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SHAKESPEARE/ Cattolico o protestante?

Posté par atempodiblog le 23 avril 2014

SHAKESPEARE/ Cattolico o protestante?
di Elisabetta Sala – Il Sussidiario.net

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Il 23 aprile, 450° anniversario della nascita di Shakespeare, è anche la festa di san Giorgio, il patrono d’Inghilterra che piacque tanto agli inglesi da non essere spodestato neppure dalla « riforma ». Felice coincidenza, dunque; soprattutto se aggiungiamo che il grande drammaturgo morì nel medesimo giorno, cinquantadue anni dopo.

Parafrasando il motto gentilizio da lui acquisito, che recitava Non sancz droit, diremo però che quando si parla di Shakespeare è sempre « non senza polemiche »; infatti, proprio mentre gli inglesi andavano sempre più identificandolo con il poeta nazionale, un raffinato sapientone di Oltremanica (tale Voltaire) lo definiva come un rozzo selvaggio, per quanto geniale. Il che, naturalmente, non fece che alimentare il fuoco dell’orgoglio britannico, per cui gli inglesi lo posero su piedistalli sempre più elevati, fino a che il celebre attore David Garrick, nel primo giubileo shakespeariano da lui organizzato (nel 1769), giunse a esaltarlo come un semidio, dando così un impulso fondamentale al susseguente fenomeno detto « bardolatria ».

Peccato che, mentre la sua grandezza sprizzava da ogni poro di ogni dramma, la sua fedeltà politica e religiosa al regime protestante non fosse per nulla esplicita: anzi. A rompere le uova nel paniere intervenne il ritrovamento di un misterioso testamento spirituale del padre, John Shakespeare. Un documento sovversivo, inequivocabilmente e irrimediabilmente cattolico.

Pubblicato nel 1790, e ormai privo delle prime due pagine, il documento creò un certo scalpore, finché non si ritenne opportuno considerarlo un falso, prodotto dai soliti papisti menzogneri. Fu in tale contesto che, quattro anni dopo, il giovane William Henry Ireland divulgò la notizia di aver rinvenuto, in un misterioso baule, parecchie tessere mancanti dell’enigma shakespeariano. Nell’entusiasmo generale vennero mostrati al pubblico diversi documenti originali e autografati che finalmente inquadravano il Bardo come modello di integrità morale e politica. Ireland esibì diversi contratti legali testimonianti il successo di Shakespeare come uomo d’affari; una lettera al suo mecenate (il conte di Southampton) con tanto di risposta autografa; alcuni contratti teatrali; una lettera d’amore e una poesia dedicate alla moglie, insieme a una ciocca dei capelli di lei, che ne mettevano in luce la fedeltà coniugale; una lettera, in tono estremamente confidenziale, vergata per lui dalla Regina Vergine in persona; soprattutto, tra quelle carte, emerse una professione di fede chiaramente protestante. Ireland rinvenne anche alcune brutte copie dei drammi, che dimostravano che le battute volgari erano state aggiunte in un secondo tempo dai suoi volgari colleghi. Incredibile: quei documenti erano in perfetta sintonia con i desideri di ogni bravo e rispettabile suddito britannico. Fu così che il Bardo divenne icona, anzi, iconcina, del politically (and religiously) correct.

Purtroppo per gli entusiasti, però, il grande critico Edmond Malone ci mise pochissimo a smascherare Ireland, dimostrando che quei documenti erano tutti falsi. Il giovane ci rimise la faccia per tutto il resto della vita e l’enigma di Shakespeare tornò ad essere tale.

Fu invece, e paradossalmente, proprio quel documento cattolico che riguardava tanto da vicino la sua famiglia a dimostrarsi, dopotutto, autentico: si scoprì infatti, ma solo a inizio Novecento, che si trattava dell’Ultima volontà dell’anima, un testamento spirituale che era stato redatto da san Carlo Borromeo in persona per i fedeli milanesi che morivano (di peste) senza l’assistenza spirituale. I missionari inglesi in transito per Milano ritennero che esso si adattasse perfettamente ai cattolici d’Inghilterra, che, perseguitati dal regime, molto spesso morivano senza ricevere gli ultimi sacramenti.

Oggi, dopo anni e anni di studi e pubblicazioni, gli studiosi hanno individuato numerosissimi indizi (relativi sia alla vita che alle opere) del probabile cattolicesimo shakespeariano, tanto che persino l’ex arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, lo ha pubblicamente riconosciuto. D’altro canto, nessuno ha recentemente pubblicato studi che giustifichino il protestantesimo del grande drammaturgo.

Fine delle polemiche, dunque? Assolutamente no, perché nel Novecento fu la volta dei cosiddetti « antistratfordiani ». Di qualcuno di loro tutti hanno sentito parlare, se non altro attraverso il grande schermo. Si tratta di una corrente snob, che raccoglie tutti coloro secondo i quali lo zotico William Shakespeare di Stratford, che non frequentò mai l’università, debba essere stato troppo stupido e ignorante (chissà poi perché) per aver davvero composto quelle opere immortali: al limite sarà stato un prestanome per qualcuno che voleva restare in incognito.

Costoro si dividono in varie scuole che avanzano le ipotesi più fantasiose e strampalate, attribuendo i drammi al defunto Christopher Marlowe, oppure a Francis Bacon, al conte di Oxford o persino alla regina in persona. La teoria più divertente è senz’altro la « pista siciliana », in cui, sferrando un potente pugno nello stomaco al nazionalismo britannico, si sostiene che William Shakespeare sia stato un calvinista siculo di nome Crollalanza, emigrato in Inghilterra per sfuggire alla persecuzione religiosa. Il gioco di parole nel calco lessicale dei cognomi è senz’altro curioso; tutto il resto è puro « wishful thinking ».

Nessuna delle varie ipotesi antistratfordiane potrebbe mai quadrare, essenzialmente per due motivi. Uno, nelle opere sono stati rinvenuti diversi riferimenti a Stratford, alla campagna del Warwickshire e persino ai suoi abitanti, il che confermerebbe un’identità tra uomo e autore peraltro mai messa in dubbio per secoli. Due: dalla lettura dei drammi emerge un autore profondamente diverso da tutti i possibili candidati, rigorosamente protestanti. Esattamente come William Shakespeare, intorno al quale ancora a fine Seicento circolava la voce tanto inquietante quanto vera che fosse morto papista.

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“Io che dovevo essere un vegetale”… L’inno alla vita di Cristian diventa virale

Posté par atempodiblog le 23 avril 2014

“Io che dovevo essere un vegetale”… L’inno alla vita di Cristian diventa virale
Tratto da: Redattore Sociale

“Io che dovevo essere un vegetale”… L’inno alla vita di Cristian diventa virale dans Riflessioni 1pwg8y

Un disabile argentino mette su Youtube un video per dire semplicemente, a chi pensa al suicidio, come lui ha trovato uno scopo nella vita e come tutti possono e devono farlo. Boom di visite in soli 4 giorni.

Dovevo essere un vegetale… e invece eccomi qua. Si intitola proprio “El vegetal” il video realizzato dell’argentino Cristian Mariano Deppeler insieme ad alcuni amici, che in soli quattro giorni ha raggiunto più di 110 mila visualizzazioni su YouTube (nella versione in spagnolo), mentre la sua pagina Facebook è già diventata il luogo di incontro tra le persone che lo ringraziamo per il suo messaggio o raccontano la loro storia.

Il suo proposito è semplice: incoraggiare le persone ad andare avanti. “Abbiamo conosciuto tutti qualcuno che era vicino al suicidio – ha scritto su Facebook – Alcuni di noi hanno perso gli amici per questo motivo, perché non trovavano un scopo per vivere”. Cristian ha 35 anni, è di Villa Angela, provincia di Chaco, ed è nato con una disabilità a causa dell’anestesia praticata alla mamma per il parto cesareo, che per una negligenza medica ha colpito lui. È nato che non respirava, viola e con poche possibilità di una vita normale; il medico ha detto alla madre che sarebbe stato un vegetale. I giovani genitori hanno fatto tutti i trattamenti necessari perché la previsione del medico non si avverasse. Grazie al suo ottimismo e al suo amore per la vita, Cristian ha studiato fino a completare i suoi studi nella Università e si è laureato in Scienze delle Comunicazioni. I suoi amici, Nicolas Mango Marri, Adrian Hauros e Cristian Hauros, descrivono così lo scopo del video: “Abbiamo piantato la bandiera della vita. Noi crediamo e sappiamo che i problemi si risolvono e che la vita vale la pena, nonostante tutte le cose negative che dobbiamo affrontare ogni giorno”.

Ecco il testo completo del messaggio di Cristian.

“Ciao! come stai? Chi sono io? Cristian Mariano Deppeler. Mi ricordo… bah. Mi hanno raccontato i miei genitori che quando sono nato l’anestesia di mia madre mi ha colpito e sono nato con questo problema, con questa difficoltà fisica. Ai miei genitori, di 19 anni, avevano detto che sarei stato un vegetale. E invece il vegetale ha frequentato la scuola media, in una scuola normale, le superiori nel Collegio Nazionale di Villa Angela Chaco, in Argentina e l’Università a Entre Rios in Argentina. Disabile io? Perché?

Questo video è per te che a volte pensi al suicidio. Perché ti ha lasciato tua moglie, o tuo marito, o forse perché sei come me, hai la mia stessa disabilità. Voglio che tu sappia che c’è una via d’uscita, che i problemi si possono risolvere. C’è tanta gente che dice: non servo a nulla, che si chiede ‘perché sono nato’. Sei nato per fare molto, tu sei prezioso. Tante volte mi chiedevo perché. Guardavo i miei compagni di scuola giocare a calcio e dicevo: perché io non posso giocare?

Nell’adolescenza la domanda è cambiata: ho cominciato a chiedermi ‘qual è il mio scopo’. Sai una cosa? Ho trovato tante risposte… Ho capito lo scopo della mia vita. Ma c’è una cosa più importante ed è che tu capisca lo scopo della tua vita. Tu sei qua per un motivo… Forse lo scopo della mia vita è salvare te che mi ascolti in questo video… O forse è un altro. Però ho capito che ogni giorno ha uno scopo e io l’ho trovato. Quando questo video terminerà, pensaci. Ciao… Che Dio ti benedica”.

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La lettera d’amore per te, scritta col sangue

Posté par atempodiblog le 23 avril 2014

La lettera d'amore per te, scritta col sangue dans Antonio Socci qrwx2e

Il 9 aprile scorso, durante l’Udienza generale in Piazza San Pietro, una persona dalla folla ha gridato verso il Pontefice: “Papa Francesco, sei unico!”. Il Santo Padre gli ha risposto: “Anche tu, anche tu sei unico. Non ci sono due come te”.
Con quella semplice battuta ha espresso una verità immensa, che caratterizza il cristianesimo. Infatti per il mondo il singolo è solo un numero, sostituibile con tanti altri, cioè sacrificabile al potere.
Le ideologie moderne poi considerano come protagonisti della storia dei soggetti collettivi (la Razza, la Classe, la Nazione, l’Umanità) o entità astratte come il Mercato, il Capitale, il Partito e lo Stato. 

RIVOLUZIONE
Invece con l’avvenimento cristiano accade qualcosa di rivoluzionario: l’unico Dio che scende sulla terra e ha pietà di ogni singola persona, specie del miserabile, del peccatore incallito, del malato, di ciascun uomo.
Per compassione il Figlio di Dio lo abbraccia, lo risana, lo perdona, addirittura si inginocchia davanti a lui e gli lava i piedi (ovvero fa quello che facevano gli schiavi agli ospiti). Fino a morire per lui, per quel singolo essere (insignificante per il mondo).
Davvero una rivoluzione, un totale capovolgimento dell’ordine costituito da millenni, da sempre basato sui sacrifici umani, in molte forme (a partire dallo schiavismo, fondamento delle economie antiche).
Lo colse bene il più fiero avversario moderno del Nazareno, ovvero Friedrich Nietzsche che scrisse: “L’individuo fu tenuto dal cristianesimo così importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare, ma la specie sussiste solo grazie a sacrifici umani… La vera filantropia vuole il sacrificio per il bene della specie – è dura, è piena di autosuperamento, perché abbisogna del sacrificio dell’uomo. E questo pseudoumanesimo che si chiama cristianesimo, vuole giungere appunto a far sì che nessuno venga sacrificato”.
Noi neanche più ce ne rendiamo conto. Ma il cristianesimo è entrato nel mondo proclamando la fine di tutti i sacrifici umani.
In quale modo lo ha fatto? Col sacrificio del Figlio di Dio. L’editto di liberazione è scritto sulla sua stessa carne.
Lo ha spiegato il filosofo René Girard: Gesù è letteralmente “l’Agnello di Dio” (il capro espiatorio) che si offre in olocausto affinché tutti vengano liberati dalla schiavitù del male e nessun essere umano venga più sacrificato agli dèi della menzogna e della morte.
Ma – attenzione – ancora una volta Gesù non si offre a quella morte orrenda per un’astratta Umanità, bensì per ogni singolo, per me che scrivo questo articolo, per te che leggi.
La dottrina cattolica è arrivata ad affermare che, agli occhi di Dio, la salvezza di un singolo essere umano vale più dell’intero creato.
E la mistica ci ha fatto scoprire che – in un modo misterioso – in quelle ore di atroci sofferenze Gesù pensò proprio a ognuno di noi, nome per nome, ai nostri volti. Uno per uno.
Fa impressione accostare questa rivelazione dei mistici alle fasi del supplizio di Gesù.
La Sindone ci dà la perfetta immagine fisica di quelle atroci torture che il Vangelo elenca in modo scarno, quasi freddo. Vediamole. 

LETTERA DI SANGUE
Le tante tumefazioni sul volto sono i segni dei pugni sopportati (con gli sputi e gli insulti) nelle fasi concitate dell’arresto. Però il naso rotto, l’occhio gonfio e i sopraccigli feriti (evidenti sulla Sindone) sono anche la traccia della bastonata in faccia subita da Gesù durante l’interrogatorio del Sinedrio (Gv 18, 22-23).
Poi c’è quell’inedita macellazione dei 120 colpi di flagello romano (a tre punte) che gli hanno devastato tutto il corpo strappandogli la carne in più di trecento punti (un supplizio del tutto anomalo anche per i crocifissi).
Ma una delle cose più dolorose per Gesù è il peso ruvido della traversa della croce che, lungo il tragitto del Calvario, letteralmente gli scopre le ossa delle spalle provocando sofferenze indicibili.
Poi Gesù avrà la testa trafitta da circa 50 lunghe spine (la corona beffarda dei soldati romani), qualcosa che non è umanamente sopportabile.
Ma la Sindone mostra anche ferite al volto e alle ginocchia dovute alle cadute mentre andava al Calvario (avendo le braccia legate alla traversa della Croce, non poteva ripararsi la faccia).
Infine le ferite dei chiodi, per la crocifissione, e le ore trascorse a respirare dovendosi appoggiare proprio sugli arti inchiodati.
Bisognerebbe fissare una per una queste atroci sofferenze ricordando che in quel momento Gesù pensava a me e a te, sopportava tutto per me e te, al posto mio e tuo, perché non fossimo sacrificati alle crudeli divinità delle tenebre. 

SCOPERTE RECENTI
In questi giorni si è saputo che un’équipe di studiosi veneti, lavorando sulla Sindone, ha scoperto altri particolari impressionanti.
I ricercatori Matteo Bevilacqua, direttore del reparto di Fisiopatologia Respiratoria dell’Ospedale di Padova e Raffaele De Caro, direttore dell’Istituto di Anatomia Normale dell’Università di Padova, hanno lavorato insieme con Giulio Fanti, professore del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Ateneo padovano che già in passato ha pubblicato studi sulla Sindone che ne accreditano l’antichità.
Dunque questi specialisti hanno provato a riprodurre ciò che fu inflitto all’uomo della Sindone: la simulazione ha comportato due anni di lavoro.
Hanno concluso che le mani del crocifisso probabilmente furono bucate dai chiodi due volte, evidentemente perché non si riusciva a fissarle ai solchi già prefissati sulla croce.
“Per i piedi invece la situazione cambia”, spiega Bevilacqua (le sue dichiarazioni sono riportate dal Mattino di Padova). “Il piede di destra aveva sia due chiodi che due inchiodature: era stato infilato un chiodo a metà piede per assicurare l’arto sulla trave, poi è stato infilato un altro chiodo lungo due centimetri per riuscire ad accavallare il calcagno del piede sinistro sulla caviglia del piede destro”.
Atrocità che si aggiungono a quelle già note, riferite dai Vangeli. Del resto la crocifissione, nel caso di Gesù, “è stata particolarmente brutale” affermano questi specialisti “perché fatta su un soggetto paralizzato che aveva perso molto sangue e che era stato abbondantemente flagellato”.
Ma perché l’uomo della Sindone era in parte “paralizzato”?
Questi specialisti spiegano che la traversa della croce, di una cinquantina di chili, in una delle cadute avrebbe provocato un grave trauma al collo, con una lesione dell’innervazione e una conseguenze paralisi del braccio destro.
Per questo i soldati romani costrinsero Simone di Cirene a portare la croce che Gesù non poteva più sostenere. I ricercatori padovani – i quali aggiungono che l’uomo della Sindone aveva pure una lussazione della spalla – spiegano anche le cause cardiache della morte.

PROVA DELLA RESURREZIONE
Tutti dati reperibili sulla Sindone che però porta anche le tracce della resurrezione. Per la connessione di questi tre dati.
Primo: i medici legali che hanno lavorato in passato su quel lenzuolo hanno appurato che esso ha sicuramente avvolto il cadavere di un uomo morto per crocifissione.
Secondo: gli scienziati americani dello Sturp che analizzò la Sindone, con strumenti assai sofisticati, conclusero che quel corpo morto non rimase dentro al lenzuolo più di 40 ore perché non vi è alcuna traccia di putrefazione.
Terzo. Costoro accertarono che i contorni della macchie di sangue provano che non vi fu alcun movimento fra il corpo e il lenzuolo. Il mancato strappo dei coaguli ematici rivela che il corpo non si spostò, né fu spostato, ma uscì dal lenzuolo come passandovi attraverso.
E con il misterioso sprigionarsi, dal corpo stesso, di una energia sconosciuta che ha fissato quell’immagine (tuttora senza spiegazione scientifica).
Arnaud-Aaron Upinsky osservò che “la Sindone porta la prova di un fatto metafisico”. In effetti è la resurrezione di Gesù. Che ha sconfitto il male e la morte per ciascuno di noi. Uno per uno. E ci regala l’immortalità.

di Antonio Socci – Libero

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«Nulla mi può separare dall’amore di Dio». Ayrton Senna, che non aveva paura di correre né di credere

Posté par atempodiblog le 23 avril 2014

«Nulla mi può separare dall’amore di Dio». Ayrton Senna, che non aveva paura di correre né di credere dans Sport 25fim2wSiamo al 7° giro del Gp di San Marino del 1 maggio 1994, circuito di Imola, ore 14:17. Ayrton Senna è in testa alla gara, imbocca la curva del Tamburello ai 240 km/h quando il piantone del volante della sua Williams FW16 cede di schianto. L’impatto contro il muro, violentissimo, è inevitabile.

Angelo Orsi, fotografo, si precipitò sul luogo dell’incidente. Ma quelle foto non usciranno mai da un cassetto perchè – disse – “non si riconosce Ayrton che veniva a casa mia a San Lazzaro e che io andavo a trovare in Brasile”. A bordo pista perse tre litri di sangue, la frattura del cranio (ben visibile al lato destro della fronte) lasciò subito poche speranze. Fu trasportato a Bologna in elicottero dove, alle 18:40, morì. Aveva 34 anni.

Per molti Ayrton Senna è stato uno dei più grandi piloti di Formula 1, se non il più grande. Aveva tutto per farsi voler bene e per scatenare la passione dei fans dei motori. Una classe innata che, fin dagli esordi del 1984 su Toleman-Hart, diede grandi risultati. Dopo la Toleman alcuni anni alla Lotus, su quella memorabile macchina nera che affascinava tutti. Poi fu la McLaren dove vinse alla grande, infine, per un ultimo tragico anno, la Williams. Alla fine ha collezionato tre titoli mondiali, 161 Gp vinti e 65 pole position.

Personalmente ricordo quel 1 maggio 1994. Ero a casa di amici a vedere la corsa, sulla via Emilia, dalle parti di Castel S.Pietro, tra Imola e Bologna. Ricordo che uscimmo sul terrazzo e seguimmo con lo sguardo quell’elicottero bianco che andava in direzione Bologna, come per accompagnarlo in quell’ultimo viaggio. A Castel S.Pietro Senna era solito soggiornare quando il circus della F1 faceva tappa ad Imola, sulle rive del Sillaro dormiva alla suite 200 di un noto albergo della zona. Su quell’ultima notte il giornalista Giorgio Teruzzi ha fatto un libro che viene presentato proprio in questi giorni, dopo vent’anni da quel tragico 1 maggio.

Quella sera prima della corsa Senna era andato a mangiare al ristornate “La Romagnola” e poi aveva dormito alla suite 200. Probabilmente non fu una notte molto tranquilla perchè quel GP pareva stregato.

Durante le prove libere del venerdì la Jordan di Rubens Barrichello prese il volo ribaltandosi più volte. Sabato, durante le qualifiche, il pilota austriaco Ratzenberger perse la vita schiantandosi con la sua Simtec a oltre 300 km/h. Senna rinunciò alle prove, ma la domenica scese in pista perchè “correre è il mio mestiere”. E Ayrton non aveva paura di correre.

Ayrton era un brasiliano, un uomo carismatico che portava con sé la gioia e la saudade, timido e coraggioso al tempo stesso. Prima della partenza di quel tragico Gp il suo amico Celso Frattini però lo trovò particolarmente pensieroso. Chissà quali sentimenti attraversarono l’anima di Senna in quel sabato notte alla suite 200 sulle rive del Sillaro.

Una volta disse: “Le cose ti riportano alla realtà di quanto tu sia fragile; ad un certo momento tu stai facendo qualcosa che nessun altro è capace di fare. In quello stesso momento sei visto come il migliore, il più veloce, ma sei enormemente fragile. Perchè in un piccolo secondo, è tutto finito.”

Questo senso del limite in qualche modo lo colmava con la fede in Dio. Mai nascosta, né ostentata. Per questo Alain Prost, l’eterno rivale, lo bollò in modo cinico: “Ayrton pensa di non poter morire perchè crede in Dio”.

Senna riposa al cimitero di Morumby, nella zona ovest di San Paolo del Brasile, la sua tomba è la numero 11. Sulla lapide sta scritto: “Nulla mi può separare dall’amore di Dio”, a testimonianza di un uomo che non aveva paura di correre, ma nemmeno di credere.

In un certo senso Prost aveva ragione, Senna sapeva che con la vita non tutto finisce. Perchè credeva in Gesù Cristo.

Tanta acqua è passata sotto i ponti dei fiumi Santerno e Sillaro in questi venti anni, e forse è questa la lezione più importante che ha lasciato Senna. Perchè “in un piccolo secondo tutto è finito” e solo in Dio si può trovare il vero senso della vita. Si avvicina la Pasqua, un occasione buona per riflettere. (La Voce di Romagna, 17/04/2014)

di Lorenzo Bertocchi
Tratto da: Libertà e Persona

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Contro i vuoti giudizi umani

Posté par atempodiblog le 23 avril 2014

Contro i vuoti giudizi umani dans Citazioni, frasi e pensieri ve652b

1. O figlio, poni saldamente il tuo cuore nel Signore; e se la coscienza ti proclama onesto e senza colpa, non temere il giudizio degli uomini. Cosa buona e santa è sopportare il giudizio umano; cosa non gravosa per chi è umile di cuore e confida in Dio, più che in se stesso.
C’è molta gente che parla tanto: e, perciò, poco è il credito che le si deve dare. Del resto, fare contenti tutti non è possibile. Ché, se Paolo cercò di piacere a tutti nel Signore e si fece «tutto per tutti» (1 Cor 9,22), tuttavia non diede alcuna importanza al fatto d’esser giudicato da questo tempo (1 Cor 4,3).
Egli operò grandemente, con tutto se stesso e con tutte le sue forze, per l’edificazione e la salvezza del prossimo; ma non poté impedire che talvolta fosse giudicato e persino disprezzato dagli altri. Per questo, tutto mise nelle mani di Dio, a cui tutto è noto. Con la pazienza e con l’umiltà egli si difese dalla sfrontatezza di quelli che dicevano iniquità o pensavano vuotaggini e cose mondane o buttavano fuori ogni cosa a loro capriccio: pur talvolta rispondendo, perché dal suo silenzio non nascesse scandalo ai deboli.

2. «Chi sei tu mai, per avere paura di un uomo mortale?» (Is 51,12). L’uomo, oggi c’è, e domani non lo si vede più. Temi Iddio, e non ti sgomenterai di ciò che può farti paura da parte degli uomini. Che cosa può un uomo contro di te, con parole e improperi? Egli nuoce a se stesso, più che a te; né potrà sfuggire al giudizio di Dio, chiunque egli sia. Per quanto ti riguarda, tu tienti fissi gli occhi in Dio, e «non volere opporti a lui, con parole di lamento» (2 Tm 2,14).
Che se, al momento, sembra che tu soccomba e che tu sia coperto di vergogna immeritata, non devi, per questo, sdegnarti; né devi fare che sia più piccolo il tuo premio, per difetto di pazienza. Guarda, invece, a me, in cielo: a me, cui è dato di strappare l’uomo da ogni umiliazione e da ogni ingiustizia, «rendendo a ciascuno secondo le sue opere» (Mt 16,27; Rm 2,6).

Imitazione di Cristo

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