Altro che ambiente, altro che selezione, la morale è innata
Posté par atempodiblog le 2 mars 2014
La tesi di Bloom (Yale): “il bambino non è idiota, conosce bene e male”
Giulio Meotti- Il Foglio
Tratto da: Una casa sulla Roccia
Un bambino di un anno, Michael, assiste a uno spettacolo con tre marionette. Una sta giocando con una palla, l’alta gliela porta via, la terza la recupera rendendola alla prima. Poi le marionette vengono poste davanti a Michael, ognuna con una caramella. Il bambino deve decidere a chi toglierla. Michael prende la caramella della marionetta che era stata cattiva con le altre due, poi le assesta un colpo in testa. Cosa spinto un bambino di un anno, privo di linguaggio, a prendere la giustizia nelle proprie mani?
Altro che educazione o condizionamenti sociali. Il senso del bene e del male, la moralità, è innata nell’essere umano. E’ questa la scoperta dello psicologo di Yale, Paul Bloom, autore del libro “Just babies”.
Finora i padri della psicologia, Sigmud Freud, Jean Piaget e Lawrence Kohlberg, avevano ritenuto che il bambino nascesse senza alcun senso morale, che l’infante fosse un “animale amorale”, addirittura un “perfetto idiota” secondo la celebre definizione di Jean-Jacques Rousseau. Adesso tre psicologi del laboratorio di cognizione infantile dell’Università di Yiale, Bloom, Karen Wynn e Kiley Hamlin hanno studiato la capacità di valutazione morale nei bimbi dai sei ai 10 mesi di età. E sono arrivati alla conclusione che, già in quell’età i bambini differenziano fra personaggi buoni e cattivi, “manifestando attrazione per i primi e rigetto per i secondi”.
I bambini non sono moralmente indifferenti, ma tendono a sorridere e a battere le manine davanti a cose buone e belle, mentre tendono a fare grinze e girare la testa davanti a cose cattive o brutte. Secondo i tre docenti, quindi, i bambini nascono con un senso che gli permette di distinguere istintivamente il bene dal male. Bloom dice di poter provare che i neonati avvertono anche un forte stress quando vedono un individuo provare dolore.
La morale non è affatto il frutto di condizionamenti ambientali, culturali, sociali o religiosi, bensì qualcosa che deriva dalla stessa natura umana (Bloom non si spinge a evocare la metafisica). Dunque, scrive lo scienziato di Yiale, “non si può ridurre l’essere umano a una macchina che funziona solo secondo le leggi dell’ereditarietà biologica”, come vogliono invece gli evoluzionisti radicali come Richard Dawkins, capaci di spiegare anche l’altruismo come una variazione genetica casuale. Secondo Francis Crick ad esempio, premio Nobel per la scoperta del DNA assieme a James Watson, “la morale è il risultato dell’oscillazione elettrica nei neuroni”.
Contro il comportamentismo
Il docente di Yale, che dirige uno dei pochi gruppi di ricerca al mondo a occuparsi di vita morale dei bambini, attacca “l’attuale trend in psicologia e neuroscienza che sminuisce la scelta razionale a favore di motivazioni inconsce”. Perfino genetiche. Secondo l’Equipe di Bloom, dai tre mesi di vita i bambini restano più colpiti di fronte a scene di un comportamento ingiusto che da quelle dove tutti si comportano bene. Perché? Perché, crescendo, desiderano punire chi si comporta male? Altri esperimenti del gruppo di Yale hanno dimostrato che i bambini provano empatia verso chi è in difficoltà e disapprovano le ripartizioni ingiuste di risorse. In un lungo articolo sull’Atlantic, Bloom attacca i riduzionisti e i relativisti delle neuroscienze che considerano gli esseri umani come “marionette biochimiche “e che portano “un assalto alla fede religiosa, alla moralità tradizionale e al buon senso”.
C’è chi ha salutato la ricerca di Bloom come la definitiva distruzione del comportamentismo di Burrhus Skinner, una forma di riduzionismo antiumanista secondo cui tutto si riduce all’azione dell’ambiente. Skinner ideò la cosiddetta “scatola di Skinner”, trasparente e sterile, dove per un anno chiuse come cavia la figlia Deborah, convinto che le tecniche di condizionamento dovessero applicarsi alla vita quotidiana e che potesse fare quello che voleva della bambina. Il linguista Noam Chomsky, che con Bloom condivide la teoria innatista del linguaggio, bollò la scatola come “un campo di concentramento ben funzionante”.
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