Dialogo e Vangelo
Posté par atempodiblog le 10 mai 2014
Cari amici, due giorni fa il Papa, nell’omelia della messa di Santa Marta, commentando il brano degli Atti degli Apostoli nel quale si descrive l’incontro di Filippo con l’eunuco etiope, ha parlato della docilità al progetto di Dio da parte di chi evangelizza. E ha accennato anche al dialogo.
«Non si può evangelizzare senza il dialogo Non si può, perché tu devi partire proprio da dove è la persona che deve essere evangelizzata. E quanto importante è questo. “Ma, padre, si perde tanto tempo, perché ognuno ha la sua storia, viene con questo, le sue idee…”. E perde il tempo. Più tempo ha perso Dio nella creazione del mondo e l’ha fatta bene. Il dialogo: perdere il tempo con l’altra persona, perché quella persona è quella che Dio vuole che tu evangelizzi, che tu gli dia la notizia di Gesù è più importante. Ma come è, non come deve essere: come è adesso».
Dialogo è parola usata e abusata. Per qualcuno equivale al mettere da parte ciò che si è, la propria identità, o meglio la propria fede, in nome di un minimo comun denominatore o del quieto vivere. Da qualcun altro, sul fronte opposto, è considerata quasi una parolaccia, simbolo di una Chiesa che scende a compromessi con il mondo annacquando la sua dottrina. Francesco ricorda, invece, quanto il dialogo sia imprescindibile per l’evangelizzazione. Sia coloro che hanno ridotto la fede cristiana a dottrina, sistema di idee e pacchetto di regole morali; sia coloro che l’hanno ridotta a galateo di buone maniere, ad elenco di regole del politicamente corretto; sembrano dimenticare che l’annuncio della Buona Novella – notizia che ha drammaticamente a che fare con la pienezza di vita nell’al di qua ma anche con le «cose ultime», con il destino a cui tutti siamo chiamati – è sempre relazione, rapporto tra persone.
Il dialogo dunque è l’entrare in rapporto con l’altro a partire da ciò che l’altro è, vive, crede, pensa, spera. È la possibilità di entrare in rapporto, di lasciarsi ferire, di lasciarsi mettere in discussione. Non per far venir meno o per nascondere la nostra fede – che è sempre dono gratuitamente ricevuto, mai un possesso – ma per poter trasmettere un frammento di quella bellezza, di quell’amore incondizionato, di quell’abbraccio di cui sono stati destinatari coloro che incontravano Gesù per le vie della Galilea e della Giudea duemila anni fa. Non si può evangelizzare senza dialogo perché attraverso un dialogo, che intercetta e attraversa la condizione in cui si è e si vive, la fede si trasmette.
Fra qualche mese ricorrono i cinquant’anni della prima enciclica programmatica di Paolo VI, l’«Ecclesiam Suam». Papa Montini, che con ogni probabilità sarà beatificato entro la fine dell’anno, scrive: «La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio». All’inizio della Costituzione conciliare «Gaudium et spes» si legge: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore». Dialogo significa dunque condivisione, prossimità, lasciarsi ferire dalle le paure, dai dubbi di non crede o di chi non crede più. Per poter così, attraverso questa condivisione, annunciare la bellezza del vangelo, evitando al tempo stesso il rischio sempre presente di crederci «possessori» di una fede ridotta a sistema di pensiero, ridotta a pacchetto di regole e divieti, ridotta a ideologia.
Come osservata nel 2001 l’allora cardinale Joseph Ratzinger: «Durante tutto il corso della nostra vita la fede rimane un cammino, e perciò è sempre minacciata e in pericolo. Ed è anche salutare che si sottragga in questo modo al rischio di trasformarsi in ideologia manipolabile. Al rischio di indurirci e di renderci incapaci di condividere riflessione e sofferenza con il fratello che dubita e si interroga».
di Andrea Tornielli – Sacri Palazzi
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