale è racchiusa la vocazione della Gendarmeria vaticana: «custodire questo Stato — l’ha descritta così Francesco —  che è al servizio della libertà della Chiesa, al servizio del vescovo di Roma, del Papa, perché possa essere libero, perché la Chiesa possa essere libera».

«Custodire», ha sottolineato il Pontefice, è «una bella parola, la stessa che Dio ha affidato come vocazione a san Giuseppe», assegnandogli la missione di «custodire Gesù, custodire Dio, anche custodire la Chiesa dopo». E «voi — ha detto il ai gendarmi —  siete custodi» alla scuola dell’arcangelo, il quale «ci insegna come custodire. È coraggioso, loda Dio».

«Voi lodate Dio? Pregando, lodate Dio come l’angelo?» ha chiesto ai presenti. «Sono domande — ha aggiunto — per essere buoni custodi, come l’angelo: ha il coraggio di cacciare via i demoni». Anche quelli che «rovinano la Chiesa», ha precisato, ricordando che si tratta proprio  di «custodire il popolo di Dio contro il diavolo». E «benché alcuni dicano che il diavolo è un’idea», ha chiarito, «io questa idea voglio averla lontana da me».

«Voi —  ha ribadito —  custodite dal diavolo, dalle tentazioni nell’esterno».  È «una bella vocazione questa: lottare con tutte le virtù umane, anche con la preghiera, con l’adorazione, lottare per custodire». Chi custodisce, ha fatto notare, «non può essere, mi permetto la parola, uno “sciocco”; deve essere svelto, deve essere attento. E voi siete sentinelle, voi sentinelle, con la vostra attenzione, per stare attenti, perché non vengano cose brutte dentro lo Stato».

Riferendosi a  presunte minacce terroristiche contro il Vaticano, enfatizzate in questi giorni dai media, il Papa ha messo l’accento sulle mansioni di vigilanza dei gendarmi: «voi sentinelle — ha detto — guardate le porte, le finestre, perché non entri una bomba». Ma, ha aggiunto, «voglio dirvi una cosa un po’ triste: ci sono bombe dentro, ci sono bombe pericolosissimie dentro. State attenti, per favore. Perché nella notte di tante vite cattive, il nemico ha seminato la zizzania».

Ogni seme di zizzania — ha proseguito il Pontefice — è una bomba che distrugge, non lascia crescere bene il grano, distrugge la vita». Si tratta di «una bomba fatta in casa o una bomba atomica?» si è chiesto. In ogni caso, ha affermato, è una bomba «pericolosa». E «ce ne sono tante», ha constatato, anche se «la peggiore bomba che è dentro il Vaticano è la chiacchiera».

Le chiacchiere, secondo Papa Francesco, «minacciano ogni giorno la vita della Chiesa e la vita dello Stato». Perché «ogni uomo che chiacchiera qui dentro — ha scandito — semina bombe, semina distruzione», in quanto «uccide la vita degli altri». E anche se le sue parole corrispondessero a verità, ha precisato, egli non avrebbe comunque «il diritto di dirlo a tutti», ma solo «a chi ha le responsabilità».  Da qui il lapidario invito rivolto ai gendarmi: «Siate sentinelle dei chiacchieroni».

La chiacchiera, ha incalzato, «è una delle malattie di questo Stato». E mentre «tanti laici, tanti sacerdoti, tante suore, tante consacrate, vescovi, seminano il buon grano», il diavolo «usa anche laici, alcuni preti, consacrati, suore, vescovi, cardinali», persino «Papi, per seminare la zizzania». Dunque «dobbiamo essere attenti a questo: non seminare zizzanie». Un «pericolo» che «anche io ho», ha ammesso Francesco. Perché «il diavolo ti mette dentro la voglia».

«Non seminare bombe: è questo il favore che io vorrei chiedervi» ha ripetuto il Pontefice, invitando la Gendarmeria a «custodire, essere brave sentinelle, perché il nemico non semini la zizzania delle chiacchiere».

È un impegno che per Francesco va perseguito anche trovando il coraggio di dire: «Per favore signore, per favore signora, per favore padre, per favore suora, per favore eccellenza, per favore eminenza, per favore santità, non chiacchierare, qui non si può!». Una determinazione necessaria, perché — ha riaffermato — «voi dovete fermare questa semina di bombe, che distruggono la Chiesa e non seminano vita, non sanno seminare il grano».

Quale sarà il destino di chi alimenta le chiacchiere? Richiamando il brano evangelico della liturgia il Papa ha ricordato che «i seminatori di zizzania, i chiacchieroni sono iniqui, commettono iniquità». E dunque «andranno nella fornace ardente», saranno condannati «alla vergogna e all’infamia eterna», come avverte anche il profeta Daniele. Sarà questa la «fine del chiacchierone».

Ai gendarmi il compito di «vigilare, essere brave sentinelle, perché questa bomba delle chiacchiere, queste bombe non entrino qui in casa». Grazie «al vostro aiuto  — è stato l’augurio concluso — la vita di tutti noi, l’ultima pagina della vita di tutti noi, sia: è stata una buona persona, ha seminato il buon grano. E non che, sarebbe tristissimo, l’ultima pagina sia: è stato un iniquo, ha seminato la bomba della zizzania».

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Baronchelli: «La vittoria più bella è la conversione»

Posté par atempodiblog le 29 septembre 2014

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«La vittoria più bella per me è stata la conversione». Se a dirlo è un ex campione di ciclismo che di vittorie se ne intende perché nella sua carriera da professionista ha colto ben novanta successi, allora gli si deve credere. Gianbattista Baronchelli, «Tista» per gli amici, Gibì per i tifosi, classe 1953, uno dei corridori italiani che ha dominato gli anni ’70 e ’80, oggi vive ad Arzago d’Adda, un paesino della provincia di Bergamo al confine con quelle di Cremona e Milano, dove gestisce un piccolo negozio di biciclette insieme al suo inseparabile fratello Gaetano. È qui che si è ritirato alla fine della carriera di professionista ed è qui che lo incontro, il sapore del vecchio negozio di bici dove trovi il “maestro” di ciclismo più che il venditore.

Sulla bici ha percorso centinaia di migliaia di chilometri, ha percorso strade di tutto il mondo, ma solo da pochi anni ha trovato la strada giusta: «E quando si trova la strada giusta bisogna non perderla più, si riesce a vedere tutto nella giusta dimensione, non si dà più importanza a cose che in realtà sono secondarie». Anche il successo nello sport, che pure ha indirizzato la sua vita.

Settimo di nove figli, una famiglia di contadini, papà e zii grande appassionati di ciclismo, Tista ha cominciato a correre in bici a 15 anni seguendo suo fratello Gaetano, di un anno più vecchio. «All’inizio era un gioco, poi è diventata una professione», dice Tista. Infatti, i due fratelli fanno subito vedere di avere un talento naturale e quando arrivano fra i dilettanti fanno parlare di loro. Nel 1973, al mondiale di Barcellona, quello che tra i professionisti vede trionfare Felice Gimondi, Gaetano arriva settimo tra i dilettanti, primo degli italiani. E nello stesso anno Gianbattista vince il Giro d’Italia e il Tour de L’Avenir (il Giro di Francia dei dilettanti), una vera impresa che, insieme alle tante altre vittorie ottenute, lo lancia tra i professionisti a 21 anni.

Erano gli anni in cui il belga Eddy Merckx, “il cannibale”, era il dominatore assoluto, da Baronchelli ci si aspettava una “risposta” italiana. «Quando ero ragazzo io tifavo per Merckx, poi dopo pochi anni mi sono trovato a combattere con lui». E nel 1974, primo anno da professionista nella squadra della Scic, per un pelo Tista non riesce a mangiarsi “il cannibale”. Al Giro d’Italia, disputato da grande protagonista sorprendendo tutti, nel penultimo tappone dolomitico sulle Tre Cime di Lavaredo stacca Merckx e sembra poter conquistare la maglia rosa, ma Merckx resiste mantenendo un vantaggio in classifica di appena 12 secondi. Un’inezia, e il giorno dopo pur attaccando, Baronchelli non riesce a replicare l’impresa, e Merckx finisce il giro con quel niente di vantaggio. Nella stessa stagione il belga vincerà anche Tour e Mondiale a ulteriore dimostrazione dell’impresa compiuta da Baronchelli al Giro.

Un inizio da professionista che fa presagire imprese ancora più grandi: «Ma quando tutti ti aspettano, le cose si fanno più difficili. L’impatto con il professionismo è stato duro, tra i dilettanti mi ero molto divertito ma lì da professionista ti ritrovi solo». Solo con suo fratello Gaetano, che da professionista si dedica tutto a far da gregario al fratello più giovane. A frenarlo anche una grave infezione al fegato nel 1975, poi anche il grande risultato che non arriva: «Quando per 4-5 anni non vinci subentra anche un blocco di testa. Fino al 1978 puntavo ai grandi giri, perché ero un fondista, andavo bene dappertutto e recuperavo più in fretta degli altri. Poi però la grande vittoria non arrivava, allora mi sono trasformato e ho puntato alle corse in linea».

Ed ecco le vittorie: due volte il Giro di Lombardia, l’Henninger-Turm, sei volte consecutive il Giro dell’Appennino, Il Giro di Toscana, del Lazio, dell’Emilia e tante altre. Saranno novanta, alla fine della carriera, ma da lui – inutile negarlo – viste le premesse ci si aspettava di più. Infortuni, il carattere schivo, tutto il contrario di un arrivista. Ha avuto anche la sfortuna di trovarsi davanti dei mostri sacri del ciclismo, tra i più grandi campioni di ogni epoca: non solo Merckx, anche il francese Bernard Hinault, che gli sbarrò la strada al mondiale del 1980. Circuito di Sallanches, in Francia: uno dei percorsi più duri di sempre, 270 km con salita che arrivava al 14% di pendenza, una gara tremenda. Dei 107 corridori alla partenza, alla fine ne arriveranno appena 15, un solo italiano: Baronchelli resta con Hinault fino all’ultimo giro, quando il francese molla anche l’italiano che, complice anche un salto di catena, arriva secondo al traguardo con un minuto di ritardo; il terzo, lo spagnolo Martìn, arriva con quasi 5 minuti. 

Una gara fantastica, quella di Baronchelli, ma ancora una volta un grandissimo gli nega la vittoria. E sarà un po’ questa anche la maledizione che accompagnerà Tista: «Ancora oggi, quando mi invitano alle feste mi presentano come il perdente – mi dice sorridendo un po’ amaro -: non dicono mai Baronchelli che ha vinto questo e quello, ma Baronchelli che ha perso il Giro, ha perso il Mondiale, non è proprio il massimo». E non è neanche giusto per tutto quello che ha fatto. Rimpianti? «Tornando indietro farei anche scelte diverse, ma le cose sono andate così, dovevano andare così: bisogna accettare il verdetto». 

E quando ha smesso di correre è tornato al suo paese, non per delusione ma per scelta. «Della vita di corridore a me ha sempre pesato molto essere continuamente in giro per il mondo, non mi piace, la sera voglio tornare a casa, c’è la famiglia. Restare nel mondo delle corse avrebbe significato essere in giro più di prima, allora basta». Decisione già presa con largo anticipo: dal 1982, sempre con Gaetano, avevano già messo su questo negozio di bici, nel 1989 inizia a lavorarci anche Tista, che nel frattempo si era sposato nel 1987 e nel 1988 aveva avuto la prima figlia (alla fine saranno tre): «Io i miei figli li ho visti nascere tutti, queste sono le cose belle della vita. Vincere le corse, sì è bello, ma la vita è più grande, c’è di più».

C’è di più, ma allora Tista non aveva ancora dato un nome a quel “più”, solo recentemente ha capito. «È successo quando è scomparsa la mia mamma, tre anni e mezzo fa. Lei aveva una grande fede, tutte le mattine andava a messa a piedi. E sicuramente lei ha pregato tanto per la conversione dei suoi figli, e le sue preghiere sono state esaudite».

Prima non eri cattolico? «Ero un cattolico come tanti, marginale. Sai, l’educazione di andare a messa l’abbiamo avuta ed è già una bella cosa, ma la conversione è un’altra cosa». Prima è stato Gaetano, sembra che il suo compito sia aprire la strada a Tista: «Mio fratello già da anni si era convertito, attraverso la malattia di sua moglie, molto spesso si arriva sulla giusta strada per queste vie».

Poi il periodo buio è arrivato anche per Tista («Sbagliare strada è facilissimo, seguire le vie facili è comodo, ma ti porta alla morte») e quando la mamma se ne è andata a 90 anni, è scattato qualcosa: «Dal momento che è morta, mi sono sintonizzato su Radio Maria, e da lì è cresciuta giorno per giorno». Alla radio Tista sentiva parlare di Medjugorje, magari sapeva già di queste apparizioni ma ora la cosa diventava interessante, lo interpellava. «Mia madre era morta in aprile, quell’estate mentre ero in vacanza con la famiglia in Sardegna ho comprato un libriccino su Medjugorje, mi si è aperto il cuore. Poi a settembre ho cominciato a seguire mio fratello agli incontri del Rinnovamento nello Spirito: sono incontri molto belli, si vede davvero che c’è un sacco di gente che ha bisogno». 

Sei anche stato a Medjugorje? «Ci sono stato con il pensiero e con lo spirito, prima o poi ci andrò di persona: con mia moglie, quando sarà pronta. Ma non è un problema, il Signore è dappertutto, io sono già arrivato a Cristo attraverso la Madonna». E del resto la Madonna gli è comunque vicina: «Siamo fortunati, abbiamo il santuario di Caravaggio vicinissimo, da casa in tre minuti ci arrivo».

Con la conversione cambia tutto: «Arriva quando deve arrivare, il sì lo devi dire tu e il bello è proprio questo: la tua libertà, sei tu che dici sì. E la vita diventa un’altra, la cosa più importante è ringraziare il Signore per quello che hai, è lui che te l’ha dato. E quando le cose non vanno è perché deve andare così, per forza. Bisogna capirlo, è un cammino». Che Tista augura a tutti, a cominciare da moglie e figli: «Sono cattolici sì, come lo ero io, ma è difficile capire se non ti arriva la grazia». Tista non vuole convincere: «Le parole lasciano il tempo che trovano, l’importante è l’esempio». E l’esempio è chiaro: «Mi piace leggere il Vangelo tutti i giorni, è più facile seguire la strada. Per me la cosa più importante accaduta nella vita è la fede, tutto il resto è in secondo piano. Quando devi prendere le decisioni, devi sempre pregare e basta. E il Signore ti dà quel che è giusto che tu abbia». Pregare, appunto. E attendere, come la mamma ha pregato e atteso per Gaetano e Tista.

di Riccardo Cascioli – La nuova Bussola Quotidiana

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Satana induce a fraintendere il prossimo e, quindi, a far pregare per persone immaginarie

Posté par atempodiblog le 28 septembre 2014

Satana induce a fraintendere il prossimo e, quindi, a far pregare per persone immaginarie dans Anticristo 2ryiwkh

Mio caro Malacoda,

[…] È naturalmente impossibile impedirgli di pregare per sua madre, ma noi possediamo dei mezzi per rendere innocue le sue preghiere. Assicurati che esse siano sempre assai “spirituali”, e che egli si preoccupi sempre dello stato dell’anima di lei e mai dei suoi dolori reumatici.
Ne seguiranno due vantaggi. In primo luogo la sua attenzione sarà tenuta su quanto egli considera i peccati di sua madre. E, con un poco di manovra da parte tua, egli può venire indotto a ritenere tali quelle qualsiasi azioni di lei che gli siano scomode e che lo irritino. Così potrai continuare a fregare le ferite della giornata e a renderle un poco più dolorose perfino mentre sta pregando in ginocchio. L’operazione non è per nulla difficile e la troverai assai divertente.
In secondo luogo, dal momento che le sue idee intorno all’anima di sua madre saranno incomplete e spesso errate, egli, in qualche modo, pregherà per una persona immaginaria, e sarà tuo compito rendere quell’immaginaria persona ogni giorno meno simile alla madre vera -: quella vecchia signora che a tavola ha una lingua quanto mai tagliente.

Col tempo potrai ottenere che la separazione sia tanto vasta che nessun pensiero, nessun sentimento possa traboccare dalle sue preghiere per la madre immaginata nel suo modo di trattare la vera. Alcuni miei pazienti erano diventati così maneggevoli che in un attimo si riusciva a girarli dalla preghiera più spassionata per “l’anima” della moglie o del figliuolo alle battiture o all’insulto della vera moglie o del vero figliuolo senza neppure l’ombra d’uno scrupolo.

[…] Il tuo paziente deve esigere che tutto quanto egli esprime deve essere interpretato come si presenta e giudicato semplicemente secondo le parole dette, mentre, nello stesso tempo, giudicherà tutte le espressioni di sua madre interpretando nel modo più completo e più sensibile il tono della voce, il contesto, l’intenzione sospetta. Ed essa deve essere incoraggiata a fare lo stesso nei suoi riguardi.

Così, alla fine di ogni lite ciascuno se ne andrà convinto, o quasi convinto, di essere perfettamente innocente. Tu sai che cosa succede: “Basta che le chieda l’ora del pranzo perché dia in escandescenze”. Una volta che questa abitudine ha messo radici, nasce quella deliziosa situazione di un essere umano che dice cose con il proposito dichiarato di offendere, e che tuttavia si lamenta quando l’altro si offende davvero. […]

Tuo affezionatissimo zio
Berlicche*

Tratto da: Le lettere di Berlicche di C. S. Lewis

* E’ un funzionario di Satana di grande esperienza che istruisce un giovane diavolo apprendista, Malacoda, suo nipote, spiegandogli i mezzi e gli espedienti più idonei per conquistare (e per dannare) gli uomini.

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Le forme amare di zelo: solo apparentemente sante e pericolose per sé e per gli altri

Posté par atempodiblog le 28 septembre 2014

Le forme amare di zelo: solo apparentemente sante e pericolose per sé e per gli altri

Le forme amare di zelo: solo apparentemente sante e pericolose per sé e per gli altri dans Citazioni, frasi e pensieri Beato-Giustino-M-Russolillo

E poiché il bene già comincia ad affermarsi in lui (nel fedele) e affluisce in lui sempre più abbondante, già egli comincia a sentire come forti stimoli di zelo, per cui vorrebbe a tutti comunicare il suo bene; ma al principio, questo zelo si esercita piuttosto nelle forme amare e pericolose agli altri, e molto più a lui stesso, della critica degli uguali, mormorazioni dei superiori, sdegno sugli inferiori, pericolose, perché lesive della carità e giustizia, mentre apparentemente sono sante.

Don Giustino M. Russolillo

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Il beato Álvaro del Portillo, specchio di “una santità amabile, misericordiosa, gentile, mite e umile”

Posté par atempodiblog le 27 septembre 2014

Decine di migliaia di fedeli hanno partecipato a Madrid alla beatificazione di mons. Álvaro del Portillo, sacerdote, vescovo e primo successore del fondatore dell’Opus Dei, San Josemaría Escrivá de Balaguer. 18 i cardinali e 150 i vescovi che hanno concelebrato. Presente anche il rappresentante del Papa, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Ai presenti è giunto il messaggio di Papa Francesco.
di Francesca Sabatinelli – Radio Vaticana

Il beato Álvaro del Portillo, specchio di “una santità amabile, misericordiosa, gentile, mite e umile” dans Beato Álvaro del Portillo flv79u

“Grazie, perdono, aiutami di più!”: le parole che soleva ripetere il Beato Álvaro del Portillo, che da una parte “ci avvicinano alla realtà della sua vita interiore e del suo rapporto con il Signore”, ma che “possono anche dare nuovo slancio alla nostra stessa vita cristiana”. Il Papa, in un lungo messaggio inviato al prelato dell’Opera, Javier Echevarría, descrive e rende omaggio a una figura la cui esistenza – si legge – fu “forgiata nella semplicità della vita familiare, nell’amicizia e nel servizio agli altri”.

Álvaro del Portillo rendeva grazie a Dio perché “consapevole dei tanti doni che Dio gli aveva concesso e lo ringraziava per quella dimostrazione di amore paterno” che  risvegliò “nel suo cuore desideri di seguirlo con maggiore dedizione e generosità e di vivere una vita di umile servizio agli altri”.

Il Beato – scrive Francesco – servì la Chiesa “con cuore spoglio di interessi mondani, alieno alla discordia, accogliente con tutti e sempre alla ricerca del buono negli altri, di ciò che unisce, che edifica”.

Del Portillo chiedeva perdono, perché confessava “di vedersi davanti a Dio con le mani vuote, incapace di rispondere a tanta generosità”. La confessione – aggiunge il Papa – non è frutto della disperazione, ma è un aprirsi alla misericordia di Dio Padre, al suo amore “capace di rigenerare la nostra vita” e che “non umilia, non fa sprofondare nell’abisso della colpa, ma ci abbraccia, ci solleva dalla nostra prostrazione e ci fa camminare con più decisione e allegria”.

Infine, “aiutami di più”. “Il Signore non ci abbandona mai – prosegue il messaggio – mai  verrà a mancare la sua grazia” e “con il suo aiuto possiamo portare il suo nome in tutto il mondo”. Ecco quindi che “nel cuore del nuovo Beato pulsava l’anelito di portare la Buona Novella a tutti i cuori”. Di qui il forte impulso a lui dato a progetti di evangelizzazione.

Il messaggio che il Beato del Portillo ci invia – conclude Papa Francesco – “ci dice di fidarsi del Signore che non ci defrauda mai e che sta sempre al nostro fianco”. “Ci incoraggia a non temere di andare controcorrente e di soffrire per l’annuncio del Vangelo e ci insegna che nella semplicità e nella quotidianità della nostra vita possiamo trovare un cammino sicuro di santità”.

Álvaro del Portillo, tra i promotori del ruolo dei laici nella Chiesa, è il primo tra i collaboratori del Concilio Vaticano II a diventare Beato. Fede, speranza, carità: le virtù che il nuovo Beato visse con eroismo. Egli fu inoltre figura di grande umanità e soprattutto di grande umiltà, come spiega il cardinale Angelo Amato:

“C’è una virtù che mons. Álvaro del Portillo visse in modo del tutto straordinario, ritenendola uno strumento indispensabile di santità e di apostolato: la virtù dell’umiltà, come imitazione e identificazione con Cristo mite e umile di cuore. Ed è questa la consegna che fa a noi oggi il beato Álvaro del Portillo. Invita a essere santi come lui, vivendo una santità amabile, misericordiosa, gentile, mite e umile. La Chiesa e il mondo hanno bisogno del grande spettacolo della santità, per bonificare, con il suo buon profumo, i miasmi dei tanti vizi ostentati con arrogante insistenza”.

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La parabola dei lavoratori a giornata: l’invidia spirituale

Posté par atempodiblog le 25 septembre 2014

La parabola dei lavoratori a giornata: l’invidia spirituale
Tratto da: Le vie del cuore. Vangelo per la vita quotidiana, di Padre Livio Fanzaga. Ed. PIEMME

«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi». (Mt. 20,1-16)

La parabola dei lavoratori a giornata: l’invidia spirituale dans Commenti al Vangelo 2wei3kp

Nella vigna di Dio tutti abbiamo un compito

Questa parabola illustra mirabilmente il peccato di invidia spirituale, che il catechismo di san Pio X classifica fra i peccati contro lo Spirito Santo. L’invidia della grazia altrui è uno dei peccati più gravi e sotto il suo impulso sono state originate le più grandi catastrofi. Non è forse per invidia che Satana tentò Adamo ed Eva? E non è forse per invidia che i capi religiosi consegnarono Gesù a Pilato? Fra i vizi capitali l’invidia è uno dei più insidiosi, benché nascosto e silenzioso come il serpente infernale che la inocula. Se non viene estirpata per tempo l’invidia diviene omicida.

La prima considerazione che devi fare, per evitare che questa mala pianta metta radici nel tuo cuore, è di prendere coscienza che nel governo divino del mondo tutti siamo importanti e tutti abbiamo un compito insostituibile. Ogni uomo non solo è unico e irripetibile nella sua persona, ma lo è anche nella missione che riceve da Dio. Nel piano divino della salvezza delle anime, ci sono certamente diversità di carismi e di compiti, ma tutti siamo necessari.

Guarda ai fiori. Sono molti diversi gli uni dagli altri. Alcuni si mostrano vistosi e sgargianti di colori, altri invece sono minuscoli e spesso nascosti. Oseresti dire che l’umile violetta è meno bella e importante della rosa e del giglio? San Paolo porta il paragone delle membra. Ogni membro svolge una funzione insostituibile, che un altro non potrebbe compiere. Che ti giova avere un grande cervello se poi non hai la lingua per parlare o la mano per scrivere?

Così è nel campo spirituale. Ognuno uomo ha una sua identità, che riflette una divina perfezione, e riceve da Dio un compito che è un frammento insostituibile nel meraviglioso mosaico della creazione e della redenzione.

Gioisci di essere piccolo e sconosciuto

Colui che ci ha creato ci conosce assai meglio di quanto noi non conosciamo noi stessi. Egli sa quali sono i compiti più adatti alle nostre possibilità. Non dobbiamo perciò commettere l’errore di essere noi a cercare il nostro ruolo nella vita e nella Chiesa. Rischieremo di prendere delle strade che non saremmo neppure in grado di percorrere.

Lasciamo che sia la mano dell’Altissimo a condurci. Egli prepara a lungo e silenziosamente le persone a quelle missioni per le quali le ha create. Sappi attendere nell’umiltà e nella pazienza. Il chicco di grano prima di germogliare rimane nascosto sotto terra.

Non aspirare a cose grandi, come consiglia san Paolo. I compiti vistosi sono anche i più pericolosi. La caduta di chi è posto sul candelabro assume spesso dimensioni catastrofiche. Ama invece il nascondimento e la piccolezza. La vita della Vergine Maria ci insegna che questa è la situazione migliore per operare meraviglie nell’opera della redenzione.

Rallegrati delle grazie che Dio sparge nel mondo

Attendi alla tua missione con impegno e umiltà, ma nel medesimo tempo godi delle opere della grazia nel cuore del prossimo. Ti sia di esempio l’atteggiamento di Giovanni Battista che molti volevano proclamare il Messia. Egli però si ritirò ben volentieri nell’ombra per lasciare che il mondo fosse illuminato dalla luce di Cristo.

Anche noi, nel nostro piccolo, dobbiamo imparare a gioire nelle meraviglie che Dio opera attraverso i fratelli. Rallegrandoti per l’espandersi del bene, ti è concesso di entrare in quella comunione spirituale di tutti i santi, in virtù della quale ogni grazia è condivisa e la gioia come meriti dei singoli diventano la ricchezza di tutti.

Se, dilatando il cuore, entri in questa prospettiva, invece di invidiare e di tormentarti imparerai a rallegrarti e ringraziare per la sinfonia meravigliosa della grazia che si diffonde.

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Per approfondire:

2e2mot5 dans Diego Manetti La storia dei lavoratori a giornata (di don Fabio Rosini)

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La cortesia

Posté par atempodiblog le 25 septembre 2014

La cortesia dans Citazioni, frasi e pensieri j8liqt

“La cortesia è una delle proprietà di Dio, il quale dà il suo sole e la sua pioggia ai giusti e agli ingiusti per cortesia; e la cortesia è sorella della carità, la quale spegne l’odio e conserva l’amore”.

Tratto da: I fioretti di san Francesco

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Il Papa: no a cristiani vanitosi, sono come una bolla di sapone

Posté par atempodiblog le 25 septembre 2014

“Quando il pavone fa la ruota per  farsi notare, drizzando le sue belle piume, scopre tutto il resto e fa vedere da tutte le parti ciò che ha di meno bello”.

San Francesco di Sales

Il Papa: no a cristiani vanitosi, sono come una bolla di sapone dans Fede, morale e teologia 2d7vwx0

Il Papa: no a cristiani vanitosi, sono come una bolla di sapone
Guardiamoci dalla vanità che ci allontana dalla verità e ci fa sembrare una bolla di sapone. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice, prendendo spunto dal passo del Libro di Qoelet nella Prima Lettura, ha sottolineato che, anche quando fanno del bene, i cristiani devono rifuggire la tentazione di apparire, di “farsi vedere”.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

Se tu “non hai qualcosa di consistente, anche tu passerai come tutte le cose”. Papa Francesco ha preso spunto dal Libro del Qoelet per soffermarsi sulla vanità. Una tentazione, ha osservato, che non c’è solo per i pagani ma anche per i cristiani, per le “persone di fede”. Gesù, ha rammentato, “rimproverava tanto” quelli che si vantavano. Ai dottori della legge, ha soggiunto, diceva che non dovevano “passeggiare nelle piazze” con “vestiti lussuosi” come “principi”. Quando tu preghi, ammoniva il Signore, “per favore non farti vedere, non pregare perché ti vedano”, “prega di nascosto, va nella tua stanza”. Lo stesso, ha ribadito il Papa, va fatto quando si aiutano i poveri: “Non far suonare la tromba, fallo di nascosto. Il Padre lo vede, è sufficiente”:

“Ma il vanitoso: ‘Ma guarda, io do questo assegno per le opere della Chiesa’ e fa vedere l’assegno; poi truffa dall’altra parte la Chiesa. Ma fa questo il vanitoso: vive per apparire. ‘Quando tu digiuni – dice il Signore a questi – per favore non fare il malinconico lì, il triste, perché tutti se ne accorgano, che tu stai digiunando; no, digiuna con gioia; fa’ penitenza con gioia, che nessuno si accorga’. E la vanità è così: è vivere per apparire, vivere per farsi vedere”.

“I cristiani che vivono così – ha proseguito – per apparire, per la vanità, sembrano pavoni, si pavoneggiano”.

C’è chi dice, “io sono cristiano, io sono parente di quel prete, di quella suora, di tal vescovo, la mia famiglia è una famiglia cristiana”. Si vantano. “Ma – chiede il Papa – la tua vita col Signore? Come preghi? La tua vita nelle opere di misericordia, come va? Tu fai le visite agli ammalati? La realtà”. E per questo Gesù, ha aggiunto, “ci dice che dobbiamo costruire la nostra casa, cioè la nostra vita cristiana, sulla roccia, sulla verità”.

Invece, è stato il suo monito, “i vanitosi costruiscono la casa sulla sabbia e quella casa cade, quella vita cristiana cade, scivola, perché non è capace di resistere alle tentazioni”:

“Quanti cristiani vivono per apparire. La vita loro sembra una bolla di sapone. E’ bella la bolla di sapone! Tutti i colori ha! Ma dura un secondo e poi che? Anche quando guardiamo alcuni monumenti funebri, pensiamo che è vanità, perché la verità è tornare alla terra nuda, come diceva il Servo di Dio Paolo VI. Ci aspetta la terra nuda, questa è la nostra verità finale. Nel frattempo, mi vanto o faccio qualcosa? Faccio del bene? Cerco Dio? Prego? Le cose consistenti. E la vanità è bugiarda, è fantasiosa, inganna se stessa, inganna il vanitoso, perché prima fa finta di essere, ma alla fine crede di essere quello, crede. Ci crede. Poveretto!”.

E’ questo, ha sottolineato, è quello che succedeva al Tetrarca Erode che, come narra il Vangelo odierno, si interrogava con insistenza sull’identità di Gesù.

“La vanità – ha detto il Papa – semina inquietudine cattiva, toglie la pace. E’ come quelle persone che si truccano troppo e poi hanno paura che le prenda la pioggia e tutto quel trucco venga giù”. “Non ci dà pace la vanità – ha ripreso – soltanto la verità ci dà la pace”.

Francesco ha dunque ribadito che l’unica roccia su cui possiamo edificare la nostra vita è Gesù. “E pensiamo – ha affermato – a questa proposta del diavolo, del demonio, anche ha tentato Gesù di vanità nel deserto” dicendogli: “Vieni con me, andiamo su al tempio, facciamo lo spettacolo; tu ti butti giù e tutti crederanno in te”. Il demonio aveva presentato a Gesù “la vanità in un vassoio”. La vanità, ha ribadito il Papa, “è una malattia spirituale molto grave”:

“I Padri egiziani del deserto dicevano che la vanità è una tentazione contro la quale dobbiamo lottare tutta la vita, perché sempre ritorna per toglierci la verità. E per far capire questo dicevano: è come la cipolla, tu la prendi e cominci a sfogliare – la cipolla – e sfogli la vanità oggi, un po’ di vanità domani e tutta la vita sfogliando la vanità per vincerla. E alla fine stai contento: ho tolto la vanità, ho sfogliato la cipolla, ma ti rimane l’odore in mano. Chiediamo al Signore la grazia di non essere vanitosi, di essere veri, con la verità della realtà e del Vangelo”.

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Caravaggio, un’iconologia teologica da scoprire

Posté par atempodiblog le 21 septembre 2014

La spiritualità di Caravaggio al centro di una conferenza organizzata oggi presso l’Abbazia di san Nilo a Grottaferrata.
Tanti i falsi miti da sfatare come quello che vede in Michelangelo Merisi il prototipo dell’artista maledetto, lontano dalla Chiesa e dalla religione. “In Caravaggio c’è un’iconologia teologica tutta da scoprire”, spiega al microfono di Paolo Ondarza il relatore della conferenza Rodolfo Papa, docente alla Pontificia Università Urbaniana di Roma.

Fonte: Radio Vaticana

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R. - Le forme artistiche, negli artisti del Rinascimento, come in quelli dell’epoca del tardo Rinascimento, del Manierismo, del primo Seicento, fino al Barocco hanno sempre un rifermento chiaro a dei significati. Quindi possiamo leggere i dipinti come se fossero dei testi scritti. Leggendo questi testi, possiamo rintracciare un significato compiuto, coerente e nel caso di Caravaggio di altissima teologia, questo anche a sfatare un po’ questa idea del “maledettismo” che per fortuna a partire dalla metà degli Anni ’80 si sta riducendo e diminuendo.

D. – Il prototipo dell’artista maledetto resta difficile da smontare e spesso viene, appunto, evidenziata questa condotta di vita dissoluta, piuttosto che l’aspetto legato all’interesse del pittore nei confronti del sacro, la sua vita spirituale …
R. - E infatti questo è il grandissimo problema. Abbiamo, purtroppo, in un’epoca mediatica come la nostra, la difficoltà di veicolare alti studi conoscitivi sugli autori: tanti elementi diventano più o meno legati al gossip della divulgazione, risultando, purtroppo, quelli più facilmente fruibili dal grande pubblico e in quanto tali rimangono impressi. Ma se poi noi andiamo a studiare in maniera analitica i testi, le storie, le biografie, scopriamo che molto spesso di queste cose c’è poco o nulla; spesso si tratta a volte di scontri tra fazioni culturali, politiche. Bisogna quindi saperlo leggere. Certo, Caravaggio era comunque un caratteriale, questo indiscutibile. Si è trovato coinvolto in fatti di sangue, questo è indiscutibile ma non è il solo, non è l’unico. Nella storia dell’arte ce ne sono tantissimi e anche famosi che però non hanno questa fama.

D. – Indiscutibile anche la spiritualità che comunicano le opere dipinte da Caravaggio. Questo non può che rispondere però anche ad un’interiorità dell’artista, non può essere qualcosa di completamente distaccato da chi queste opere le ha realizzate …
R. - Infatti questo è un punto fondamentale perché poi questo è il mio intento: se noi continuiamo a raccontarci che c’è una storia dell’arte dove gli artisti che hanno lavorato per la Chiesa, di fatto, erano quasi tutti atei o disinteressati, ma lavorando per la Chiesa facevano grandi capolavori – quindi creando questa distanza tra il prodotto finito che veicola brani di teologia, riflessioni, contemplazioni, catechesi e cosi via, questo crea dei grandissimi problemi anche alla teoria dell’arte contemporanea e soprattutto alla scelta nelle committenze degli artisti contemporanei, perché si dice: “tanto l’importante è che sia famoso, poi al massimo succede come con Caravaggio; uno che non era interessato alla Chiesa ma che ha prodotto dei capolavori”. Ma questo non è vero! È l’esatto contrario.

D. – Perché Caravaggio era credente, praticante?
R. - Noi abbiamo la testimonianza del fatto che Caravaggio pregava; partecipava addirittura alle Quarantore, era legato profondamene al giro degli oratoriani, era legato alla cultura pauperista, a San Carlo Borromeo, … Quindi un aspetto veramente molto diverso, un modo diverso di vedere la storia dell’arte. Per non parlare poi di tutte le dicerie che nel mondo scientifico sono letteralmente inesistenti circa la presunta omosessualità di Caravaggio. Nel mondo scientifico queste cose non esistono.

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Per l’apostolo san Matteo

Posté par atempodiblog le 21 septembre 2014

Per l’apostolo san Matteo
Nel giorno della festa liturgica (21 settembre)
del beato Giustino M. Russolillo

Per l'apostolo san Matteo dans Don Giustino Maria Russolillo Sepolcro-di-San-Matteo-Cattedrale-di-Salerno-Campania-Italia

O apostolo e martire di Gesù Cristo san Matteo, con te glorifichiamo il Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo, per la tua divina vocazione, formazione e missione all’apostolato! Invita anche noi assieme agli altri pubblicani e peccatori al convito che fai a Gesù e ai suoi discepoli, per la festa del tuo ingresso nel collegio apostolico.

Anche a nutrimento della nostra fede, fiducia e fedeltà al divino Signore Gesù, tu ci riporti le divine parole: “Io amo più la misericordia che il sacrificio. Non hanno bisogno del medico i sani, ma gli infermi. Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a penitenza”. Con te, o san Matteo, vogliamo confortare tutto il nostro prossimo.

O apostolo e martire di Gesù Cristo san Matteo, sii tu benedetto perché, illuminato e ispirato dallo Spirito Santo, ci fai conoscere Gesù negli splendori delle profezie in lui avverate, nella divina fedeltà alle promesse fatte ai Padri antichi, tutte in lui mantenute, e continui nei secoli questa magnifica predicazione col tuo divino Vangelo.

O san Matteo, apostolo, martire ed evangelista di Gesù Cristo, ottienici massima fedeltà, docilità, generosità alla divina grazia, sicché Gesù possa svolgere anche in noi tutta la sua vita, continuare anche per mezzo nostro tutta la sua opera, e noi diventiamo, nel dono del suo spirito, un’altra pagina del suo vangelo, per tutte le anime.

O Signore Dio, ti chiediamo che tutte le nostre suppliche siano a te raccomandate dalle preghiere del beato apostolo ed evangelista san Matteo, dalla cui magnifica predicazione la tua Chiesa è ammaestrata,affinché per sua intercessione ci venga concesso quello che la nostra debolezza non può conseguire: di vivere, o Signore, il tuo divino vangelo. Amen.

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Il Papa a Napoli il 21 marzo 2015. Card. Sepe: la città ha fame di Dio

Posté par atempodiblog le 19 septembre 2014

Il Papa a Napoli il 21 marzo 2015. Card. Sepe: la città ha fame di Dio dans Articoli di Giornali e News aahrag

Lo aveva promesso nel luglio scorso, recandosi a Caserta, e oggi è giunta la conferma: Papa Francesco visiterà Napoli sabato 21 marzo 2015. Ad annunciarlo oggi, in un giorno di festa per il capoluogo partenopeo, è stato l’arcivescovo della città, il cardinale Crescenzio Sepe, durante la cerimonia che ha visto ripetersi alle 10.11 l’evento della liquefazione del sangue del Patrono, San Gennaro, contenuto in un’ampolla.

Papa Francesco, ha affermato il cardinale Sepe durante l’omelia della Messa presieduta in Cattedrale, arriverà in “una città che ha fame di Dio”, di “lavoro, legalità e progettualità” e inizierà la sua visita dalla periferia di Napoli, dove avrà un incontro con alcuni rappresentanti del mondo del lavoro e della cultura. Subito dopo, il Papa raggiungerà la Cattedrale per venerare le reliquie di San Gennaro e intrattenersi con il clero locale. Nel segno della solidarietà anche il pranzo, condiviso con alcuni detenuti, e un incontro con gli ammalati, mentre il pomeriggio di Francesco si svolgerà assieme ai giovani e al laicato e sarà concluso alle 17 da una Messa solenne.

Il cardinale Sepe ha poi rivolto un “pressante invito” a tutti i cittadini della diocesi: “Ognuno faccia la sua parte – ha detto – nel ridare vivibilità e dignità a questa terra” e a una città sulla quale pesano le “conseguenze di una crisi mondiale che ha reso più precarie le sue già difficili condizioni di vita”.

Tratto da: Radio Vaticana

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2e2mot5 dans Diego Manetti San Gennaro e il suo miracolo

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Una passeggiata a Bruges (o Brugge)

Posté par atempodiblog le 18 septembre 2014

Una passeggiata a Bruges (o Brugge)
di Ferny Forner – DOVE. Corriere della Sera

Una passeggiata a Bruges (o Brugge) dans Viaggi & Vacanze 2wnvlud

Viaggio fai da te, organizzato tutto su internet: Parteza 12 Maggio 2011, Tgv Parigi Gare du Nord-Bruxelles Midi a/r 50 euro p.p; treno IC Bruxelles Midi-Bruges a/r 5,20 euro p.p. Io e Rita eravamo in vacanza a Parigi e abbiamo deciso di andare a Bruges, partenza alla 7 del 12 Maggio, poi con il bus 11 in centro città, sappiamo che i luoghi da visitare sono entro un raggio di 15-20 minuti a piedi.

Arriviamo alle 10, non c’è ancora molta gente nelle strade, ne approfittiamo per passeggiare lungo le caratteristiche vie e piazze non ancora affollate e fare un’escursione in barca. Passiamo tra edifici di architettura rinascimentale e nordica, alti e stretti, con facciate a cuspide e frontoni a gradoni, tipo Amsterdam per intenderci, i canali si attraversano su ponti in pietra a forma di schiena d’asino, in barca occorre spesso abbassare la testa per passare, angoli imprevisti e suggestivi di una città che ha conservato molti elementi dei secoli XIV e XV, quindi del tardo gotico e del rinascimento, soprattutto, vedendola dalla barca sembra che il tempo a Bruges si sia fermato.

La bella giornata di sole (ma spira un venticello freddo) ne mette in risalto i colori, sembra di essere dentro una cartolina illustrata, i canali scorrono tra gli edifici che si susseguono senza spazi, con le facciate che si riflettono nell’acqua, numerosa la presenza dei cigni, che oltre a contribuire al panorama costruiscono la memoria storica della città.

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A Bruges programmare un tour in barca è indispensabile per avere un’idea precisa della città ma anche per vedere angoli panoramici non visibili altrimenti. Naturalmente nel tour a piedi abbiamo visitato anche la Bruges dei musei e dei monumenti.

Il Markt e il Burg, costituiscono il centro storico, sono piazze grandi, vivaci e affollate, carrozze a cavalli, tante bici,  edifici in mattoni rossi, su tutti campeggia il Beffroi, una torre alta circa 80 metri, in passato torre militare, ora è praticamente un belvedere (ingresso a pagamento, 360 scalini, no ascensore), notevoli il Palazzo delle Halles, l’Hotel de Ville, l’Antico Notariato civile, il Palazzo della Provincia, per citarne alcuni, in particolare l’Hotel de Ville in stile gotico del 1400, un elegante palazzo decorato con statue, gli originali furono distrutti dai rivoluzionari francesi, alcune erano state dipinte dal grande Van Eyck.

Nel Burg visitiamo la basilica del Santo Sangue, dove sono venerate alcune gocce del sangue di Cristo, facciata gotica, composta di due chiese sovrapposte, quella in basso (era chiusa), l’altra in tardo gotico, con un interno in stile barocco, interessanti vetrate (copie anche queste); era giorno di venerazione un anziano sacerdote seduto all’altare tiene la reliquia con due mani e i fedeli in fila vanno a turno a stringere l’ampolla e recitare una preghiera.

La Chiesa di Notre Dame, con un campanile alto più di 120 metri passando sul ponte a dorso d’asino di S. Bonifacio, che è uno dei luoghi preferiti dai turisti per farsi immortalare con le foto. All’interno della chiesa, il gruppo della Vergine con Bambino, opera di Michelangelo, la scultura in marmo bianco raffigura la Vergine seduta con un aspetto giovane e sereno che regge il Bambino, l’interno della chiesa è prevalentemente barocco, lungo le pareti opere di fiamminghi primitivi, volendo si può visitare il coro con i monumenti funerari (a pagamento 1 euro).

Museo Groeninge sono esposte opere di pittori fiamminghi del XV secolo, tra i quali Memling, Van Eyck, Provost (no foto).

Ospedale San Giovanni (edificio del XII secolo), uno dei più antichi ospedali, un lato è lambito dai canali, sono esposti in un grande salone antichi strumenti chirurgici e opere di pitori fiamminghi, all’interno il museo dedicato a Memling con solo 6 opere, fantastico il Cofanetto di S. Orsola, a forma di piccola cappella, con le pareti dipinte con scene in miniatura, vale da sola la visita (no foto).

Usciamo dal museo, ultima passeggiata in questa città gioiello per rivedere il Minnewater, un piccolo lago e il Beghinaggio (XIII secolo) che avevamo visto dalla barca, poi stremati alla stazione per tornare a Parigi dopo aver girato a piedi per quasi sette ore, salvo uno spuntino nella piazza del Burg, che preferiamo non ricordare.

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L’invito della Madonna: “pregate per il mio amatissimo Santo Padre”

Posté par atempodiblog le 18 septembre 2014

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Uno dei messaggi più significativi della Regina della pace in questi ultimi mesi è quello dato attraverso il veggente Ivan il 17 Agosto durante un incontro di preghiera in Italia. La Madonna ha invitato a pregare per il Papa e la sua missione di pace con parole sulle quali è necessario riflettere: “In modo particolare, cari figli in questo tempo pregate per il mio amatissimo Santo Padre, pregate per la sua missione, la missione della pace”.

La Madonna fa innanzi tutto riferimento ai pericolosi focolai di guerra che si accendono e si dilatano nel mondo, tanto da poter affermare che siamo di fronte a “una terza guerra mondiale” che procede per tappe. In questo contesto il suo occhio si posa sulla “missione della pace” per la quale Papa Francesco si sta spendendo con grande coraggio fin dall’inizio del suo Pontificato e invita a sostenerla con la preghiera.

Tuttavia ciò che colpisce di più nel messaggio della Santa Vergine è l’esplicita affermazione che Papa Francesco “è il suo amatissimo Santo Padre”. Si tratta di una espressione che la Gospa usa per la prima volta, come a voler sottolineare la strettissima unione fra la Madre della Chiesa e il Successore di Pietro, fra Lei e Papa Francesco. Ed è anche un materno ammonimento a prendere le distanze dalle lingue biforcute che, anche all’interno della Chiesa, non perdono occasione per criticare e diffamare coloro che Cristo ha posto a capo del suo gregge.

di Padre Livio Fanzaga – Radio Maria

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Aiutiamo le nostre bambine (ma anche i bambini) a rallentare, camminando insieme a loro, al loro passo…

Posté par atempodiblog le 15 septembre 2014

Aiutiamo le nostre bambine (ma anche i bambini) a rallentare, camminando insieme a loro, al loro passo…
di Alessandro – Fermenti cattolici vivi
Tratto da: Ascolta tua Madre

Aiutiamo le nostre bambine (ma anche i bambini) a rallentare, camminando insieme a loro, al loro passo… dans Riflessioni 9u224j

Ho appena ricevuto il giornale mensile di “Frate Indovino” che leggo sempre molto volentieri e da cui traggo ogni tanto qualche spunto anche per il blog. Nel numero di Settembre mi ha particolarmente colpito questo articolo. Sarà perché ho una figlia di nove anni e il ‘fenomeno’ ce l’ho ogni giorno sotto gli occhi, ma come non essere in linea di massima d’accordo con l’articolo che segue?

NON CEDIAMO AL LOLITISMO

Bambine che già alle elementari vestono indumenti attillati, che a otto anni chiedono la depilazione e a tredici la plastica al seno… Succede anche da noi: la pubertà precoce è in crescita, così come l’adolescenza anticipata, un fenomeno che sconcerta i genitori e allarma pediatri e psicologi, perché non è detto che tutta questa precocità non finisca poi per esigere il suo prezzo, da pagar caro, sia in termini fisici che in termini psicologici.

Le cause? Tutta una serie di fattori genetici, ambientali e culturali: dall’inquinamento da Pcb agli estrogeni nella carne, alla dieta troppo ricca; dall’ansia da prestazione indotta dai genitori che vogliono figli perfetti ai messaggi erotizzanti dei mass-media… Un insieme di fattori che determina un’adolescenza culturale e psicologica, prima di quella biologica, in modo che l’adolescenza stessa non coincide più con la pubertà come avveniva per le passate generazioni, mentre il desiderio di uscire dall’infanzia, molto più forte oggi, è provocato da un ambiente sociale che induce la frenesia della crescita rapida per approdare più in fretta a una fascia di età superiore, bruciando, come si dice, le tappe.

A preoccupare di più sono i fattori culturali che dipendono dagli adulti: padri e madri che si mostrano orgogliosi dei figli “più avanti della loro età”; madri che incoraggiano la vanità delle loro bimbe, mentre la nostra società sempre più ipersessualizzata, che associa qualsiasi oggetto al corpo femminile, manda alle bambine segnali continui, provocando il cosiddetto “effetto Barbie” (che in Francia tra l’altro, ha fatto insorgere centinaia di pediatri contro l’erotizzazione dei bambini nella pubblicità). Naturalmente però molto dipende dalle mamme, che spesso, purtroppo, sono le prime a “giocare con le Barbie”, nel senso che esibiscono ed erotizzano le figlie per valorizzare se stesse…

Questa prematurità psichica, dicono gli esperti, è dannosa perché inaridisce i processi immaginativi, diminuisce il tempo del gioco, depotenzia i sogni: uscendo troppo presto dall’infanzia, si rischiano un’identità emotiva arida, un pensiero conformista, un’eccessiva ricerca del consenso sociale.

Che fare allora per aiutare le nostre bambine a rallentare?

Silvia Vegetti Finzi suggerisce alcune regole:

- adottare abitini sobri senza cedere al lolitismo;

- non regalare cosmetici e gioielli;

- sdrammatizzare l’eventuale sovrappeso e non colpevolizzare i cibi;

- evitare letture e spettacoli erotizzanti;

- rinviare l’acquisto del cellulare e comunque controllarne l’abuso;

- proibire che i propri figli chattino nella rete;

- non mostrarsi lusingati e divertiti quando le figlie alludono al “fidanzatino”;

- preferire sport di squadra non competitivi e accordarsi con le mamme dei compagni di classe per adottare atteggiamenti coerenti.

(Tratto da “Frate Indovino”, Settembre 2014)

Io aggiungerei: parlare, parlare e parlare, le mamme ma anche i papà, parlare coi nostri figli motivando ogni nostra scelta, soprattutto quando ci troviamo a dover motivare quelle un po’ fuori dal coro del pensiero unico e della catechesi del mondo. Trasmettiamo ai nostri figli la gioia che si prova a non bruciare le tappe facendo vedere che l’eccesso uccide proprio le qualità che cerchiamo in ogni cosa, qualunque cosa.

Certe corse alla precocità possono dare un’illusione di conforto, ma quello che all’inizio è un tentativo di soddisfare bisogni (soprattutto indotti dalla società di oggi che ci vuole consumatori il prima possibile) inappagati, subito acquista una vita propria e pretende di più, dando meno in cambio.

Il vero appagamento, la vera soddisfazione si trova nell’equilibrio e l’equilibrio lo si trova da adulti, al tempo giusto. Da adulti liberi che scelgono le cose e che le usano, non che si fanno manipolare da una società che sin da bambini induce desideri per “crescersi” i consumatori pronti per l’uso.

C’è un tempo per ogni cosa… Lo dice anche la Bibbia no?

C’è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
Un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare.
Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,
un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.
Un tempo per cercare e un tempo per perdere,
un tempo per serbare e un tempo per buttar via.
Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,
un tempo per tacere e un tempo per parlare.
Un tempo per amare e un tempo per odiare,
un tempo per la guerra e un tempo per la pace

(Qoelet 3,2-8)

… e in questo elenco di attività, ognuna al momento giusto, alla fine, la PACE.

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