Prendiamo in mano il Rosario

Posté par atempodiblog le 30 avril 2014

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Il mese di Maggio appartiene in modo speciale alla Madonna, che ci invita a viverlo con Lei recitando il Santo Rosario. Nella apparizioni di Lourdes, Fatima e Medjugorje la Madonna ci ha invitato a prendere in mano la corona del Rosario, per vincere le grandi battaglie della vita e della storia.

Perché il Rosario è così importante? La risposta in fondo è semplice. Recitando il Rosario noi ci uniamo alla Madonna e preghiamo con Lei, per le sue intenzioni e per i nostri bisogni. La bellezza del Rosario consiste nel fatto che rendiamo presente Maria, la quale unisce la nostra preghiera alla sua, come a Lourdes, quando Bernadette recitava il Rosario e la Madonna sfilava i grani della corona.

“Cari figli, vorrei che la gente pregasse con me e che ogni giorno recitasse il Rosario”. “Oggi vi invito a recitare il Rosario con fede viva, così potrò aiutarvi. Il Rosario sia per voi un impegno da eseguire con gioia”. “Quando siete stanchi e malati e non sapete il senso della vostra vita, prendete il Rosario e pregate”. La Regina della pace è instancabile nell’invitarci al Rosario, col quale guardiamo a Gesù con gli occhi della Madre e ci rivolgiamo a Lui con la sua fede e il suo amore. La Madonna ci invita a recitare il Rosario tutti insieme in famiglia: “Chiedo alla famiglie della parrocchia di recitare il rosario in famiglia”. È in questo modo che la Santa Vergine aiuta le famiglie a superare le difficoltà che incontrano ogni giorno e a rimanere unite e salde nella fede. Il Rosario protegge le famiglie dalle insidie del demonio, dissolve le incomprensioni e assicura la pace. Grazie al Rosario quotidiano la Madonna prende dimora nelle famiglie e le protegge. Invitiamo i nostri ascoltatori a partecipare alla recita del Rosario in famiglia ogni sera alle 20:30.

di Padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria
Tratto da: Il giornalino di RM

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«Io sono un tuo fratello»

Posté par atempodiblog le 30 avril 2014

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I giovani funzionari ridevano di lui e lo motteggiavano per quanto poteva l’arguzia burocratica, raccontavano in sua presenza vane storie inventate sul suo conto; per esempio dicevano che la sua padrona di casa, una vecchia settantenne, lo picchiava; o domandavano quando loro due si sarebbero sposati; oppure gli spargevano sulla testa pezzi di carta, dicendo che era neve. A questo però Akakij Akakievič non rispondeva con una sola parola, come se non avesse nessuno davanti a sé; e non si lasciava distrarre dalle sue occupazioni: in mezzo a tutte queste molestie non faceva un solo sbaglio nel copiare. Solo se lo scherzo era troppo insopportabile, se gli davano un colpo sul braccio disturbandolo nel suo lavoro, esclamava: «Lasciatemi stare, perché mi offendete?». E c’era un che di strano nelle parole e nella voce con cui venivano dette. Vi si avvertiva qualcosa che induceva alla compassione, tanto che un giovanotto da poco entrato in servizio, e che aveva cominciato, secondo l’esempio degli altri, a burlarsi di lui, a un tratto si fermò colpito, e da quel momento fu come se tutto fosse cambiato ai suoi occhi e gli apparisse sotto un aspetto diverso. Una specie di forza soprannaturale lo respinse dai compagni con i quali aveva fatto conoscenza ritenendoli persone distinte ed educate. E poi per molto tempo, nei momenti più allegri, seguitò ad apparirgli il piccolo funzionario con le calvizie che diceva le parole toccanti: «Lasciatemi stare, perché mi offendete?» e in queste parole altre ne echeggiavano: «Io sono un tuo fratello». Il povero giovanotto si copriva allora la faccia con una mano e in seguito molte volte trasalì nella sua vita, vedendo quanta disumanità ci sia nell’uomo, quanta furiosa volgarità si nasconda nella personalità più raffinata e colta, e, Dio! persino in individui che il mondo reputa nobili e onesti.

Tratto da: Il cappotto di Nikolaj Vasil’evič Gogol’

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La solitudine necessaria

Posté par atempodiblog le 30 avril 2014

La solitudine necessaria dans Andrej Tarkovskij Solitudine

“Vorrei semplicemente che [i giovani] imparassero ad amare di più la solitudine, a stare a tu per tu con se stessi. Mi sembra che il guaio della gioventù sia quello di tendere ad aggregarsi per portare avanti un azione rumorosa, addirittura aggressiva per non sentirsi soli, il che è piuttosto triste. L’individuo deve imparare fin dall’infanzia a vivere da solo e questo non significa essere soli. Significa non annoiarsi con se stessi, che è un segno di pericolo, quasi di malattia”.

Andrej Arsen’evič Tarkovskij

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Benvenuti in casa Immobile. La storia di Ciro, il ragazzo torrese che contende a Tevez e Higuain il titolo di cannoniere

Posté par atempodiblog le 30 avril 2014

Benvenuti in casa Immobile. La storia di Ciro, il ragazzo torrese che contende a Tevez e Higuain il titolo di cannoniere
Fonte: Il Mattino
Tratto da: IamNaples.it

Immobile

Torre Annunziata. La signora Michela Immobile varcò la porta dell’alloggio che il figlio condivideva con altri della sua età, a Torino, si voltò verso il suo ragazzino e gli disse: «Ma che ci fai qui?! Torna a casa da noi». Ciro la guardò quasi sbalordito. Diciotto anni compiuti da pochi mesi e il sogno di diventare un calciatore a portata di mano. «Mammà, ma tu hai capito dove sono arrivato? Io sto alla Juve e diventerò un grande cannoniere». Era fiero, Ciro, di quella tracolla su cui c’era scritto Juventus. L’aveva conquistata a furia di gol segnati nel Sorrento, dai mini allievi ai giovanissimi e ancor prima tra i campetti dell’Oplonti e quello dei salesiani nella Basilica della Madonna della Neve. Significava che ci stava riuscendo, e che forse un giorno avrebbe fatto sul serio il calciatore. Non gli ha mai pesato quella borsa. Anche se dentro c’erano tante cose: la tuta e i sogni, le scarpe con i tacchetti e le promesse, la maglietta e i calzettoni, le aspettative e le ambizioni, i calzoncini e le illusioni di un ragazzo venuto dal Sud. Da Torre Annunziata, per l’esattezza. All’ombra di quel Vesuvio che qualcuno troppo spesso invoca a sproposito.

Cuore di mamma
In una mattinata col sole e un vento che soffia freddo neppure fosse novembre, la signora Michela sorride e non rimpiange quella frase. «Anche adesso lo vorrei più vicino a me, il mio “seccatiello”». Cuore di mamma. È un gigante da 1,85 cm per 78 chili eppure per la mamma è ancora gracilino come era da piccolo. «Non mangiava mai, quasi se ne scordava. Forse adesso è un po’ più grosso. Una delle cose che gli dico su Whatsapp: “hai mangiato?”. Quando viene qui, l’eccezione per la mia parmigiana di melanzana la fa sempre. Per farmi contenta». Michela racconta Ciro, il ragazzino torrese che contende a Higuain e Tevez la corona dei marcatori della serie A. Ma nei suoi racconti c’è tutta la famiglia Immobile. Al suo fianco, nel bar di proprietà dell’ex stella locale, Tonino Barbera, covo di amici e fans del bomber del Torino, c’è Antonio, il padre di Ciro. Ex bomber pure lui. Di Eccellenza. Ma erano altri tempi: «Lavoravo all’Avis di Castellammare, aggiustavo i treni per le Ferrovie e non sono mai riuscito ad allenarmi come avrei voluto. Sapevo, però, che sarebbe stato bello arrivare in alto». Già, bello, ma duro. Uno su dodicimila ce la fa, dicono le statistiche. Uno di questi è Ciro. «Non è vero, lui deve mantenere i piedi per terra. È il capocannoniere? Va ai Mondiali? Gli ho detto: ”non cambia nulla, devi continuare a lavorare tutti i giorni”. Come quando era al Sorrento e al Torre Annunziata ’88». È proprio vero. Per capire perché uno diventa un campione, bisogna andare a fondo nella sue radici. Antonio ha 53 anni ma sembra il fratello leggermente più grande di Ciro: «Non sono capace di dargli consigli. Lo guardo e penso: è proprio bravo». Il percorso di Immobile è fatto di nostalgia, sradicamento e anche di solitudine. E così che si cresce, lontano dalla gonna di mamma. «Ne ha fatti di provini: il primo al Milan, nel 2000. Aveva 10 anni: Pierino Prati mi disse che era bravo, che l’avrebbero preso se avesse avuto la residenza lì. Non se ne fece nulla», sospira ancora Antonio. Poi arrivarono l’Empoli e la Salernitana ma per gli Immobile la soluzione migliore era mandarlo al Sorrento.

A Sorrento
«L’Inter esitò: Beppe Baresi lo vide ma fu sincero perché loro puntavano su Destro e Balotelli». E allora andò in Costiera. «Il presidente Castellano gli fece l’abbonamento per la Circumvesuviana e ogni giorno, finiva la scuola, si faceva un panino e andava ad allenarsi lì. Non credo abbia mai saltato un allenamento», dice papà Ciro. «Gli allenamenti mai, ma la scuola sì», sbotta (adesso) divertita mamma Michela. «Scuole media alla Manzoni e poi alle superiori alla Marconi. Volevo prendesse il diploma di perito tecnico. Lo minacciavo: se non porti bei voti, niente pallone. Poi da Torino trovò il coraggio di mandarmi un sms: “So di deluderti, ma proprio non riesco a studiare ed allenarmi. Lascio la scuola”. Ci rimasi malissimo». L’altro fratello, Luigi, si è invece laureato in Ingegneria. «110 e lode, nello studio è lui il mio capocannoniere». Il «ciuffo biondo che fa impazzire il mondo» come lo ribattezzarono i tifosi del Pescara (dove ha lasciato in dote 38 gol e una promozione) si è fermato qualche metro prima. Michela e Antonio raccontano Ciro alternando le voci e senza mai accavallarsi. «A cinque anni e mezzo lo portiamo ai Primi Calci del Torre Annunziata ’88, al Circolo Oplonti. Era l’unico modo per evitare che mi sfasciasse casa: metteva Luigi in porta e lui calciava. Quanti danni. E poi era sempre davanti alla tv a vedere i cartoni animati: un giorno mise la cassetta di Robin Hood per 8 ore di seguito. Era come sotto ipnosi». Nella sua vita non ha mai incontrato uno Sceriffo di Nottingham («ha solo tanti amici»), ma una Marianna sì: Jessica che lo ha reso papà di Michela. «Lo stesso nome mio. Perché a queste cose ci teniamo…» dice con orgoglio la signora. Si sposeranno il 23 maggio a Chieti. Non hanno ancora prenotato il viaggio di nozze, perché a giugno Ciro sogna di fare un altro viaggio: «Ma anche se non andrà in Brasile deve essere fiero di tutto quello che ha fatto», spiegano i genitori.

Alla Juve
Un balzo all’indietro. Autunno 1996. Si comincia con il provino al Torre Annunziata ’88 del presidente Vincenzo Carotenuto. I primi istruttori sono Angelo Izzo e Gennaro Roscigno che dopo una settimana lo inseriscono nella squadra di quelli più grandi. Un classico. Lui, classe ’90, sempre a far gol nelle formazioni ’88 o ’89. Torino è nel suo destino: prima la Juve ora i granata che lo hanno preso in comproprietà. Nel mezzo, un giro d’Italia: prima a Siena poi a Pescara e Genova. Sempre in prestito. La Torino delle chiavi a stella nelle mani di metalmeccanici sapienti, ma anche la Torino delle pizzerie napoletane veraci come «Gennaro Esposito», è lì nel suo destino. «Ciro Ferrara si fece consigliare da Filardi, l’ex difensore del Napoli che era osservatore in Campania dei bianconeri. C’era anche la Sampdoria che spingeva per averlo ma la Juve fece prima di tutti». Per il papà, un giorno radioso. Per la mamma invece… «Scoppiai in lacrime, più lontano di così non poteva andare». Il Sorrento incassò circa 70mila euro. Giuseppe Borrello e Guglielmo Ricciardi sono i suoi due scopritori proprio al Sorrento. «Quando lo vidi giocare la prima volta, nel 1999, non era una prima punta. Ma aveva una caratteristica: tirava da ogni parte del campo e segnava. Sempre. La Juve giocò d’anticipo, anche se faticai un po’ a convincere Filardi», ricorda Borrello.

In serie A
Debutto in serie A a 18 anni (contro il Bologna) prendendo il posto di Del Piero. «Un segno del destino: aveva quattro anni quando si fece una foto con Alex che era a Napoli con la nazionale militare – dice papà Antonio – Ma non c’era solo Del Piero nel suo cuore: anche Trezeguet e Quagliarella». Tutti juventini. «Fabio a ogni gol gli manda un sms… è un gioco tra i due. Ma lui nel cuore ha anche il Napoli e il Savoia. Anzi, prima il Savoia. Credo che a fine carriera verrà qui a giocare». Alla sua cittadina resta assai legato, tant’è che qualche mese fa regalò magliette e palloni ai ragazzi del campetto alle spalle della Basilica della Madonna della Neve. «Un predestinato. Aveva 8 anni e scommise 5 mila lire con due miei amici Lello Autieri e Franco Lancella che avrebbe colpito tre volte la traverse su cinque tiri. Vinse Ciro», racconta ancora il papà. Antonio ha 10 fratelli: Michele, Raffaele e Pasquale giocavano come lui a calcio. Un altro, Franco è stato presidente del Savoia, alla fine degli anni ’70. Gli Immobile sono conosciuti con un soprannome a Torre Annunziata: i Donnapereta. Tutta colpa di quel vezzo che aveva nonno Luigi di prendersi gioco di tutti con una «pernacchia ascellare». Michela e Antonio non nascondono i rimproveri: «Non ci piace quella camminata a guappo… non lo fa apposta, ma deve smetterla di dondolarsi quando cammina». D’accordo. Non si può avere tutto nella vita.

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Ciro Immobile, dagli esordi nel Sorrento, la vesuviana, i gol, i sacrifici e un sogno: il Mondiale

Posté par atempodiblog le 30 avril 2014

Dagli esordi nel Sorrento, la vesuviana, i gol, i sacrifici e un sogno: il Mondiale

Ciro Immobile, dagli esordi nel Sorrento, la vesuviana, i gol, i sacrifici e un sogno: il Mondiale dans Sport 1zfrac1

La Campania è una regione che non regala nulla. Anzi, spesso ti toglie, e devi essere bravo a non cadere nei tranelli della vita. La vita ti da, la vita ti toglie, ma a Ciro Immobile sembra aver proprio fatto un grandissimo e preziosissimo regalo: l’abilità nel gioco del calcio. Quel 20 febbraio del 1990, a Torre Annunziata è nato un predestinato,  senza se e senza ma. Quei giocatori che hanno la Serie A nel DNA già da ragazzini. “Ma come diavolo fai a segnare gol del genere?” dicevano i suoi allenatori nelle giovanili del Sorrento. “So ancora prima di calciare dove finirà la palla” rispondeva. Beh, complimenti. Ma Immobile non è solo bravo nel calcio: è il figlio che qualsiasi mamma vorrebbe avere. Educato, responsabile, umile e legato ai valori tradizionali della famiglia, che al sud Italia è ancora un vincolo sacro e intoccabile.

GLI ESORDI: GOL, FATICA E SACRIFICI – Lo studio, ma soprattutto il calcio. Il pallone, presenza fissa della sua vita. Come ha detto il fratello Luigi al tg Piemonte: “Arrivava a casa da scuola, prendeva il borsone, e si faceva 40 minuti di treno all’andata e 40 al ritorno per andare a Sorrento a fare gli allenamenti. Arrivava a casa alle 8 di sera e andava subito a dormire.” I successi bisogna meritarseli, bisogna versare litri di sudore per diventare qualcuno. La strada deve essere stata tutta in salita, ma l’attaccante del Torino è stato bravo a non sbandare, a continuare sulla sua strada, con un obiettivo in testa: la Serie A. Già nelle giovanili del Sorrento si vedeva che aveva talento ma ancora prima, nella squadra di Torre Annunziata, strappava applausi a raffica ad Angelo Izzo, il tecnico di allora: “Ciro – ha detto al tg Piemonte – mi sbalordiva con dei gol incredibili che inventava dal nulla.”  Il fratello: “Qua al sud ha imparato a stare in area di rigore!”. Gol e sacrifici: il Messina lo scarta, l’Inter lo vuole ma lo prendo la Juventus. I 30 gol negli Allievi del Sorrento lo portano a Torino. E con i bianconeri, vince per due anni consecutivi il Torneo di Viareggio (2009 e 2010). Il 14 marzo 2009 debutta in Serie A, diventa l’orgoglio di Torre Annunziata, una città di mare che si riscatta con il figlio prodigo: nei minuti di recupero di Juventus-Bologna subentra ad Alessandro Del Piero. Mica uno qualunque.

IL RAPPORTO CON LA MAMMA E IL PAPA’– Quasi viscerale. “Prima che entri in campo gli mando un messaggio per fargli l’in bocca al lupo” ha detto la mamma. “E se non gioca bene – continua – glielo dico!”. Il papà, invece, si inorgoglisce parlando del figlio: “Qualcosa Ciro l’ha preso da me: anche io da ragazzo segnavo tanti gol”. I suoi occhi si inumidiscono e la voce trema: “Io lavoravo, pensavo alla casa e alla famiglia. Ciro, invece, aveva solo il calcio in testa. Mi dispiace non essergli stato più vicino negli anni più difficile, ma ormai è un uomo.” E il Mondiale? La mamma scherza: “Se Ciro va al Mondiale, ci andiamo pure noi in Brasile!”. Buona fortuna, Ciro. Te la meriti.

Fonte: ToroNews

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Torre Annunziata spinge Immobile ai Mondiali

È il capocannoniere della Serie A con 21 reti (nessuna su rigore), e la sua Torre Annunziata lo spinge direttamente in Brasile con gli Azzurri. «Ciro Immobile ai Mondiali in Brasile»  è la pagina Facebook creata dai suoi concittadini per spingere il ct della Nazionale Cesare Prandelli a scegliere il bomber oplontino del Torino.

Torrese di nascita, lo scorso 17 aprile aveva festeggiato con un tweet il ritorno nel calcio professionistico del Savoia, squadra di Torre Annunziata che ha appena stravinto il campionato di serie D.

Adesso, Torre Annunziata ricambia il piacere e lo spinge ai Mondiali in programma in Brasile. Attualmente è il miglior marcatore italiano della stagione e avrebbe tutti i numeri per guidare l’attacco della Nazionale. Naturalmente, la scelta definitiva spetta al ct Prandelli, ma per la sua città natale non ci sono dubbi: è lui il migliore attaccante italiano in circolazione.

Tratto da: Il Mattino

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«L’adorazione eucaristica è la vera fonte di guarigione. Se non lo diciamo la gente si rivolgerà al New Age»

Posté par atempodiblog le 29 avril 2014

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Da un’intervista a padre Ghislain Roy, sacerdote del Quebec, della Società di Jean Marie Vianney, attivo nel movimento carismatico in numerosi Paesi del mondo tra cui, nelle ultime settimane, il Cile.

«Nella parrocchia dove mi trovo, a Bauceville in Canada, c’è una cappella per l’adorazione eucaristica perpetua, con più di duecento persone che si danno il turno giorno e notte, tutte le settimane. Sono loro che testimoniano liberazioni, guarigioni, soluzione di problemi fra le coppie, guarigioni dei cuori, di giovani che vivevano grandi difficoltà. Qualcuno è stato liberato da pensieri di suicidio. Una signora con un tumore è venuta a chiedermi un consiglio e io le ho risposto: “Vada di fronte a Gesù nel Santissimo Sacramento per essere guarita”. Se noi non proponiamo questo, la gente cercherà la propria guarigione nel New Age, nel reiki, nello yoga … quando la Chiesa ha tutto ciò di cui hanno bisogno. Siamo noi che lo dobbiamo proporre e che dobbiamo convertirci in adoratori. Se non sono uno che fa adorazione, sarà molto difficile parlare di tutto ciò e convincere gli altri».

Tratto da: Il Timone

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Il Papa: una comunità cristiana è in pace, testimonia Cristo e assiste i poveri

Posté par atempodiblog le 29 avril 2014

Ogni comunità cristiana dovrebbe confrontare la propria vita con quella che animava la prima Chiesa e verificare la propria capacità di vivere in “armonia”, di dare testimonianza della Risurrezione di Cristo, di assistere i poveri. Lo ha affermato Papa Francesco nell’omelia della Messa presieduta stamattina a Casa S. Marta.
di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana

Il Papa: una comunità cristiana è in pace, testimonia Cristo e assiste i poveri dans Fede, morale e teologia 29wrhiw

Un’“icona” in tre “pennellate”: è quella che ritrae la prima comunità cristiana così come descritta dagli Atti degli Apostoli. Papa Francesco si sofferma sui “tre tratti” di questo gruppo, capace di piena concordia al suo interno, di dare testimonianza di Cristo al di fuori, di impedire che nessuno dei suoi membri patisse la miseria: le “tre peculiarità del popolo rinato”. L’omelia del Papa si sviluppa a partire da ciò che per tutta la settimana di Pasqua la Chiesa ha messo in luce: il “rinascere dall’Alto”, dallo Spirito, che dà vita – afferma – al primo nucleo dei “nuovi cristiani”, quando “ancora non si chiamavano così”:

“‘Aveva un solo cuore e un’anima sola’. La pace. Una comunità in pace. Questo significa che in quella comunità non c’era posto per le chiacchiere, per le invidie, per le calunnie, per le diffamazioni. Pace. Il perdono: ‘L’amore copriva tutto’. Per qualificare una comunità cristiana su questo, dobbiamo domandarci com’è l’atteggiamento dei cristiani. Sono miti, umili? In quella comunità ci sono liti fra loro per il potere? Liti d’invidia? Ci sono chiacchiere? Non sono sulla strada di Gesù Cristo. Questa peculiarità è tanto importante, tanto importante, perché il demonio cerca di dividerci sempre. E’ il padre della divisione”.

Non che mancassero i problemi anche in quella prima comunità. Papa Francesco ricorda “le lotte interne, le lotte dottrinali, le lotte di potere” che pure sopraggiunsero più avanti. Per esempio, dice, quando le vedove si lamentarono di non essere assistite bene e gli Apostoli “dovettero fare i diaconi”. Tuttavia, quel “momento forte” dell’inizio fissa per sempre l’essenza della comunità nata dallo Spirito. Una comunità concorde e, secondo, una comunità di testimoni della fede, sulla quale Papa Francesco invita a confrontare ogni comunità di oggi:

“È una comunità che dà testimonianza della risurrezione di Gesù Cristo? Questa parrocchia, questa comunità, questa diocesi crede davvero che Gesù Cristo è risorto? O dice: ‘Sì, è risorto, ma di qua’, perché lo crede qui soltanto, il cuore lontano da questa forza. Dare testimonianza che Gesù è vivo, è fra noi. E così si può verificare come va una comunità”.

Terzo tratto su cui misurare la vita di una comunità cristiana sono “i poveri”. E qui, Papa Francesco distingue il metro di verifica in due punti:

“Primo: com’è il tuo atteggiamento o l’atteggiamento di questa comunità con i poveri? Secondo: questa comunità è povera? Povera di cuore, povera di spirito? O mette la sua fiducia nelle ricchezze? Nel potere? Armonia, testimonianza, povertà e avere cura dei poveri. E questo è quello che Gesù spiegava a Nicodemo: questo nascere dall’Alto. Perché l’unico che può fare questo è lo Spirito. Questa è opera dello Spirito. La Chiesa la fa lo Spirito. Lo Spirito fa l’unità. Lo Spirito ti spinge verso la testimonianza. Lo Spirito ti fa povero, perché Lui è la ricchezza e fa che tu abbia cura dei poveri”.

“Che lo Spirito Santo – conclude Papa Francesco – ci aiuti a camminare su questa strada di rinati per la forza del Battesimo”.

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Interiorizzare il cammino di conversione

Posté par atempodiblog le 29 avril 2014

Commento di Padre Livio al messaggio di Medjugorje del 2 aprile 2014
Tratto da: Medjugorje Liguria

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[...] cosa vuole la Madonna? A Messa vado tutti i giorni o quasi tutti i giorni in Quaresima, faccio digiuno mercoledì e venerdì a pane e acqua, insomma, mi dò da fare, partecipo qua, partecipo là, ecc… insomma cosa vuole?
La Madonna vuole che tutto questo ci serva per rinunciare al peccato, rinunciare al male, rinunciare all’egoismo, rinunciare a Satana, aprire il cuore a Dio, aprire il cuore al Suo amore in modo tale che l’amore di Dio ci cambi, che l’amore di Dio diventi in me una sorgente zampillante della vita eterna, in modo tale che in me ci sia la gioia, ci sia la pace, il mio cuore sia pulito, il mio cuore sia aperto, sia buono, questo vuole la Madonna.
E
 come fare? Uno non può dire: cambio il cuore! Non è con le nostre forze che riusciamo a cambiare. Perciò la Madonna ci dice: per evitare che tutto rimanga all’esterno, voi dal di dentro fate salire al Padre Celeste l’invocazione affinché il Padre Celeste, attraverso il Cuore di Gesù, vi dia lo Spirito Santo, che vi illumini con la Sua luce, che lo Spirito Santo vi aiuti ad aprire il cuore a Dio, che lo Spirito Santo apra in voi “una sorgente dell’amore di Dio” come acqua zampillante per la vita eterna.
Pregate per questo. Pregate perché Dio vi cambi il cuore, pregate perché lo Spirito Santo vi tocchi e faccia scoccare la scintilla che accende la fiamma dell’amore, dell’entusiasmo, del fervore, della gioia, pregate per questo. Se la grazia di Dio non ci tocca il cuore non riusciamo da soli a cambiare, poi noi cooperiamo con la nostra buona volontà.
Così dice la Madonna, pregate lo Spirito Santo, perché tutte le vostre pratiche quaresimali, preghiere, Messe, digiuni, diventino un evento interiore che vi cambia il cuore e si apra in voi una sorgente dell’amore di Dio.
La gente non si converte, perché vede che vai a Messa tutti i giorni, perché vede che tu digiuni a pane e acqua, che tu preghi, che fai qua, che fai là. La gente si converte, perché vede in te la bontà, vede in te una sorgente di acqua zampillante, allora “a quella sorgente berranno tutti quelli che non conoscono mio Figlio, tutti gli assetati dell’amore e della pace di mio Figlio”.
La gente si avvicina a te perché in te c’è la sorgente dell’amore di Dio che zampilla. Allora tutti quelli che inconsciamente, ma comunque fortemente nel loro cuore sentono la sete dell’amore di Dio, della Divina Presenza, della Divina bontà, vedendoLa che zampilla nel tuo cuore, allora si avvicinano e bevono a questa sorgente e “si avvicinano a mio Figlio tutti gli assetati dell’amore e della pace di mio Figlio”. “Vi ringrazio”.
C’è un invito a interiorizzare il cammino di conversione che passa attraverso le pratiche esterne, ma deve incidere sul cambiamento interno.

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Facciamo lo scambio dei cuori (come a santa Caterina)

Posté par atempodiblog le 29 avril 2014

Facciamo lo scambio dei cuori (come a santa Caterina) dans Citazioni, frasi e pensieri Facciamo-lo-scambio-dei-cuori-come-a-santa-Caterina-Giustino-Maria-Russolillo-Pianura

Facciamo lo scambio dei cuori (come a santa Caterina).
O Trinità, mi darete o mi date il sacratissimo cuore di Gesù?
Prenderete o prendete il mio cuore?
Con il cuore di Gesù amare e salvare il mondo, amare e glorificare il Padre. Lo riceva da voi, o mia Trinità beata!
Mi pare che quella sacra umanità di Gesù voglia essere come assunta da ogni persona unita a Dio. Mi pare come le divine persone volessero assumere ogni anima come l’umanità di Gesù!

Beato Giustino Maria della SS. Trinità Russolillo

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Si sceglierà i suoi apostoli

Posté par atempodiblog le 28 avril 2014

Si sceglierà i suoi apostoli dans Fede, morale e teologia 1iy7tt

San Luigi di Montfort, grande devoto della Madonna, ci ricorda che verrà il tempo in cui Maria si sceglierà i suoi Nuovi Apostoli, gli Apostoli della Nuova Era: Sì, Dio vuole che la sua Santa Madre sia conosciuta, amata e o­norata ora più che mai. Ciò accadrà sicuramente se con la grazia e la luce dello Spirito Santo i predestinati entrano nella pratica interiore e perfetta della devozione che ma­nifesterà loro. Allora conosceranno le grandezze di que­sta Sovrana e si consacreranno interamente al suo servi­zio. Allora sapranno che Maria è il mezzo più sicuro, più facile, più breve e più perfetto per andare a Gesù Cristo.
Ma chi saranno questi servi, schiavi e figli di Maria? Sa­ranno fuoco ardente, ministri del Signore, che metteran­no dappertutto il fuoco del Divino Amore. Porteranno nel cuore l’olio dell’amore, l’incenso del­la preghiera nello spirito e la mirra della mortificazione nel corpo. In ogni luogo saranno il buon odore di Gesù Cristo per i poveri e per i piccoli, mentre saranno odore di morte per i grandi, i ricchi e i superbi.
Senza attaccarsi a nulla, né stupirsi di nulla, né metter­si in pena per nulla, spanderanno la pioggia della parola di Dio e della vita eterna, tuoneranno dentro il peccato, gri­deranno contro il mondo, colpiranno di fronte il diavolo e i suoi seguaci. Lasceranno, al loro passaggio di predicato­ri, soltanto l’oro della carità che è il pieno compimento del­la legge… Ma quando avverrà tutto questo? Dio solo lo sa. Compito nostro è di tacere, pregare ed attendere”.

FIORETTO: Anch’io posso unirmi spiritualmente a questi apostoli della Nuova Era pregando, facendo qualche pic­cola penitenza e aiutando i bisognosi.

GIACULATORIA: Maria, infiamma il mio cuor con la for­za del tuo amor”.

Fonte: Viviamo maggio con Maria – Sacerdoti del S. Cuore (Dehoniani)

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Novena a Nostra Signora delle Vittorie

Posté par atempodiblog le 28 avril 2014

Un giorno di maggio del 1883, a Lisieux, il beato Luigi Martin – padre di Teresa – chiese che fosse celebrata nella Basilica di Nostra Signora delle Vittorie una novena di messe per la figlia, gravemente malata. Teresa aveva dieci anni e anche lei “si era rivolta alla Madre del Cielo; la pregò con tutto il cuore di avere finalmente pietà di lei…”. Dopo essere stata guarita in un istante dal sorriso della Vergine, dirà: “Ci voleva un miracolo e fu Nostra Signora delle Vittorie che lo fece”.

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Novena a Nostra Signora delle Vittorie

Vergine Maria,

Voi che un tempo avete guarito con un sorriso colei che sarebbe diventata santa Teresa del Bambin Gesù e del Volto Santo, degnateVi ancor oggi di ascoltare le nostre insistenti richieste.

Sollecito la misericordia di Vostro Figlio per … (esporre l’intenzione di preghiera: per una guarigione, una riconciliazione, la mia conversione o quella di un’altra persona, ecc.). Confido fermamente nella bontà del Vostro Cuore Immacolato che ha pietà di tutte le sofferenze umane.

So che accoglierete la mia richiesta, se è conforme alla volontà del Divin Padre, poiché non avete abbandonato Gesù ai piedi della Croce e che Egli vi ha proclamato nostra Madre.

Amen

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Cinque Ave in onore delle cinque lettere del Nome di Maria

Posté par atempodiblog le 28 avril 2014

Cinque Ave in onore delle cinque lettere del Nome di Maria dans Citazioni, frasi e pensieri 27xdwuw

“Figliuoli, chi è devoto della Beatissima Vergine è quasi impossibile che non si salvi”, ripeteva Giuseppe da Calasanzio e insegnava ai fanciulli che la sera prima di mettersi a letto s’inginocchiassero e con le braccia in croce dicessero cinque Ave in onore delle cinque lettere del Nome di Maria.

di Padre Vincenzo Talenti

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Giovanni Paolo II ai Religiosi ed alle Religiose delle Famiglie monfortane

Posté par atempodiblog le 28 avril 2014

Giovanni Paolo II ai Religiosi ed alle Religiose delle Famiglie monfortane
Dal Vaticano, 8 dicembre 2003, Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata  Vergine Maria.

Giovanni Paolo II ai Religiosi ed alle Religiose delle Famiglie monfortane dans Fede, morale e teologia xnf5p4
Foto: Giovanni Paolo II in pellegrinaggio sulla tomba
di san Luigi Maria Grignion da Montfort,
in Vandea (Francia), il 19 settembre 1996.

Un classico testo della spiritualità mariana
1. Centosessant’anni or sono veniva resa pubblica un’opera destinata a diventare  un classico della spiritualità mariana. San Luigi Maria Grignion de Montfort  compose il Trattato della vera devozione alla Santa Vergine agli inizi  del 1700, ma il manoscritto rimase praticamente sconosciuto per oltre un secolo.  Quando finalmente, quasi per caso, nel 1842 fu scoperto e nel 1843 pubblicato,  ebbe un immediato successo, rivelandosi un’opera di straordinaria efficacia  nella diffusione della “vera devozione” alla Vergine Santissima. Io stesso,  negli anni della mia giovinezza, trassi un grande aiuto dalla lettura di questo  libro, nel quale “trovai la risposta alle mie perplessità” dovute al timore che  il culto per Maria, “dilatandosi eccessivamente, finisse per compromettere la  supremazia del culto dovuto a Cristo” (Dono e mistero, p. 38). Sotto la  guida sapiente di san Luigi Maria compresi che, se si vive il mistero di Maria  in Cristo, tale rischio non sussiste. Il pensiero mariologico del Santo,  infatti, “è radicato nel Mistero trinitario e nella verità dell’Incarnazione del  Verbo di Dio” (ibid.).
La Chiesa, fin dalle sue origini, e specialmente nei momenti più difficili, ha  contemplato con particolare intensità uno degli avvenimenti della Passione di  Gesù Cristo riferito da san Giovanni: “Stavano presso la croce di Gesù sua  Madre, la sorella di sua Madre, Maria di Cleofa, e Maria di Magdala. Gesù  allora, vedendo la Madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla  Madre: ‘Donna, ecco il tuo figlio!’. Poi disse al discepolo: ‘Ecco la tua  Madre!’. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa” (Gv 19,  25-27). Lungo la sua storia, il Popolo di Dio ha sperimentato questo dono fatto  da Gesù crocifisso: il dono di sua Madre. Maria Santissima è veramente Madre  nostra, che ci accompagna nel nostro pellegrinaggio di fede, speranza e carità  verso l’unione sempre più intensa con Cristo, unico salvatore e mediatore della  salvezza (cfr Cost. Lumen gentium, nn. 60 e 62).
Com’è noto, nel mio stemma episcopale, che è l’illustrazione simbolica del testo  evangelico appena citato, il motto Totus tuus è ispirato alla dottrina di  san Luigi Maria Grignion de Montfort (cfr Dono e mistero, pp. 38-39; Rosarium Virginis Mariae, 15). Queste due parole esprimono l’appartenenza  totale a Gesù per mezzo di Maria: “Tuus totus ego sum, et omnia mea tua sunt”, scrive san Luigi Maria; e traduce: “Io sono tutto tuo, e tutto ciò che è mio  ti appartiene, mio amabile Gesù, per mezzo di Maria, tua santa Madre” (Trattato  della vera devozione, 233). La dottrina di questo Santo ha esercitato un  influsso profondo sulla devozione mariana di molti fedeli e sulla mia propria  vita. Si tratta di una dottrina vissuta, di notevole profondità ascetica  e mistica, espressa con uno stile vivo e ardente, che utilizza spesso immagini e  simboli. Dal tempo in cui visse san Luigi Maria in poi, la teologia mariana si è  tuttavia molto sviluppata, soprattutto mediante il decisivo contributo del  Concilio Vaticano II. Alla luce del Concilio va, quindi, riletta ed interpretata  oggi la dottrina monfortana, che conserva nondimeno la sua sostanziale validità.
Nella presente Lettera vorrei condividere con voi, Religiosi e  Religiose delle  Famiglie monfortane, la meditazione di alcuni brani degli scritti di san Luigi  Maria, che ci aiutino in questi momenti difficili ad alimentare la nostra  fiducia nella mediazione materna della Madre del Signore.

Ad Iesum per Mariam
2. San Luigi Maria propone con singolare efficacia la contemplazione amorosa del  mistero dell’Incarnazione. La vera devozione mariana è cristocentrica. Infatti,  come ha ricordato il Concilio Vaticano II, “la Chiesa, pensando a lei (a Maria)  piamente e contemplandola alla luce del Verbo fatto uomo, penetra con  venerazione e più profondamente nell’altissimo mistero dell’Incarnazione” (Cost. Lumen gentium, 65).
L’amore a Dio mediante l’unione a Gesù Cristo è la finalità di ogni autentica  devozione, perché – come scrive san Luigi Maria – Cristo “è il nostro unico  maestro che deve istruirci, il nostro unico Signore dal quale dobbiamo  dipendere, il nostro unico Capo al quale dobbiamo restare uniti, il nostro unico  modello al quale conformarci, il nostro unico medico che ci deve guarire, il  nostro unico pastore che ci deve nutrire, la nostra unica via che ci deve  condurre, la nostra unica verità che dobbiamo credere, la nostra unica vita che  ci deve vivificare e il nostro unico tutto, in tutte le cose, che ci deve  bastare” (Trattato della vera devozione, 61).

3. La devozione alla Santa Vergine è un mezzo privilegiato “per trovare Gesù  Cristo perfettamente, per amarlo teneramente e servirlo fedelmente” (Trattato  della vera devozione, 62). Questo centrale desiderio di “amare teneramente”  viene subito dilatato in un’ardente preghiera a Gesù, chiedendo la grazia di  partecipare all’indicibile comunione d’amore che esiste tra Lui e sua Madre. La  totale relatività di Maria a Cristo, e in Lui alla Santissima Trinità, è  anzitutto sperimentata nella osservazione: “Ogni volta che tu pensi a Maria,  Maria pensa per te a Dio. Ogni volta che tu dai lode e onore a Maria, Maria con  te loda e onora Dio. Maria è tutta relativa a Dio, e io la chiamerei benissimo la relazione di Dio, che non esiste se non in rapporto a Dio, o l’eco  di Dio, che non dice e non ripete se non Dio. Se tu dici Maria, ella ripete  Dio. Santa Elisabetta lodò Maria e la disse beata per aver creduto. Maria -  l’eco fedele di Dio – intonò: Magnificat anima mea Dominum: l’anima mia  magnifica il Signore. Ciò che Maria fece in quell’occasione, lo ripete ogni  giorno. Quando è lodata, amata, onorata o riceve qualche cosa, Dio è lodato, Dio  è amato, Dio è onorato, Dio riceve per le mani di Maria e in Maria” (Trattato  della vera devozione, 225).
E’ ancora nella preghiera alla Madre del Signore che san Luigi Maria esprime la  dimensione trinitaria della sua relazione con Dio: “Ti saluto, Maria, Figlia  prediletta dell’eterno Padre! Ti saluto Maria, Madre mirabile del Figlio! Ti  saluto Maria, Sposa fedelissima dello Spirito Santo!” (Segreto di Maria,  68). Questa tradizionale espressione, già usata da san Francesco d’Assisi (cfr Fonti Francescane, 281), pur contenendo livelli eterogenei di analogia, è  senza dubbio efficace per esprimere in qualche modo la peculiare partecipazione  della Madonna alla vita della Santissima Trinità.

4. San Luigi Maria contempla tutti i misteri a partire dall’Incarnazione che si è compiuta al momento dell’Annunciazione. Così, nel Trattato della  vera devozione, Maria appare come “il vero paradiso terrestre del Nuovo  Adamo”, la “terra vergine e immacolata” da cui Egli è stato plasmato (n. 261).  Ella è anche la Nuova Eva, associata al Nuovo Adamo nell’obbedienza che ripara la disobbedienza originale dell’uomo e della donna  (cfr ibid., 53; Sant’Ireneo, Adversus haereses, III, 21, 10-22,  4). Per mezzo di quest’obbedienza, il Figlio di Dio entra nel mondo. La stessa  Croce è già misteriosamente presente nell’istante dell’Incarnazione, al momento  del concepimento di Gesù nel seno di Maria. Infatti, l’ecce venio della  Lettera agli Ebrei (cfr 10,5-9) è il primordiale atto d’obbedienza del Figlio al  Padre, già accettazione del suo Sacrificio redentore “quando entra nel mondo”.
Tutta la nostra perfezione – scrive san Luigi Maria Grignion de Montfort  – consiste nell’essere conformi, uniti e consacrati a Gesù Cristo. Perciò  la più perfetta di tutte le devozioni è incontestabilmente quella che ci  conforma, unisce e consacra più perfettamente a Gesù Cristo. Ora, essendo Maria  la creatura più conforme a Gesù Cristo, ne segue che, tra tutte le devozioni,  quella che consacra e conforma di più un’anima a Nostro Signore è la devozione a  Maria, sua santa Madre, e che più un’anima sarà consacrata a Maria, più sarà  consacrata a Gesù Cristo” (Trattato della vera devozione, 120).  Rivolgendosi a Gesù, san Luigi Maria esprime quanto è meravigliosa l’unione tra  il Figlio e la Madre: “Ella è talmente trasformata in te dalla grazia, che non  vive più, non è più: sei solo tu, mio Gesù, che vivi e regni in lei… Ah! se si  conoscesse la gloria e l’amore che tu ricevi in questa mirabile creatura… Ella  ti è così intimamente unita… Ella infatti ti ama più ardentemente e ti  glorifica più perfettamente di tutte le altre creature insieme” (ibid.,  63).

Maria, membro eminente del Corpo mistico e Madre della Chiesa
5. Secondo le parole del Concilio Vaticano II, Maria “è riconosciuta quale  sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa e sua immagine ed  eccellentissimo modello nella fede e nella carità” (Cost. Lumen gentium,  53). La Madre del Redentore è anche redenta da lui, in modo unico nella sua  immacolata concezione, e ci ha preceduto in quell’ascolto credente e amante  della Parola di Dio che rende beati (cfr ibid., 58). Anche per questo,  Maria “è intimamente unita alla Chiesa: la Madre di Dio è la figura (typus)  della Chiesa, come già insegnava sant’Ambrogio, nell’ordine cioè della fede,  della carità e della perfetta unione con Cristo. Infatti, nel mistero della  Chiesa, la quale pure è giustamente chiamata madre e vergine, la Beata Vergine  Maria è la prima, dando in maniera eminente e singolare l’esempio della vergine  e della madre” (ibid,. 63). Lo stesso Concilio contempla Maria come Madre delle membra di Cristo (cfr ibid., 53; 62), e così Paolo VI  l’ha proclamata Madre della Chiesa. La dottrina del Corpo mistico, che  esprime nel modo più forte l’unione di Cristo con la Chiesa, è anche il  fondamento biblico di questa affermazione. “Il capo e le membra nascono da una  stessa madre” (Trattato della vera devozione, 32), ci ricorda san Luigi  Maria. In questo senso diciamo che, per opera dello Spirito Santo, le membra  sono unite e conformate a Cristo Capo, Figlio del Padre e di Maria, in modo tale  che “ogni vero figlio della Chiesa deve avere Dio per Padre e Maria per Madre” (Segreto  di Maria, 11).
In Cristo, Figlio unigenito, siamo realmente figli del Padre e, allo stesso  tempo, figli di Maria e della Chiesa. Nella nascita verginale di Gesù, in  qualche modo è tutta l’umanità che rinasce. Alla Madre del Signore “possono  essere applicate, in modo più vero di quanto san Paolo le applichi a se stesso,  queste parole: «Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore, finché non  sia formato Cristo in voi» (Gal 4,19). Partorisco ogni giorno i figli di  Dio, fin quando in loro non sia formato Gesù Cristo, mio Figlio, nella pienezza  della sua età” (Trattato della vera devozione, 33). Questa dottrina trova  la sua più bella espressione nella preghiera: “O Spirito Santo, concedimi  una grande devozione ed una grande inclinazione verso Maria, un solido appoggio  sul suo seno materno ed un assiduo ricorso alla sua misericordia, affinché in  lei tu abbia a formare Gesù dentro di me” (Segreto di Maria, 67).
Una delle più alte espressioni della spiritualità di san Luigi Maria Grignion de  Montfort si riferisce all’identificazione del fedele con Maria nel suo amore per  Gesù, nel suo servizio di Gesù. Meditando il noto testo di sant’Ambrogio: L’anima di Maria sia in ciascuno per glorificare il Signore, lo spirito di Maria  sia in ciascuno per esultare in Dio (Expos. in Luc., 12,26: PL 15, 1561), egli scrive: “Quanto è felice un’anima quando… è tutta posseduta e  guidata dallo spirito di Maria, che è uno spirito dolce e forte,  zelante e prudente, umile e coraggioso, puro e fecondo” (Trattato della  vera devozione, 258). L’identificazione mistica con Maria è tutta rivolta a  Gesù, come si esprime nella preghiera: “Infine, mia carissima e amatissima  Madre, fa’, se è possibile, che io non abbia altro spirito che il tuo per  conoscere Gesù Cristo e i suoi divini voleri; non abbia altra anima che la tua  per lodare e glorificare il Signore; non abbia altro cuore che il tuo per amare  Dio con carità pura e ardente come te” (Segreto di Maria, 68).

La santità, perfezione della carità
6. Recita ancora la Costituzione Lumen gentium: “Mentre la Chiesa ha già  raggiunto nella beatissima Vergine la perfezione che la rende senza macchia e  senza ruga (cfr Ef 5, 27), i fedeli si sforzano ancora di crescere nella  santità debellando il peccato; e per questo innalzano gli occhi a Maria, la  quale rifulge come l’esempio della virtù davanti a tutta la comunità degli  eletti” (n. 65). La santità è perfezione della carità, di quell’amore a  Dio e al prossimo che è l’oggetto del più grande comandamento di Gesù (cfr Mt 22, 38), ed è anche il più grande dono dello Spirito Santo (cfr 1 Cor 13,  13). Così, nei suoi Cantici, san Luigi Maria presenta successivamente ai  fedeli l’eccellenza della carità (Cantico 5), la luce della fede (Cantico 6) e la saldezza della speranza (Cantico 7).
Nella spiritualità monfortana, il dinamismo della carità viene specialmente  espresso attraverso il simbolo della schiavitù d’amore a Gesù sull’esempio e con l’aiuto materno di Maria. Si tratta della piena comunione  alla kénosis di Cristo; comunione vissuta con Maria, intimamente presente  ai misteri della vita del Figlio. “Non c’è nulla fra i cristiani che faccia  appartenere in modo più assoluto a Gesù Cristo e alla sua Santa Madre quanto la  schiavitù della volontà, secondo l’esempio di Gesù Cristo stesso, che prese la  condizione di schiavo per nostro amore – formam servi accipiens -, e  della Santa Vergine, che si disse serva e schiava del Signore. L’apostolo si  onora del titolo di servus Christi. Più volte, nella Sacra Scrittura, i  cristiani sono chiamati servi Christi” (Trattato della vera devozione,  72). Infatti, il Figlio di Dio, venuto al mondo in obbedienza al Padre  nell’Incarnazione (cfr Eb 10, 7), si è poi umiliato facendosi obbediente  fino alla morte ed alla morte di Croce (cfr Fil 2, 7-8). Maria ha  corrisposto alla volontà di Dio con il dono totale di se stessa, corpo e anima,  per sempre, dall’Annunciazione alla Croce, e dalla Croce all’Assunzione.  Certamente tra l’obbedienza di Cristo e l’obbedienza di Maria vi è un’asimmetria  determinata dalla differenza ontologica tra la Persona divina del Figlio  e la persona umana di Maria, da cui consegue anche l’esclusività dell’efficacia  salvifica fontale dell’obbedienza di Cristo, dalla quale la sua stessa Madre ha  ricevuto la grazia di poter obbedire in modo totale a Dio e così collaborare con  la missione del suo Figlio.
La schiavitù d’amore va, quindi, interpretata alla luce del mirabile  scambio tra Dio e l’umanità nel mistero del Verbo incarnato. E’ un vero scambio  d’amore tra Dio e la sua creatura nella reciprocità del dono totale di sé. “Lo  spirito di questa devozione… è di rendere l’anima interiormente dipendente e  schiava della Santissima Vergine e di Gesù per mezzo di Lei” (Segreto di  Maria, 44). Paradossalmente, questo “vincolo di carità”, questa “schiavitù  d’amore”, rende l’uomo pienamente libero, con la vera libertà dei figli di Dio  (cfr Trattato della vera devozione, 169). Si tratta di consegnarsi  totalmente a Gesù, rispondendo all’Amore con cui Egli ci ha amato per primo.  Chiunque vive in tale amore può dire come san Paolo: “Non sono più io che  vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2, 20).

La ‘peregrinazione della fede’
7. Ho scritto nella Novo millennio ineunte che “a Gesù non si arriva  davvero che per la via della fede” (n. 19). Proprio questa fu la via seguita da  Maria durante tutta la sua vita terrena, ed è la via della Chiesa pellegrinante  fino alla fine dei tempi. Il Concilio Vaticano II ha molto insistito sulla fede  di Maria, misteriosamente condivisa dalla Chiesa, mettendo in luce l’itinerario  della Madonna dal momento dell’Annunciazione fino al momento della Passione  redentrice (cfr Cost. Lumen gentium, 57 e 67; Lett. enc. Redemptoris Mater, 25-27).
Negli scritti di san Luigi Maria troviamo lo stesso accento sulla fede vissuta  dalla Madre di Gesù in un cammino che va dall’Incarnazione alla Croce, una fede  nella quale Maria è modello e tipo della Chiesa. San Luigi Maria lo esprime con  ricchezza di sfumature quando espone al suo lettore gli “effetti meravigliosi”  della perfetta devozione mariana: “Più dunque ti guadagnerai la benevolenza di  questa augusta Principessa e Vergine fedele, più la tua condotta di vita sarà  ispirata dalla pura fede. Una fede pura, per cui non ti preoccuperai affatto di  quanto è sensibile e straordinario. Una fede viva e animata dalla carità, che ti  farà agire solo per il motivo del puro amore. Una fede ferma e incrollabile come  roccia, che ti farà rimanere fermo e costante in mezzo ad uragani e burrasche.  Una fede operosa e penetrante che, come misteriosa polivalente chiave, ti farà  entrare in tutti i misteri di Gesù Cristo, nei fini ultimi dell’uomo e nel cuore  di Dio stesso. Una fede coraggiosa, che ti farà intraprendere e condurre a  termine senza esitazioni cose grandi per Dio e per la salvezza delle anime. Una  fede, infine, che sarà tua fiaccola ardente, tua vita divina, tuo tesoro  nascosto della divina Sapienza e tua arma onnipotente, con la quale rischiarerai  quanti stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte, infiammerai quelli che  sono tiepidi ed hanno bisogno dell’oro infuocato della carità, ridarai vita a  coloro che sono morti a causa del peccato, commuoverai e sconvolgerai con le tue  soavi e forti parole i cuori di pietra e i cedri del Libano e, infine,  resisterai al demonio e a tutti i nemici della salvezza” (Trattato della vera  devozione, 214).
Come san Giovanni della Croce, san Luigi Maria insiste soprattutto sulla purezza  della fede e sulla sua essenziale e spesso dolorosa oscurità (cfr Segreto di  Maria, 51-52). E’ la fede contemplativa che, rinunciando alle cose sensibili  o straordinarie, penetra nelle misteriose profondità di Cristo. Così, nella sua  preghiera, san Luigi Maria si rivolge alla Madre del Signore dicendo: “Non ti  chiedo visioni o rivelazioni, né gusti o delizie anche soltanto spirituali…  Quaggiù io non voglio per mia porzione se non quello che tu hai avuto, cioè:  credere con fede pura senza nulla gustare o vedere” (ibid., 69). La Croce  è il momento culminante della fede di Maria, come scrivevo nell’Enciclica Redemptoris Mater: “Mediante questa fede Maria è perfettamente unita a  Cristo nella sua spoliazione… E’ questa forse la più profonda kénosis della fede nella storia dell’umanità” (n. 18).

Segno di sicura speranza
8. Lo Spirito Santo invita Maria a “riprodursi” nei suoi eletti, estendendo in  essi le radici della sua “fede invincibile”, ma anche della sua “ferma speranza”  (cfr Trattato della vera devozione, 34). Lo ha ricordato il Concilio  Vaticano II: “La Madre di Gesù, come in cielo, glorificata ormai nel corpo e  nell’anima, è l’immagine e la primizia della Chiesa che dovrà avere il suo  compimento nell’età futura, cosi sulla terra brilla come un segno di sicura  speranza e di consolazione per il Popolo di Dio in marcia, fino a quando non  verrà il giorno del Signore” (Cost. Lumen gentium, 68). Questa dimensione  escatologica è contemplata da san Luigi Maria specialmente quando parla dei  “santi degli ultimi tempi”, formati dalla Santa Vergine per portare nella Chiesa  la vittoria di Cristo sulle forze del male (cfr Trattato della vera devozione,  49-59). Non si tratta in alcun modo di una forma di “millenarismo”, ma del senso  profondo dell’indole escatologica della Chiesa, legata all’unicità e  universalità salvifica di Gesù Cristo. La Chiesa attende la venuta gloriosa di  Gesù alla fine dei tempi. Come Maria e con Maria, i santi sono nella Chiesa e  per la Chiesa, per far risplendere la sua santità, per estendere fino ai confini  del mondo e fino alla fine dei tempi l’opera di Cristo, unico Salvatore.
Nell’antifona Salve Regina, la Chiesa chiama la Madre di Dio “Speranza  nostra”. La stessa espressione è usata da san Luigi Maria a partire da un testo  di san Giovanni Damasceno, che applica a Maria il simbolo biblico dell’àncora  (cfr Hom. Iª in Dorm. B. V. M., 14: PG 96, 719): “Noi leghiamo le  anime a te, nostra speranza, come ad un’àncora ferma. A lei maggiormente si sono  attaccati i santi che si sono salvati e hanno attaccato gli altri, perché  perseverassero nella virtù. Beati dunque, e mille volte beati i cristiani che  oggi si tengono stretti a lei fedelmente e totalmente come ad un’àncora salda” (Trattato  della vera devozione, 175). Attraverso la devozione a Maria, Gesù stesso  “allarga il cuore con una santa fiducia in Dio, facendolo guardare come Padre e  ispirando un amore tenero e filiale” (ibid., 169).
Insieme alla Santa Vergine, con lo stesso cuore di madre, la Chiesa prega, spera  e intercede per la salvezza di tutti gli uomini. Sono le ultime parole della  Costituzione Lumen gentium: “Tutti i fedeli effondano insistenti  preghiere alla Madre di Dio e Madre degli uomini, perché Ella, che con le sue  preghiere aiutò le primizie della Chiesa, anche ora in cielo esaltata sopra  tutti i beati e gli angeli, nella Comunione di tutti i santi interceda presso il  Figlio suo, finché tutte le famiglie dei popoli, sia quelle insignite del nome  cristiano, sia quelle che ancora ignorano il loro Salvatore, nella pace e nella  concordia siano felicemente riunite in un solo Popolo di Dio, a gloria della  Santissima e indivisibile Trinità” (n. 69).
Facendo nuovamente mio questo auspicio, che insieme con gli altri Padri  Conciliari espressi quasi quarant’anni or sono, invio all’intera Famiglia  monfortana una speciale Benedizione Apostolica.

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San Luigi Maria Grignion de Montfort, l’apostolo di Maria

Posté par atempodiblog le 28 avril 2014

San Luigi Maria Grignion de Montfort, l’apostolo di Maria
di Padre Livio Fanzaga – Radio Maria

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Il Monfort fu un predicatore popolare, andava vestito proprio come gli apostoli, a piedi nudi, dormendo dove capitava. Andava in giro predicando al popolo di parrocchia in parrocchia, delle missioni al termine delle quali faceva erigere delle croci e dei calvari (famoso quello di Pont-Château, per costruire il quale lavorarono oltre di cinquecento persone, coadiuvate da cento paia di piissimi buoi, direbbe il Carducci, e fatto demolire con dei pretesti dai suoi avversari), istituendo confraternite del Rosario o dei Penitenti e terminando ogni missione con il solenne rinnovamento delle promesse battesimali fatte a Gesù per mezzo di Maria.

Il Monfort fu molto perseguitato dalla Chiesa (diversi Vescovi lo sospesero a divinis anche se il Papa gli diede la patente di predicatore apostolico pontificio, altri, però, lo protessero, specialmente quelli della Vandea…), il demonio aveva visto in lui un tremendo avversario quindi gli aizzava contro la gente, gli aizzava contro i teologi, i Vescovi, i Parroci, però lui andava imperterrito a predicare istituendo confraternite senza mai essere disubbidiente.

Questi sedici anni tremendi che visse il Monfort da prete tra mille difficoltà e sistematiche persecuzioni anche da parte di uomini di chiesa, sospensioni a divinis, interdizioni di frequentare diocesi, proibizioni di celebrare la Messa, ecc… Satana perseguita i santi e diciamolo fino in fondo… c’è di mezzo l’invidia, guardate che l’invidia spirituale è la cosa più tremenda, l’invidia della grazia altrui…

Noto che in queste regioni della Francia, specie la Bretagna e la Vandea, la religione cattolica è ancora molto radicata nella coscienza popolare e un non piccolo merito è senza dubbio da attribuire all’opera straordinaria di evangelizzazione del santo bretone.

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Pompei: una città dedicata a Maria

Posté par atempodiblog le 27 avril 2014

Pompei: una città dedicata a Maria
“… ad una città sepolta …succede una città piena di vita, che attinge la sua oigine dalla Civiltà nuova portata dal Cristianesimo: la Nuova Pompei!” (Bartolo Longo)
di Roberta Mochi – Radici Cristiane

Pompei: una città dedicata a Maria dans Apparizioni mariane e santuari santuario-Pompei

Sulla distesa delle case della nuova Pompei, quasi a proteggerne gli abitanti, si erge la cupola del maestoso campanile del santuario della madonna del Rosario. Il mistico luogo è sorto per volontà del beato Bartolo Longo, che era rimasto colpito dall’ignoranza religiosa in cui vivevano gli indigenti contadini della campagna campana.
Fu così che, su consiglio del Vescovo di Nola e finanziata dalla campagna di sottoscrizione chiamata “un soldo al mese”, l’8 maggio 1876 iniziò la costruzione del tempio che terminò nel 1887 e, quattro anni più tardi venne consacrato.
La Basilica venne disegnata da Antonio Cua, anche se l’attuale struttura si deve all’ampliamento del 1933 della chiesa originaria. Entrando nel Santuario, si passa sotto la monumentale cantoria, che è stata realizzata da Giovanni Rispoli e che, oltre allo splendore degli intagli, possiede uno dei migliori organi del nostro Paese.
L’interno è a croce latina, completamente decorato di marmi, oro, mosaici e quadri ottocenteschi, che esaltano ed arricchiscono ogni centimetro delle pareti. Sull’altare maggiore è posta, in una cornice di bronzo dorato, la veneratissima tela seicentesca della Madonna di Pompei, della scuola di Luca Giordano.
Il quadro è adornato di gemme, e vi si possono riconoscere tre grandi zone. In alto, la figura solenne di Maria in trono che invita la Chiesa (in Basso) ad avvicinarsi al mistero della Trinità. Lo spazio laterale, invece, si apre al mondo. L’unione di questi campi è rappresentata dal Rosario, consegnato dal Figlio e dalla Madre a San Domenico e a Santa Caterina da Siena, come via di meditazione e assimilazione del Mistero.
Ai lati dell’altare maggiore ci sono le due porte d’accesso alla cripta. Quest’ultima è davvero immensa ed è abbellita da numerosi dipinti, oltre che da due statue di marmo che simboleggiano l’orazione mentale e quella vocale; inoltre il Crocifisso e la statua dell’Addolorata sono quelle appartenute al Beato Longo.
Nella basilica, infine sono esposti numerosi ex voto, che illustrano i ripetuti episodi di prodigi e grazie attribuiti alla Madonna di Pompei. Guardandoli con attenzione è possibile notare come siano la testimonianza dell’infinita potenza dell’amore di Maria: guarigioni di ogni tipo e salvezze da naufragi ed incidenti, quasi a preludio della vera Salvezza a cui conduce la preghiera.
Grazie agli sforzi di Bartolo Longo, quello che è stato definito il Vangelo dei poveri, il Rosario, ha finalmente una casa. Una piccola città splendente di marmi e colma della devozione delle centinaia di fedeli che cominciarono da subito ad accorrere per pregare di fronte alla dolce icona della Madonna del Rosario.

L’icona della Vergine del Rosario
Per comprendere appieno la portata del fenomeno che circondò la tela sarà bene raccontarne la genesi, tanto travagliata da sembrare fiabesca eppure reale, come attestano le numerose documentazioni.
Il 13 novembre del 1875 l’avvocato Longo si recò a Napoli con l’intenzione di acquistare una immagine della Madonna del Rosario da esporre al culto dei fedeli. Per singolare coincidenza incontrò il suo confessore, Alberto Radente, che molti anni prima aveva acquistato un quadro con lo stesso soggetto, da un rigattiere (pagando 3 lire e 40!) al solo scopo di sottrarlo al bieco commercio a cui altrimenti sarebbe stato destinato e l’aveva lasciato in custodia ad una pia suora del Convento del Rosariello di Porta Medina di Napoli.
Suor Maria Concetta De Litalia la offrì volentieri a Bartolo Longo che, inizialmente, ne ebbe un’impressione tutt’altro che lusinghiera; il commento del Beato in proposito è chiarissimo: “Provai una stratta al cuore al primo vederlo … Chi mai dipinse questo quadro? Misericordia!… Deformità e spiacevolezza del viso … manto screpolato e roso dal tempo e bucherellato dalla tignola … screpolature … distacchi e caduti qua e là brani di colore … bruttezza degli altri personaggi”.

A questo si aggiunse presto un altro problema: l’icona doveva arrivare a Pompei per quella stessa sera. Viste le grandi dimensioni (1,20 x 1,00), il trasporto venne affidato ad Angelo Tortora, un carrettiere che, nella sua ingenua carità, avvolse l’immagine in un lenzuolo e la adagiò sul suo carro di letame. Era il 13 novembre 1875.
Ancora oggi si festeggia la data come nascita della Nuova Pompei. E’ una giornata di preghiera, in cui i fedeli vengono ammessi alla venerazione diretta del quadro e pregano la Vergine. La straordinarietà dell’evento consiste soprattutto nel vedere una moltitudine di folla che fin dalle prime luci del mattino si ordina in una lunga fila, senza preoccuparsi di null’altro che dell’amore che ha da portare in dono e, a dispetto di ogni avversità, forma una lunga catena, a imitazione di quella donataci dalla dolcezza di Maria, il Rosario.
Nel corso del tempo la tela ebbe numerosi interventi di restauro, che miravano a ripristinare l’antica lucentezza del colore e a mitigare quella rozzezza di forme che tanto aveva colpito il beato Longo; tuttavia, non furono certo gli interventi umani a donare all’immagine l’efficacia che la contraddistingue bensì, come ci viene raccontato dallo stesso Longo, quando il quadro “venne tolto dalla vecchia e crollante parrocchia del SS. Salvatore e fu posto in una cappella nuova (…) da quel giorno cominciò nella fisionomia della celeste Regina a ravvisarsi una bellezza, una maestà e una confidenziale dolcezza, che non vi si ravvisavano innanzi (…) E’ raggio di bellezza, di dolcezza e di maestà insieme che piove da quel ciglio neanche fa pregare in ginocchio e battere il cuore a quanti con fede si accostano in questo Santuario a quella vecchia tela. Io sono convinto che con un visibile portento la Vergine abbia abbellito la sua figura”.

Il campanile
Quando il Santuario fu ampliato nel 1933, venne costruito un campanile alto ben 80 metri, che svetta nella sua imponenza. I cinque piani che lo compongono, sono abbelliti oltre che da marmi e colonne, dalla presenza di quattro angeli trombettieri e da una grandiosa raffigurazione del Sacro Cuore di Gesù. Inoltre, otto campane diffondono per la campagna circostante il loro suono. Per costruirle vennero fusi ben 100 quintali di cannoni da guerra.
L’opera è coronata da una cupola in bronzo, che è sovrastata da una croce gemmata in rame e bronzo di 6 metri, benedetta da PIO XI prima del trasporto a Pompei.
Il campanile, subì degli interventi di consolidamento, per i danni subiti durante il terremoto, nella seconda metà degli anni Ottanta, e da oggi è possibile ancora salire fin su la sua cima per ammirare lo splendido panorama campano, la Valle, gli Scavi e il Golfo di Napoli.

Il museo
In via Colle San Bartolomeo si trova il villino che fu la dimora di Bartolo Longo. L’abitazione è oggi adibita a Museo. Al pian terreno è possibile visitare la camera da letto e lo studio del Beato ed osservare diversi oggetti che facevano parte del suo quotidiano.
Al piano superiore, invece, è ospitato il Museo Vesuviano dove, grazie a un’accurata rassegna di stampe antiche e moderne, ci si può documentare sull’attività del vulcano, infatti sono riprodotte le eruzioni che vanno dal 1631 al 1944, il tutto corredato dall’esposizione di numerosi campioni di minerali e prodotti vulcanici.

La Cappella del Beato Bartolo Longo
La cappella dedicata al beato Bartolo Longo è adiacente al Santuario; è stata realizzata durante i lavori per il Grande Giubileo del 2000. Di forma quadrata, ampia 360 mq, ha il soffitto in cemento armato sagomato. Sotto l’altare è posta l’urna con le spoglie del Beato. Egli è raffigurato in un simulacro di resina, all’interno del quale sono posti i suoi resti mortali. La testa e le mani, in argento, sono state realizzate dall’argentiere Franco Scarmigliati di Roma. Il simulacro è rivestito con un abito nero e il mantello dei Cavalieri dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, al quale apparteneva Bartolo Longo.

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