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San Paolo Apostolo (dell’Abate Giuseppe Ricciotti)

Posté par atempodiblog le 25 janvier 2014

San Paolo Apostolo (dell’Abate Giuseppe Ricciotti)
Tratto da: Frasiarzianti’s Blog

San Paolo Apostolo (dell'Abate Giuseppe Ricciotti) dans Fede, morale e teologia Caravaggio_La_conversione_di_San_Paolo

“La Grecia, ormai immiserita sotto l’aspetto economico ed anche artistico, non viveva che del suo passato glorioso”.

“Anche oggi, dopo tanto pensiero cristiano, non si leggono senza profonda impressione le sentenze di Seneca morale, le Dissertazioni e il Manuale di Epitteto, e le meditazioni dell’imperatore filosofo”.

“Ogni giorno muoio, aveva affermato Paolo quando era ancor vivo, e lo stesso può egli ripetere ancor adesso vedendo com’è trattata la sua eredità morale in nome della scienza. Da vivo egli moriva ogni giorno perché compiva in se stesso le cose mancanti alle tribolazioni del Cristo, e anche adesso egli prosegue in questo compimento perché la passione del Cristo si prolunga nei secoli sopra il suo corpo mistico. Ma anche dopo questa rinnovata morte Paolo imita il Cristo suo maestro: ogni volta egli risorge più vivo di prima, o ogni colpo mortale ch’egli riceve si converte per lui in un guadagno. Lo proclama egli stesso incessantemente dal suo sepolcro a Roma, attorno al quale stanno scolpite le sue parole: Per me il morire è un guadagno.”

“Quando, alcuni secoli prima, Paolo passava lunghe serate in quel suo laboratorio da tessitore, in piedi, poggiando appena un braccio sull’angolo del telaio, mentre la sua mano nervosa tormentava incessantemente la barba, e stava là a dettare con faticosa lentezza parola su parola a Terzo, il quale accoccolato a terra in un angolo scriveva con la tavoletta sulle ginocchia e con la lucerna sul pavimento – Paolo in quelle serate fondava la prima università di teologia che abbia avuto il cristianesimo.”

“Testimonio in greco si dice martire; perciò Stefano figurò nella Chiesa come il proto-martire, ossia il primo-testimonio del Cristo. Ma come non pensare a quell’altro testimonio della Legge giudaica, che stava là a lapidare con le mani dei testimoni serviti da lui? Come non scorgere un ideale collegamento fra quel primo testimonio di un ordine nuovo, e quell’ultimo testimonio di un ordine antico?”

“Il viaggio del focoso fariseo alla volta di Damasco fu, nel campo morale, una copia esatta del viaggio del Titanic. Il nocchiero Paolo era incrollabilmente sicuro di sé dominava la sua rotta, aveva previsto tutto: tutto, salvo l’imprevedibile. Ad un tratto, sulla sua rotta, si profilò una montagna bianca, e contro di essa egli andò a cozzare.”

“La conversione di Paolo è nella storia delle origini cristiane l’avvenimento di maggiore importanza e di conseguenze più decisive dopo la resurrezione di Gesù; anzi, per coloro che considerano – falsissimamente – Paolo come il vero costruttore concettuale del cristianesimo, l’adesione di lui a Gesù segna il vero inizio della nuova fede, mentre la resurrezione di Gesù resta un semplice articolo di quella fede.”

“Le grandi conversioni al Cristo non hanno mai importato la soppressione dell’indole individuale, ma solo la sua sublimazione: la psiche del convertito rimane sostanzialmente quella di prima, soltanto che viene sollevata in una sfera immensamente più alta.”

“Chi era più degno di stringere nel suo pugno il dominio del mondo, un uomo in tali condizioni di spirito oppure il Cesare del Palatino con le sue trenta e più legioni dislocate su tutto il mondo conosciuto? Se il mondo è dominato dall’idea, era più degno Paolo; se è domainato dalla forza, era più degno Cesare. La Storia, con la sua scelta tra i due, ha dato la risposta.”

“In questo capovolgimento di criteri umani sta tutto il segreto dei successi missionari di Paolo: l’uomo fallisce sempre, ma Dio trionfa sempre. E’ il segreto del discorso della montagna, che troppo spesso non è stato afferrato da critici e filosofi.”

“Con ogni esattezza storica si può affermare che la Chiesa cristiana – nelle sue parvenze esteriori – è stata concepita e formata in seno alla sinagoga giudaica, e che per un certo tempo la vita della prima è rimasta conglutinata con la vita della seconda, sebbene fosse una vita vita del tutto propria e nettamente indirizzata ad una totale indipendenza. L’ultimo legale, che un ancora alla madre la figlia già nata, fu l’osservanza dei riti prescritti dalla Legge di Mosè: troncato questo legame, la Chiesa acquistò vita autonoma del tutto indipendente dalla Sinagoga. Chi osò praticare questo troncamento, di conseguenze incalcolabili per la storia dell’umanità, fu Paolo. Egli dunque, sotto questo aspetto, fu il maieutico della Chiesa.”

“Un ostacolo maggiore di questo indifferentismo Paolo non trovò mai altrove. Delle gelosie dei Giudei egli si compiaceva; delle violenze dei pagani si rallegrava; ma l’inerte indifferenza degli Ateniesi lo snervò, pari ad esperto nocchiere che si mantiene indomito tra l’infuriare d’una tempesta ma resta abbattuto da una fiaccante bonaccia.”

“I Romani, pratici di legge, sanno che la legge costringe l’uomo soltanto finché vive”.

“…come egli allora stava contemplando Roma dai Colli Albani, così un trentennio prima Gesù aveva contemplato Gerusalemme dal Monte degli Olivi pochi giorni prima della sua morte; se allora Gesù aveva pianto, adesso il suo apostolo sorrideva, ma l’antico pianto del maestro giustificava adesso il sorriso del discepolo.”

“Quel corpo sanguinolento fu poi incurvato, in maniera che protendesse il collo. Un ordine del centurione: un lampo della spada: un tonfo. La testa balzò poco distante; il corpo si afflosciò in un lago di sangue. Grida sghignazzanti s’alzarono dal gruppo dei Giudei; una pace serena si diffuse sui visi dei fratelli cristiani. Questa fu la morte di Paolo di Tarso, giudeo per sangue, cittadino romano per diritto, anticamente maestro della Legge mosaica per libera elezione, successivamente apostolo del Vangelo cristiano per superna vocazione. Ognuna di queste sue quattro prerogative fu rispecchiata nella sua morte.”

“Nell’interno della basilica sta ritta la millenaria torre più salda dell’acciaio, il morto tuttora vivo, che lancia incessantemente al mondo intero il suo messaggio di spirito.”

“Oggi cristianesimo significa in massima parte Paolo, come civiltà umana significa in massima parte cristianesimo: l’uomo veramente civile, consciamente o no e in misura più o meno grande, è oggi seguace di Paolo.”

“Quasi sterile è il tentativo da lui fatto nel centro della sapienza umana, all’Areopago di Atene…”.

“L’unico vero libro composto da Paolo è dunque la sua vita, nel quale libro le pagine sono le opere da lui compiute, e di tratto in tratto tra queste pagine si trovano alcune note delucidative che sono le lettere. L’argomento di tutto il libro è designato dalle stesse parole di lui: Siate imitatori di me, come anch’io di Cristo”.

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Chi ha in odio il Cristianesimo

Posté par atempodiblog le 25 janvier 2014

Chi ha in odio il Cristianesimo dans Citazioni, frasi e pensieri 2pzle1u

“Ci sono persone che odiano il Cristianesimo, ma chiamano il loro odio ‘amore per tutte le religioni’”.

Gilbert Keith Chesterton

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Il buon vino della vecchiaia

Posté par atempodiblog le 25 janvier 2014

Il buon vino della vecchiaia dans Papa Francesco I jkeiza

I due Vegliardi
Sulla terrazza di un ristorante affacciato su un lago, contemplo a pochi metri di distanza l’uno dall’altro, un inedito adattamento della contemplazione ignaziana dei Due Stendardi, che potremmo definire i Due Vegliardi. Alla mia sinistra c’è una non più giovane coppia in cui vediamo riflessa quell’estetica dei comportamenti che siamo soliti definire “buone maniere”. Intendo maniere senza manierismi né smancerie, semplicemente lo specchio di una società ordinata. Ben vestiti, sia pure senza ricercatezze, dai modi gentili e delicati, ma senza sofismi. Naturalmente elegante la signora con le sue premure verso il marito, la cui espressione apparentemente burbera nella lettura del giornale si allarga poi in un sincero sorriso quando all’accensione della pipa sbuffano allegre le prime nuvole di fumo. Si direbbe che le loro chiome ormai bianche siano corone illuminate dai raggi del sole.

Alla mia destra, altro tavolino, altra vecchiaia, tutt’altra (anti)estetica: un uomo rinsecchito, dai modi vanamente giovanili come la t-shirt inneggiante alla marjuana e capello lungo a completare il look rivoluzionario del giovane che fu e che non è più. Anche qui una chioma candida, ma più che una corona richiama una pianta appassita. Sembra di assistere ad un curioso contrasto tra Pannella e Tolkien, oppure chiamateli come preferite, in ogni caso ai due tavolini vedo altrettante immagini della vecchiaia, che spingono a riflettere su quale mentalità, quale idea di società, ci sia dietro ciascuno dei due – e di riflesso a chiedersi in quale dei due modi vorremmo invecchiare. Dimmi come invecchi e ti dirò chi sei. A tale proposito l’allora cardinale Jorge M. Bergoglio raccontava un episodio molto significativo accaduto all’aeroporto: «All’improvviso uno dei viaggiatori, un noto imprenditore piuttosto avanti negli anni, incominciò a spazientirsi perché la sua valigia tardava. Non nascondeva affatto la sua stizza e faceva una faccia come per dire: “non sapete chi sono io. Non sono abituato a dover aspettare come un tizio qualunque”. La prima cosa che mi sorprese fu che un anziano perdesse la pazienza. […] Siccome sapevo che vita conducesse e conoscevo il suo desiderio di replicare il mito di Faust, continuando a comportarsi come se avesse sempre trent’anni, mi intristì vedere una persona che non era riuscita a godersi la saggezza della vecchiaia. Che invece di affinarsi come un buon vino, si era inacidito come uno cattivo».

La memoria viva
Ancora il cardinal Bergoglio, eletto al soglio pontificio col nome di Francesco, continua a raccomandare l’importanza del “buon vino” della vecchiaia, rivolgendosi ad una società che invece abbandona bambini ed anziani alla più volte denunciata “cultura dello scarto”: «Speranza e futuro presuppongono memoria. La memoria dei nostri anziani è il sostegno per andare avanti nel cammino. Il futuro della società, e in concreto della società italiana, è radicato negli anziani e nei giovani: questi, perché hanno la forza e l’età per portare avanti la storia; quelli, perché sono la memoria viva». Ripenso al tesoro prezioso costituito dai ricordi di un amico di famiglia classe 1920, insostituibile ponte tra me e i miei antenati che ho potuto così conoscere grazie ai suoi racconti, attingendo ai quali ho potuto “gustare” anch’io storie, ambienti, personaggi che non ho mai visto, restituendo colore a quelle poche sbiadite foto pervenute, che raccontano di un “mondo piccolo”, simile a quello descritto da Guareschi, con la differenza che a popolarlo erano persone dai nomi (e cognomi) familiari. Ho potuto fare capolino nella locanda gestita dalla bisnonna, intravedere il grigio e il rosso del braciere sempre acceso, il colore cupo del vino attraverso il verde delle bottiglie, sentire l’odore del fumo; ho intravisto l’affaccendarsi di mia nonna   che tra i clienti che si fermavano a pranzo conobbe suo marito; intanto suo fratello, giovane avvocato, si concedeva una meritata tregua da libri e codici, leggendo il giornale – così come lo vedo in una vecchia foto. Il bisnonno nel frattempo teneva banco nella tabaccheria: un uomo piccolo ma robusto, un tipetto sanguigno, impeccabile nel suo colletto inamidato e i baffi ben modellati, secondo la moda dell’epoca, consapevole di esercitare ancora un certo fascino sulle signore – salvo dimenticarsene improvvisamente di fronte alla bisnonna che brandiva la molla del camino a guisa di scettro (e di arma)… Rivedo queste scene passando sulle stesse strade, vedendo le stesse pietre che videro loro, pensando anche alla fiammella della fede che da quelle generazioni è giunta fino a me – tremolante e sempre a rischio di spegnersi nella tempesta dei limiti umani , eppure perennemente accesa. «Preghiamo per i nostri nonni e per le nostre nonne che tante volte hanno avuto un ruolo eroico nella trasmissione della fede in tempi di persecuzioni», continua Papa Francesco, e dalla gratitudine per i “miei” vecchi il pensiero salta alle nonne russe, che custodirono le icone per tutto il rigido inverno sovietico che voleva spegnerne la luce dorata ed eterna. Ma lo stesso si potrebbe dire delle nonne occidentali che nell’inverno della secolarizzazione e del relativismo hanno conservato il senso del soprannaturale – magari dietro le apparenze dimesse di un vecchio santino o della “classica” madonnina con l’acqua di Lourdes -, tenendo viva quella tensione verso l’Infinito di cui il nostro mondo dall’orizzonte ristretto si illude di poter fare a meno.

Il vino di Pietro
Sono quelle stesse scintille di eternità a illuminare il volto delle nonne, conferendo loro quella specifica bellezza della vecchiaia. Bellezza e vecchiaia sembrano quasi un ossimoro, una contraddizione in termini, ma solo se riduciamo la bellezza a un rivestimento puramente esteriore o se il buon vino della vecchiaia inacidisce. Se invece si affina, persino la sofferenza può esaltarne il sapore. Il vecchio che vive da eterno adolescente non attrae nessuno, se non per interesse; ma il mondo intero si è stretto intorno alla sedia a rotelle e poi al capezzale di Giovanni Paolo II, malato e poi morente, incapace di parlare e poi persino di benedire, ma ancora capace di attrarre. Salvifici doloris…Poi venne Benedetto XVI e le folle dei fedeli smentirono i pronostici: piazza san Pietro si riempiva anche con il mite professore tedesco che faceva “teologia in ginocchio”. E si riempì anche Castel Gandolfo, quando abbandonò i panni di Pietro per indossare quelli, inconsueti, del Bianco Eremita. Ancora i pronostici furono smentiti: ci si aspettava un pontefice relativamente giovane e invece venne Francesco, un ciclone di 76 anni. L’eterna giovinezza di una Chiesa fondata da un trentenne è affidata alle cure di un uomo anziano, il Papa immagine della Paternità celeste, modello di ogni paternità che esiste in terra. Pietro ha i capelli bianchi ma attrae più di qualsiasi “idolo” ventenne e continua ad attrarre le generazioni spaesate, artefici e vittime della cultura dello scarto – che è al contempo scarto della cultura, della memoria, della sapienza antica. Talvolta non solo gli anziani sono rifiutati ma giungono essi stessi a rifiutare la propria vecchiaia, in un affannoso (e sterile) tentativo di fermare il tempo – la “crisi del nonno” è forse l’epilogo naturale della crisi del padre (e del Padre). Ed è proprio in questa situazione, per uno dei misteriosi paradossi della storia, che nella vigna del Signore si è presentata l’inedita situazione di, non uno, bensì due Anziani che nella diversità dei ruoli – uno regnante, l’altro orante – custodiscono ed elargiscono il buon vino della memoria e della speranza ad un mondo che, altrimenti, rischia di inacidirsi.

di Stefano Chiappalone
Fonte: Comunità Ambrosiana
Tratto da: Una casa sulla Roccia

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