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Triduo a San Massimiliano Maria Kolbe

Posté par atempodiblog le 11 août 2014

Triduo a San Massimiliano Maria Kolbe
Tratto da: Preghiere per la famiglia

Triduo a San Massimiliano Maria Kolbe dans Preghiere San-massimiliano-m-kolbe

1. O Dio, che hai infiammato di zelo per le anime e di carità per il prossimo san Massimiliano Maria, concedi a noi di lavorare intensamente per la tua gloria al servizio di ogni uomo, nostro fratello.
Gloria al Padre, Ave Maria

2. O Dio, che in san Massimiliano Maria, seguace fedelissimo del Poverello di Assisi, ci hai donato un apostolo della devozione alla Vergine Immacolata, donaci il coraggio di affidare a Lei i nostri corpi, i nostri cuori, le anime nostre, le nostre attività.
Gloria al Padre, Ave Maria

3. O Signore, Ti supplichiamo, perché sull’esempio di san Massimiliano Maria, impariamo a offrire per Te la nostra vita.
Gloria al Padre, Ave Maria

4. O Signore, Ti chiediamo che quel fuoco di carità che san Massimiliano Maria attinse dal Sacrificio Eucaristico, accenda anche i nostri cuori.
Gloria al Padre, Ave Maria

5. O Vergine Immacolata, Madre del Signore e Madre della Chiesa, ottienici di amarti, di servirti, di testimoniarti con una generosità e un ardore almeno pari a quello del tuo apostolo e martire san Massimiliano Maria.
Gloria al Padre, Ave, Maria

O San Massimiliano Kolbe, prega per noi, aiutaci nella presente difficoltà, ottienici un grande amore verso la Vergine Immacolata, un amore ancor più grande del tuo.

Preghiamo:

O Dio, che hai infiammato di zelo per le anime e di carità per il prossimo San Massimiliano Maria, tuo sacerdote, martire e apostolo dell’Immacolata, concedi a noi, per sua intercessione, di lavorare intensamente per la tua gloria al servizio degli uomini, per rassomigliare anche alla morte al Figlio tuo. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

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Fiducia in Dio. Dolcezza con il prossimo

Posté par atempodiblog le 11 août 2014

Fiducia in Dio. Dolcezza con il prossimo dans Citazioni, frasi e pensieri Beato-Giustino-Maria-Russolillo
Immagine tratta da: Mis ilustraciones

Fiducia in Dio. Dolcezza con il prossimo. L’una e l’altra specialmente a riguardo delle persone che più ti sono opposte, e forse diabolicamente ostili, e quindi da conquistare a Gesù, precisamente con aumento di fiducia in lui e dolcezza per esse. Amen.

Non meravigliarti se la tua fiducia nel Signore sia messa alla prova, se la tua dolcezza col prossimo sia messa alla prova. Aspetta la prova e confida contro ogni apparenza sfavorevole e anche dal cuore ferito versa dolcezza sui fratelli. Amen!

O dolcissimo, dilettissimo! La via di san Francesco di Sales è vostra e mia! Amen.

Mi voglio abbandonare a questa corrente di dolcezza, umiltà, sorriso e carità, così buona per me e per il prossimo, così evangelica, così conforme alla natura e alla grazia che mi avete data. Allora mi farete comprendere e vivere quella verità: docebit mites vias suas – Insegnerà ai miti le sue vie! Le vie vostre per le quali vi incontrerò, ci uniremo! Amen.

Beato Giustino M. Russolillo

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Della predicazione

Posté par atempodiblog le 11 août 2014

Della predicazione dans Citazioni, frasi e pensieri Beato-Giustino-Maria-della-Santissima-Trinit-Russolillo

“Le belle prediche e l’attività senza la preghiera non portano alcun frutto. Con la preghiera di certo otterrai tutto ciò che è veramente utile. Però devi pregare con molta insistenza e perseveranza; con un fervore sempre maggiore. E per tuo mezzo Iddio compirà miracoli. Sono le ginocchia, non l’intelligenza o la penna, a dare efficacia nell’attività, nella predicazione, nei libri. Preghiera prima e dopo il lavoro. Domanda, ringraziamento e richiesta di perdono”.

San Massimiliano M. Kolbe

Divisore dans Don Giustino Maria Russolillo

“Tu predichi con accento forte e amaro perché c’è molta amarezza nel fondo del cuore. Devi disporti all’amore soprannaturale e quindi a forte dolcezza che deve sentirsi nelle parole. Così gioverai alle anime.

Quanto meno entusiasmo naturale ci sarà nelle tue prediche, e meno elemento sensibile, più saranno sentite da altri e fruttificheranno in altri per il sopravvento in esse del soprannaturale. Amen.

La predicazione [...] è tutta luce di verità e dolcezza di carità, come immagine del Verbo e dello Spirito. Amen. Alleluia”.

Beato Giustino M. Russolillo

Divisore dans Fede, morale e teologia

“Non si offendano le persone con ironie o invettive; specialmente nelle piccole borgate non si dica parola che possa essere giudicata allusiva alla condotta di qualche individuo.

Il predicatore badi a non inasprire menomamente gli erranti. Le sue parole spirino sempre carità e benignità.

Le invettive non ottengono le conversioni: l’amor proprio si ribella. Era questo il metodo che teneva S. Francesco di Sales e che era da lui consigliato. Egli narrava che i protestanti correvano in folla ad udirlo e dicevano che loro piaceva, perché non lo vedevano infuriarsi come i loro Ministri”.

San Giovanni Bosco

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Il Voltaire sconosciuto

Posté par atempodiblog le 11 août 2014

“Ho sempre osservato che le persone pronte a sospettare un delitto son quelle stesse che vi si dedicano”.

Donatien-Alphonse-François de Sade

Il Voltaire sconosciuto dans Antonio Socci jhae5x

Il suo pensiero (di Voltaire, ndr) è sintetizzato in uno slogan [...] “Écrasez l’Infâme!”. E significa: schiacciate l’infame. Un pensiero non precisamente improntato alla magnanima liberalità che di solito si attribuisce all’autore del Trattato sulla tolleranza. Con gentile qualifica di «infame» egli infatti intendeva coloro che avevano convinzioni opposte alle sue. Per esempio i cristiani.
Per il fatto stesso che pensavano diversamente da lui erano da Voltaire (s)qualificati come «fanatici» e quindi candidati allo «schiacciamento» (metaforico, si spera).


Altro che dare la vita per consentire ai suoi avversari di esprimersi. Li voleva trattare come scarafaggi, come mosche. Salvo poi accusare la Chiesa di fare questo. [...]

Voltaire può essere indicato – in base ai suoi scritti e ai suoi comportamenti – come il simbolo della tolleranza e del rispetto della dignità umana? Si può considerare concretamente il campione della serena indagine razionale e scientifica libera da pregiudizi?

Il mondo lo crede. Basta solo nascondere bene alcune «quisquilie», come le pagine che il vate in questione dedicò ai «negri» e quelle che dedicò agli ebrei. Pagine che molto difficilmente troverete divulgate perché contraddicono in modo troppo plateale il «mito Voltaire» (strana sorte, ancora una volta, per chi aveva accusato i cristiani di aver manipolato i testi su Gesù per mitizzarlo). Dunque dicevamo dei «Negri» (come li chiama Voltaire). Il nostro campione faceva una gerarchia fra gli esseri umani collocando «i Negri» sul gradino più basso, proclamando che i Bianchi sono «superiori a questi Negri, come i Negri alle scimmie e le scimmie alle ostriche» e, non contento di ciò, discettava delle «specie mostruose che sono potute nascere da questi abominevoli amori» ovvero gli accoppiamenti fra scimmie e «donne negre».

Sì, cari signori benpensanti: stiamo citando veramente Voltaire. Il quale, quando scrive queste cose, pretende di usare categorie scientifiche – le razze, appunto – mentre la Bibbia è da lui ritenuta oscurantista e falsa in quanto la Genesi nega l’esistenza di razze diverse, affermando che tutta l’umanità discende da un’unica coppia.

Nell’«Introduzione» al Saggio sui costumi, con sicumera e senza portare argomenti, proclama che «solo un cieco potrebbe mettere in dubbio che i Bianchi, i Negri, gli Albini, gli Ottentotti, i Lapponi, i Cinesi, gli Americani siano razze del tutto diverse». Infatti, a suo dire, le diversità morfologiche e somatiche dei «negri» e «il grado stesso della loro intelligenza, stabiliscono differenze prodigiose tra loro e le altre specie umane».

Poi aggiunge: «Che questa differenza non sia dovuta al clima» è dimostrato dal «fatto che i Negri e le Negre, trasportati nei paesi più freddi, continuano a produrvi animali della loro specie. E che i mulatti sono semplicemente una razza bastarda». Questi, per Voltaire, sono ragionamenti scientifici, perciò li scaglia in faccia alla Chiesa, da lui simbolizzata nel «prete», ovvero l’«uomo vestito d’una lunga sottana nera» che considera tutti figli dello stesso padre. Quello che ora ci interessa sottolineare è il fatto che Voltaire, con questo apologo, cerca di dimostrare la tesi poligenista a cui lui aderisce, ovvero l’idea che l’umanità non derivi affatto – come afferma la Bibbia e con essa la Chiesa – da una stessa coppia originaria, Adamo ed Eva (monogenismo), ma abbia progenitori diversi da cui discenderebbero razze diverse di uomini (poligenismo).

Il monogenismo della Chiesa portava come conseguenza che c’è un’unica famiglia umana, che non esistono razze, superiori e inferiori, e che tutti gli uomini – qualunque sia l’evoluzione della loro società – hanno uguale dignità e valore davanti a Dio Creatore. Ma tutto questo fu attaccato duramente come un’invenzione mitologica. La tesi del poligenismo «della quale, nel secolo dei Lumi, Voltaire fu il più illustre rappresentante, pretendeva alla dignità di dottrina puramente scientifica» e, nota ancora Léon Poliakov, «il poligenismo [...] gli permetteva [a Voltaire, N.d.A.] di avanzare delle giustificazioni “naturali” allo schiavismo», con tesi di questo tenore: «La natura ha subordinato a questo principio quei differenti gradi di genio e quei caratteri delle nazioni che si vedono cambiare così raramente. Per questo i negri sono gli schiavi degli altri uomini. Essi vengono acquistati come delle bestie sulle coste dell’Africa».

In effetti «la teoria poligenetica – commenta Francesca Castradori – libera del tutto l’europeo dall’affratellamento con l’africano». Certo, ammette Voltaire, «non possediamo il diritto naturale di andare a mettere in ceppi un cittadino dell’Angola» però, aggiunge, «ne possediamo il diritto di convenzione. Perché vien venduto quel negro? O perché si lascia vendere? Io l’ho comperato, esso mi appartiene; che torto gli faccio? Lavora come un cavallo, io lo nutro male, lo vesto peggio, lo faccio bastonare quando disobbedisce: che c’è da stupire tanto? Trattiamo forse meglio i nostri soldati?».
Andando avanti in questo stupefacente paragone Voltaire arriva a scrivere: «Il negro ha rispetto al soldato il vantaggio di non rischiare la vita e di trascorrerla in compagnia della sua negra e dei suoi negretti».

I ragionamenti di Voltaire sono questi: «Il negro che vende se stesso è un pazzo, e [...] il padre negro che vende il suo negretto è un barbaro; ma [...] io mi conduco in modo molto sensato comperandolo e facendolo lavorare nella mia piantagione». E va detto che l’illuminato filosofo sullo schiavismo e sulla tratta dei negri non si limitava a discettare teoricamente. Infatti, secondo quanto scrive Poliakov, «Voltaire non esitò a diventare azionista di un’impresa di Nantes per la tratta dei negri, investimento eminentemente remunerativo; egli diventa “uno dei venti personaggi più benestanti del regno”». Tutto questo dopo aver accusato i cristiani di trarre profitto dalla schiavitù. D’altra parte pure l’altro apostolo della tolleranza, simbolo dell’illuminismo inglese, John Locke, quel gran liberale che invocava il pugno di ferro contro cattolici e atei, secondo ricerche recenti guadagnò un bel capitale acquistando azioni della Royal African Company, impegnata nella tratta degli schiavi. Perché in effetti «lo spirito dei tempi era – con l’eccezione della Chiesa Cattolica – favorevole alla tratta degli schiavi». Le grandi scoperte di nuovi continenti – scrigni di immense ricchezze, abitati da popolazioni meno sviluppate dal punto di vista materiale e quindi facilmente depredabili e soggiogabili – spalancarono la strada ad appetiti politici ed economici giganteschi.

Appetiti predatori che avevano come soggetti Stati, corone, imperi, compagnie finanziarie e che trovarono sulla loro strada un ostacolo, uno solo, ma di enorme peso e importanza: la Chiesa cattolica, apostolica, romana. Già nel 1435 Papa Eugenio IV dovette intervenire con un pronunciamento durissimo, la bolla Sicut Dudum, contro gli spagnoli che conquistarono le Isole Canarie schiavizzando gli abitanti. Questa dura condanna dello schiavismo restò inascoltata.

Così – dopo la scoperta dell’America, di fronte alla rapacità europea e a coloro che cominciavano a giustificare la schiavizzazione delle popolazioni indigene perché le giudicavano subumane – Papa Paolo III (1468-1549) vergò una condanna ancora più solenne. Con tutto il peso della sua autorità planetaria il 2 giugno 1537 firmò la Sublimis Deus nella quale proclama che «indios veros homines esse» (sono cioè esseri umani a pieno titolo) e arriva a formulare una condanna gravissima su coloro che teorizzano o praticano lo schiavismo definendoli «manutengoli del demonio». Questa ferma condanna segnò l’inizio di un conflitto gravissimo della Chiesa contro il potere degli Stati, delle varie corone e dei poteri finanziari. La Riforma protestante (1517) indebolì fortemente la Chiesa. Gli Stati, i re, i poteri politici ed economici non riconoscevano più la superiorità del magistero della Chiesa sulle leggi e gli interessi. Così la condanna dello schiavismo fatta dalla Chiesa fu ignorata e lo schiavismo dilagò, diventando un pilastro dell’economia mondiale (nella parte orientale del globo il commercio di schiavi era gestito dagli arabi-musulmani).

Ma la Chiesa continuò a ribadire – seppure inascoltata – la sua durissima condanna di questo orrore (restano memorabili anche i documenti di Papa Urbano VIII del 1639, e di Benedetto XIV del 1741). Se consideriamo la storia della schiavitù, ciò che stupisce non è la sua esistenza, ma la sua sparizione in un certo arco temporale, cioè dall’avvento del cristianesimo alla fine del Medioevo. Infatti lo schiavismo è un fenomeno costante e praticato in tutte le civiltà e i tempi. È il cristianesimo a essere un fenomeno del tutto imprevisto e controcorrente. Infatti si è ricominciato a praticare lo schiavismo appena si è allentato il legame dei popoli con la religione cattolica, apostolica, romana. Come si spiega questa particolarità del cattolicesimo?

Chesterton diceva che il cattolicesimo libera gli uomini dalla schiavitù di essere figli del proprio tempo. In effetti andare contro lo schiavismo nei secoli antichi e poi di nuovo dal XV secolo era considerato oscurantista («non siete al passo con i tempi») come la posizione della Chiesa di oggi quando denuncia l’immane tragedia dell’aborto (un miliardo di esseri umani «scomparsi» per legge). Significava e significa andare totalmente contro la mentalità dominante nel mondo. In effetti è proprio questo non essere determinati dalla mentalità del tempo che permette di vedere e denunciare il male in cui i tempi sono immersi. Fra l’altro in entrambi i casi – cioè quello dello schiavismo e quello della vita nascente – si verifica lo stesso fenomeno, ovvero la legge nega lo statuto di «persona» a certe categorie di esseri umani. Rivendicando quindi di avere su di esse il potere di vita e di morte. È (tristemente) celebre la sentenza del caso Dred Scott con cui, nel 1857, la Corte Suprema americana stabilì che: «I neri, a norma delle leggi civili, non sono persone». E stiamo parlando della più grande e antica democrazia del mondo.

di Antonio Socci – La Guerra contro Gesù, Ed. Rizzoli

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L’ateismo assoluto: una religione totalitaria

Posté par atempodiblog le 11 août 2014

L’ateismo assoluto: una religione totalitaria
di Francesco Agnoli – Il Foglio (2008)
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
Tratto da: Noi Chiesa

L'ateismo assoluto: una religione totalitaria dans Articoli di Giornali e News scrfpw

L’enciclica del papa è centrata sulla speranza, ma la parte dedicata all’ateismo del Novecento farà senza dubbio discutere. Eppure il papa, condannando l’ateismo assoluto (non certo l’ateismo « tragico » di chi ricerca e continua a domandare), e riconducendo ad esso gran parte delle atrocità del secolo appena trascorso, non fa che esprimere una opinione che qualsiasi storico potrebbe sottoscrivere. E’ un dato di fatto che i sistemi atei abbiano prodotto la I e la II guerra mondiale, cioè le più grandi stragi della storia dell’umanità, come pure le ideologie di morte del nazismo e del comunismo (e per molti aspetti anche del fascismo). 

I grandi dittatori della storia sono tutti nel Novecento, nel secolo della decadenza e dell’ateismo assoluto, e sono tutti rigorosamente materialisti: Lenin, Stalin, Hitler, Mussolini, Mao, Pol Pot, Hoha, Tito, Milosevic…. Si tratta di un dato storico inconfutabile. Machael Burleigh, docente a Oxford e in varie università degli Stati Uniti, ha appena scritto per Rizzoli un poderoso saggio, “In nome di Dio”, in cui dimostra chiaramente che “negli anni successivi alla prima guerra mondiale l’Europa, gravemente provata dal conflitto, costituì un terreno di coltura per le appassionate predicazioni di fanatici visionari e di profeti che offrivano ‘religioni politiche’ alternative a quelle ufficiali. Sorsero così e si affermarono nel continente movimenti che riuscirono a dar vita a totalitarismi con aspirazioni onnicomprensive: il comunismo, il fascismo, il nazionalsocialismo, i quali, pur con diversità rilevanti tra loro, proponevano il paradiso in terra, la giustizia sociale, la creazione di un ‘uomo nuovo’. Il Partito veniva idealizzato, il Capo quasi divinizzato, investiti entrambi di una dimensione ‘sacrale’ nel corso di adunate e grandiose manifestazioni, producendo inevitabili scontri con le Chiese ufficiali”. 

Burleigh, come tanti altri storici e filosofi, nota cioè come le ideologie atee del Novecento si siano poste come ricette di salvezza umana, con lo scopo di creare il paradiso sulla terra, facendo appunto a meno di Dio, e dando vita poi, nella realtà, all’inferno. Il minimo comune denominatore delle ideologie è infatti quello di presentarsi come surrogati del senso religioso, per proporre una via alternativa a quella della Fede per il raggiungimento della Verità, del Bene e della Giustizia. E’ un fatto che il nazionalismo nasca come “religione della patria”, il nazismo come “religione della razza e del sangue” (non certo dell’anima), il comunismo come religione dell’eguaglianza sociale ed economica, e che tutte queste idee abbiano una matrice atea e materialista. Si legga, a proposito, il celeberrimo saggio di Leon Poliakov, il grande storico del razzismo, “Il mito ariano” (editori Riuniti), in cui si spiega chiaramente che l’origine del razzismo poggia interamente sulla negazione della comune figliolanza degli uomini rispetto a Dio e sulla negazione del dogma cattolico della discendenza di tutti gli uomini da Adamo ed Eva (dogma che comporta la fratellanza universale, e che viene respinto dai primi teorizzatori del razzismo, in nome dell’esistenza di razze superiori ed inferiori che avrebbero dunque origini da ceppi diversi). Poliakov ricorda anche come il razzismo e l’eugenetica siano collegati ad una visione materialistica diffusa a partire dal Settecento, da antropologi, frenologi, antropometri, e da tutti quegli pseudo-scienziati materialisti che cercavano di stabilire la superiorità e l’inferiorità delle razze in base alla misurazione del cranio e degli arti, e cioè delle parti puramente corporali, convinti che l’uomo si esaurisse, appunto, in esse (mentre invece, differendo tra loro i corpi, solo l’anima può garantire l’eguale dignità degli uomini). L’uomo, le masse ideologizzate e secolarizzate del Novecento, si caratterizzano dunque per il fatto di aver abbandonato la Speranza in Dio e nella sua azione salvifica, e per averla riposta interamente nella politica, nel Partito, nello Stato, nel Dittatore. Chiedono ad essi ciò che chiedevano, un tempo, a Dio, anzi di più: tutto, ma subito (non essendovi più l’idea di una Vita ultraterrena). La creazione del mondo perfetto, dell’ “uomo nuovo”, per le ideologie, dunque, urge, incalza, preme: necessita al più presto l’eliminazione, tramite ghigliottine, gulag, lager e polizie segrete, ovre, gestapo, ceka e kgb, di coloro che ostano, che impediscono, che non comprendono, che complottano, che conducono la “controrivoluzione”, che, secondo l’articolo 58 del codice penale sovietico, sono solo sospettati di farlo…: in una parola di quanti meritano l’inferno, anch’esso, come il paradiso, trasferito paradossalmente nell’aldiquà. E’ per questo, per fare un esempio, che la guerra, o la violenza, sempre considerata un male, per quanto talora inevitabile (guerra di difesa), diviene un bene in se stessa: il vento che spazza lo stagno, di Hegel, la guerra che porrà fine alle guerre, per alcuni interventisti italiani della I guerra, “la sola igiene del mondo” per i materialisti futuristi, una esigenza di natura, per i socialdarwinisti, uno splendido cozzare di popoli, per i nazionalisti, la fine del passato oscuro e l’inizio di una nuova era, per tutti i rivoluzionari, da Mussolini a Mao… Sempre per lo stesso motivo, ogni ideologia si afferma come un “mondo nuovo”, un “ordine nuovo”, un’era diversa, che data la sua origine non dall’evento salvifico della nascita di Cristo, ma, come avviene dalla Rivoluzione francese in poi, passando per il fascismo e il nazismo, dall’ascesa al potere, essa sì salvifica, dell’ideologia ateistica di turno. Al culmine del delirio, vi è il regime comunista di Pol Pot, in cui tutte le religioni sono vietate, e la famiglia viene scientificamente distrutta; regime che sarà causa di due milioni di morti su sette milioni di abitanti, in poco più di tre anni (1975-1979), qualcosa di mai visto nella storia, e in cui si arriverà a ordinare per legge non solo il rogo dei libri del passato, ma financo delle fotografie dei privati, affinché fosse cancellato anche il ricordo fotografico di come era il mondo prima dell’avvento del regime comunista-salvifico, “escatologico”, millenaristico, dell’Angkar.

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Prima di Augias, Odifreddi e Dawkins…

Posté par atempodiblog le 11 août 2014

Prima di Augias, Odifreddi e Dawkins... dans Articoli di Giornali e News 33a7vr4

Siamo agli inizi del Novecento, e un giovane maestro incomincia la sua carriera politica di passioni rapide e cangianti, e di inenarrabili odi. Suo padre, Alessandro, è un ruvido uomo di sinistra che vede nel socialismo “la scienza e l’excelsior che illumina il mondo”, “il libero amore che subentra al contratto legale”.

Scrive: “o preti, non è lontano il tempo in cui cesserete di essere inutili e falsi apostoli di una religione bugiarda e in cui, lasciando al passato la menzogna e l’oscurantismo, abbraccerete la verità e la ragione, e getterete la tonaca alla fiamma purificatrice del progresso”.

Anche il figlio di Alessandro è un amante del socialismo, del progresso, della “ragione”, contro l’oscurantismo dei credenti. Egli, nei suoi viaggi lontano dalla patria romagnola, arriva a Trento nel 1908, chiamato dal partito socialista locale, e subito viene onorato come grande oratore, “versato soprattutto in anticlericalismo”. Qui, nella città del Concilio, scaglia i suoi strali contro l’“idra clericale”, in nome della “Redenzione umana”. Non crede in Dio, ma nell’avvenire dell’umanità, radioso e splendente.

Occorre solo eliminare i nemici, gli avversari, coloro che si oppongono al trionfo del bene, all’ “internazionalismo”, all’ “anti-religiosismo”, all’ “affratellamento dei popoli”. Questi nemici sono la Chiesa, il militarismo, il “morbus sacer” del nazionalismo, l’ “Austria guerrafondaia”, guidata da un sovrano ridicolmente cattolico, e i militaristi germanici.

Declama, a testa alta: “I milioni che dovrebbero destinarsi al popolo, a sollevare il popolo, sono invece inghiottiti dall’esercito. Il militarismo! Ecco la mostruosa piovra dai mille viscidi tentacoli che succhiano senza tregua il sangue e le migliori energie del popolo”. Per il giovane rivoluzionario a succhiare il sangue del popolo italiano c’è anche la Chiesa, “grande cadavere”, “lupa cruenta”, “covo di intolleranza”, e i suoi preti, “pipistrelli”, “sanguisughe”, “pallide ombre del medioevo”, “sudici cani rognosi”, che vogliono mantenere il popolo nell’ignoranza.

Le vicende di Galilei e di Giordano Bruno, scrive sempre con vigore il nostro giornalista, sono lì a dimostrare chi sono i nemici della ragione e del progresso. Eppure, prosegue, oggi Marx ci ha finalmente aperto gli occhi, ci ha rivelato che Dio non esiste, e con lui Darwin, che ha dato un grosso colpo alle teorie della Bibbia, tanto che “nessun altra dottrina ha avuto portata maggiore di quella del grande naturalista inglese”.

Mentre scrive, il giovane rivoluzionario si concede qualche scappatella, con donne che poi abbandona senza tanti scrupoli. “E’ vero che a Losanna – scrive – ebbi relazione con una divorziata, ma così per la carne, non per l’anima”. E mentre frequenta svariate signore, e percorre i corridoi dei bordelli, scrive articoli intitolati “Meno figli, meno schiavi!” e definisce l’amore “una grandissima cosa: ma non è poi solo e non è tutto. E’ un mezzo per conservare la specie”, un artificio della natura solo per mantenere se stessa, come ogni buona dottrina materialista insegna.

Queste esperienze e queste convinzioni, non gli impediscono di spiegare ai suoi lettori che i sacerdoti sono sempre degli sporcaccioni, e come loro le suore. Esse, in particolare, sono il bersaglio preferito della pubblicistica socialista, cui il nostro appartiene: si racconta che nei “reclusori” le suore abbiano sempre tresche orrende con le detenute, e che siano delle crudeli violentatrici.

Nel romanzo Orkinzia, degli stessi anni, le “suore infami” fanno violenza “su fanciullette ignude, incatenate, con le braccia dietro la schiena”. I preti, poi, sono orride creature che passano “ributtanti malattie veneree” ai bambini, come “porci in veste talare che pullulano ogni giorno nelle cronache dei giornali come funghi schifosi ammorbanti l’umanità coi loro fetori”.

Per dimostrarlo il nostro racconta appena può, colorandoli il più possibile, gli atti immorali di qualche sacerdote, di qualche suora, di qualche catechista. “Lo so, aggiunge, che questo fa ciccare i ciarlatani neri, ma ne dovranno inghiottire molti altri di questi che sono per loro rospi vivi che guazzano nelle cloache massime e minime”.

La verità, continua infine il nostro, è “che certi voti di castità non possono essere mantenuti senza forzare la natura umana”, che, come si è già detto, è solo animalità ed istinto. Così i preti sono degli ipocriti, perché proclamano una morale disumana, ma la tradiscono di continuo: anche andando a caccia, e cioè “uccidendo tante piccole esistenze create da Dio, se dobbiamo por fede alla Genesi”, e violando il sacro “pacifismo”.

Oltre ad articoli di giornale, il nostro scrive anche un romanzo, “Claudia Particella, l’amante del cardinale”, infarcito di violenze e turpitudini, adattissimi alla polemica anticlericale, e prende le difese degli ebrei, ingiustamente “martoriati e suppliziati”, ovviamente dalla Chiesa.

Ma chi è questo socialista difensore della purezza, della pace, della tolleranza, di Marx e Darwin, della scienza e del progresso, i cui pregiudizi e le cui calunnie sono ancor oggi condivisi da non pochi giornalisti ed intellettuali alla moda, esattamente un secolo dopo?

Per chi non lo avesse riconosciuto, il suo nome è Benito Mussolini.

di Francesco Agnoli – Il Foglio
Tratto da: La Roccia splendente

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