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Una società senza Dio

Posté par atempodiblog le 5 février 2014

E’ morto ieri, a 93 anni, il grande scrittore Eugenio Corti. I funerali saranno celebrati sabato 8 febbraio.

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Una Società senza Dio
Una “teologia della storia” che ci aiuta a capire il senso più profondo degli eventi a cavallo tra secondo e terzo millennio.
di Eugenio Corti – Il Timone

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Il ‘900 è stato il secolo che in ambito culturale ha visto avanzare – con preoccupante forza – i sostenitori della cosiddetta “morte di Dio”. Si tratta di un movimento di idee che ha avuto origine nei secoli precedenti, e si può riassumere nella radicale opposizione all’idea che invece dominava la cristianità nel Medioevo: se in quel periodo era Dio al centro dell’Universo, questi “riformatori” del pensiero moderno spostano al centro del mondo l’uomo. Dal teocentrismo si è passati all’antropocentrismo, facendo sempre meno spazio a Dio.
Non è un caso che questi pensatori siano partiti dalla scoperta rinascimentale del paganesimo. Questo percorso d’idee s’è concretato dapprima nell’illuminismo inglese e francese, e poi nell’idealismo tedesco, ed è approdato alla monumentale ridefinizione della realtà fatta da Hegel. Nel cui solco si muovono filosofi – come ad esempio Nietszche e Feuerbach – che hanno apertamente prospettato l’estromissione di Dio dalla storia dell’uomo. Costruire una società senza Dio è stato il sogno dei grandi totalitarismi del ‘900: da una parte il nazismo, dall’altra il comunismo.
Il fatto più rilevante accaduto nel ‘900 è però che i libri scritti dai fautori della “morte di Dio” sono usciti dagli scaffali delle biblioteche e delle austere aule universitarie e sono diventati ideologia, vita vissuta. Intendo dire che la filosofia anticristiana e antiumana si è tradotta nell’azione, nella pratica e nel senso comune. Conseguenza è stata non certo la morte di Dio, ma la morte dell’uomo, su scala terribile. Abbiamo così avuto più di 100 milioni di uomini uccisi dal comunismo e 25 milioni di vittime innocenti del nazismo.
Numeri impressionanti, di cui c’era già stata un’avvisaglia nella Francia rivoluzionaria, dove a fine Settecento gli illuministi giacobini avevano massacrato 500.000 vandeani, solo in parte combattenti, ma per lo più donne, vecchi e bambini inermi.
Oggi, sebbene l’orrore dei nostri contemporanei per queste mattanze inaudite sia pressoché unanime, l’eredità culturale dei fautori della morte di Dio e dell’edificazione di un mondo che lo esclude non è stata affatto ripudiata. Sono solo cambiate le forme e sono diversi i nomi sotto cui questa filosofia si presenta. Se il nazismo è finito da un pezzo, e il comunismo è imploso, oggi dobbiamo ancora fare i conti col laicismo, e tra l’altro col “pensiero debole”, un fenomeno piuttosto marginale altrove – come ad esempio in Francia, dove mi reco spesso per le presentazioni dei miei libri – ma assai significativo qui in Italia. Questa visione che esclude Dio dalla società costituisce di nuovo l’idea dominante nell’ambito della cultura. Cosicché, se qualcuno prova a farle fronte, subito gli vengono tagliate le gambe nel consesso degli intellettuali. È qualcosa che prosegue in maniera non cruenta ciò che avveniva con il leninismo, che invece decretava la morte fisica degli elementi ritenuti ostili al pensiero unico. Qui non si viene uccisi, ma si subisce la morte civile, secondo un procedimento studiato in particolare da Gramsci. Si viene tagliati fuori dai giornali che contano, dalle televisioni, dagli ambienti preposti alla produzione della cultura condizionatori dell’opinione pubblica.
Vediamo questo meccanismo operare in modo spicciolo soprattutto col “politicamente corretto”: chi non è politicamente corretto viene emarginato, messo in un angolo. Per questo motivo, gli uomini veramente fedeli alla Chiesa hanno subito una progressiva strisciante forma di emarginazione.
Tuttavia, negli ultimi anni stiamo assistendo a un fenomeno nuovo, nell’universo laicista, che è stato battezzato da alcuni con l’espressione “teocon”, che allude all’emergere di figure assai eterogenee, accomunate da un sentimento in controtendenza: l’idea che si debbano in qualche modo riscoprire e difendere le radici cristiane della nostra civiltà. Non di rado i campioni di questa impostazione sono degli atei dichiarati – di qui la formula denigratoria di “atei devoti” – ma ciò non impedisce loro di essere spesso più d’accordo con il Papa Benedetto XVI di quanto lo siano tanti politici, intellettuali ed altri individui sedicenti cattolici, in pratica però influenzati dal laicismo.
Come si deve valutare questo fenomeno? Che cosa devono fare i sinceri credenti in Cristo e nella Chiesa di fronte a tale nuova posizione culturale? Credo si debba assumere l’atteggiamento suggerito da San Paolo nella lettera ai Tessalonicesi: «Prendete in esame tutto, trattenete ciò che è buono». Quegli “atei devoti” sono mossi soprattutto da una percezione: che il confronto tra Occidente e Islam ci vede in una posizione di tremenda debolezza. L’Occidente esprime in realtà una cultura che non crede più in niente. Il musulmano, invece, ha una fede e finirebbe quindi inevitabilmente col soverchiarci. Certo, all’inizio, il gap bellico ed economico permette all’Occidente di tenere testa alle masse islamiche, che però hanno dalla loro una forte identità e una tendenza demografica esattamente opposta all’egoismo di casa nostra.
I cristiani non devono in questa situazione farsi prendere dallo sconforto. Consideriamo bene qual è la nostra prospettiva: sappiamo che un Dio di straordinaria potenza (Creatore della nostra galassia che comprende più di 100 miliardi di sistemi solari, e Creatore intorno a questa di più di altri 100 miliardi di galassie) quel Dio è sceso tra noi facendosi uomo per venirci in aiuto. Perché – come Lui stesso ha spiegato – ci ama. Dobbiamo perciò confidare che non permetterà si arrivi allo scempio totale, cui senza dubbio ci porterebbero le scelte contro Dio che l’Occidente sta facendo una dopo l’altra nel nostro tempo. Alludo alle leggi che consentono di uccidere ogni anno su scala di milioni i bambini non nati, o le leggi che stanno legalizzando in molti Stati le prevaricazioni di Sodoma e Gomorra, o quelle che stanno scristianizzando studiatamente un grande Paese cristiano come la Spagna; e del resto basterebbe pensare alla caduta a picco dovunque dei costumi, indotta in particolare dalla televisione.
Pur lasciando agli uomini una così terribile libertà, Dio però non si disinteressa della loro sorte. Nel corso della mia vita ho assistito a diversi Suoi grandi interventi diretti nella storia. Non c’è qui spazio per riepilogarli, ma basterebbe ricordare la colossale implosione del comunismo in Russia, dopo la consacrazione di tale Paese alla Madonna operata dal Papa come richiesto dalla stessa Madonna a Fatima. Possiamo dunque confidare che a un certo punto Egli ci verrà ancora incontro. A una condizione, però: che la miriade di uomini che con la loro buona volontà letteralmente tengono in piedi il mondo (ricordate i dieci di Abramo che sarebbero bastati a salvare l’intera città?) continuino ciascuno nel suo modesto ambito a operare, e non s’adagino nell’inerzia.
Contro il pericolo di addormentarsi nell’indifferenza generale, teniamo presente ciò che è accaduto nel secolo scorso, quando i più tragici accadimenti si sono verificati mentre solo pochi anni prima nessuno li prevedeva o se li aspettava.

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I fiori del male

Posté par atempodiblog le 5 février 2014

I fiori del male
Salutista, paladino degli animali, guru del biologico, autore di fiabe. Ecco Himmler, l’assassino più politicamente corretto della storia
di Giulio Meotti - Il Foglio

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“Sei un ebreo?”, chiede Heinrich Himmler a un prigioniero durante una visita nel fronte orientale del 1941. “Sì”. “Entrambi i genitori sono ebrei?”. “Sì”, continua il ragazzo. “Hai antenati che non fossero ebrei?”. “No”. “Allora non posso aiutarti”. Il giovane viene fucilato sotto gli occhi del gerarca nazista. Questo era Heinrich Himmler.

Di Hitler si dice che fosse “magnetico”. Di Göring che fosse un valoroso pilota. Di Goebbels che fosse un demagogo straordinario. Di Heydrich che fosse un provetto schermidore, un eccellente pilota e un ottimo musicista. Nessuno è mai riuscito a trovare niente di speciale in Himmler, non un solo momento di carisma e umanità in tutta la sua esistenza. Fra i grandi capi nazisti è il più efferato e il più anonimo. L’uomo che vanta un curriculum di delitti senza precedenti non mostra segni caratteristici. Basso, flaccido, calvo, grassoccio, occhi acquosi, mento sfuggente, stretta di mano molle, Himmler era uno come tanti, monotono e pedante. Solo che il suo ufficio era il comando delle SS e della polizia nazista, il suo compito realizzare il più spaventoso massacro della storia. I suoi lineamenti sono talmente banali che nel maggio del 1945 non viene identificato dai sovietici che lo fanno prigioniero e dagli inglesi che lo prendono in custodia. Non si è nemmeno camuffato: a Himmler è bastato togliersi i pince-nez. Senza quelli, non è più lui. Come in una gag, Himmler era i suoi occhiali. Dietro non c’è nulla. Fino a oggi.

“Vado ad Auschwitz. Baci, il tuo Heini”, scrive Himmler alla moglie Margaret. E ancora: “Nei prossimi giorni sarò a Lublino, Zamosch, Auschwitz, Lemberg e poi nella nuova sede. Sono curioso di vedere se e come funzionerà il telefono. Saluti e baci! Il tuo Pappi”. Pochi giorni dopo parte per un sopralluogo di due giorni ad Auschwitz per vedere con i suoi occhi che cosa accade a un trasporto di ebrei sottoposti all’azione del pesticida Zyklon B. I cadaveri gonfi che si colorano di blu, i forni crematori. Himmler dà il via libera alla distruzione su vasta scala del popolo ebraico.

Queste sono soltanto due delle straordinarie lettere ritrovate in Israele e pubblicate in questi giorni dal quotidiano tedesco Die Welt. Documenti, corrispondenza e fotografie dell’architetto dell’Olocausto. Leggendo queste lettere, vedendo queste immagini, i giornali hanno sottolineato la “normalità” del boia del Terzo Reich, il capo delle SS, del programma eutanasia e dell’annientamento del popolo ebraico. Le lettere ci rivelano un Himmler attento alle spese personali, che vive senza lussi, a differenza di quasi tutti gli altri gerarchi, specie Göring. Dalle lettere ne esce un Himmler “sobrio esecutore di una visione del mondo”, come dice lo storico Michael Wildt. Ai suoi occhi l’omicidio di massa era un passo necessario per compiere la missione del Terzo Reich. “Sarò in un centro di esecuzioni per testare nuovi e interessanti metodi di fucilazione”, scrive il gerarca alla moglie. Come commenta lo Spiegel, “Himmler non aveva nulla di banale, era intelligente, possedeva una energia radiante, e una fantasia capace di attuare l’ideologia del nazionalsocialismo in azione”. Le lettere confermano che Himmler non era un mostro, non aveva nulla di demoniaco, né di sadico, non traeva piacere nella sofferenza altrui (si sentì spesso male di fronte alle carneficine). Aveva una missione, invece, e una ideologia ben precisa. Pagana, salutista, eugenetica, ecologista, darwiniana, ultra moderna e iper illuministica.

Queste ultime scoperte ci parlano di un uomo che concepiva se stesso, nelle parole di Joachim Fest, “non come un assassino, ma come un patrono della scienza”. E fu proprio quella moglie, l’infermiera Margaret, appassionata di omeopatia e mesmerismo, a introdurlo alla scienza del biologico. Una fotografia li ritrae a raccogliere erbe mediche sul lago di Tegernsee, dove la moglie e la figlia Gudrun lo aspettavano. Era il giugno 1941. Questo materiale incredibile si trova a Tel Aviv, in un caveau di proprietà della regista Vanessa Lapa, che ha realizzato un documentario su Himmler la cui proiezione in anteprima è in programma alla prossima Berlinale. Emerge l’Himmler pioniere dell’alimentazione biologica e della battaglia contro il “Gm Food”, il cibo geneticamente modificato, da combattere a favore di una “agricoltura in accordo con le leggi della vita”. “L’artificiale è ovunque”, scriveva Himmler. “Ovunque c’è cibo adulterato, pieno di ingredienti che lo rendono longevo e più bello”.

Himmler era un avido lettore di Max Bircher-Benner e Ragnar Berg, i due principali sostenitori del cibo biologico, il primo addirittura inventore del famoso Muesli. Himmler si distinse come uno zelota della lotta agli additivi, ai conservanti, ai coloranti, e vietò l’uso dello zucchero bianco raffinato e del miele artificiale. Grande sostenitore dei rimedi naturali, il capo delle SS fu anche un acerrimo nemico della vivisezione e promosse campagne per la tutela dell’ambiente e di specie sotto minaccia di estinzione, come la balena. Secondo Himmler, si doveva bandire la vivisezione con l’obiettivo di “risvegliare e rafforzare lo spirito di compassione in quanto uno dei più alti valori morali del popolo tedesco”. Un Himmler orgoglioso di definire questo popolo “l’unico al mondo ad avere un’attitudine decente verso gli animali”.

Il più zelante assassino di bambini della storia scrisse persino un libro di fiabe, in cui i topi scovati nelle case dei tedeschi non vengono uccisi, ma portati in tribunale per essere processati, “trattati con umanità”. Su volontà di Himmler furono approvate direttive per il trasporto degli animali, furono ospitate a Berlino conferenze internazionali sulla protezione degli animali e promulgata una regolamentazione della macellazione dei pesci e di altri animali a sangue freddo. Una volta Himmler chiese al suo medico, noto cacciatore: “Come puoi, tu, dottor Kersten, gioire sparando, da un riparo, a delle creature indifese, che vagano per la foresta, incapaci di proteggere se stesse e prive di ogni sospetto? E’ un vero delitto. La natura è tremendamente bella e ogni animale ha il diritto di vivere”. Intanto gli ascari di Himmler inseguivano e abbattevano gli ebrei nelle foreste della Polonia e dell’Ucraina.

Un saggio di due ricercatori americani, Arnold Arluke della Northeastern University di Boston e Boria Sax della Pace University di New York, è arrivato addirittura alla conclusione che “l’Olocausto è stato causato dalla paura della contaminazione genetica del popolo tedesco che i nazisti consideravano unico anche per il suo rapporto privilegiato e simpatetico con gli animali”. Himmler decise anche di bandire la macellazione rituale ebraica che non permette di anestetizzare la bestia. Stigmatizzava la tradizione kasher perché si poneva “contro la raffinata sensibilità della società tedesca” e addirittura come “una sofferenza inutile”.

Salutista, Himmler aveva in odio il tabacco, che definiva “una masturbazione polmonare”. Il Reichsführer che incitava i suoi soldati a non avere pietà di una colonna di donne e bambini da fucilare, bandì il fumo non soltanto fra le sue SS, ma anche in molti luoghi di lavoro, negli uffici governativi, negli ospedali e sui treni e autobus delle città. Nessuno fumava mai in presenza del sovrano dei campi di concentramento.

Himmler raccomandava colazioni a base di porri crudi e acqua minerale, e dedicò parte della sua attività al “problema delle patate lesse”, finanziando persino delle ricerche sul tema. Emerge anche una passione per i bagni nel fieno d’avena. Himmler aveva messo a punto anche uno speciale menu da sottoporre al popolo tedesco: il caffè del mattino era sostituito da latte e poltiglia di cereali; a tavola, al posto di vino o birra, si doveva bere acqua minerale; i pasti erano da calcolare minuziosamente sui computi delle vitamine e delle calorie prescritte dagli eugenisti a lui vicini. Himmler amava i cerbiatti e definiva la caccia “un delitto a sangue freddo contro esseri innocenti”. E’ la stessa persona che sponsorizza nei campi di sterminio i medici criminali e gli esperimenti sulle cavie umane. Il capo delle SS era prima di tutto un allevatore di polli. Un destino che condivise con altri genieri della “soluzione finale”: Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz, aveva un negozio di macelleria; Willi Mentz, guardiano a Treblinka, aveva fatto il mungitore di vacche; Kurt Franz, ultimo comandante di Treblinka, era stato macellaio come Karl Frenzel, “fuochista” prima a Hadamar poi a Sobibor.

A Waldtrudering gli Himmler si stabiliscono con il cane, i polli, i conigli e un maiale. “Le galline depongono male”, scrive Margaret a Himmler. “Appena due uova al giorno”. La famiglia Himmler, alla fine della guerra, sognava di aprire una grande industria di allevamento di uova biologiche. Lo stratega dello sterminio stravedeva per i tramonti, ma soprattutto per i fiori. E giunse così a ordinare la produzione di erbe medicinali e miele organico nel campo di concentramento di Dachau, dove il dottor Fahrenkamp diresse una sorta di paradiso verde in mezzo al lager.

L’Istituto tedesco per la nutrizione e il cibo organizzò una rete di coltivazioni all’interno dei campi di concentramento in Polonia e Cecoslovacchia. A Dachau la piantagione era diretta dal botanista austriaco Emmerich Zederbauer, che coordinava un gruppo di medici, farmacisti e tecnici di laboratorio. Ad Auschwitz, invece, Himmler aveva ordinato di coltivare una speciale pianta dell’est, la kok-saghyz, che riteneva avesse speciali poteri curativi. Nella rete di venti campi di concentramento, Himmler organizzò la più grande coltivazione europea di erbe medicinali. Himmler paragonava spesso il suo lavoro di selezionatore di gruppi etnici, disabili ed ebrei, a quello di un botanico: “L’affrontammo come un vivaista che tenta di riprodurre una vecchia varietà che è stata adulterata e svilita. Partimmo dai criteri di selezione delle piante e quindi procedemmo, con molta determinazione, a eliminare gli uomini che ritenevamo di non poter utilizzare”.

Una speciale squadra agli ordini di Himmler lanciò una guerra contro la impatiens parviflora, un fiore boschivo giudicato “alieno” nelle campagne tedesche. Il capo delle SS sognava poi di “creare una immensa zona naturale di flora e fauna in Polonia”. Aveva persino proibito di usare fiori artificiali ai funerali e fu fiero di fare della Germania il primo paese europeo con delle riserve naturali. Le lettere di Himmler alla moglie sono piene di riferimenti ai fiori, una sua ossessione. In una missiva, Himmler racconta di averle spedito 150 tulipani dall’Olanda: “Di un colore, di due colori, non ne trovi così in Germania”. I suoi ordini di annientamento di villaggi e popolazioni, il Reichsführer li firmava rigorosamente con dei lapis naturali. Di legno, mica di plastica.

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