Il buon vino della vecchiaia

Posté par atempodiblog le 25 janvier 2014

Il buon vino della vecchiaia dans Papa Francesco I jkeiza

I due Vegliardi
Sulla terrazza di un ristorante affacciato su un lago, contemplo a pochi metri di distanza l’uno dall’altro, un inedito adattamento della contemplazione ignaziana dei Due Stendardi, che potremmo definire i Due Vegliardi. Alla mia sinistra c’è una non più giovane coppia in cui vediamo riflessa quell’estetica dei comportamenti che siamo soliti definire “buone maniere”. Intendo maniere senza manierismi né smancerie, semplicemente lo specchio di una società ordinata. Ben vestiti, sia pure senza ricercatezze, dai modi gentili e delicati, ma senza sofismi. Naturalmente elegante la signora con le sue premure verso il marito, la cui espressione apparentemente burbera nella lettura del giornale si allarga poi in un sincero sorriso quando all’accensione della pipa sbuffano allegre le prime nuvole di fumo. Si direbbe che le loro chiome ormai bianche siano corone illuminate dai raggi del sole.

Alla mia destra, altro tavolino, altra vecchiaia, tutt’altra (anti)estetica: un uomo rinsecchito, dai modi vanamente giovanili come la t-shirt inneggiante alla marjuana e capello lungo a completare il look rivoluzionario del giovane che fu e che non è più. Anche qui una chioma candida, ma più che una corona richiama una pianta appassita. Sembra di assistere ad un curioso contrasto tra Pannella e Tolkien, oppure chiamateli come preferite, in ogni caso ai due tavolini vedo altrettante immagini della vecchiaia, che spingono a riflettere su quale mentalità, quale idea di società, ci sia dietro ciascuno dei due – e di riflesso a chiedersi in quale dei due modi vorremmo invecchiare. Dimmi come invecchi e ti dirò chi sei. A tale proposito l’allora cardinale Jorge M. Bergoglio raccontava un episodio molto significativo accaduto all’aeroporto: «All’improvviso uno dei viaggiatori, un noto imprenditore piuttosto avanti negli anni, incominciò a spazientirsi perché la sua valigia tardava. Non nascondeva affatto la sua stizza e faceva una faccia come per dire: “non sapete chi sono io. Non sono abituato a dover aspettare come un tizio qualunque”. La prima cosa che mi sorprese fu che un anziano perdesse la pazienza. […] Siccome sapevo che vita conducesse e conoscevo il suo desiderio di replicare il mito di Faust, continuando a comportarsi come se avesse sempre trent’anni, mi intristì vedere una persona che non era riuscita a godersi la saggezza della vecchiaia. Che invece di affinarsi come un buon vino, si era inacidito come uno cattivo».

La memoria viva
Ancora il cardinal Bergoglio, eletto al soglio pontificio col nome di Francesco, continua a raccomandare l’importanza del “buon vino” della vecchiaia, rivolgendosi ad una società che invece abbandona bambini ed anziani alla più volte denunciata “cultura dello scarto”: «Speranza e futuro presuppongono memoria. La memoria dei nostri anziani è il sostegno per andare avanti nel cammino. Il futuro della società, e in concreto della società italiana, è radicato negli anziani e nei giovani: questi, perché hanno la forza e l’età per portare avanti la storia; quelli, perché sono la memoria viva». Ripenso al tesoro prezioso costituito dai ricordi di un amico di famiglia classe 1920, insostituibile ponte tra me e i miei antenati che ho potuto così conoscere grazie ai suoi racconti, attingendo ai quali ho potuto “gustare” anch’io storie, ambienti, personaggi che non ho mai visto, restituendo colore a quelle poche sbiadite foto pervenute, che raccontano di un “mondo piccolo”, simile a quello descritto da Guareschi, con la differenza che a popolarlo erano persone dai nomi (e cognomi) familiari. Ho potuto fare capolino nella locanda gestita dalla bisnonna, intravedere il grigio e il rosso del braciere sempre acceso, il colore cupo del vino attraverso il verde delle bottiglie, sentire l’odore del fumo; ho intravisto l’affaccendarsi di mia nonna   che tra i clienti che si fermavano a pranzo conobbe suo marito; intanto suo fratello, giovane avvocato, si concedeva una meritata tregua da libri e codici, leggendo il giornale – così come lo vedo in una vecchia foto. Il bisnonno nel frattempo teneva banco nella tabaccheria: un uomo piccolo ma robusto, un tipetto sanguigno, impeccabile nel suo colletto inamidato e i baffi ben modellati, secondo la moda dell’epoca, consapevole di esercitare ancora un certo fascino sulle signore – salvo dimenticarsene improvvisamente di fronte alla bisnonna che brandiva la molla del camino a guisa di scettro (e di arma)… Rivedo queste scene passando sulle stesse strade, vedendo le stesse pietre che videro loro, pensando anche alla fiammella della fede che da quelle generazioni è giunta fino a me – tremolante e sempre a rischio di spegnersi nella tempesta dei limiti umani , eppure perennemente accesa. «Preghiamo per i nostri nonni e per le nostre nonne che tante volte hanno avuto un ruolo eroico nella trasmissione della fede in tempi di persecuzioni», continua Papa Francesco, e dalla gratitudine per i “miei” vecchi il pensiero salta alle nonne russe, che custodirono le icone per tutto il rigido inverno sovietico che voleva spegnerne la luce dorata ed eterna. Ma lo stesso si potrebbe dire delle nonne occidentali che nell’inverno della secolarizzazione e del relativismo hanno conservato il senso del soprannaturale – magari dietro le apparenze dimesse di un vecchio santino o della “classica” madonnina con l’acqua di Lourdes -, tenendo viva quella tensione verso l’Infinito di cui il nostro mondo dall’orizzonte ristretto si illude di poter fare a meno.

Il vino di Pietro
Sono quelle stesse scintille di eternità a illuminare il volto delle nonne, conferendo loro quella specifica bellezza della vecchiaia. Bellezza e vecchiaia sembrano quasi un ossimoro, una contraddizione in termini, ma solo se riduciamo la bellezza a un rivestimento puramente esteriore o se il buon vino della vecchiaia inacidisce. Se invece si affina, persino la sofferenza può esaltarne il sapore. Il vecchio che vive da eterno adolescente non attrae nessuno, se non per interesse; ma il mondo intero si è stretto intorno alla sedia a rotelle e poi al capezzale di Giovanni Paolo II, malato e poi morente, incapace di parlare e poi persino di benedire, ma ancora capace di attrarre. Salvifici doloris…Poi venne Benedetto XVI e le folle dei fedeli smentirono i pronostici: piazza san Pietro si riempiva anche con il mite professore tedesco che faceva “teologia in ginocchio”. E si riempì anche Castel Gandolfo, quando abbandonò i panni di Pietro per indossare quelli, inconsueti, del Bianco Eremita. Ancora i pronostici furono smentiti: ci si aspettava un pontefice relativamente giovane e invece venne Francesco, un ciclone di 76 anni. L’eterna giovinezza di una Chiesa fondata da un trentenne è affidata alle cure di un uomo anziano, il Papa immagine della Paternità celeste, modello di ogni paternità che esiste in terra. Pietro ha i capelli bianchi ma attrae più di qualsiasi “idolo” ventenne e continua ad attrarre le generazioni spaesate, artefici e vittime della cultura dello scarto – che è al contempo scarto della cultura, della memoria, della sapienza antica. Talvolta non solo gli anziani sono rifiutati ma giungono essi stessi a rifiutare la propria vecchiaia, in un affannoso (e sterile) tentativo di fermare il tempo – la “crisi del nonno” è forse l’epilogo naturale della crisi del padre (e del Padre). Ed è proprio in questa situazione, per uno dei misteriosi paradossi della storia, che nella vigna del Signore si è presentata l’inedita situazione di, non uno, bensì due Anziani che nella diversità dei ruoli – uno regnante, l’altro orante – custodiscono ed elargiscono il buon vino della memoria e della speranza ad un mondo che, altrimenti, rischia di inacidirsi.

di Stefano Chiappalone
Fonte: Comunità Ambrosiana
Tratto da: Una casa sulla Roccia

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