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Gioco e vita, di Joseph Ratzinger

Posté par atempodiblog le 12 juin 2014

Ripropongo questa riflessione dell’allora Card. Ratzinger sul calcio
Gioco e vita
di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI
da Cercate le cose di lassù, Paoline 1986
Fonte: Tracce

Gioco e vita, di Joseph Ratzinger  dans Riflessioni 2450y8n

Regolarmente ogni quattro anni il campionato mondiale di calcio si dimostra un evento che affascina centinaia di milioni di persone. Nessun altro avvenimento sulla terra può avere un effetto altrettanto vasto, il che dimostra che questa manifestazione sportiva tocca un qualche elemento primordiale dell’umanità e viene da chiedersi su cosa si fondi tutto questo potere di un gioco. Il pessimista dirà che è come nell’antica Roma. La parola d’ordine della massa era: panem et circenses, pane e circo. Il pane e il gioco sarebbero dunque i contenuti vitali di una società decadente che non ha altri obiettivi più elevati. Ma se anche si accettasse questa spiegazione, essa non sarebbe assolutamente sufficiente. Ci si dovrebbe chiedere ancora: in cosa risiede il fascino di un gioco che assume la stessa importanza del pane? Si potrebbe rispondere, facendo ancora riferimento alla Roma antica, che la richiesta di pane e gioco era in realtà l’espressione del desiderio di una vita paradisiaca, di una vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata. Perché è questo che s’intende in ultima analisi con il gioco: un’azione completamente libera, senza scopo e senza costrizione, che al tempo stesso impiega e occupa tutte le forze dell’uomo. In questo senso il gioco sarebbe una sorta di tentato ritorno al paradiso: l’evasione dalla serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di guadagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bello.

Così il gioco va oltre la vita quotidiana. Ma, soprattutto nel bambino, ha anche il carattere di esercitazione alla vita. Simboleggia la vita stessa e la anticipa, per così dire, in una maniera liberamente strutturata. A me sembra che il fascino del calcio stia essenzialmente nel fatto che esso collega questi due aspetti in una forma molto convincente. Costringe l’uomo a imporsi una disciplina in modo da ottenere con l’allenamento, la padronanza di sé; con la padronanza, la superiorità e con la superiorità, la libertà. Inoltre gli insegna soprattutto un disciplinato affiatamento: in quanto gioco di squadra costringe all’inserimento del singolo nella squadra. Unisce i giocatori con un obiettivo comune; il successo e l’insuccesso di ogni singolo stanno nel successo e nell’insuccesso del tutto. Inoltre, insegna una leale rivalità, dove la regola comune, cui ci si assoggetta, rimane l’elemento che lega e unisce nell’opposizione.

Infine, la libertà del gioco, se questo si svolge correttamente, annulla la serietà della rivalità. Assistendovi, gli uomini si identificano con il gioco e con i giocatori, e partecipano quindi personalmente all’affiatamento e alla rivalità, alla serietà e alla libertà: i giocatori diventano un simbolo della propria vita; il che si ripercuote a sua volta su di loro: essi sanno che gli uomini rappresentano in loro se stessi e si sentono confermati. Naturalmente tutto ciò può essere inquinato da uno spirito affaristico che assoggetta tutto alla cupa serietà del denaro, trasforma il gioco da gioco a industria, e crea un mondo fittizio di dimensioni spaventose. Ma neppure questo mondo fittizio potrebbe esistere senza l’aspetto positivo che è alla base del gioco: l’esercitazione alla vita e il superamento della vita in direzione del paradiso perduto. In entrambi i casi si tratta però di cercare una disciplina della libertà; di esercitare con se stessi l’affiatamento, la rivalità e l’intesa nell’obbedienza alla regola. Forse, riflettendo su queste cose, potremmo nuovamente imparare dal gioco a vivere, perché in esso è evidente qualcosa di fondamentale: l’uomo non vive di solo pane, il mondo del pane è solo il preludio della vera umanità, del mondo della libertà. La libertà si nutre però della regola, della disciplina, che insegna l’affiatamento e la rivalità leale, l’indipendenza del successo esteriore e dell’arbitrio, e diviene appunto, così, veramente libera. Il gioco, una vita. Se andiamo in profondità, il fenomeno di un mondo appassionato di calcio può darci di più che un po’ di divertimento.

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Il Cappello di Napoleone

Posté par atempodiblog le 12 juin 2014

Timballo di pasta o Cappello di Napoleone
È un piatto napoletano, è una crostata di fettuccine avvolta da una crosta di prosciutto cotto.

di SempliceVeloce

Il Cappello di Napoleone  dans Cucina e dintorni kbuosh

Ingredienti per 4 persone

250 g di fettuccine (preferibilmente non all’uovo)
150 g di piselli
funghi (vanno bene anche quelli essiccati)
200 g di fior di latte
250 g di prosciutto cotto
2 fettine di speck
1 confezione di besciamella
sale, pepe, olio e burro qb

Come fare il Timballo di pasta o Cappello di Napoleone

Mettete un filo d’olio e la cipolla in una padella, aggiungete i piselli e i funghi nella padella, lasciate cuocere per 10 minuti

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Fate bollire l’acqua per le fettuccine e scolate la pasta un minuto prima dei tempi di cottura indicati sulla confezione, riversarli nuovamente nella pentola dopo averle scolate, aggiungere la besciamella lo speck…. (conservate un po’ di accqua di cottura)

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Aggiungete la besciamella, i funghi e i piselli, aggiustare di sale, aggiungere il pepe se piace (se risulta troppo asciutta la pasta aggiungere un po’ di acqua di cottura della pasta)

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Ricoprire la teglia da ciambella col prosciutto crudo (la crosta della crostata di fettuccine)

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Versate la pasta all’interno della tortiera richiudete le fettine di prosciutto creando così l’involucro per la crostata di fettuccine, aggiungete un po’ di pane grattuggiato e qualche fiocco di burro, infornate a 200° per 10-15 minuti

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Sfornate, lasciate intiepidire rigirate il timballo utilizzando un piatto da portata. Servite il vostro Cappello di Napoleone (o Timballo di pasta al forno) e buon appetito!

VINO DA ABBINARE: Pagadebit di Romagna

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