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La Grotta di Lourdes nei Giardini vaticani

Posté par atempodiblog le 10 février 2014

La Grotta di Lourdes nei Giardini vaticani dans Apparizioni mariane e santuari 2uixbmtLa Grotta di Lourdes nei Giardini vaticani

Nei Giardini vaticani, si trova una riproduzione della Grotta di Lourdes, che è spesso meta di incontri e sede di celebrazioni liturgiche. Si tratta di un dono del Vescovo di Tarbes, Francesco Saverio Schoepfer, a Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Pecci – Papa dal 1878 al 1903). I due     personaggi sono ritratti in medaglioni sul fronte dell’opera, che fu realizzata dall’architetto dei Sacri Palazzi Apostolici, Costantino Sneider. Il 1° giugno 1902, la costruzione fu ammirata dal Pontefice, ormai novantaduenne. Erano presenti Cardinali, Vescovi ed un numeroso pubblico; Mons. Schoepfer, nel suo discorso, rilevò il valore universale del dono. In effetti, il finanziamento era avvenuto tramite una sottoscrizione aperta dai Missionari dell’Immacolata in tutto il mondo cattolico. Alla Grotta fu presto aggiunta la riproduzione, su scala ridotta, del tempio che era stato edificato a Lourdes; venne perciò ad ergersi, nei Giardini vaticani, una guglia di notevole altezza, che era fiancheggiata da due rampe di scale. Il complesso, così ultimato, fu oggetto, il 28 marzo 1905, di solenne inaugurazione da parte del nuovo Pontefice, Pio X (Giuseppe Melchiorre Sarto), che era stato eletto il 4 agosto 1903; Papa Sarto, nel 1912, volle che alla diocesi di Tarbes fosse aggiunta la denominazione di Lourdes. Bernadette Soubirous, beatificata nel 1925, fu canonizzata nel 1933; nello stesso anno il Papa Pio XI (Achille Ratti), decise la demolizione della guglia, anche perché tale struttura, che aveva suscitato notevoli critiche dal punto di vista estetico era pericolante. Nel 1960, il Vescovo di Tarbes e Lourdes, Mons. Théas, donò al Pontefice l’altare che era stato per un cinquantennio nel luogo delle apparizioni; la sacra mensa venne trasportata nella Grotta dei Giardini vaticani, dove si trova tuttora. Nel 1962, Papa Giovanni XXIII decise la demolizione delle due rampe di scale laterali, e si arrivò così all’attuale sistemazione, semplice e affascinante, incentrata sull’altare e sulla piccola statua dell’Immacolata. Sotto tale immagine, è riportata la frase con la quale Maria rivelò alla giovane veggente di essere l’Immacolata Concezione. A fianco della Grotta, è collocata una fontana, nella cui iscrizione si ricorda l’invito rivolto dalla Madonna a Bernadette a recarsi alla fonte, per lavarsi e per bere; accanto, su una lastra marmorea, sono riassunte in latino le vicende del luogo di preghiera, fino alla ristrutturazione voluta da Giovanni XXIII. Il 31 maggio, a conclusione della processione di chiusura del mese mariano presso la Grotta di Lourdes in Vaticano, tradizionalmente partecipa il Papa e rivolge la sua parola ai fedeli convenuti.

Tratto da: Radio Vaticana

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Mozart e le omelie di domenica, così un anno dopo il ritiro vive il Papa nascosto al mondo

Posté par atempodiblog le 10 février 2014

Mozart e le omelie di domenica, così un anno dopo il ritiro vive il Papa nascosto al mondo
di Marco Ansaldo – la Repubblica

Mozart e le omelie di domenica, così un anno dopo il ritiro vive il Papa nascosto al mondo  dans Articoli di Giornali e News dff4w9

L’ultima volta che Francesco è stato a pranzo da Benedetto XVI — è  accaduto già 3-4 volte da quando in Vaticano abitano due Papi, uno in carica, l’altro rinchiusosi nel monastero  Mater Ecclesiae — Joseph Ratzinger ha esclamato: «Io sono un claustrato». E Georg Gaenswein, il monsignore che ha  un ruolo unico nella Chiesa, abita infatti con il Pontefice emerito come suo segretario particolare e lavora per il nuovo inquilino come prefetto della Casa pontificia, si è permesso di correggerlo: «Lei è un autoclaustrato». Jorge Mario Bergoglio, seduto a tavola con loro, ha guardato il suo  predecessore con affetto: «Ma lei può uscire quando  vuole!».

È passato quasi un anno dalle dimissioni — la  rinuncia, è il termine ufficiale — di Benedetto XVI al pontificato. E dopo quell’annuncio sconvolgente  dell’11 febbraio, e la partenza in elicottero 17 giorni dopo, gli occhi di tutto il mondo si sono concentrati sul Conclave e sulla comparsa dirompente nella scena mondiale del nuovo Papa argentino. Così davvero una sorta di grata, anche  voluta, è calata sulla vita del Papa emerito. Ma che cosa fa  oggi Benedetto XVI? Che tipo di vita conduce? Cosa pensa, con chi  parla, e influisce ancora nelle scelte della Santa Sede?

A quasi 87 anni, è nato a Marktl am Inn il 16 aprile  1927, il bavarese Ratzinger conduce sì vita ritirata, però non sta con le mani in mano. La domenica a messa, dice ad esempio chi vi assiste, «fa delle Omelie bellissime per noi quattro gatti». E cioè i suoi assistenti personali,  le Memores Domini — che rassettano e cucinano non più  nell’Appartamento pontificio, quasi chiuso da Bergoglio, ma nel convento ristrutturato in un lampo dopo la rinuncia —  e, quando è a Roma, il fratello monsignor Georg Ratzinger. La sua Famiglia pontificia, in sostanza.

È una nuova vita. Senza l’assillo delle udienze  tabellari, o gli sconvolgimenti di un’agenda dove non manca l’invadenza di un Segretario di Stato iperattivo, o lo shock di un caso Vatileaks, la giornata di Benedetto scorre  adesso fluida. Sveglia intorno alle 5.30 del mattino, una  mezz’ora più tardi rispetto all’orario da Papa  effettivo. Poi la messa verso le 6. Segue la colazione nella sala da pranzo, con le amate marmellate, l’aranciata alla  tedesca, i biscotti secchi, assieme al fratello monsignor Georg  Ratzinger. Alle 8 il Papa emerito è nello studio dove sfoglia i quotidiani tedeschi e italiani, risponde alla corrispondenza, legge gli autori prediletti di teologia, saggistica e narrativa. Poi medita e prega. A mezzogiorno pranza, fa un breve riposo pomeridiano, e quindi esce per la tradizionale e immancabile passeggiata nel piccolo bosco dietro la residenza assieme a monsignor Gaenswein. Benedetto XVI si tiene informato  del mondo e della vita della Chiesa. Ma intorno alle 16 torna in biblioteca, dove prende la copia appena arrivata dell’Osservatore Romano. E ancora legge, scrive, annota. Infine, è il momento atteso della musica: e qui lo sforzo di perfezionare le Sonate di Mozart al pianoforte. La cena è  frugale, spesso una zuppa. Ma alle 20 Joseph Ratzinger è seduto in poltrona davanti al Tg1, per farsi mettere subito dopo la cassetta di un film o guardare un programma d’intrattenimento. Alle 22 si ritira per la notte. «È bello essere anziani», dice. E di certo la gran rinuncia lo ha sollevato sia fisicamente che moralmente. Il Papa emerito, come aveva promesso, vive «nascosto al mondo», e tuttavia non nascosto alla Chiesa. Spesso riceve visite:  cardinali, vescovi, sacerdoti di antica conoscenza, amici  intellettuali, sempre con discrezione e riservatezza. Due sole le volte in cui si è allontanato dalle Mura Leonine: ad agosto  per assistere a un concerto a Castel Gandolfo, e a gennaio per  visitare il fratello reduce da un intervento all’Ospedale  Gemelli. Un anno fa, erano in molti a temere che l’inedita  presenza di due Papi in Vaticano potesse rivelarsi quanto meno problematica. Così non è stato. Nell’ex convento  di quattro piani (interrato compreso), e dotato di ascensore,  Benedetto si guarda bene dall’intervenire nella gestione  della Chiesa. Francesco lo ha cercato più volte. E, oltre a dimostrare rispetto e deferenza, guarda a lui come a una figura  con cui consigliarsi e scambiare pareri. A fare la spola fra i  due, sempre monsignor Gaenswein.

Al convento Mater Ecclesiae, poi, è tutto a misura del vecchio Papa: il boschetto, la biblioteca con i libri scelti, la vicinanza esclusiva delle persone care. L’ultima sua foto,  pubblicata il 17 gennaio sull’Osservatore Romano, lo mostra  seduto assieme al fratello mentre nei Giardini vaticani ascoltano una banda musicale. Indosso, l’ormai solita giacchetta  bianca, ma in testa un basco, candido anch’esso.  «È chiaro — dice monsignor Georg — parliamo  di un uomo anziano. E provato. Ma — commenta con grande affetto — adesso è rifiorito».

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Il Papa: vivere il mistero della presenza di Dio nella Messa, venire a Santa Marta non è tappa turistica

Posté par atempodiblog le 10 février 2014

Il Papa: vivere il mistero della presenza di Dio nella Messa, venire a Santa Marta non è tappa turistica
Riscoprire il senso del sacro, il mistero della presenza reale di Dio nella Messa: è l’invito di Papa Francesco durante la celebrazione eucaristica presieduta stamani a Santa Marta.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

Il Papa: vivere il mistero della presenza di Dio nella Messa, venire a Santa Marta non è tappa turistica dans Fede, morale e teologia 16hwabr

La prima Lettura del giorno parla di una teofania di Dio ai tempi del re Salomone. Il Signore scende come nube sul Tempio, che viene riempito della gloria di Dio. Il Signore – commenta il Papa – parla al suo Popolo in tanti modi: attraverso i profeti, i sacerdoti, la Sacra Scrittura. Ma con le teofanie parla in un’altra maniera, “diversa dalla Parola: è un’altra presenza, più vicina, senza mediazione, vicina. E’ la Sua presenza”.

“Questo – spiega – succede nella celebrazione liturgica. La celebrazione liturgica non è un atto sociale, un buon atto sociale; non è una riunione dei credenti per pregare assieme. E’ un’altra cosa. Nella liturgia, Dio è presente”, ma è una presenza più vicina.

Nella Messa, infatti, “la presenza del Signore è reale, proprio reale”:

“Quando noi celebriamo la Messa, noi non facciamo una rappresentazione dell’Ultima Cena: no, non è una rappresentazione. E’ un’altra cosa: è proprio l’Ultima Cena. E’ proprio vivere un’altra volta la Passione e la morte redentrice del Signore. E’ una teofania: il Signore si fa presente sull’altare per essere offerto al Padre per la salvezza del mondo. Noi sentiamo o diciamo: ‘Ma, io non posso, adesso, devo andare a Messa, devo andare a sentire Messa’. La Messa non si ‘sente’, si partecipa, e si partecipa in questa teofania, in questo mistero della presenza del Signore tra noi”.

Il presepe, la Via Crucis, sono rappresentazioni – ha spiegato ancora Papa Francesco – la Messa, invece, “è una commemorazione reale, cioè è una teofania: Dio si avvicina ed è con noi, e noi partecipiamo al mistero della Redenzione”. Purtroppo – ha sottolineato – tante volte guardiamo l’orologio a Messa, “contiamo i minuti”: “non è l’atteggiamento proprio che ci chiede la liturgia: la liturgia è tempo di Dio e spazio di Dio, e noi dobbiamo metterci lì, nel tempo di Dio, nello spazio di Dio e non guardare l’orologio”:

“La liturgia è proprio entrare nel mistero di Dio, lasciarsi portare al mistero ed essere nel mistero. Per esempio, io sono sicuro che tutti voi venite qui per entrare nel mistero; però, forse qualcuno dice: ‘Ah, io devo andare a Messa a Santa Marta perché nella gita turistica di Roma c’è da andare a visitare il Papa a Santa Marta, tutte le mattine: è un posto turistico, no?’ (ride). Tutti voi venite qui, noi ci riuniamo qui per entrare nel mistero: è questa la liturgia. E’ il tempo di Dio, è lo spazio di Dio, è la nube di Dio che ci avvolge tutti”.

Il Papa ricorda che, da bambino, durante la preparazione alla Prima Comunione, c’era un canto che indicava come l’altare fosse custodito dagli angeli per dare “il senso della gloria di Dio, dello spazio di Dio, del tempo di Dio”. E quando, durante le prove, si portavano le ostie, dicevano ai bambini: “Guardate che queste non sono quelle che voi riceverete: queste non valgono niente, perché ci sarà la consacrazione!”. Così, conclude il Papa, “celebrare la liturgia è avere questa disponibilità ad entrare nel mistero di Dio”, nel suo spazio, nel suo tempo, e affidarsi “a questo mistero”:

“Ci farà bene oggi chiedere al Signore che dia a tutti noi questo ‘senso del sacro’, questo senso che ci fa capire che una cosa è pregare a casa, pregare in chiesa, pregare il Rosario, pregare tante belle preghiere, fare la Via Crucis, tante cose belle, leggere la Bibbia … e un’altra cosa è la celebrazione eucaristica. Nella celebrazione entriamo nel mistero di Dio, in quella strada che noi non possiamo controllare: soltanto è Lui l’Unico, Lui la gloria, Lui è il potere, Lui è tutto. Chiediamo questa grazia: che il Signore ci insegni ad entrare nel mistero di Dio”.

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Pedofilia: un regalo del 1968

Posté par atempodiblog le 10 février 2014

Pedofilia: per un italiano su tre è accettabile fare sesso con un adolescente (9 febbrario 2014)

Tratto da: Segni di vita, appunti di vita pastorale

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Pedofilia: un regalo del 1968
Tratto da: Chiesa e pedofilia. Colpe vere e presunte. Nemici interni ed esterni alla Barca di Pietro. Di Francesco Angoli. Ed. Cantagalli
Per gentile concessione dell’autore, il libro è stato messo on-line da sito Tempi.it ed è scaricabile 2e2mot5 dans Diego Manetti QUI

Pedofilia: un regalo del 1968 dans Francesco Agnoli 23use2g

Partiamo da un dato di fatto: i casi di pedofilia nella Chiesa, seppur di gran lunga inferiori rispetto a quello che si vorrebbe far credere, risalgono per lo più agli anni Sessanta e Settanta, e si sono verificati soprattutto negli Stati Uniti. Questi avvenimenti terribili si iscrivono in un aumento generalizzato di abusi sessuali contro minori, che interessa la società tutta, famiglia, single, preti, laici, nessuna categoria esclusa. Basti pensare che ogni giorno nascono decine e decine di nuovi siti pedofili con violenze sessuali sui bambini dai 3 ai 12 anni e che ogni anno milioni di occidentali partono per Cuba, la Thailandia ed altri paesi in cui prospera il turismo sessuale.
Ecco, solo questa banale constatazione, oggettiva e non strumentale, dovrebbe portare ad una domanda che invece per lo più si preferisce evitare: perché?

La risposta mi sembra obbligata: tutto va ricondotto, oltre che ovviamente alla peccaminosità intrinseca nell’uomo, all’origine della mentalità attuale, cioè alla cosiddetta “rivoluzione sessuale”. Dobbiamo andare con la mente agli anni Sessanta, in quel periodo di incubazione che portò poi al 1968 e a tutto quello che ne seguì. L’America e l’Europa sono pervase da queste grida: “abolire i tabù”, “liberare il sesso”, distruggere le vecchie tradizioni, concezioni, istituzioni. La critica investe i rapporti sociali, economici, scolastici, ma soprattutto la famiglia. È lei la grande imputata, a cui, in nome di Marx, Engels, Marcuse, Reich, Cooper, si contrappone l’assoluta possibilità per ogni individuo di  fare le esperienze sessuali più varie, frequenti e “alternative” possibili.

La “monogamia cristiana”, spiegano i teorici delle comuni, molte femministe e i rappresentanti dei nascenti movimenti gay, non è per nulla più naturale e più giusta della poligamia, della poliandria, dell’amore di gruppo, del rapporto istantaneo e diversificato.
Il matrimonio diviene così per molti simbolo di oppressione e la generazione dei figli una schiavitù, un limite, una maledizione: nasce così la cultura della contraccezione, del divorzio e dell’aborto. I bambini saranno, a breve, le vittime designate delle nuove “libertà”: abortiti, separati a forza dai genitori, sballottati da una casa all’altra; un giorno saranno addirittura progettati a tavolino, da una donna single, da due uomini, o da due donne, grazie alle banche degli ovuli, del seme, agli uteri in affitto e domani, chissà, a quelli artificiali. Se si sfoglia Le voci degli Hippies (Laterza, 1969), florilegio di scritti degli anni ’60 in Usa, si possono leggere articoli così intitolati: “In difesa dell’oscenità”; “Sei professori in cerca di… osceno”; “Applauso per l’orgia”.
Dovunque inni alla “liberazione sessuale”, alla pornografia, all’omofilia, ai “rapporti sessuali aperti in modi non tradizionali”, persino all’incesto.

Insomma, è in questi anni di profonda secolarizzazione, di odio verso ciò che resta della tradizione cristiana, che si collocano i primi aperti sostenitori delle più varie perversioni, dall’adulterio come atto legittimo alla zoofilia, dalla necrofilia alla pedofilia. Qui dobbiamo cercare i precursori di Asia Argento che si bacia appassionatamente con un cane, in uno dei suoi film; oppure di quella marea di film pornografici in cui non mancano scene di personaggi che fanno sesso con i morti. Qui dobbiamo cercare l’origine dell’educazione sessuale nelle scuole, intesa spesso come spiegazione, a ragazzini poco più che adolescenti, di cosa sia tecnicamente l’atto sessuale; oppure intesa come possibilità per i piccoli di incontrare a scuola transessuali o “esperti” chiamati a raccontare – come è recentemente avvenuto in una scuola italiana – «cosa avviene quando la coppia è atipica ed entrano in gioco gli animali» (Corriere della sera, 22 gennaio 2010). Qui dobbiamo cercare, ad esempio, il perché dei libretti distribuiti nelle scuole spagnole, in cui si invitano i giovani, a partire dagli 11 anni, a masturbarsi e ad avere relazioni omosessuali e lesbiche, in nome dell’idea per cui «la normalità è scambiare amore e relazioni sessuali con qualunque persona, dell’altro sesso o del proprio», a qualunque età (Libero, 4 novembre 2005).

E la pedofilia? Non è già chiaro che si tratta di un altro personaggio dell’affresco? Se si guarda bene ci sta perfettamente. È lì, sotto la voce “liberazione sessuale”; vicino agli slogan sessantottini “Il sesso è tuo, liberalo”, “Vietato vietare”, “Lotta dura contro natura”, “Inventate nuove perversioni”, “Né maestro né Dio, Dio sono io”; è accanto ai proclami contro la “sessuofobia cristiana” e ai discorsi contro il diritto naturale e a favore del relativismo; è insieme alla desacralizzazione di ogni relazione affettiva, all’aumento dei rapporti precoci tra minori e degli aborti delle minorenni. Insieme alla cultura del sesso liberato, cioè fine a se stesso, della sessualità ridotta materialisticamente a genitalità, e dell’altro visto anzitutto come oggetto di piacere. È lì insieme al disprezzo dei bambini, così facilmente eliminati, così spesso trascurati in nome del “benessere” dei grandi!

Sono sempre questi gli anni in cui nascono, accanto agli asili “antiautoritari”, quelli in cui vengono insegnati ai bambini “giochi erotici” per “liberarli dai tabù”; in cui un leader studentesco, oggi europarlamentare, come Daniel Cohn-Bendit, descrive i suoi toccamenti con i bambini di un asilo “alternativo” e scrive, su Liberation, insieme ad altri notissimi intellettuali francesi di sinistra, da Jean Paul Sartre a Jack Lang, da Simone de Beauvoir a Michel Foucault, da Andrè Glucksman a Bernard Kouchner, un manifesto in difesa della pedofilia (si veda Il Giornale, 16 gennaio 2005 e M. Picozzi, M. Maggi, Pedofilia. Non chiamatelo amore, Guerini e Associati, 2003).

Sono gli anni in cui diviene di moda La rivoluzione sessuale di Wilhelm Reich, edito in Italia da Feltrinelli nel 1963, che predica la distruzione del modello familiare naturale, ritenuto oppressivo anzitutto per la libertà sessuale del bambino, per la sua “genitalità spontanea e priva di complessi di colpa”, negata brutalmente dalla concezione cristiana e “borghese” della famiglia. È il periodo in cui nasce in Italia, col sostegno dei radicali, il F.u.o.r.i. di Mario Mieli, recentemente esaltato dal quotidiano Liberazione, aperto cantore, contro la “Norma eterossessuale” e l’antropologia cristiana, dell’omosessualità, ma anche della coprofilia, della necrofilia e, appunto, della pedofilia. Sono gli anni, ancora, in cui l’ideologa femminista Shulamith Firestone, nel suo La dialettica dei sessi (1970), propone di separare sessualità da riproduzione, e difende una sessualità “liberata”, senza confini, arrivando coerentemente ad auspicare, come avevano già fatto anche alcuni illuministi, la liceità dell’incesto, cioè della pedofilia. L’incesto, infatti, sarebbe un “tabù” che serve “solo a preservare la famiglia”.

Scrive ancora la Firestone, sempre in nome della “liberazione sessuale di donne e bambini”: «Dobbiamo includere anche l’oppressione dei bambini in ogni programma della rivoluzione femminista […] il nostro passo deve essere l’eliminazione della stessa condizione di femminilità ed infanzia», e si deve arrivare a far sì che “tutti i rapporti intimi”, anche quelli tra genitori e figli, adulti e piccini, includano “anche la fisicità” in senso lato. Sono gli anni, per finire, in cui molti attivisti del nascente movimento gay, come racconta Paul Berman nel suo Sessantotto (Einaudi, 2006) sperimentano sin da piccoli, a scuola, o nei parchi, il “sesso tra giovanissimi e adulti”, nel clima appunto di sessualità sfrenata e “liberata” di quegli anni.

Anni dopo questa cultura continuerà a influire sulla cultura anche italiana. Un solo esempio.
Negli anni Novanta uscirà in Italia Diario di un pedofilo, scritto da William Andraghetti, arrestato nell’88 per aver adescato minorenni nelle piscine di Bologna.
Il testo viene pubblicato dall’editrice Stampa Alternativa diretta da tale Marcello Baraghini, con un preciso fine: «Vogliamo prendere di petto gli ultimi tabù, come la pedofilia e l’incesto» (Corriere della sera, 28 aprile 1996). Nella scia, dunque, della rivoluzione sessuale degli anni Sessanta che ha sdoganato, insieme alla cultura psichedelica, anche quella del divorzio, dell’aborto e la pedofilia.

Ma chi è Baraghini? Nel 1963 lo troviamo insieme a Marco Pannella tra i fondatori della Lid (Lega italiana per il divorzio); militante radicale, nel 1968 fonda Stampa Alternativa; nel 1971 firma l’appello contro Calabresi su l’Espresso. La sua pubblicazione più nota è Contro la famiglia. Manuale di autodifesa e di lotta per minorenni, che vendette, in quegli anni di “liberazione sessuale”, oltre 60.000 copie. Poi, oltre a libri a favore della droga libera, cara ai radicali, come Manuale per la coltivazione della marijuana, che vendette mezzo milione di copie, Baraghini pubblicherà anche un manuale verde, in cui si esprime questa speranza: che un giorno non lontano, l’uccisione di un animale sia considerata al pari di quella di un uomo.

Così insomma, in questa cultura nichilista di fondo, è nato il boom della pedofilia, della pedopornografia, di cui oggi continuiamo a vederne gli effetti, insieme ai nuovi “diritti civili”, alle nuove “libertà”, alla lotta a tutto campo alla purezza e alla famiglia naturale, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, come disegno immodificabile di Dio. Insieme a quella negazione della fede e della morale cristiana di cui Benedetto XVI non cessa di ripetere ogni giorno le ragioni. Si dovrebbe riflettere, al riguardo, sul fatto che nell’epoca della crisi della famiglia, la pedofilia è divenuta un’emergenza, come dimostrano tutti gli studi sull’argomento, proprio nella famiglia stessa, giacché la gran parte delle violenze sui minori avvengono per mano di genitori, parenti e non di rado dei nuovi “genitori” acquisiti in seguito ad un divorzio.

E la pedofilia praticata da uomini di Chiesa? Anzitutto è bene ricordare che cattolici e protestanti furono senza dubbio quasi gli unici avversari della “rivoluzione sessuale”.
Proprio perché la libertà del cristiano è, almeno in teoria, e quindi più facilmente anche in pratica, tutt’altra cosa: si realizza nella fedeltà ad una relazione, non nella intercambiabilità e nella frequenza di esperienze fisiche individuali; si concretizza nella sessualità ordinata e finalizzata, non nella genitalità solo istintiva ed animale. Basta leggere qualche scritto di quegli anni: sovente i “liberatori” si scagliano con virulenza proprio contro la Chiesa, contro i “puritani”, contro il pensiero cristiano in generale, reo di opprimere la libera sessualità, di imporre regole e divieti.
È però vero che la “liberazione sessuale” entra nel Tempio insieme alle altre novità.

Sempre negli stessi testi citati sopra, possiamo trovare l’elogio di quei cristiani, di quei pastori protestanti, di quei preti cattolici, che hanno finalmente capito i “nuovi tempi”, che non rimangono stoltamente ancorati alla morale tradizionale, disobbedendo, se cattolici, a Roma! Il Los Angeles free press del 23 giugno 1967, per esempio, pubblica un articolo intitolato “Un sacerdote underground dice: La Chiesa è morta”. In esso il prete in questione spiega che la Chiesa «ha danneggiato la gente dal punto di vista sessuale, razziale e politico».

Un articolo dell’Open city di Los Angeles del 24 agosto 1967, invece, narra di un “prete hippy”, uno dei tanti protestanti presbiteriani che ha deciso di sposare le nuove idee rivoluzionarie.

Nel mondo cattolico il tanto decantato aggiornamento e la tanto pubblicizzata “apertura al mondo” diventano per molti ecclesiastici e per molti credenti “adulti” un dovere irrinunciabile. Non tutti hanno capito che secolarizzazione fa rima con tristezza, e “liberazione sessuale” con disgregazione della famiglia, pornografia, pedofilia, esplosione del numero dei divorzi, instabilità dei bambini.
Inevitabilmente, poi, l’“aggiornamento” nella Fede diventa anche aggiornamento nella morale.
Ecco così che migliaia e migliaia di sacerdoti abbandonano la veste talare, si spretano, attaccano il celibato, chiedono una revisione della morale della Chiesa, leggono ed elogiano i testi di Reich, per poi finire con lo schierarsi apertamente e violentemente a favore della legalizzazione del divorzio e dell’aborto. Questi religiosi trovano grande accoglienza sulle pagine dei quotidiani progressisti, gli stessi che oggi molto ipocritamente fanno la guerra, ad ogni piè sospinto, a Benedetto XVI.

Un libretto di un famoso benedettino, ArcipelagoChiesa. A quarant’anni dal Concilio, di padre Stanley Jaki (Fede&Cultura), può aiutarci a comprendere meglio queste vicende, specie per quanto riguarda l’America.
Jaki mette anzitutto in luce la perdita di Fede propria di quegli anni, e la detronizzazione del Santissimo dal centro degli altari: essa gli appare il simbolo più evidente della perdita del senso del soprannaturale.
In secondo luogo, Jaki nota la perdita fortissima, nel mondo cattolico, del senso del peccato, «il quale soltanto chiede a gran voce una redenzione». «Ha poco senso – scrive – parlare dello stato decaduto dell’uomo quando la sua caduta originaria è minimizzata in luoghi consacrati»: se il peccato non esiste più, né per il mondo, né per molti uomini di Chiesa, è chiaro che il compierlo diventa più semplice, più banale, più automatico.

È chiaro che, mentre nella società si inizia a sottovalutare, ad esempio, la sacralità del matrimonio, e l’adulterio diventa sempre più normale, se non addirittura un “diritto”, analogamente molti religiosi perdono il senso della loro missione, e quindi anche il significato della loro verginità. Il grave è che non esiste quasi più nessuno che li richiami e che li punisca. Soprattutto perché in tutta la Cristianità, negli Usa e in Germania in particolare, la ribellione al magistero diventa fortissima e investe molti vescovi. Tra costoro Jaki, in questo libretto del marzo 2008, cita l’arcivescovo di Milwaukee, Robert Weakland: un beniamino della stampa progressista di allora, per le sue posizioni, come ha ricordato anche Roberto De Mattei, a favore della “rivoluzione sessuale”. Tale vescovo oggi è ancora più lodato, visto che le sue dichiarazioni sono servite ad attaccare violentemente Benedetto XVI, nonostante la verità sia che egli fu dimissionato nel 2002 “dopo che un ex studente di teologia l’aveva accusato di violenza carnale, rompendo il segreto che lo stesso Weakland gli aveva imposto in cambio di 450 mila dollari detratti dalle casse dell’arcidiocesi”.

La ribellione di molti ecclesiastici alla morale cattolica, racconta Jaki, raggiunge il culmine con la pubblicazione dell’enciclica Humanae vitae, rispetto cui la risposta è lo scisma strisciante di tantissimi preti e laici credenti, in tutto l’Occidente. Nel 1976 si arriva addirittura al punto che “5 arcivescovi americani e 15 vescovi erano pronti ad annunciare la formazione di una Chiesa cattolica americana”, separata da Roma. “Da parte di molti cattolici – affermava l’allora cardinal Ratzinger nel 1985, parlando con Vittorio Messori –, c’è stato in questi anni uno spalancarsi senza filtri e freni al mondo, cioè alla mentalità moderna dominante, mettendo nello stesso tempo in discussione le basi stesse del depositum fidei che per molti non erano più chiare”.

La crisi della fede, è giusto dirlo, ha toccato tutti: laici e credenti, e tra costoro cattolici e protestanti. La Chiesa non è restata immune, se è vero che già Paolo VI parlava di “fumo di Satana penetrato nel Tempio”.

Tuttavia, nel caso specifico della pedofilia, rimanendo solo ai credenti, è interessante il fatto che il fenomeno abbia coinvolto maggiormente i pastori protestanti, liberi di sposarsi, rispetto ai preti cattolici, votati al celibato (Indagine sulla pedofilia nella Chiesa, Fede&Cultura, 2010). Mentre infatti molte chiese protestanti hanno ceduto enormemente nei principi, e quindi, di conseguenza, anche nella pratica, al contrario, nella Chiesa cattolica, nonostante gli errori, propri dell’uomo e dei tempi, è sempre rimasta viva una voce controcorrente a contrastare la crisi della Fede e la rivoluzione sessuale: quella del magistero romano. Non è proprio per questa fermezza, perché la Chiesa cattolica ha ceduto meno di altre, che tantissimi anglicani rientrano oggi, sotto Benedetto XVI, nella Chiesa romana, in polemica con le loro gerarchie, troppo aperte verso la “rivoluzione sessuale”?

Quanto al fatto che la stampa progressista, da sempre in prima fila nella “liberazione sessuale”, oggi identifichi tendenziosamente nella Chiesa cattolica il luogo per eccellenza della pedofilia, fingendo di dimenticare i “bei tempi” in cui la Chiesa veniva accusata di imporre troppi tabù, si tratta, come è facile capire, di una vendetta postuma, di chi si improvvisa moralizzatore, strumentalmente, dopo aver contribuito alla demolizione sistematica dell’umano e dell’affettività vera. Il fatto è così chiaro che per un lapsus rivelatore, su Repubblica, il cardinale J. Bernardin, uno dei tantissimi prelati cattolici accusati ingiustamente di pedofilia, e poi scagionato, è stato recentemente confuso con l’eroe del momento, perché anti-romano e anti-papista, cioè il vescovo liberale Robert Weakland, lui sì, come si è visto, veramente colpevole di atti contro la morale, cristiana e naturale.

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«I nostri figli non si drogano». La Polizia costretta a convincerli con le foto dello sballo su Facebook

Posté par atempodiblog le 10 février 2014

«I nostri figli non si drogano». La Polizia costretta a convincerli con le foto dello sballo su Facebook
Tratto da: Il Messaggero.it

«I nostri figli non si drogano». La Polizia costretta a convincerli con le foto dello sballo su Facebook dans Articoli di Giornali e News 1gm8ap

I genitori non credono che i loro figli adolescenti si droghino. La Polizia, per convincerli, devono mostrare loro le immagini postate dai ragazzi su Facebook. Immagini che mostrano i giovani in pieno sballo, mentre fumano hashish e marijuana. E’ uno dei retroscena, socialmente il più interessante, dell’inchiesta dei regalini alla droga da Amsterdam. Ovvero la prassi di alcuni ragazzi delle città a sud di Ancona in gita in Olanda di spedire agli amici dosi di stupefacente acquistate nei coffee shop. Nella convinzione, sostengono i ragazzi, che essendo sostanze in libera vendita il loro comportamento non fosse reato.

L’inchiesta è destinata ad allargarsi e coinvolgere studenti di altre città a sud di Ancona. Ai cinque universitari di Osimo e Castelfidardo di 21 anni denunciati per spaccio, potrebbero affiancarsi nuovi indagati. La Polizia sta mettendo in controluce la ragnatela di rapporti che il quintetto aveva intessuto con i coetanei. Il gruppo è, infatti, composto da un trentina di studenti, residenti in varie città della Valmusone. I cinque raggiunti da avviso di garanzia sono tutti ragazzi benestanti, di buona famiglia. Ma nei mesi scorsi anche i loro altri amici erano partiti in mini comitive di 5 o 6, alla volta di Amsterdam.

Gli investigatori sospettano, pertanto, che non siano stati i soli ad aver escogitato il trucco di utilizzare la Posta per recapitare il “fumo” a casa degli amici. Il Commissariato di Osimo per ora ha intercettato alcuni plichi, sequestrando 6-7 dosi e risalendo ai mittenti della lettere olandesi grazie anche agli elementi di prova forniti dai social network. Certo la vicenda ha lasciato un retrogusto di amarezza ai genitori dei 21enni: disorientati ma scettici alle parole dei poliziotti, si sono dovuti ricredere davanti alle foto postate su facebook che ritraevano i loro ragazzi supini intenti a fumare un narghilè.

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