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Don Mauro Mergola: “apro la chiesa anche di notte, sarà la movida spirituale”

Posté par atempodiblog le 3 mars 2014

Don Mauro Mergola: “apro la chiesa anche di notte, sarà la movida spirituale”
L’arcivescovo tra i ragazzi nei pub «Ho parlato di Dio e di rispetto»
di Marco Bardesono – Corriere della Sera
Tratto da: Incontri di “Fine Settimana”

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Con la coppola nera calata sulla fronte, l’arcivescovo Cesare Nosiglia è entrato, poco dopo la mezzanotte di sabato in un pub di San Salvario, il quartiere multietnico della città, luogo della movida. Ne è uscito dopo mezz’ora e si è recato in un secondo locale, poi in un terzo. Così fino alle due del mattino, «per parlare di Dio ai ragazzi». Un fuori programma; l’epilogo di un’iniziativa che qualche ora prima sembrava fallita. L’avevano organizzata i giovani dell’oratorio Santi Pietro e Paolo e l’idea era stata del parroco, don Mauro Mergola: «Se i ragazzi affollano la piazza ed esagerano con l’alcol, occorre offrire un’alternativa. Quindi apro la chiesa anche di notte, sarà la movida spirituale».

Alle 23, quando l’arcivescovo è arrivato alla guida della sua vecchia Punto, ad attenderlo erano in pochi: i giovani dell’oratorio e il loro prete, qualche fedele e gli agenti del commissariato che con la loro presenza avevano allontanato i pusher che spesso spacciano in Largo Saluzzo, cuore del quartiere, a due passi dalla stazione. Lì c’è la chiesa di don Mauro, attorno sono fioriti pub e discoteche dove di notte si ritrovano migliaia di giovani e a cento metri c’è la moschea più grande della città. Dunque una parrocchia isolata e circondata, da anni avamposto della fede.

Sabato sera neppure il calciobalilla sul sagrato o la musica new age diffusa dagli altoparlanti (attenzione ai pericoli della musica new age, per approfondire cliccare qui), hanno attirato l’attenzione del popolo della movida. Nosiglia è entrato in chiesa, si è inginocchiato e ha recitato il rosario. Tutto sembrava finito lì: «Le bettole sono piene, ma la chiesa è vuota», si lamentava agli inizi del 1800 Jean-Marie Baptiste Vianney, da poco curato d’Ars. «Ma se le osterie sono piene — rifletteva il santo che la Chiesa indica come il patrono dei parroci — è perché i cuori sono vuoti». Cesare Nosiglia, tra lo stupore di tutti, terminate le decine del rosario, si è alzato dal banco e ha detto: «E ora cominciamo la movida». L’accoglienza nei locali è stata calda.

L’arcivescovo ha avuto modo di informare che «poco distante c’è una chiesa aperta fino a tardi e sarebbe bello incontrarsi anche lì». Qualcuno lo ha chiamato Santità e ciò gli ha offerto la possibilità di spiegare in modo simpatico che «l’alcol può fare brutti scherzi e che è meglio non abusarne», benché la Chiesa non condanni i bevitori (moderati), tant’è che è con il vino che si celebra la messa. «Ma la moderazione e il rispetto sono necessari, ad esempio — ha detto Nosiglia — verso le persone che vivono in questo quartiere e che hanno il diritto di riposare, così da non essere vittime di schiamazzi per tutta la notte».

L’arcivescovo ha anche ammesso che «la movida, con tutti gli eccessi, non riguarda soltanto persone che non conoscono Dio.
Ci sono ragazzi che vanno in parrocchia, ma spesso si lasciano andare. Ci si può divertire senza mai dimenticare Dio. E la chiesa aperta è la testimonianza della Sua presenza».

Quando poi il prelato si è ritirato, il messaggio era stato recepito con chiarezza: «Non basta aprire le porte del tempio, bisogna spalancare quelle del cuore».

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Gioventù bevuta

Posté par atempodiblog le 3 mars 2014

Gioventù bevuta
di Maria Novella De Luca – Repubblica
Tratto da: Wine News

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I più stupiti di solito sono i genitori: “Pensavamo che fossero soltanto delle sbronze”. Invece il baby alcolista ha gli occhi spenti e la vita segnata. Uno di quei cinquecentomila ragazzini italiani che nella deriva delle notti ubriache di milioni di adolescenti, perdono la testa e i confini della realtà. E poi è davvero dura risalire. Neknominate, eyeballing, bidgedrinking: il clamore delle sfide mortali a base di liquori  pesanti che mietono vittime sui social network, riporta 1’attenzione sulla piaga dell’alcolismo giovanile droga sommersa e sottovalutata. E se i nomi di questi giochi pericolosi (versarsi vodka negli occhi, bere fino a stordirsi, filmare se stessi mentre si ingurgitano litri di birra) suonano ostili a chi ha più di vent’anni, attenzione perché dietro c’è molto altro. C’è la storia di come e quando, in meno di due decenni, le nordiche sbronze collettive del sabato sera abbiano conquistato i riti dei teenager italiani, facendo impennare i numeri di chi finisce nella vera e propria dipendenza.

Dallo sbarco pianificato sul mercato degli “alcolpops” ai micidiali “shortini”, cocktail dolci a pochi euro per bevute seriali che complice l’assenzio arrivano subito alla testa, il “binge drinking” coinvolge oggi oltre due milioni di giovanissimi tra i 16 e i 24 anni, soltanto per citare la fascia d’età più numerosa. E un quarto di questi rischia ogni weekend di saltare il fosso, sono ormai tante le storie di bevitori-ragazzini che affollano i centri alcologici italiani, il 17% delle intossicazioni etiliche registrate nei pronto soccorsi riguarda, addirittura, adolescenti tra i 13 e 16 anni. Gli ultimi a rimetterci la vita sono stati i giocatori del “Neknominate”, il folle drink-game nato in Australia e viralizzato su Facebook, che consiste nello sfidare la morte affogandosi di birra, vino o liquori, e chi ce la fa passa il turno e indica un altro utente del social come prossimo giocatore. Chi spezza la catena viene ricoperto di insulti. Naturalmente i primi gruppi sono fioriti anche in Italia (un ragazzo finito in coma ad Agrigento) si spera che abbiano vita breve nonostante il rifiuto di Fb di rimuoverli dalla Rete. Per fortuna c’è anche chi si ribella, come un diciassettenne romano che respingendo al mittente la sua “nomination” ha postato il suo ritratto accanto ad una bottiglia di latte. Ricevendo a sorpresa non pochi consensi su Facebook.

Ma dietro questi episodi estremi c’è il racconto di una gioventù “ebbra”, l’età acerba che diventa l’età ubriaca, con i suoi corollari di vittime e disabilità. Quel mondo che Emanuele Scafato, direttore dell’Osservatorio Nazionale Alcol dell’Istituto superiore di Sanità, traduce in dati, cifre, analisi, e non si stanca di andare a discuterne con i ragazzi delle scuole. Perché magari loro non ci caschino. «Il bere smodato, il binge drinking è un fenomeno drammaticamente sottovalutato in Italia, a partire dalle famiglie. Per non parlare delle ragazzine che mescolano sbronze e digiuno. “Drunkoressia” si chiama. L’alcol in età giovanile produce danni cerebrali uguali a quelli delle droghe, è anzi un ponte verso molti tipi di sostanze. Ci sono studenti delle scuole medie che abitualmente, prima di entrare in classe, si fermano a bere qualcosa al bar di fronte. Come è possibile? Come mai chi vende loro quel bicchiere non viene fermato e multato? I giovani amano il rischio, si sa, la tecnologia amplifica le loro ritualità, ma il punto è che manca una griglia di controllo e di protezione. E i genitori, terrorizzati dalle droghe, troppo spesso minimizzano di fronte ad un figlio che torna a casa barcollando…». Invece a volte, ricorda Scafato, “bastano norme rigorose” per dimezzare vittime e lutti. «È stato sufficiente imporre il livello zero di alcol nel sangue ai guidatori al di sotto dei 21 anni, per abbattere il numero degli incidenti stradali legati alla guida in stato di ebbrezza».

Eccola, allora, la movida alcolica, Ponte Milvio, zona Nord di Roma, piazza diventata celebre per i lucchetti dell’amore (poi rimossi) dei romanzi di Federico Moccia. Alle due del mattino una folla di teenager ubriachi vaga tra chioschi e bar accumulando birre e bicchierini di superalcolici (shortini). Caos di moto e di costosissime mini-car. Prezzo delle consumazioni, in piedi, tra i due e i quattro euro. Nessuno si preoccupa dell’età legale al di sotto della quale (sedici anni) sarebbe vietato bere. Gruppi di ragazzine brille camminano abbracciate, la risata facile e convulsa, la voce alterata, il selciato è un tappeto di vetri e chiazze di vomito. Provando a parlarci si ottengono frasi sincopate tipo “mi ubriaco perché è fico”, “perché è divertente”, “ma che dici non sono sbronza”, “fatti gli affari tuoi”. La verità è che così le difese si abbassano, e a forza di andare avanti e indietro per la piazza i gruppi si mescolano, il tasso alcolico facilita gli incontri, l’amicizia, il sesso, anche le risse, le miscele della sbornia comprendono birra, liquori, amari, cocktail, energy drink.

Emblematici i nomi dei famosi shortini: Tricolore, Morte Lenta, Cane rabbioso, Killer, prevedono in dosi variabili sambuca, tequila, whisky, vodka, assenzio, succhi di frutta e a volte aggiunta di alcol puro. «Non bevo sempre, soltanto il venerdì e il sabato — racconta Guido, 17 anni con fare da adulto, gli occhi rossi, la faccia sgualcita — per me è naturale, il resto della settimana sono sobrio, vado bene a scuola, faccio sport, non mi drogo, insomma sono un bravo ragazzo e per i miei genitori va bene così…». L’inizio di una carriera di alcolista, direbbero gli esperti, e chissà veramente cosa sanno i genitori di Guido.

Paola Nicolini, docente di Psicologia all’università di Macerata, ha scritto per “FrancoAngeli” il libro “Sentirsi brilli”. E spiega che oggi la sbronza per gli adolescenti non è il bicchiere di troppo che sfugge, bensì “un rito per affrontare la socialità”. «Si beve per esorcizzare preventivamente il dolore di un fallimento, per rendersi simpatici, per essere accettati dal gruppo, perché ci si sente fragili, ma il rischio è che ogni volta c’è bisogno di aumentare le dosi…E spesso i genitori negano, minimizzano, come se in fondo l’alcol non fosse così pericoloso, storie di ragazzi, dicono, con un ottimismo del tutto irreale».

Ed è proprio di questa sottovalutazione del rischio, ma anche delle gravi responsabilità del mercato, che parla Valentino Patussi, responsabile del Centro alcologico regionale della Toscana e di quello dell’ospedale universitario di Careggi. «Il binge drinking nasce dall’immissione nel mondo dei teenager di alcol a basso prezzo, in forme e modi che lo rendessero attraente e fruibile per il loro gusto e le loro tasche. Dunque una precisa strategia commerciale che ha puntato a far consumare liquori ai ragazzi in un’età in cui sarebbe addirittura proibito per legge. E lo Stato su tutto questo guadagna attraverso le accise sull’alcol. Una colpevole contraddizione, di cui però non si parla mai, ma invece noi medici ne vediamo le drammatiche conseguenze sui giovanissimi».

Le cifre dell’Istituto superiore di sanità citano circa 500mila baby alcolisti, ma soltanto una piccolissima parte di questi arriva poi nei centri alcologici. Perché prima di capire che le sbronze del proprio figlio sono l’anticamera della dipendenza, si sono persi anni preziosi. «Aiutare un giovane a smettere di bere — aggiunge Valentino Patussi — vuol dire aiutarlo a capire che ha un problema. Ma è tutto il nucleo che entra nel programma, genitori, fratelli, fidanzate, perché è solo partendo dalle relazioni più intime che si possono modificare i comportamenti». E forse fermare la sua discesa di baby bevitore nel tunnel dell’alcolismo.

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Gesù Vero Dio e vero uomo

Posté par atempodiblog le 3 mars 2014

Gesù Vero Dio e vero uomo

Gesù Vero Dio e vero uomo dans Fede, morale e teologia rauqa1

L’Io di Gesù Cristo è un io divino. Quando ti rivolgi a Gesù Cristo come a un Tu, ti rivolgi al Verbo, a Dio. Il “Tu” di Cristo è un “Tu” Divino. L’Io di Cristo è un Io divino. In Gesù Cristo non ci sono due Io (un “io” divino e un “io” umano), c’è un “io” divino soltanto che opera attraverso la natura umana, la quale natura umana ha un corpo e un’anima e quindi Gesù Cristo ha anche un’anima creata, perché è vero uomo. L’uomo ha un’anima e un corpo, ma quest’anima è sorretta dall’Io divino. Quindi l’Io divino opera anche attraverso l’intelligenza umana, attraverso la volontà umana e un corpo umano. Quindi la natura umana in Gesù Cristo è uno strumento attraverso cui opera la divinità, questo è molto importante. E’ fondamentale. Tutti gli Io, compreso quello della Madonna sono io creati, “io” umani. L’Io di Gesù Cristo è un Io divino, tanto che la Chiesa ha condannato Nestorio che diceva che in Gesù Cristo c’erano un io divino e un io umano. In Gesù c’è una sola persona, la persona divina.

Questo è importante perché se si vacilla su questo cade il Cristianesimo, perché se l’io di Gesù Cristo non è un io divino, se la Sua persona non è una persona divina… cade il Cristianesimo. Cade perché Gesù Cristo sarebbe un uomo e se è un uomo… sarebbe un profeta e non il Figlio di Dio.
Lungo il corso della storia della Chiesa c’è stata una grande lotta per affermare la divinità di Gesù Cristo, infatti  le eresie dei primi secoli, tutte in qualche modo, hanno tentato di sgretolare la divinità di Gesù Cristo e in alcuni casi sono state così diffuse, specialmente l’arianesimo del IV secolo che negava la divinità di Gesù Cristo.  San Girolamo dice che improvvisamente la Chiesa Cattolica si svegliò ariana, la stragrande maggioranza dei vescovi era ariana, ma non il Papa, non sant’Attanasio e non tanti altri… La lotta di sant’Ambrogio con gli ariani la sanno tutti.

I primi Concili Ecumenici si sono fatti tutti su questo punto: affermare la fede in Gesù Figlio di Dio. Anche l’espressione “Maria Madre di Dio” vuol dire che quel Bambino che da Lei è nato è Dio. L’identità di una persona è il suo “io” e l’Io di Cristo è un Io divino. Noi questo lo vediamo nel Vangelo di san Giovanni, quando Gesù disse: “prima che Abramo fosse, Io sono”. Quell’“Io sono” è il nome che Dio rivelò sul monte Siani o quando nel Getzemani chiede chi cercassero e poi Lui rispose “Io sono” e stramazzano per terra.

Noi professiamo la divinità di Gesù Cristo vero Uomo e vero Dio. La fede non solo ha vacillato nel passato, ma vacilla tutt’ora. Benedetto XVI ha lamentato, in un suo discorso, che proprio questa fede centrale è continuamente corrosa. Si cerca di dire che era talmente uomo da dimenticare di essere Dio.

Una suora che mi diceva che dove va a studiare teologia si insegna che Gesù Cristo studiando la Sacra Scrittura si è accorto di essere Dio. La navicella della fede fa naufragio.

Noi crediamo che Gesù è il Verbo di Dio fatto uomo, il Figlio di Dio fatto uomo. Quando la domenica diciamo il Credo… diciamolo con il cuore: “Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato”… generato da che? Emana dal Padre prima di tutti i secoli ed è della stessa sostanza del Padre. Gesù è Dio, un unico Dio.

Ecco perché il Credo che noi diciamo è quello niceno-costantinopolitano che esprime la fede della Chiesa dei primi secoli contro le eresie. Siccome dicevano è simile al Padre… no: della stessa sostanza del Padre.
Quindi  Dio da Dio e non creatura da Creatore. La Chiesa fin dall’inizio è stata precisa ad affermare la fede che è nei Vangeli. L’affermazione di essere Dio l’ha fatta Gesù Cristo ed è per quello che lo hanno ucciso, perché volevano lapidarlo? “Noi ti lapidiamo non per quello che tu fai, ma perché tu essendo uomo ti fai Dio”.

Tratto da una catechesi giovanile (del 2006) di Padre Livio Fanzaga ai microfoni di Radio Maria

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Dal Catechismo

III. Vero Dio e vero uomo

464 L’evento unico e del tutto singolare dell’incarnazione del Figlio di Dio non significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e in parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza di divino e di umano. Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. La Chiesa nel corso dei primi secoli ha dovuto difendere e chiarire questa verità di fede contro eresie che la falsificavano.

465 Le prime eresie più che la divinità di Cristo hanno negato la sua vera umanità (docetismo gnostico). Fin dall’epoca apostolica la fede cristiana ha insistito sulla vera incarnazione del Figlio di Dio «venuto nella carne». Ma nel terzo secolo, la Chiesa ha dovuto affermare contro Paolo di Samosata, in un Concilio riunito ad Antiochia, che Gesù Cristo è Figlio di Dio per natura e non per adozione. Il primo Concilio Ecumenico di Nicea nel 325 professò nel suo Credo che il Figlio di Dio è «generato, non creato, della stessa sostanza (homousios) del Padre», e condannò Ario, il quale sosteneva che «il Figlio di Dio veniva dal nulla» e che sarebbe «di un’altra sostanza o di un’altra essenza rispetto al Padre».

466 L’eresia nestoriana vedeva in Cristo una persona umana congiunta alla Persona divina del Figlio di Dio. In contrapposizione ad essa san Cirillo di Alessandria e il terzo Concilio Ecumenico riunito a Efeso nel 431 hanno confessato che «il Verbo, unendo a se stesso ipostaticamente una carne animata da un’anima razionale, [...] si fece uomo». L’umanità di Cristo non ha altro soggetto che la Persona divina del Figlio di Dio, che l’ha assunta e fatta sua al momento del suo concepimento. Per questo il Concilio di Efeso ha proclamato nel 431 che Maria in tutta verità è divenuta Madre di Dio per il concepimento umano del Figlio di Dio nel suo seno; «Madre di Dio [...] non certo perché la natura del Verbo o la sua divinità avesse avuto origine dalla santa Vergine, ma, poiché nacque da lei il santo corpo dotato di anima razionale a cui il Verbo è unito sostanzialmente, si dice che il Verbo è nato secondo la carne».

467 I monofisiti affermavano che la natura umana come tale aveva cessato di esistere in Cristo, essendo stata assunta dalla Persona divina del Figlio di Dio. Opponendosi a questa eresia, il quarto Concilio Ecumenico, a Calcedonia, nel 451, ha confessato:

«Seguendo i santi Padri, all’unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e di corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi per l’umanità, “simile in tutto a noi, fuorché nel peccato”;generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi, per noi e per la nostra salvezza, nato da Maria Vergine e Madre di Dio, secondo l’umanità.
Un solo e medesimo Cristo, Signore, Figlio unigenito, che noi dobbiamo riconoscere in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione. La differenza delle nature non è affatto negata dalla loro unione, ma piuttosto le proprietà di ciascuna sono salvaguardate e riunite in una sola persona e una sola ipostasi».

468 Dopo il Concilio di Calcedonia, alcuni fecero della natura umana di Cristo una sorta di soggetto personale. Contro costoro, il quinto Concilio Ecumenico, a Costantinopoli, nel 553, ha confessato riguardo a Cristo: vi è «na sola ipostasi [o Persona]…, cioè il Signore (nostro) Gesù Cristo, uno della Trinità». Tutto, quindi, nell’umanità di Cristo deve essere attribuito alla sua Persona divina come al suo soggetto proprio, non soltanto i miracoli ma anche le sofferenze e così pure la morte: «Il Signore nostro Gesù Cristo, crocifisso nella sua carne, è vero Dio, Signore della gloria e uno della Santa Trinità».

469 La Chiesa così confessa che Gesù è inscindibilmente vero Dio e vero uomo. Egli è veramente il Figlio di Dio che si è fatto uomo, nostro fratello, senza con ciò cessare d’essere Dio, nostro Signore:

«Id quod fuit remansit et quod non fuit assumpsit – Rimase quel che era e quel che non era assunse», canta la liturgia romana. E la liturgia di san Giovanni Crisostomo proclama e canta: «O Figlio unigenito e Verbo di Dio, tu, che sei immortale, per la nostra salvezza ti sei degnato d’incarnarti nel seno della santa Madre di Dio e sempre Vergine Maria; tu, che senza mutamento sei diventato uomo e sei stato crocifisso, o Cristo Dio, tu, che con la tua morte hai sconfitto la morte, tu che sei uno della Santa Trinità, glorificato con il Padre e lo Spirito Santo, salvaci!».

IV. Come il Figlio di Dio è uomo?

470 Poiché nella misteriosa unione dell’incarnazione «la natura umana è stata assunta, senza per questo venir annientata», la Chiesa nel corso dei secoli è stata condotta a confessare la piena realtà dell’anima umana, con le sue operazioni di intelligenza e di volontà, e del corpo umano di Cristo. Ma parallelamente ha dovuto di volta in volta ricordare che la natura umana di Cristo appartiene in proprio alla Persona divina del Figlio di Dio che l’ha assunta. Tutto ciò che egli è e ciò che egli fa in essa deriva da «uno della Trinità». Il Figlio di Dio, quindi, comunica alla sua umanità il suo modo personale d’esistere nella Trinità. Pertanto, nella sua anima come nel suo corpo, Cristo esprime umanamente i comportamenti divini della Trinità:

«Il Figlio di Dio [...] ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato».

L’anima e la conoscenza umana di Cristo

471 Apollinare di Laodicea sosteneva che in Cristo il Verbo aveva preso il posto dell’anima o dello spirito. Contro questo errore la Chiesa ha confessato che il Figlio eterno ha assunto anche un’anima razionale umana.

472 L’anima umana che il Figlio di Dio ha assunto è dotata di una vera conoscenza umana. In quanto tale, essa non poteva di per sé essere illimitata: era esercitata nelle condizioni storiche della sua esistenza nello spazio e nel tempo. Per questo il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha potuto accettare di «crescere in sapienza, età e grazia» (Lc 2,52) e anche di doversi informare intorno a ciò che nella condizione umana non si può apprendere che attraverso l’esperienza. Questo era del tutto consono alla realtà del suo volontario umiliarsi nella «condizione di servo» (Fil 2,7).

473 Al tempo stesso, però, questa conoscenza veramente umana del Figlio di Dio esprimeva la vita divina della sua persona. «Il figlio di Dio conosceva ogni cosa; e ciò per il tramite dello stesso uomo che egli aveva assunto; non per la natura (umana), ma per il fatto che essa stessa era unita al Verbo [...]. La natura umana, che era unita al Verbo, conosceva ogni cosa, e tutto ciò che è divino lo mostrava in se stesso per la sua maestà». È, innanzi tutto, il caso della conoscenza intima e immediata che il Figlio di Dio fatto uomo ha del Padre suo. Il Figlio di Dio anche nella sua conoscenza umana mostrava la penetrazione divina che egli aveva dei pensieri segreti del cuore degli uomini.

474 La conoscenza umana di Cristo, per la sua unione alla Sapienza divina nella Persona del Verbo incarnato, fruiva in pienezza della scienza dei disegni eterni che egli era venuto a rivelare. Ciò che in questo campo dice di ignorare, dichiara altrove di non avere la missione di rivelarlo.

La volontà umana di Cristo

475 Parallelamente, la Chiesa nel sesto Concilio Ecumenico ha dichiarato che Cristo ha due volontà e due operazioni naturali, divine e umane, non opposte, ma cooperanti, in modo che il Verbo fatto carne ha umanamente voluto, in obbedienza al Padre, tutto ciò che ha divinamente deciso con il Padre e con lo Spirito Santo per la nostra salvezza. La volontà umana di Cristo «segue, senza opposizione o riluttanza, o meglio, è sottoposta alla sua volontà divina e onnipotente».

Il vero corpo di Cristo

476 Poiché il Verbo si è fatto carne assumendo una vera umanità, il corpo di Cristo era delimitato. Perciò l’aspetto umano di Cristo può essere «dipinto».  Nel settimo Concilio Ecumenicola Chiesa ha riconosciuto legittimo che venga raffigurato mediante venerande e sante immagini.

477 Al tempo stesso la Chiesa ha sempre riconosciuto che nel corpo di Gesù il «Verbo invisibile apparve visibilmente nella nostra carne». In realtà, le caratteristiche individuali del corpo di Cristo esprimono la Persona divina del Figlio di Dio. Questi ha fatto a tal punto suoi i lineamenti del suo corpo umano che, dipinti in una santa immagine, possono essere venerati, perché il credente che venera «l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto».

Il cuore del Verbo incarnato

478 Gesù ci ha conosciuti e amati, tutti e ciascuno, durante la sua vita, la sua agonia e la sua passione, e per ognuno di noi si è offerto: il Figlio di Dio «mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). Ci ha amati tutti con un cuore umano. Per questo motivo, il sacro cuore di Gesù, trafitto a causa dei nostri peccati e per la nostra salvezza, «praecipuus consideratur index et symbolus [...] illius amoris, quo divinus Redemptor aeternum Patrem hominesque universos continenter adamat – è considerato il segno e simbolo principale [...] di quell’infinito amore, col quale il Redentore divino incessantemente ama l’eterno Padre e tutti gli uomini».

In sintesi

479 Nel tempo stabilito da Dio, il Figlio unigenito del Padre, la Parola eterna, cioè il Verbo e l’immagine sostanziale del Padre, si è incarnato: senza perdere la natura divina, ha assunto la natura umana.

480 Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, nell’unità della sua Persona divina; per questo motivo è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini.

481 Gesù Cristo ha due nature, la divina e l’umana, non confuse, ma unite nell’unica Persona del Figlio di Dio.

482 Cristo, essendo vero Dio e vero uomo, ha una intelligenza e una volontà umane, perfettamente armonizzate e sottomesse alla sua intelligenza e alla sua volontà divine, che egli ha in comune con il Padre e lo Spirito Santo.

483 L’incarnazione è quindi il mistero dell’ammirabile unione della natura divina e della natura umana nell’unica Persona del Verbo.

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Inoltre freccetta.jpg Gesù (di Antonio Socci)

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L’uomo è capace di conoscere Dio

Posté par atempodiblog le 3 mars 2014

 L'uomo è capace di conoscere Dio dans Citazioni, frasi e pensieri fo3yp4

«“Signore, che cos’è l’uomo per  esserti manifestato a lui?”… Grande felicità per l’uomo, conoscere il proprio Creatore. In questo noi ci differenziamo dalle fiere e dagli altri animali, perché sappiamo di avere il nostro Creatore, mentre essi non lo sanno». Vale la pena meditare un po’ queste parole di Origene, che vede la differenza fondamentale tra l’uomo e gli altri animali nel fatto che l’uomo è capace di  conoscere Dio, il suo Creatore, che l’uomo è capace della verità, capace di una conoscenza che diventa relazione, amicizia. È importante, nel nostro tempo, che noi non dimentichiamo Dio, insieme con tutte le altre conoscenze che abbiamo acquisito nel frattempo, e sono tante! Esse diventano tutte problematiche, a volte pericolose, se manca la conoscenza fondamentale che dà senso e orientamento a tutto: la conoscenza di Dio Creatore.

Benedetto XVI

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Il male avvelena sempre

Posté par atempodiblog le 3 mars 2014

Il male avvelena sempre dans Anticristo 25plsh3

Noi pensiamo che il male in fondo sia buono, che di esso, almeno un po’, noi abbiamo bisogno per sperimentare la pienezza dell’essere. Pensiamo che Mefistofele – il tentatore – abbia ragione quando dice di essere la forza “che sempre vuole il male e sempre opera il bene” (J.W. v. Goethe, Faust I, 3). Pensiamo che patteggiare un po’ col male, riservarsi un po’ di libertà contro Dio, in fondo, sia bene, forse sia addirittura necessario.

Guardando però il mondo intorno a noi, possiamo vedere che non è così, che cioè il male avvelena sempre, non innalza l’uomo, ma lo abbassa e lo umilia, non lo rende più grande, più puro e più ricco, ma lo danneggia e lo fa diventare più piccolo.

Benedetto XVI

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