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Michal Sopocko: testimone della misericordia

Posté par atempodiblog le 15 février 2014

Michal Sopocko: testimone della misericordia dans Beato Michele Sopocko Padre-M-Sopocko

16 febbraio [...] memoria del Beato Michal Sopocko (1888-1975), “testimone della misericordia” e direttore spirituale di Santa Faustina Kowalska che ha accompagnato nel suo straordinario cammino per diffondere il culto della misericordia.

La religiosa polacca e il Beato Michal si incontrarono per la prima volta a Vilnius: oggi, infatti, nella capitale della Lituania, è possibile fare un vero e proprio “pellegrinaggio della misericordia” fra i luoghi da loro frequentati.

Tra questi spicca una casetta di legno, nella quale Santa Faustina ricevette un centinaio di volte la visita di Gesù. La casetta, sorprendentemente sopravvissuta all’era sovietica, è stata trasformata dal cardinale Audrys Backis, arcivescovo di Vilnius, in un piccolo santuario, che accoglie varie reliquie di Santa Faustina e del Beato.

Padre Sopocko, sacerdote polacco e fondatore della Congregazione delle Suore di Gesù Misericordioso, nacque a Nowosady. Studiò Teologia presso le Università di Vilnius e di Varsavia, concludendo gli studi nel 1926 con un dottorato in Teologia morale.

Diventato direttore spirituale al seminario di Vilnius, nel 1928 cominciò ad insegnare Teologia pastorale all’Università di Vilnius e al seminario di Białystok. Dal1918 al 1932 è stato anche cappellano dell’esercito polacco.

Nei suoi scritti, il Beato Sopocko pose le basi teologiche per le nuove forme di culto della Divina Misericordia. Scrisse in particolare lettere di formazione per le Suore di Gesù Misericordioso, la nuova congregazione religiosa per la quale ha redatto le costituzioni, secondo le indicazioni di Suor Faustina. Basandosi sui testi della futuro santa, ha anche composto delle preghiera alla Misericordia.

A proposito di padre Sopocko, Cristo stesso disse a Faustina: “Ecco l’aiuto visibile per te sulla terra. Egli ti aiuterà a fare la Mia volontà sulla terra” (Diario, 53) e la Santa in un altro passo del suo Diario spiega anche come padre Sopocko era un apostolo della misericordia, nonostante l’opposizione.

“O mio Gesù, Tu vedi quanta riconoscenza ho per don Sopocko – scrive – che ha portato tanto avanti la tua opera. Quell’anima così umile ha saputo resistere a tutte le tempeste e non si è scoraggiata per le contrarietà” (Diario, 1586).

Per contro, nel proprio diario lo stesso padre Sopocko descrisse come ha riscoperto la misericordia, attraverso Santa Faustina: “Ci sono delle verità che conosciamo, di cui si sente parlare e di cui si parla spesso, ma che non si comprende. È stato così per me, per quanto riguarda la verità sulla misericordia divina. Bisognava che una semplice suora, Suor Faustina, della Congregazione delle Suore di Nostra Signora della Misericordia, guidata da un’intuizione, me ne parlasse”.

“All’inizio non sapevo bene cosa fosse tutto – scrive ancora Sopocko – ascoltavo, dubitavo, mi ponevo delle domande. È solo alcuni anni dopo che ha capito l’importanza di questa opera, l’immensità di questa idea”.

Prende quindi la sua decisione: “La fiducia nella Divina Misericordia, la propagazione del culto di questa misericordia tra gli uomini sarà d’ora in poi il fondamento essenziale della mia vita, con l’aiuto di questa misericordia incommensurabile”.

Dopo la morte di Faustina nel 1938, il Beato cercò di compiere fedelmente ciò che Cristo aveva chiesto. “Il Vangelo non consiste nel predicare che i peccatori dovrebbero diventare buoni, ma che
 Dio è buono per i peccatori”, sosteneva.

Padre Sopocko morì in pieno Anno Santo, il 15 febbraio 1975. Una curiosità: nello stesso giorno morì nell’anno 1682 il direttore spirituale di Santa Margherita Maria Alacoque, il gesuita Claude La Colombière, noto promotore della devozione al Sacro Cuore di Gesù. Mera coincidenza?

Fu proclamato beato a Białystok, in Polonia, vicino al confine lituano, domenica 28 settembre del 2008.

In quell’occasione, durante l’Angelus a Castel Gandolfo, Papa Benedetto XVI aveva ricordato che fu proprio per suggerimento del suo “confessore e guida spirituale”, che Santa Faustina “descrisse le proprie esperienze mistiche e le apparizioni di Gesù Misericordioso nel ben noto Diario”.

“Anche grazie ai suoi sforzi – aveva spiegato – venne dipinta e trasmessa al mondo l’immagine con la scritta Gesù, confido in Te”, la cui realizzazione fu seguita molto attentamente da Santa Faustina. Nascosta in Bielorussia durante l’oppressione sovietica, questa “sorgente” misteriosa alla quale Cristo ci invita a venire ad attingere la Misericordia, è esposta oggi nel santuario della Chiesa della Santissima Trinità a Vilnius.

Padre Sopocko “si fece conoscere come zelante sacerdote, educatore e propagatore del culto della Divina Misericordia” aveva aggiunto Benedetto XV, concludendo: “Per questa beatificazione si rallegra, nella casa del Padre, il mio amato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II. È stato lui ad affidare il mondo alla Divina Misericordia”, facendo riferimento al Pontefice polacco non ancora beatificato in quel momento.

Per Papa Wojtyla, la Divina Misericordia era, infatti, il limite posto da Dio al male. Così, le tragedie del XX secolo, non hanno fermato la diffusione del messaggio dell’amore misericordioso, quasi a significare che l’amore ha l’ultima parola.

di Anita Bourdin
Traduzione dal francese a cura di Paul De Maeyer
Tratto da: Zenit

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Galileo Galilei: un po’ di verità

Posté par atempodiblog le 15 février 2014

È il paladino della libertà scientifica e il testimone dell’oscurantismo religioso cattolico. Questo nell’immaginario popolare e sui libri di testo scolastici. Ma la verità storica è un’altra.
di Vittorio Viccardi – Il Timone

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Pisa, 15 febbraio 1564 – Arcetri, 8 gennaio 1642

“Eppur si muove!”. Chi non ricorda questa celebre frase attribuita a Galileo Galilei che volle così rispondere, ci viene detto, con fiero cipiglio, alla lettura della sentenza di quei feroci inquisitori che lo condannavano per le sue scoperte scientifiche?

Gran parte degli studenti ne sono persuasi. Processato, condannato, torturato, incarcerato e, così credono in buona percentuale, anche bruciato sul rogo: questo l’insieme delle cognizioni che la scuola e i mass media ci propinano a proposito dello scienziato pisano.
Solo una minoranza esigua, più preparata, risponderà che Galileo è giustamente famoso per aver applicato per primo il metodo sperimentale, tipico della scienza moderna, per aver perfezionato e utilizzato a fini scientifici il cannocchiale, per aver scoperto il termometro, la legge che regola le oscillazioni del pendolo, la montuosità della luna, la natura stellare della Via Lattea, i 4 satelliti di Giove, le anomalie di Saturno, le macchie solari e le fasi di Venere.
D
iciamo la verità: più che per la sua opera scientifica, Galileo è noto per i due processi subiti dall’Inquisizione nel 1616 e nel 1633, che lo hanno fatto diventare un paladino della scienza moderna e del progresso ed una vittima dell’oscurantismo religioso e conservatore della Chiesa cattolica.
Eccoci dunque di fronte ad una vittima innocente immolata sull’altare di quel cattolicesimo che pretendeva di possedere verità assolute anche in materie scientifiche, ad un martire della scienza, ad un testimone dell’irriducibile contrapposizione tra la Fede religiosa e la scienza.
Senza pretesa di esaurire l’argomento, qualche considerazione ci aiuterà ad avere le idee più chiare. In primo luogo: Galileo non si considerò mai avversario della Chiesa, come tenta di convincerci una delle più grandi menzogne che ci siano mai state propinate. Conservò la fede cattolica fino alla morte, fu amico per lungo tempo di papi e di cardinali (il cardinale Maffeo Barberini, poi eletto Papa con il nome di Urbano VIII, fu suo grande ammiratore) e da molti religiosi fu protetto e incoraggiato nelle sue ricerche.
Quando nel 1611 si recò a Roma fu molto ben accolto dal padre Cristoforo Klaus (Clavio) e dai gesuiti del Collegio Romano. Fu ricevuto persino da Papa Paolo V, con il quale ebbe un lungo e caloroso colloquio.
Qualche mese prima, si era convinto delle fasi di Venere analoghe a quelle della Luna, segno che il pianeta girava intorno al Sole dal quale riceveva la luce. Il sistema tolemaico era così confutato, quello eliocentrico non era certamente dimostrato, e tutto questo non sembrava pregiudicare i suoi rapporti con il mondo ecclesiale.
Anzi, mentre i colleghi scienziati, con in testa il famoso Cremonini, accusavano Galileo di vedere “macchie sulle lenti del telescopio”, non mancava al pisano l’appoggio dei potentissimi astronomi e filosofi della Compagnia di Gesù (gesuiti), capitanati da san Roberto Bellarmino, generale dell’Ordine dei Gesuiti e consultore del Sant’Uffizio.
E ancora: quando padre Cavini attaccherà Galileo a Firenze, nella chiesa di santa Novella, lo scienziato verrà difeso dal padre Benedetto Castelli, suo discepolo e professore di matematica a Pisa e dal maestro Generale dei Domenicani, padre Luigi Maraffi. Sarà poi il cardinale Giustiniano ad ordinare al Cavini di ritrattare pubblicamente le sue accuse.
Senza dimenticare che a Napoli, un altro religioso, il padre Foscarini, pubblicava un elogio di Galileo e del sistema copernicano (che molti gesuiti dotti approvavano) ottenendo l’approvazione ecclesiastica.
E ancora. Anche dopo la sentenza del 1633 che, oltre all’abiura, lo “condannava” a recitare una volta la settimana i sette salmi penitenziali per un periodo di tre anni, fu ospitato nella villa del cardinale di Siena, Ascanio Piccolomini, “uno dei tanti ecclesiastici che gli volevano bene” (Messori). Quindi, si trasferì nella sua villa di Arcetri, detta “il gioiello”, alla periferia di Firenze. Morì con la benedizione del Papa e ricevendo l’indulgenza plenaria, segno che la Chiesa non lo considerava certamente un avversario nélui considerava tale la Chiesa.
Proprio una favola quella dell’inimicizia, della contrapposizione invincibile, dell’insanabile rottura tra Galileo e la Chiesa cattolica. Una favola che per primo contesterebbe proprio lo scienziato pisano. Non va dimenticato, infatti, che al termine della sua vita movimentata, lasciò scritto che “in tutte le opere mie, non sarà chi trovar possa pur minima ombra di cosa che declini dalla pietà e dalla riverenza di Santa Chiesa” .
In secondo luogo: la teoria eliocentrica (la Terra e i pianeti ruotano attorno al sole) non fu inventata da Galileo. Già Aristarco di Samo e la scuola pitagorica, cinque-sei secoli prima di Cristo avevano sostenuto fosse la Terra a ruota re annualmente intorno al sole. Questa teoria venne ripresa da Copernico, sacerdote polacco, morto 21 anni prima della nascita di Galileo.
Se Copernico decise di pubblicare i suoi studi solo l’anno della sua morte fu per timore di essere dileggiato dai colleghi di studi, non certo da uomini di Chiesa i papi Clemente VII e Paolo III, cui l’opera di Copernico era dedicata dai quali ebbe favori e incoraggiamenti. Proprio come accadde a Galileo, che ebbe tra i suoi più fieri avversari i colleghi, irritati dal carattere tutt’altro che facile dello scienziato pisano, non i religiosi.
In terzo luogo: Galileo non portò alcuna prova scientifica che potesse sostenere senza ombra di dubbio la teoria eliocentrica. Per “provare” che la Terra ruotava intorno al sole sosteneva che le maree erano dovute allo “scuotimento” delle acque causato dal movimento terrestre. Ma questo argomento era scientificamente insostenibile. Avevano ragione i suoi “giudici inquisitoriali”, i quali sapevano bene che le maree sono dovute all’attrazione lunare.
Sentiamo Messori: “In quel 1633 del processo a Galileo, sistema tolemaico (Sole e pianeti ruotano attorno alla Terra) e sistema copernicano (Terra e pianeti ruotano attorno al Sole) non erano che due ipotesi quasi in parità, su cui scommettere senza prove decisive. E molti religiosi cattolici stessi stavano pacificamente per il ‘novatore’ Copernico, condannato invece da Lutero”.
Il Cardinale Bellarmino sosteneva che la teoria eliocentrica, considerata come “ipotesi” scientifica (e ipotesi doveva correttamente considerarsi, fino a quando non fosse stata dimostrata vera) non era da scartare a priori, ma bisognava portare le prove. La posizione del Bellarmino è assai più corretta di quella di Galileo, che senza prove la spacciava per tesi inconfutabile. Anzi, in questo specifico caso, proprio il Bellarmino aveva assunto allora una posizione che la fisica moderna, quella dei nostri tempi, dà per scontata.
In quarto luogo: nel processo del 1616 di Galileo non si parla nemmeno. Ma, successivamente convocato al Sant’uffizio, gli fu reso nota la condanna della tesi copernicana e imposto di non insegnarla prima che venisse corretta (quattro anni dopo la teoria fu corretta e qualificata come ipotesi e non come tesi). L’ingiunzione gli venne comunicata privatamente per non esporlo al dileggio dei colleghi. Galileo promise di obbedire (e non lo fece) e venne ricevuto dal Papa in persona. Una “condanna” straordinariamente mite.
Come mite fu la “condanna” subita nel processo del 1633. Galileo non passò nemmeno un minuto in carcere, non venne mai torturato, non gli fu impedito di incontrare colleghi e religiosi (vanno a trovarlo uomini del calibro di Hobbes, Torricelli e Milton), di scrivere, di studiare e di pubblicare, tant’è che il suo capolavoro scientifico – Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze – risale al 1638, cinque anni dopo la condanna.
Ci manca ancora un punto. La famosa frase “Eppur si muove” con la quale abbiamo aperto queste considerazioni. Un altro falso storico. Fu inventata a Londra, nel 1757, dal brillante e spesso inattendibile giornalista Giuseppe Baretti. Come si vede, nel caso Galilei abbiamo bisogno di un po’ di verità. 

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