• Accueil
  • > Archives pour le Mardi 20 mai 2014

IL PIANTO DI CERCI/ Se anche un pallone ci ricorda che siamo creature finite

Posté par atempodiblog le 20 mai 2014

IL PIANTO DI CERCI/ Se anche un pallone ci ricorda che siamo creature finite dans Articoli di Giornali e News actx1x

«Non amo che le rose / che non colsi. Non amo che le cose / che potevano essere e non sono / state» (Guido Gozzano). La vita ha il sapore dell’incompiutezza. Ci giochiamo una partita, infatti, c’entra poco con la favola dell’“impegnati e ce la farai”.

Io non so come abbia fatto lui a dormire l’altra notte, se già io ho fatto fatica. Dopo che gli è accaduto un fatto che, d’accordo, non sarà il primo e non sarà l’ultimo, ma proprio per questo, anzi, in altri tempi ci avrebbero raccontato un mito, perché un attimo ha svelato la tragica incompiutezza dell’esistenza. Parlo di Alessio Cerci. Sì, il calciatore del Torino e della nazionale. Ce lo scriverei io, un mito. Se fossi almeno Gramellini, o meglio ancora Euripide. Esiste già il mito di Circe; da oggi, perché no?, ci sarà quello di Cerci.

Ultimo secondo dell’ultimo minuto dell’ultima giornata del campionato di calcio. Sul 2-2 il Toro vedeva sfumare, rassegnatamente, la possibilità di qualificarsi per l’Europa League. Per un punto soltanto. Ma l’imprevedibile accade. L’arbitro fischia un rigore, al 93’. Cioè il destino mette Cerci sul dischetto del rigore. Gli offre, ormai inattesa, l’occasione dell’anno. Un attimo dopo l’arbitro avrebbe fischiato la fine. Del campionato. E il Toro allora sì, giustamente premiato, ci sarebbe andato, in Europa.

Forse non è chiaro, per chi non segue il calcio e per chi lo sottovaluta. Quel rigore era sì un duello fra un attaccante e un portiere. Ma non era solo quello. La realtà non era appena una persona davanti a una palla. C’era un’intera stagione da chiudere in gloria. C’erano vent’anni di astinenza europea di una squadra (epica). Erano due. Ma c’era un po’ d’Italia a guardarli. E nei suoi piedi, che erano solo suoi, tremendamente soltanto suoi, c’era un popolo intero, quello granata. E vent’anni, di fallimenti e di tradimenti, di cadute e di false partenze. Erano Achab e la balena bianca. Era il kairòs (che, per i meno esperti di greco antico, non è lo storpiamento del cognome presidenziale Cairo).

Ma il rigore, l’eroe, l’ha sbagliato. E dopo è scoppiato a piangere. L’avrà fatto per dieci minuti. Sono andati ad abbracciarlo i compagni. E poi sono andati gli avversari. Pepito Rossi. E Montella. E lui inconsolabile. Non l’hanno fermato le pacche sulle spalle, né forse le sagge parole del dopopartita. Perché in quelle lacrime c’era un anno buttato al vento. C’era lo schianto dell’aereo a Superga 65 anni fa, la tragedia in agguato tra i fiori di cinque scudetti consecutivi e di undici campioni in nazionale. C’erano, mischiate, le lacrime di Baggio vent’anni fa in America, e quelle di Sara Errani, poche ore prima a Roma, tradita dai muscoli nel bel mezzo della finale a casa sua: e quando le ricapita?

C’era il «male di vivere» di Montale. Che io ho sempre intuito a partire da due versi di un’altra poesia: «Ma nulla paga il pianto del bambino / a cui fugge il pallone tra le case». Chi risponde a quel pianto? di quel bambino che ha perso quella palla? Alessio Cerci, domenica sera, era un bambino. Di un metro e ottanta, e velocissimo come Achille. Ma un bambino. Finché non capiremo lo strazio di quel pianto, non capiremo Montale. E dovremo chiudere i licei. Ma se guarderemo quel pianto, torneremo a scrivere opere d’arte, perché le tragedie si inoltrano nel tragico dell’esistenza. Nell’ingiusto, nell’incompiuto, nell’ineluttabile. Nel«cavallo stramazzato», nel «rivo strozzato», nel rigore sbagliato.

Le tragedie non sono questione di libri: nascono fuori, nell’attimo in cui l’uomo è messo di fronte non appena a un portiere, ma al destino. Che si compie, inevitabile. E non sarà il bel tweet del gemello Immobile a ridargli quella palla sul dischetto. Perché ha ragione De Gregori a sentenziare che «non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore»: un giocatore no, ma un fatto sì, va giudicato. Non va attenuato, perché noi non siamo al mondo per consolarci: «perché reggere in vita / chi poi di quella consolar convenga?» si domandava Leopardi. Né serve svicolare dal dolore, proiettandoci ottimisticamente in una palingenesi futura: “Si rifarà ai Mondiali”. Ma un successo ai Mondiali – che gli auguriamo, che ci auguriamo – non ripaga quel pianto. Perché un dolore non si toglie con una gioia, come un figlio vivo non compensa un figlio perso.

La ferita dell’eroe Alessio Cerci è quella dell’uomo che scopre che non basta essere bravo, né gli basta impegnarsi, ma che sente cos’è un fatto, l’evento da cui non si torna indietro, così diverso da ogni discorso (ne era certo il torinese Pavese: «nelle cose pensate manca sempre l’inevitabilità»).

Intanto la scuola, negli stessi giorni, sembra un’oasi protetta, senza sangue, senza lacrime definitive, dove tutti i fatti sono rimediabili. L’assenza programmata, l’interrogazione pilotata, la giustifica al momento giusto, l’interrogazione andata male con tanto di, immediato, “quando posso recuperare?”. Come se Cerci potesse chiedere: “posso tirarlo di nuovo, il rigore?”; oppure: “dài, arbitro, un altro quarto d’ora”.

Guardare le lacrime, senza annacquarle di consolazioni né scioglierle nel domani, ci fa sprofondare in un dolore antico: quello degli eroi che perdono e degli dèi che non si commuovono. I greci in quel rigore ci avrebbero visto chissà quali lotte nell’Olimpo: Giunone a maledire e Apollo a colpire a tradimento. E avevano ragione. Chi tifa Toro lo sa, come chi tifava Troia.

Liberi tutti di consolarti, e solo tu di rimanere inconsolabile. Piangi pure, Alessio: perché non è roba da uomini, stare di fronte a quelle lacrime: è roba da dèi. Da cieli che piovono lacrime. O almeno, come accadeva un tempo, da uomini tramortiti: «e tu, onore di pianti, Ettore, avrai». «Onore di pianti», non di pacche sulle spalle o di applausi. Chi paga, insomma, il pianto di Cerci, a cui fugge il pallone sul portiere?

di Valerio Capasa – Il Sussidiario.net

Publié dans Articoli di Giornali e News, Riflessioni, Sport | Pas de Commentaire »

Oltre Hitler. Prendere sul serio le parole di Grillo

Posté par atempodiblog le 20 mai 2014

Oltre Hitler. Prendere sul serio le parole di Grillo dans Angela Pellicciari 15etft1

Gesù è il Verbo di Dio. Noi siamo fatti ad immagine e somiglianza di Dio. La parola è uno degli aspetti che ci distingue da ogni altro essere vivente. Dunque le parole vanno prese sul serio. Accusato da Berlusconi di essere un nuovo Hitler, Grillo ha risposto che lui è “oltre Hitler”.

Chi era Hitler?  Uno che nella biblioteca privata aveva un bassorilievo raffigurante se stesso a braccetto di un cadavere e con il diavolo ben appoggiato col suo mento da caprone sulla sua spalla sinistra. Questa immagine raffigura bene il programma di governo di un uomo sedotto dalla morte che incedeva sicuro sotto la guida di Satana. Nel libro della Sapienza si legge: “Gli empi invocano su di sé la morte con gesti e con parole, ritenendola amica si consumano per essa e con essa concludono alleanza, perché son degni di appartenerle”; “la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono”.

Casaleggio fa propaganda di Grillo paragonandolo a Gesù: “Grillo è come il Messia”; il suo messaggio, afferma, proprio come un tempo quello di Gesù e degli apostoli, ci fa da guida per una nuova palingenesi: “una nuova democrazia diretta che eliminerà le barriere tra cittadino e Stato”.

Le parole vanno prese sul serio: abbiamo qualcuno che vuole essere votato perché oltre Hitler e perché nuovo Messia. Vale la pena di andare a votare e di parlarne con i ragazzi che sembrano interessati ad un simile profeta.

di Angela Pellicciari – La nuova Bussola Quotidiana

Publié dans Angela Pellicciari, Articoli di Giornali e News, Riflessioni | Pas de Commentaire »

…sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’esser buono…

Posté par atempodiblog le 20 mai 2014

…sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’esser buono… dans Riflessioni 9kqs8o

La citazione completa dai Cori dalla Rocca  di T.S. Eliot è: “Essi cercano sempre di evadere/ dal buio esteriore e interiore/ sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’esser buono”.

Mi ha colpito tale citazione che da tempo tra amici ripetiamo senza comprenderne il significato. Ora mi è chiaro che la lotta buona di alcuni per avere delle buone leggi ha finito con il diventare una lotta ideologica, prescindendo dall’impegno irrinunciabile di ciascuno ad “esser buono”.

Perché siamo liberi e la nostra libertà in ogni momento può fare delle scelte che nemmeno ci immaginavamo. Come conferma questo passaggio della Spe Salvi:

“Poiché  l’uomo rimane sempre libero e poiché la sua libertà è sempre anche fragile, non esisterà mai in questo mondo il regno del bene definitivamente consolidato. Chi promette un mondo migliore che durerebbe irrevocabilmente per sempre, fa una promessa falsa; anzi, egli ignora la libertà umana”. Anzi “se ci fossero strutture che fissassero in modo irrevocabile una determinata – buona – condizione del mondo, sarebbe negata la libertà dell’uomo, e, per questo motivo, non sarebbero per nulla  delle strutture buone (…) In altre parole: le buone strutture aiutano, ma da sole non bastano. L’uomo non può essere mai redento semplicemente dall’esterno” (Spe salvi, 24,45).

di Anna Vercors

Publié dans Riflessioni, Thomas Stearns Eliot | Pas de Commentaire »

La pace di Gesù è una Persona, è lo Spirito Santo!

Posté par atempodiblog le 20 mai 2014

La pace di Gesù è una Persona, è lo Spirito Santo! dans Citazioni, frasi e pensieri jrv691

“La pace di Gesù è una Persona, è lo Spirito Santo! Lo stesso giorno della Resurrezione, Lui viene al Cenacolo e il saluto è: ‘La pace sia con voi. Ricevete lo Spirito Santo’. Questa è la pace di Gesù: è una Persona, è un regalo grande. E quando lo Spirito Santo è nel nostro cuore, nessuno può toglierne la pace. Nessuno! E’ una pace definitiva! Il nostro lavoro qual è? Custodire questa pace. Custodirla! E’ una pace grande, è una pace che non è mia, è di un’altra Persona che me la regala, di un’altra Persona che è dentro il mio cuore e che mi accompagna tutta la vita. Il Signore me la ha data!

[...] Se voi avete questa pace dello Spirito, se voi avete lo Spirito dentro di voi e siete consci di questo, non sia turbato il vostro cuore. Siete sicuri! Paolo ci diceva che per entrare nel Regno dei Cieli è necessario passare per tante tribolazioni. Ma tutti, tutti noi, ne abbiamo tante, tutti! Più piccole, più grandi… ‘Ma non sia turbato il vostro cuore’: e questa è la pace di Gesù. La presenza dello Spirito fa che il nostro cuore sia in pace. Non anestetizzato, no! In pace! Conscio, in pace: con quella pace che soltanto la presenza di Dio dà”.

Papa Francesco

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Fede, morale e teologia, Papa Francesco I | Pas de Commentaire »