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Obiettivo: cancellare la Humanae Vitae

Posté par atempodiblog le 8 février 2014

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La grande maggioranza dei fedeli cattolici rifiuta l’insegnamento della Chiesa cattolica in materia di morale sessuale. E’ questa la sintesi delle prime risposte al questionario su famiglia e matrimonio inviato alle diocesi lo scorso novembre, in vista del Sinodo straordinario di ottobre. Una constatazione, a quanto emerge dai rapporti diffusi in questi giorni, che accomuna la Chiesa tedesca a quella svizzera e a quella austriaca. Dall’Italia, invece, ancora nessun dato preciso. Solo la comunicazione – fatta dal segretario generale ad interim della Cei, mons. Nunzio Galantino – che la consultazione «ha riscontrato risposta pronta e capillare».

Se la prima realtà ad aver diffuso i risultati è stata la Conferenza episcopale svizzera – che ha scelto di formulare un questionario più completo e complesso rispetto a quello presentato in Vaticano lo scorso autunno e che ha ottenuto almeno venticinquemila risposte, non solo da cattolici – il caso più significativo è quello della Germania. Il presidente dei vescovi locali, mons. Robert Zollitsch (in uscita a marzo), l’aveva annunciato: «Al Sinodo faremo sentire la nostra voce». E le premesse, scorrendo le diciotto pagine del rapporto, ci sono tutte. Se i cattolici tedeschi ritengono che il matrimonio debba essere stabile e felice, sul resto tutto deve cambiare. L’insegnamento del Magistero romano riguardo gender, unioni omosessuali, relazioni prematrimoniali, ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti viene «respinto espressamente».

Viste le risposte date al questionario, i vescovi della più ricca Conferenza episcopale europea auspicano che il Vaticano apra a «nuovi approcci riguardo la morale sessuale». La traccia, dopotutto, è già segnata: basta riprendere in mano il documento diffuso a ottobre dall’ufficio per la cura delle anime di Friburgo, che in nome della misericordia e sull’esempio della «seconda possibilità» concessa dalla Chiesa ortodossa, autorizzava a riaccostare ai sacramenti i divorziati risposati. Un’iniziativa che non era stata fermata neppure dopo l’intervento del prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il tedesco Gerhard Ludwig Müller, il quale aveva ricordato che iniziative del genere possono essere intraprese solamente da Roma. Ma Zollitsch (vescovo emerito di Friburgo e attuale amministratore diocesano) aveva rispedito al mittente il monito, anche perché altri prelati connazionali si erano nel frattempo posti sulla stessa scia, come il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga.

La questione è chiara, rileva il rapporto diffuso qualche giorno fa: «La maggior parte dei fedeli considera la morale sessuale cattolica lontana dalla vita» e auspica che si archivino i pregiudizi di carattere etico nei confronti di chi è andato incontro a «fallimenti nel campo della famiglia o del matrimonio». E’ anche una questione educativa, spiegano i vescovi tedeschi: «I giovani non capiscono più le argomentazioni della Chiesa su questi temi» ed è sempre più ampia «la distanza tra la dottrina e la pratica ecclesiale». Ecco perché bisogna ripensare anche l’approccio riguardo il controllo artificiale delle nascite, «che quasi tutti i rispondenti approvano», e l’atteggiamento riguardo gli omosessuali. In merito a questo punto, si legge nel dossier, «si registra una marcata tendenza ad accettare come atto di giustizia il riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso, che dovrebbero ricevere la benedizione da parte della Chiesa».

Si tratta di considerazioni che consentono all’episcopato guidato da mons. Zollitsch di puntare il dito contro l’Humanae Vitae di Paolo VI, da cui promana la dottrina cattolica in fatto di morale sessuale. Un testo che il vescovo di Treviri, mons. Stephan Ackermann, invita ad archiviare al più presto. Conversando con il quotidiano Rhein Main Presse, il presule ha infatti detto che «non potendo cambiare completamente la dottrina della Chiesa», è bene avviare un «cambiamento profondo della morale cattolica». Il che si traduce innanzitutto in un «adeguamento ai tempi correnti» dell’insegnamento della Chiesa – concetto pressoché identico a quello espresso nella sintesi illustrata dai vescovi belgi, dove si parla di  «adeguamento dei valori cristiani allo spirito dei tempi» – e in una riconsiderazione della questione omosessuale: «Non si può dire che sia qualcosa di innaturale».

Concetti talmente rivoluzionari che a stretto giro interveniva con un comunicato ufficiale che ha il sapore dell’altolà la diocesi di Ratisbona: «Tutte le questioni relative alla dottrina fondamentale della Chiesa non possono essere decise a livello diocesano o nazionale». Nient’altro  che la ripetizione di quanto aveva detto poco più di un mese fa il prefetto Müller nel tentativo di bloccare il documento di Friburgo sul riaccostamento dei divorziati risposati ai sacramenti.

E di famiglia e matrimonio ha parlato venerdì anche il Papa, incontrando i vescovi polacchi a conclusione della loro visita ad limina apostolorum: la famiglia – ha ribadito Francesco – «è la cellula fondamentale della società», mentre il matrimonio «è spesso considerato una forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno». Visione che – ha aggiunto Bergoglio – «purtroppo influisce anche sulla mentalità dei cristiani, causando una facilità nel ricorrere al divorzio o alla separazione di fatto». E’ necessario, dunque, «che i pastori si interroghino su come assistere coloro che vivono in questa situazione, affinché non si sentano esclusi dalla misericordia di Dio».

di Matteo Matzuzzi – La nuova Bussola Quotidiana

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L’ipotesi folle di una Chiesa che insegue i sondaggi

Posté par atempodiblog le 8 février 2014

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C’è una certa confusione a proposito dei questionari inviati dalla Santa Sede agli episcopati nazionali in vista della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si svolgerà in Vaticano dal 5 al 19 ottobre 2014. Sembra che alcuni episcopati abbiano fornito risposte di carattere dottrinale. Altri, come quello tedesco e austriaco, hanno consultato i fedeli con metodi che – a prima vista – sembrerebbero piuttosto aneddotici. Da sociologo, nutro seri dubbi sulla rappresentatività del campione. Se si è passati dalle parrocchie e dai consigli pastorali, ovviamente si sono ricavate le opinioni dei parroci – forse anche di qualche vescovo – e di quei gruppi «autoreferenziali» che occupano tante comunità parrocchiali con le loro interminabili riunioni, e di cui Papa Francesco come si sa non parla tanto bene.

Almeno i vescovi svizzeri si sono rivolti ai sociologi, precisamente all’Istituto di sociologia pastorale di San Gallo, il quale dovrebbe avere costruito un campione credibile, ancorché ci spieghi che ha selezionato «laici impegnati nella vita ecclesiale», anche qui dunque con il rischio di trascurare chi non partecipa ai gruppi parrocchiali ma non è per questo meno cattolico. I sociologi di San Gallo non hanno finito il loro lavoro, ma hanno riferito alla Radio Vaticana che il 97% dei cattolici svizzeri usa gli anticoncezionali, il 60% non vede niente di male nelle unioni omosessuali e vorrebbe perfino che la Chiesa le «benedicesse», una salda maggioranza è favorevole al divorzio e ai rapporti prematrimoniali e si comporta di conseguenza. Com’è noto, dalla Germania e dall’Austria sono venuti risultati analoghi, ancorché non certificati dai sociologi.

Si tratta di capire come interpretare questi dati. Se dobbiamo fidarci non delle interpretazioni dei vescovi austriaci o tedeschi, ma di quello che c’è scritto nel documento preparatorio inviato alle diocesi e accompagnato dal questionario, le domande non sono una sorta di referendum volto a cambiare la dottrina ma una rilevazione di taglio, appunto, sociologico su come si comportano i cattolici.

Che i cattolici non si comportino da cattolici non è una gran novità. La sociologia distingue – l’espressione è della studiosa inglese Grace Davie – tre dimensioni della religione, le tre B: «believing» (credere), «belonging» (praticare) e «behaving» (comportarsi). I sociologi sanno da anni che coloro che dicono di credere in Dio, e in Europa anche in Gesù Cristo, sono molti di più di quelli che vanno in chiesa. E che quelli che seguono l’insegnamento morale della loro religione sono molti di meno di quelli che frequentano le chiese. Ne ricavano che – anche in Europa – quando si parla di secolarizzazione bisogna distinguere: c’è poca secolarizzazione quanto al credere – gli atei rimangono una piccola minoranza, che non cresce –, una rilevante secolarizzazione nella pratica – anche con un concetto ampio di praticante, può essere considerato tale solo un europeo su cinque –, e una secolarizzazione ampiamente maggioritaria nei comportamenti, nel senso che solo una piccola frazione della popolazione segue l’insegnamento morale delle Chiese e comunità di appartenenza.

I sondaggi – diversamente effettuati nelle diverse nazioni – confermano quindi un quadro già noto. Non sono stati diffusi dati italiani, ma il fatto che il nostro sia il Paese del mondo dove nasce il minor numero di bambini, anche se l’ottanta per cento dei nostri connazionali si dice cattolico, certamente suggerisce un atteggiamento sugli anticoncezionali non tanto diverso da quello svizzero.

Però… c’è un però. Il questionario è stato diffuso in preparazione a un sinodo sulla famiglia. Ma le grandi inchieste dei sociologi – come la periodica Indagine europea sui valori (EVS) – non si occupano solo di morale sessuale e familiare, e del resto i comandamenti sono dieci. Incrociando i dati della EVS sui valori e sulla fede religiosa, e tenendo conto anche di altre indagini, scopriamo per esempio che in Germania, in Svizzera e in Austria una salda maggioranza della popolazione ritiene che gli immigrati siano troppi, si comportino male e non debbano godere degli stessi diritti dei cittadini. In diversi Paesi – tra cui l’Italia – il numero di cittadini che giustifica l’evasione fiscale, e dichiara che la pratica o la praticherebbe se solo non temesse di essere scoperta, è così alto da far concludere che è impossibile che non ne faccia parte un buon numero di cattolici praticanti.

Ci sono poi altri studi – alcuni, in Italia, li ho diretti io – che si occupano di credenze. È vero che la grande maggioranza degli italiani (93%) si dichiara credente, ma si tratta di vedere in che cosa crede. In Italia percentuali significative di persone che pure si dichiarano cattoliche non credono alla divinità di Gesù Cristo, non credono che la Resurrezione sia un evento storico realmente accaduto, non credono all’esistenza dell’Inferno e del diavolo e non credono che la Chiesa Cattolica sia un’istituzione voluta da Dio e divinamente assistita. Queste percentuali di «non credenti selettivi» per alcune verità della fede diventano maggioritarie fra i giovani dai 15 e i 29 anni. Più di metà dei cattolici italiani non si confessa mai. In altri Paesi le cose vanno molto peggio, sia quanto alle credenze sia quanto alla confessione, frequentata in molte zone del Nord Europa e degli Stati Uniti da sparute minoranze.

Cito questi dati per far capire come – mentre ha un senso utilizzare lo strumento dei questionari per capire quanto è profonda la crisi del mondo cattolico contemporaneo – non ne ha nessuno prendere i risultati, anche ove siano attendibili, di queste ricerche come indicazioni su come la Chiesa potrebbe cambiare per adeguarsi al «mondo». Ovviamente, questo sarebbe anzitutto assurdo dal punto di vista teologico: la Chiesa non ha mai adeguato le sue dottrine ai sondaggi, con il rischio di cambiare opinione a ogni sondaggio come il Matteo Renzi della divertente caricatura di Crozza.

Se – come sembra che qualche vescovo voglia suggerire in Germania, Svizzera o Austria – il Sinodo dovesse cambiare le dottrine per adeguarle a quello che pensano i fedeli, dopo – o forse prima – di quello sulla famiglia urge un sinodo sull’immigrazione: non per studiare il bellissimo discorso di Papa Francesco a Lampedusa, ma per organizzare al più presto nelle parrocchie dell’Europa di lingua tedesca la distribuzione domenicale di randelli per bastonare gli immigrati, posto che  proprio dalle parti di Berlino, Zurigo o Vienna l’avversione agli immigrati è ancora più diffusa di quella alla dottrina morale della Chiesa.

Se non si crede ai sondaggi, si guardino i referendum: come quello svizzero del 2009 che ha introdotto, evidentemente non in segno di simpatia verso gli immigrati musulmani, un divieto costituzionale di costruire minareti. Se invece si crede ai sondaggi, si metta in programma anche un sinodo per concedere indulgenze agli evasori fiscali: sarebbe particolarmente gradito in Italia. Perché delle due l’una: se i sondaggi dove ciascuno protetto dall’anonimato confessa i suoi peccati o manifesta i suoi vizi sono la voce genuina del «popolo di Dio» allora bisogna seguirli su tutto. Perché la «vox populi» diventa «vox Dei» quando si esprime a favore dell’evasione dal dovere di fedeltà al coniuge e non quando si esprime a favore dell’evasione delle imposte?

Né una bizzarra Chiesa che costruisse la sua dottrina a colpi di sondaggi dovrebbe fermarsi alla morale. Inseguendo i sondaggi occorrerebbe abolire l’Inferno, i miracoli, la Resurrezione, la divinità di Gesù Cristo, la natura divina della Chiesa: tutte credenze impopolari. Dichiarare che tutte le religioni sono uguali, perché lo pensa la maggioranza delle persone. Consigliare a Papa Francesco di non perdere tempo a parlare tutte le settimane del diavolo, perché la grande maggioranza non ci crede. E di smetterla di mettere al centro del suo Magistero la confessione, perché tanto ci sono intere diocesi dove i cattolici che si confessano sono ridotti a quattro gatti.

Se i sociologi – all’improvviso – sono diventati interessanti, avrebbero anche un’altra piccola notazione da proporre. E cioè che adeguare la propria dottrina al pensiero unico dominante è il modo più sicuro per perdere fedeli e chiudere bottega. Lo spiegò già nel lontano 1972 in un libro diventato un classico delle scienze sociali, «Perché le Chiese conservatrici stanno crescendo», Dean M. Kelley (1927-1997), sociologo e dirigente del Consiglio Nazionale delle Chiese negli Stati Uniti. Kelley, che era personalmente un progressista, notò che le comunità protestanti che si erano schierate per l’aborto, i rapporti prematrimoniali e un atteggiamento tollerante sull’omosessualità stavano perdendo membri così rapidamente che rischiavano di chiudere i battenti, mentre crescevano in modo spettacolare gruppi «pro life» e «pro family» come i mormoni e i pentecostali.

I quarant’anni successivi hanno dato ragione a Kelley. Qualche ingenuo ecclesiastico pensava che conformandosi alle opinioni dominanti avrebbe riempito le chiese. Invece le ha svuotate. Perché per sentire quello che già dicono fino allo stordimento i giornali, le televisioni e Internet non c’è bisogno di andare in chiesa. Dalla Chiesa si vuole una testimonianza controcorrente: non si chiede che incoraggi i nostri vizi – per quello, tutte le mattine, ci sono già i grandi quotidiani – ma che ci faccia riflettere e cerchi di renderci uomini e donne migliori. Dunque una preghiera ai vescovi del Sinodo: studiate i sondaggi, ma – se non volete organizzare l’eutanasia delle vostre diocesi – evitate accuratamente di adattare la vostra predicazione alle opinioni che dai sondaggi emergono come maggioritarie. Immagino che vi stia a cuore la verità. Ma – immaginando per pura ipotesi fantastica e non credibile che a qualcuno di voi della verità importi poco o nulla – pensate al serio rischio di ritrovarvi, come tanti colleghi di comunità protestanti «liberal», senza fedeli e senza lavoro.

di Massimo Introvigne – La nuova Bussola Quotidiana

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L’8 febbraio si celebra Santa Giuseppina Bakhita

Posté par atempodiblog le 8 février 2014

L’8 febbraio si celebra Santa Giuseppina Bakhita
Fonte: Il Sussidiario

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Il giorno 8 febbraio la Chiesa cattolica celebra la memoria di Santa Giuseppina Bakhita. Nata a Oglassa (Sudan) nel 1869, fu rapita da bambina e ripetutamente venduta nel mercato degli schiavi a diversi padroni, visse pertanto una vita segnata dalla violenza e dai soprusi. Una sua autobiografia racconta che all’età di nove anni, mentre passeggiava per i campi della vasta regione del Darfur, sbucarono due stranieri armati che minacciandola le puntarono un acuminato coltello al fianco, intimandole di seguirli. Venne così venduta nel mercato degli schiavi ed iniziò a passare da un padrone all’altro, vivendo momenti di tragica violenza e privazioni. Venne addirittura marchiata con un rito tribale ed efferato che prevedeva la pratica di circa 120 tagli di coltello, sparsi lungo tutto il corpo.

Dopo una lunga serie di trattative, alla quinta vendita, venne ceduta al console italiano Callisto Legnami che, mosso a pietà di quella indifesa e violata ragazzina, iniziò a trattarla con dignità e profondo rispetto. Finalmente la Santa ricevette in dono un vestito col quale potersi coprire e ripararsi dal freddo che aveva lungamente patito. A seguito delle vicissitudini politiche del periodo, il console decise di lasciare il Darfur e di fare ritorno in patria, portando con sé la piccola schiava che lo aveva supplicato di poterlo seguire. Giunti in Italia, il console regalò la giovane Bakhita ad una famiglia di amici dove diventerà la bambinaia della piccola Alice. Ed in quella circostanza maturò l’incontro con Cristo e la sua conversione. La mamma di Alice, infatti, dovette partire per l’Africa ed affidò la piccola bambina alle cure del collegio diretto dalle Suore Canossiane di Venezia. Bakhita rimase così in Italia, e nel gennaio del 1890 ricevette dal patriarca di Venezia i sacramenti che si conferiscono ai cristiani, assumendo il nome di Giuseppina Margherita Fortunata (che in arabo si traduce Bakhita). Qualche anno dopo entrò nel noviziato delle Canossiane, ove pronunciò i solenni voti, ricoprendo i ruoli umili di cuoca, portinaia e sacrestana.

Grazie al ruolo di portinaia, servizio che le permetteva di stare in contatto con la gente del luogo, iniziò ad essere benvoluta ed amata da tutti, grazie ai suoi modi cordiali, alla sua voce pacata ed il volto sempre sorridente e cordiale. Il suo carattere e la sua fama di santità presto si diffusero e giunsero anche a conoscenza dei suoi superiori, così la superiora generale dell’ordine chiese a Bakhita di rilasciare un’intervista ad una maestra canossiana laica. Quest’ultima raccolse tutte le dichiarazioni rilasciate dalla suora africana e le pubblicò in un libro che fece il giro del mondo. In breve tempo, la fama di Bakhita si diffuse e moltissime comitive giungevano a Schio per conoscerla e poterle scambiare qualche veloce battuta, visto che parlava soltanto in dialetto veneto.

Nel 1933 iniziò a viaggiare per l’Italia per tenere delle conferenze per far propaganda missionaria e venne ricevuta anche da Benito Mussolini, a Roma. Nel 1939 iniziarono a manifestarsi per lei dei gravi problemi di salute, che la condussero lentamente alla morte avvenuta l’8 febbraio del 1947.

A soli 12 anni dalla morte della religiosa venne avviato il processo di beatificazione e nell’ottobre del 2000 venne canonizzata dall’allora Sua Santità Papa Giovanni Paolo II. Il miracolo, necessario per l’avvio della pratica della canonizzazione, fu quello della guarigione di una donna brasiliana affetta da ulcerazioni agli arti inferiori, attribuito a Suor Bakhita. La donna miracolata era affetta da una forma avanzata di diabete, che le causava delle ulcerazioni infette alle gambe, che avrebbero condotto all’amputazione degli arti inferiori. Così nel 1992, in preda alla disperazione, in occasione di una riunione nella cattedrale di Santos invocò l’intercessione dell’allora beata Suor Bakhita e una volta tornata a casa si accorse che qualcosa che era cambiata. Le profonde ferite, che lasciavano scoperte le ossa delle gambe, si erano rimarginate e la pelle si era risanata, come se fosse rinata nuova. La guarigione, attribuita alla suora canossiana, venne ritenuta inspiegabile e così la donna miracolata poté partecipare, nel 2000, alla canonizzazione della santa africana.

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La dottrina della Chiesa a processo per omofobia

Posté par atempodiblog le 8 février 2014

La dottrina della Chiesa a processo per omofobia
A Pamplona, in Spagna, sotto inchiesta il cardinale nominato dal Papa. L’accusa è di aver esposto la posizione del Vaticano sull’omosessualità
di Serena Sartini – Il Giornale

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La sua unica colpa, che ora potrebbe addirittura costargli la galera, è stata quella di riaffermare chiaramente la posizione della Chiesa, dettata dal catechismo cattolico. E così accade che in Spagna, monsignor Fernando Sebastian Aguilar, arcivescovo emerito di Pamplona e futuro cardinale – riceverà la porpora nel primo Concistoro di Papa Francesco il 22 febbraio – venga indagato e incriminato per omofobia, per aver utilizzato il termine «deficienza» riferendosi agli omosessuali.

A scagliarsi contro di lui, e dunque a intentare causa, è stata «Colegas», un’organizzazione non governativa spagnola del mondo cosiddetto Lgtb, con l’accusa di oltraggio alla Costituzione, incitamento all’odio e alla discriminazione, reato simile a quello che si voleva introdurre anche in Italia. Accuse pesanti verso l’arcivescovo che si era espresso sul tema in un’intervista al Diario Sur il 20 gennaio scorso. Nel giro di pochi giorni, dunque, il Vaticano finisce sotto processo per le sue posizioni in temi morali, che arrivano dritte sui banchi dei Tribunali e che diventano presto materiale di procedimenti giudiziari. Ci sono ancora gli strascichi del «processo sommario» dell’Onu al Vaticano, col documento pubblicato dal Comitato per la difesa dei minori, che ha accusato la Santa Sede di non aver adeguatamente risposto al fenomeno della pedofilia all’interno della Chiesa.

Proprio ieri padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa della Santa Sede, è tornato a rispondere al Palazzo di Vetro, accusandolo di aver elaborato il dossier sulla pedofilia dietro impulso di Organizzazioni non governative «ben note, pregiudizialmente contrarie alla chiesa cattolica e alla Santa Sede». E ora arriva un nuovo atto di accusa. A Malaga monsignor Fernando Sebastian Aguilar, 84 anni, è accusato del reato di «omofobia». L’arcivescovo, fine teologo, molto stimato da Papa Bergoglio e suo personale amico, nell’intervista al Diario Sur aveva affrontato il tema dell’omosessualità. Aveva parlato di «accoglienza, rispetto e stima» verso i gay. Il Papa però «non tradisce né modifica il magistero tradizionale della Chiesa. Una cosa è manifestare accoglienza e affetto a una persona omosessuale e altra cosa è giustificare moralmente l’esercizio dell’omosessualità. A una persona – aveva proseguito l’arcivescovo – posso dire che ha una deficienza che è quella che è, però questo non significa che smetta di stimarla e aiutarla». Su quella parola, «deficienza», si è aggrappata l’accusa della Ong spagnola. Ma il futuro cardinale aveva anche precisato il senso di quel termine. «Con tutto rispetto dico che l’omosessualità è una maniera deficitaria di manifestare la sessualità, perché questa ha una struttura e un fine che è quello della procreazione. Segnalare a un omosessuale una deficienza non è un’offesa, è stima. Quando una persona ha un difetto, un buon amico glielo dice». La parola «deficienza» è stata però subito deformata in «malattia» e gli attivisti della comunità omosessuale spagnola hanno cavalcato l’ondata post-zapateriana per appellarsi alla procura che ha prontamente detto sì alle richieste della lobby gay. Immediata la replica della diocesi di Malaga che, in una nota, parla di «manipolazioni delle dichiarazioni dell’arcivescovo» che «non ha mai parlato di “malattia”». «Il termine deficienza non si riferisce a una malattia, ma si inserisce nel contesto della sessualità piena e integrata, diretta al fine della procreazione», ha precisato la diocesi, sottolineando che «le dichiarazioni dell’arcivescovo si sono mantenute strettamente sul piano della moralità» e su questo «il catechismo della chiesa cattolica è molto chiaro». Ora sarà la magistratura spagnola a chiarire se le dichiarazioni di Sebastian Aguilar costituiscano oggetto di reato. È la prima volta che un vescovo, in Spagna, è indagato per omofobia. Rischia di non essere l’ultima.

Il rapporto firmato dal Comitato Onu per i diritti dei bambini presenta «limiti gravi», dice il portavoce vaticano padre Federico Lombardi. «In particolare – spiega – sembra grave la non comprensione della natura specifica della Santa Sede». Un fatto, aggiunge, su cui «si ha diritto di stupirsi». E ancora: «Il modo di presentare le obiezioni e l’insistenza su diversi casi particolari sembrano insinuare che si sia data molta maggiore attenzione a Ong ben note, pregiudizialmente contrarie alla Chiesa cattolica e alla Santa Sede, che non alle posizioni della Santa Sede stessa». Inoltre il Vaticano pone l’accento sul fatto che le «osservazioni del Comitato in più direzioni sembrano andare oltre le compentenze e interferire nelle stesse posizioni dottrinali e morali della Chiesa cattolica», dando indicazioni su contraccezione e l’aborto.

Davanti alla crisi del matrimonio che si manifesta con «la facilità nel ricorrere al divorzio o alla separazione di fatto», secondo Papa Francesco «i pastori sono chiamati a interrogarsi su come assistere coloro che vivono in questa situazione, affinché non si sentano esclusi dalla misericordia di Dio, dall’amore fraterno di altri cristiani e dalla sollecitudine della Chiesa per la salvezza». È un passaggio del discorso che il Papa ha consegnato ai vescovi della Polonia. Per il Pontefice occorre «aiutarli a non abbandonare la fede e a far crescere i loro figli nella pienezza dell’esperienza cristiana».

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