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Silenzio, perdono e umilità

Posté par atempodiblog le 23 janvier 2014

Silenzio, perdono e umilità dans Citazioni, frasi e pensieri Beato-Giustino-Maria-della-Santissima-Trinit-Russolillo

“Il Signore ti parlerà a proporzione del tuo silenzio.

Il Signore ti regalerà a proporzione del tuo perdono.

Il Signore ti farà le grazie a proporzione della tua umilà”.

Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

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Il Papa: il comunicatore sia come il Buon Samaritano, il suo potere è la prossimità

Posté par atempodiblog le 23 janvier 2014

Il Papa: il comunicatore sia come il Buon Samaritano, il suo potere è la prossimità dans Papa Francesco I s0vima

L’icona del Buon Samaritano, è l’augurio del Papa, “ci sia di guida”, “la nostra comunicazione sia olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria”. “La nostra luminosità – afferma ancora – non provenga da trucchi o effetti speciali, ma dal nostro farci prossimo di chi incontriamo” lungo il cammino. “Non abbiate timore di farvi cittadini dell’ambiente digitale – esorta ancora – è importante l’attenzione e la presenza della Chiesa nel mondo della comunicazione, per dialogare con l’uomo d’oggi e portarlo all’incontro con Cristo”. In questo contesto, conclude il Papa, “la rivoluzione dei mezzi di comunicazione e dell’informazione è una grande e appassionante sfida, che richiede energie fresche e un’immaginazione nuova per trasmettere agli altri la bellezza di Dio”.

di Alessandro Giosotti – Radio Vaticana

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Papa Francesco: gelosie, invidie e chiacchiere dividono e distruggono le comunità cristiane

Posté par atempodiblog le 23 janvier 2014

I cristiani chiudano le porte a gelosie, invidie e chiacchiere che dividono e distruggono le nostre comunità: è l’esortazione lanciata da Papa Francesco, stamani, nella Messa presieduta a Santa Marta nella sesta giornata di preghiera per l’unità dei cristiani.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

Papa Francesco: gelosie, invidie e chiacchiere dividono e distruggono le comunità cristiane dans Mormorazione 2i8dd85

La riflessione del Papa è partita dalla prima lettura del giorno che parla della vittoria degli israeliti sui filistei grazie al coraggio del giovane Davide. La gioia della vittoria si trasforma presto in tristezza e gelosia per il re Saul di fronte alle donne che lodano Davide per aver ucciso Golia. Allora, “quella grande vittoria – afferma Papa Francesco – incomincia a diventare sconfitta nel cuore del re” in cui si insinua, come accadde in Caino, il “verme della gelosia e dell’invidia”. E come Caino con Abele, il re decide di uccidere Davide. “Così fa la gelosia nei nostri cuori – osserva il Papa – è un’inquietudine cattiva, che non tollera che un fratello o una sorella abbia qualcosa che io non ho”. Saul, “invece di lodare Dio, come facevano le donne d’Israele, per questa vittoria, preferisce chiudersi in se stesso, rammaricarsi” e “cucinare i suoi sentimenti nel brodo dell’amarezza”:

“La gelosia porta ad uccidere. L’invidia porta ad uccidere. E’ stata proprio questa porta, la porta dell’invidia, per la quale il diavolo è entrato nel mondo. La Bibbia dice: ‘Per l’invidia del diavolo è entrato il male nel mondo’. La gelosia e l’invidia aprono le porte a tutte le cose cattive. Anche divide la comunità. Una comunità cristiana, quando soffre – alcuni dei membri – di invidia, di gelosia, finisce divisa: uno contro l’altro. E’ un veleno forte questo. E’ un veleno che troviamo nella prima pagina della Bibbia con Caino”.

Nel cuore di una persona colpita dalla gelosia e dall’invidia – sottolinea ancora il Papa – accadono “due cose chiarissime”. La prima cosa è l’amarezza:

“La persona invidiosa, la persona gelosa è una persona amara: non sa cantare, non sa lodare, non sa cosa sia la gioia, sempre guarda ‘che cosa ha quello ed io non ne ho’. E questo lo porta all’amarezza, un’amarezza che si diffonde su tutta la comunità. Sono, questi, seminatori di amarezza. E il secondo atteggiamento, che porta la gelosia e l’invidia, sono le chiacchiere. Perché questo non tollera che quello abbia qualcosa, la soluzione è abbassare l’altro, perché io sia un po’ alto. E lo strumento sono le chiacchiere. Cerca sempre e vedrai che dietro una chiacchiera c’è la gelosia e c’è l’invidia. E le chiacchiere dividono la comunità, distruggono la comunità. Sono le armi del diavolo”.

“Quante belle comunità cristiane” – ha esclamato il Papa – procedevano bene, ma poi in uno dei membri è entrato il verme della gelosia e dell’invidia e, con questo, la tristezza, il risentimento dei cuori e le chiacchiere. “Una persona che è sotto l’influsso dell’invidia e della gelosia – ribadisce – uccide”, come dice l’apostolo Giovanni: “Chi odia il suo fratello è un omicida”. E “l’invidioso, il geloso, incomincia ad odiare il fratello”. Quindi, conclude:

“Oggi, in questa Messa, preghiamo per le nostre comunità cristiane, perché questo seme della gelosia non venga seminato fra noi, perché l’invidia non prenda posto nel nostro cuore, nel cuore delle nostre comunità, e così possiamo andare avanti con la lode del Signore, lodando il Signore, con la gioia. E’ una grazia grande, la grazia di non cadere nella tristezza, nell’essere risentiti, nella gelosia e nell’invidia”.

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Sposalizio della Vergine col santo Giuseppe

Posté par atempodiblog le 23 janvier 2014

Sposalizio della Vergine col santo Giuseppe
Tratto da: Mistica città di Dio, della venerabile Suor Maria di Gesù de Agreda

Sposalizio della Vergine col santo Giuseppe dans Libri wtf5tx
Sposalizio della Vergine – San Nicola alla Carità (Napoli)

Si celebrano le nozze di Maria santissima col santo e castissimo Giuseppe.

752. Nel giorno in cui la nostra principessa Maria compiva quattordici anni, si radunarono gli uomini della tribù di Giuda e della stirpe di Davide, da cui discendeva la celeste Signora, i quali si trovavano allora in Gerusalemme. Fra gli altri fu chiamato Giuseppe nativo di Nazaret, che soggiornava nella stessa città santa, perché era uno di quelli della stirpe regale di Davide. Aveva trentatré anni, una bella figura e un aspetto attraente, ma di incomparabile modestia e serietà; dotato di santissime inclinazioni, era soprattutto castissimo nelle opere e nei pensieri e, fin dal dodicesimo anno d’età, aveva fatto voto di castità. Era parente della vergine Maria; in terzo grado, e di vita purissima, santa ed irreprensibile agli occhi di Dio e degli uomini.

753. Dopo essersi riuniti nel tempio, quegli uomini non sposati pregarono il Signore insieme con i sacerdoti, perché tutti fossero guidati dal suo divino Spirito in ciò che dovevano fare. A quel punto, l’Altissimo ispirò al cuore del sommo sacerdote di far si che a ciascuno dei giovani ivi raccolti si ponesse una verga secca nelle mani e che tutti poi domandassero con viva fede a sua Maestà di rivelare con tale mezzo chi aveva scelto come sposo di Maria. Siccome il buon odore della virtù ed onestà di questa vergine, nonché la fama della sua bellezza, dei suoi beni e della sua condizione sociale, come pure il fatto che fosse la figlia primogenita e unica nella sua casa, era già manifesto a tutti, ciascuno ambiva la buona sorte di averla come sposa. Solo l’umile e rettissimo Giuseppe, tra i presenti, si reputava indegno di un bene così grande; ricordandosi del voto di castità che egli aveva fatto e riproponendosene in cuor suo la perpetua osservanza, si rassegnò alla divina volontà, rimettendosi a ciò che volesse disporre di lui, nutrendo tuttavia venerazione e stima per l’onestissima giovane vergine Maria più di chiunque altro.

754. Mentre facevano questa orazione, tutti quelli là radunati videro fiorire solo la verga in mano a Giuseppe. Nello stesso tempo, una colomba candidissima, scendendo dall’alto circonfusa di ammirabile splendore, si posò sopra il capo del santo. Contemporaneamente Dio gli parlò nell’intimo con queste parole: «Giuseppe, servo mio, Maria sarà la tua sposa: accettala con attenzione e rispetto, perché ella è gradita ai miei occhi, giusta e purissima d’anima e di corpo, e tu farai tutto quello che ti dirà». Essendosi il cielo dichiarato con quel segno, i sacerdoti diedero alla vergine Maria san Giuseppe, come sposo eletto da Dio. Chiamandola per celebrare le nozze, la prescelta uscì fuori come il sole, più bella della luna. Alla presenza di tutti, il suo aspetto apparve superiore a quello di un angelo, di incomparabile bellezza, onestà e grazia, e i sacerdoti la sposarono con il più casto e santo degli uomini, Giuseppe.

755. La divina Principessa, più pura delle stelle del firmamento, in lacrime e seria come una regina, con umiltà ma anche con maestà – poiché Maria riuniva in sé tutte queste perfezioni – prese congedo dai sacerdoti, domandando loro la benedizione, come anche alla maestra, e perdono alle compagne, ringraziando tutti per i benefici ricevuti da loro nel tempio. Fece tutto ciò con la più profonda umiltà, misurando con molta prudenza le parole, perché in tutte le occasioni parlava poco e con molta sapienza. Si allontanò così dal tempio, non senza grande dispiacere di lasciarlo contro la propria intenzione e il proprio desiderio. In compagnia di alcuni dei ministri che tervivano nel tempio nelle cose temporali – laici dei più autorevoli – col suo sposo Giuseppe si avviò a Nazaret città ale della felicissima coppia. Sebbene san Giuseppe fosse nato in quel luogo, seguendo quanto l’Altissimo aveva disposto per mezzo di alcune vicende, era andato a vivere qualche tempo a Gerusalemme, per migliorare la sua condizione come infatti avvenne, divenendo sposo di colei che era stata scelta da Dio stesso per essere sua madre.

756. Arrivati a Nazaret, dove la Principessa del cielo aveva i suoi beni e le case dei suoi fortunati genitori, furono ricevuti e visitati da tutti gli amici e i parenti con grida di giubilo e applausi, come si usa fare in tali occasioni. Avendo santamente adempito all’obbligo naturale dei contatti e delle relazioni, i due santissimi sposi Giuseppe e Maria, liberi da impegni, restarono a casa loro. Secondo l’usanza introdotta fra gli Ebrei, nei primi giorni del matrimonio era previsto che gli sposi si prendessero un po di tempo per verificare, nella convivenza, le abitudini e l’indole di entrambi, in modo da potersi conformare meglio l’uno all’altra.

757. In tali giorni il santo Giuseppe disse alla sua sposa Maria: «Sposa e signora mia, io rendo grazie all’altissimo Dio per il favore di avermi destinato senza merito ad essere vostro sposo, mentre mi giudicavo indegno della vostra compagnia; ma sua Maestà, che quando vuole può sollevare il povero, mi ha usato questa misericordia. Quindi io desidero che voi mi aiutiate, come spero dalla vostra discrezione e virtù, a dargli il contraccambio che gli devo, servendolo con rettitudine di cuore. A tal fine mi riterrete vostro servo, e col vero affetto con cui vi stimo, vi chiedo che vogliate supplire a molta parte del capitale e di altre doti che mi mancano, le quali mi sarebbero utili per essere vostro sposo; ditemi, signora, qual è la vostra volontà perché io l’adempia».

758. La divina sposa ascoltò questo discorso con cuore umile ed affabile severità nel volto, e rispose al santo: «Signor mio, io sono lieta che l’Altissimo, per mettermi in questa condizione, si sia degnato di assegnarmi voi per sposo e signore, e che il servire voi mi sia stato confermato dalla manifestazione della sua divina volontà. Però, se me lo permettete, vi dirò le intenzioni e i pensieri, che a tal fine desidero comunicarvi». L’Altissimo intanto disponeva con la sua grazia il cuore retto e sincero di san Giuseppe e, per mezzo delle parole di Maria santissima, lo infiammò di nuovo di divino amore. Egli così le rispose: «Parlate, signora, il vostro servo vi ascolta». In questa occasione la Signora del mondo era assistita dai mille angeli della sua custodia in forma visibile, come aveva loro richiesto. Ciò era dovuto al fatto che l’Altissimo, affinché la purissima vergine operasse in tutto con maggior grazia e merito, permise che ella sentisse il rispetto e la considerazione con cui doveva parlare al suo sposo, pur lasciandola nella sua naturale ritrosia ed esitazione che sempre aveva avuto a parlare con gli uomini da sola, cosa che fino allora non aveva mai fatto, se non casualmente qualche volta col sommo sacerdote.

759. Gli angeli santi ubbidirono alla loro Regina e l’assistettero, manifestandosi solo alla sua vista. In loro compagnia parlò al suo sposo san Giuseppe, dicendo: «Signore e sposo mio, è giusto che diamo lode e gloria con ogni devozione al nostro Dio e creatore, infinito nella sua bontà e incomprensibile nei suoi giudizi, che con noi poveri ha manifestato la sua grandezza e misericordia, scegliendoci per essere al suo servizio. Io mi considero, fra tutte, la creatura più debitrice a sua Altezza e, anzi, lo sono più di tutte insieme, perché, meritando meno, ho ricevuto dalla sua liberalissima mano più di loro. Nella mia tenera età, costretta dalla forza di questa verità che la luce divina mi comunicò rivelandomi il disinganno di tutto il visibile, mi consacrai a Dio con voto perpetuo d’essere casta nell’anima e nel corpo. Sono sua, e lo riconosco mio sposo e Signore, con volontà immutabile di mantenere la mia promessa di castità. Per adempiere ciò, signor mio, desidero che mi aiutiate, perché nel resto io sarò vostra serva fedele, ed avrò cura della vostra vita quanto durerà la mia. Accettate, signore e sposo mio, questa santa determinazione e confermatela con la vostra, perché come offerta gradita al nostro Dio eterno, egli ci riceva entrambi quale sacrificio di soave odore, e ci conceda di giungere insieme ai beni eterni che speriamo».

L’intimo giubilo di Giuseppe per le parole della sua divina sposa

760. Il castissimo sposo Giuseppe, pieno d’intimo giubilo per le parole della sua divina sposa, le rispose: «Signora mia, dichiarandomi i vostri pensieri e casti propositi, avete aperto e sollevato il mio cuore, che io non volli manifestarvi prima di conoscere il vostro. Anch’io mi considero, fra gli uomini, debitore al Signore più di tutte le altre creature, perché da molto tempo mi ha chiamato con la sua vera luce, affinché l’amassi con rettitudine di cuore. Voglio, signora, che sappiate che a dodici anni anch’io ho fatto promessa di servire l’Altissimo in castità perpetua. Così ora torno a confermare il medesimo voto, per non invalidare il vostro; anzi, alla presenza di sua Altezza, vi prometto di aiutarvi, per quanto dipende da me, perché in tutta purezza lo serviate e lo amiate secondo il vostro desiderio. Io sarò, con il concorso della grazia, vostro fedelissimo servo e compagno, e vi supplico che accettiate il mio casto affetto e mi riteniate vostro fratello, senza mai dar luogo ad altro lecito amore, fuorché quello che dovete a Dio e poi a me». In questo colloquio l’Altissimo riconfermò nel cuore di san Giuseppe la virtù della castità e l’amore santo e puro che doveva alla sua santissima sposa Maria. Così il santo gliene portava in grado eminentissimo, e la stessa Signora con il suo prudentissimo conversare glielo aumentava dolcemente, elevandogli il cuore.

761. Con la virtù divina con cui il braccio dell’Onnipotente operava nei due santissimi e castissimi sposi, sentirono entrambi incomparabile giubilo e consolazione. La divina Principessa offrì a san Giuseppe di corrispondere al suo desiderio, come colei che era signora delle virtù e, senza difficoltà, praticava in tutto ciò che esse hanno di più sublime ed eccellente. Inoltre l’Altissimo diede a san Giuseppe rinnovata castità e padronanza sulla natura e sulle sue passioni, perché, senza ribellione né istigazione ma con ammirabile e nuova grazia, servisse la sua sposa Maria e, in lei, la volontà e il beneplacito del Signore. Subito distribuirono i beni ereditati da san Gioacchino e da sant’Anna, genitori della santissima Signora. Ella ne offrì una parte al tempio dove era stata, l’altra la distribuì ai poveri e la terza l’assegnò al santo sposo Giuseppe, perché l’amministrasse. Per sé la nostra Regina si riservò solo la cura di servirlo e di lavorare in casa, perché, quanto agli scambi con l’esterno e alla gestione dei beni, degli acquisti o delle vendite, la vergine prudentissima se ne esentò sempre.

762. Nei suoi primi anni, san Giuseppe aveva appreso il mestiere di falegname, come il più onesto e adatto per guadagnarsi da vivere, essendo povero di beni di fortuna. Perciò domandò alla sua santissima sposa se aveva piacere che egli esercitasse quel mestiere per servirla e per guadagnare qualcosa per i poveri, poiché era necessario lavorare senza vivere nell’ozio. La Vergine prudentissima diede a san Giuseppe la sua approvazione, avvertendolo che il Signore non li voleva ricchi, bensì poveri e amanti dei poveri, e che fossero loro rifugio fin dove il loro capitale lo permettesse. Fra i due santi sposi nacque presto una santa contesa, riguardo a chi dei due dovesse prestare ubbidienza all’altro come a superiore. Ma Maria santissima, che fra gli umili era umilissima, vinse in umiltà, né consenù che, essendo l’uomo il capo, si pervertisse l’ordine della natura. Così volle ubbidire in tutto al suo sposo Giuseppe, chiedendogli solamente il consenso per fare l’elemosina ai poveri del Signore; e il santo le diede il permesso di farla.

763. In questi giorni il santo Giuseppe, riconoscendo con nuova luce del cielo le doti della sua sposa Maria, la sua rara prudenza, umiltà, purezza e tutte le sue virtù superiori ad ogni suo pensare ed immaginare, ne restò nuovamente stupito e, con gran giubilo del suo spirito, non cessava con ardenti affetti di lodare il Signore, rendendo-gli ancor più grazie per avergli data tale compagnia e tale sposa superiore ad ogni suo merito. Perché poi quest’opera risultasse in tutto perfettissima, l’Altissimo fece si che la Principessa del cielo infondesse con la sua presenza, nel cuore del suo sposo, un timore ed un rispetto così grande che non è assolutamente possibile spiegare a parole. A provocare ciò in Giuseppe era un certo splendore, come raggi di luce divina, che emanava dal volto della nostra Regina, dal quale traspariva anche una maestà ineffabile che sempre la accompagnava. Le succedeva infatti come a Mosè quando scese dal monte, ma con tanta maggiore intensità, perché si intratteneva con Dio più a lungo e più intimamente.

764. Subito Maria santissima ebbe una visione divina dal Signore, in cui sua Maestà le disse: «Sposa mia dilettissima ed eletta, vedi come io sono fedele nelle mie parole con quelli che mi amano e mi temono. Corrispondi dunque ora alla mia fedeltà, osservando la legge come mia sposa, in santità, purezza e in tutta perfezione. In ciò ti aiuterà la compagnia del mio servo Giuseppe che io ti ho dato. Ubbidisci a lui come devi ed attendi alla sua consolazione, perché tale è la mia volontà». Maria santissima rispose: «Altissimo Signore, io vi lodo e magnifico per i vostri ammirabili consigli e per la vostra provvidenza verso di me, indegna e povera creatura. Il mio desiderio è di ubbidirvi e compiacervi come vostra serva più debitrice a voi di ogni altra creatura. Concedetemi dunque, Signor mio, il vostro favore divino, perché in tutto mi assista e mi governi secondo il vostro maggior compiacimento, affinché, come vostra serva, attenda anche agli obblighi dello stato in cui mi ponete, senza mai vagare fuori dai vostri ordini e dal vostro volere. Datemi la vostra approvazione e benedizione; con essa riuscirò a ubbidire al vostro servo Giuseppe e a servirlo come mi comandate voi, mio creatore e mio Signore».

765. Su questi divini appoggi si fondò la casa e il matrimonio di Maria santissima e di Giuseppe. Dall’8 settembre, data delle nozze, fino al 25 marzo dell’anno seguente, giorno in cui avvenne l’incarnazione del Verbo, i due santi sposi vissero nel modo in cui l’Altissimo li andava rispettivamente predisponendo all’opera per cui li aveva scelti. La divina Signora ordinò poi gli oggetti personali e quelli della sua casa come dirò nei capitoli seguenti.

766. A questo punto però, non posso còntenere oltre il mio affetto senza congratularmi per la fortuna del più felice degli uomini, san Giuseppe. Da dove vi è venuta, o uomo di Dio, tanta beatitudine e tale buona sorte che ha fatto sì che solo di voi, tra i figli di Adamo, si potesse dire che Dio stesso fosse vostro e così solamente vostro da essere ritenuto vostro unico figlio? L’eterno Padre vi dona sua figlia; il divin Figlio vi dona la sua vera Madre e lo Spirito Santo vi consegna e vi affida la sua sposa, ponendovi in sua vece. In tal modo tutta la santissima Trinità vi concede e vi dà in custodia per vostra legittima consorte la sua diletta, unica e fulgida come il sole. Conoscete voi, mio santo, la vostra dignità ed eccellenza? Comprendete che la vostra sposa è la Regina e signora del cielo e della terra, e voi siete depositario dei tesori inestimabili di Dio? Considerate, o uomo divino, il vostro impegno e sappiate che, se gli angeli e i serafini non sono invidiosi, sono però meravigliati ed estatici per la vostra sorte e per il mistero racchiuso nel vostro matrimonio. Ricevete dunque le congratulazioni per tanta felicità in nome di tutto il genere umano. In un certo senso, voi siete l’archivio contenente il registro delle divine misericordie, signore e sposo di colei di cui solo Dio è maggiore, per cui vi ritroverete, fra gli uomini e fra gli stessi ricco e nella prosperità. Ricordatevi però della nostra povertà e miseria, e di me, il più vile verme della terra, che desidero essere vostra fedele devota, beneficata e favorita dalla vostra potente intercessione.

Insegnamento della Regina del cielo

767. Figlia mia, dalla mia esemplare condotta nello stato del matrimonio in cui l’Altissimo mi pose, tu vedi condannati i pretesti che adducono, non essendo perfette, le anime che condividono tale condizione nel mondo. Niente è impossibile a Dio, né a chi con viva fede spera in lui e si rimette in tutto alla sua divina disposizione. Io vivevo in casa del mio sposo con la stessa perfezione con cui servivo nel tempio, perché cambiando stato non mutai l’affetto, né il desiderio e la premura di amare e servire Dio, ma anzi l’aumentai, perché niente mi trattenesse dai miei obblighi di sposa. Fu per questo che ebbi maggiore assistenza dal favore divino che, con la sua mano onnipotente, dispose ed aggiustò tutte le cose in sintonia con i miei desideri. Altrettanto farebbe il Signore con tutte le creature, se da parte loro corrispondessero adeguatamente. Esse invece incolpano lo stato del matrimonio ingannando così se stesse, perché l’impedimento a non essere perfette e sante non è dato dallo stato, ma dai pensieri e dalla sollecitudine vana ed eccessiva a cui si abbandonano, non cercando di piacere al Signore, ma preferendo il loro compiacimento.

768. Se nel mondo non vi è scusa per sottrarsi al dovere di attendere alla perfezione delle virtù, meno ve ne sarà nello stato religioso per gli uffici e i servizi che in esso si svolgono. Non ti pensare mai ostacolata dal tuo ufficio di superiora, perché Dio ti ha posto in tale stato per mezzo dell’obbedienza e non devi mai diffidare della sua assistenza e della sua protezione. Infatti quel giorno egli si fece carico di darti forze ed aiuti, perché tu potessi attendere nello stesso tempo all’obbligo di superiora e a quello particolare della perfezione con cui devi amare il tuo Dio e Signore. Fa’ in modo dunque di vincolarlo col sacrificio della tua volontà, umiliandoti con pazienza in tutto ciò che ordina la sua divina Provvidenza. Se non glielo impedirai, io ti assicuro la sua protezione e che, per esperienza, conoscerai sempre la potenza del suo braccio nel guidarti e nel dirigere perfettamente tutte le tue azioni.

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Benedetta Bianchi Porro

Posté par atempodiblog le 23 janvier 2014

“Io penso che cosa meravigliosa è la vita anche nei suoi aspetti più terribili; e la mia anima è piena di gratitudine e di amore verso Dio per questo”.

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Benedetta Bianchi Porro
La storia della Chiesa è ricca di splendide figure. Che attraverso l’arduo cammino della sofferenza, sopportata con fede, e l’eroismo delle virtù cristiane hanno raggiunto la meta della vita. L’esempio di una venerabile vissuta nel secolo scorso e morta in giovanissima età.
di Matteo Salvatti – Il Timone

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Benedetta Bianchi Porro è una figura da tener ben presente ai nostri giorni: rappresenta infatti un’eroicità nel vivere le virtù cristiane non comune, una forza vitale dirompente, un messaggio che colpisce nel profondo. Benedetta non è la stereotipata immagine della santarellina, così distante dalla vita di tutti i giorni, ma una ragazza “virile” nel suo affrontare la vita, la malattia e le prove con coraggio e con grande attaccamento alla realtà, scorgendo quanto Dio tratteggiava sul suo cammino e rimanendo sorpresa della Sua grandezza, ma senza cedere a sensazionalismi, con infinita bontà ma senza buonismo, con dolcezza ma senza edulcorato sentimentalismo. Benedetta viene alla luce l’8 agosto 1936 a Dovadola, un modesto centro in provincia di Forlì, figlia dell’ingegnere Guido Bianchi Porro e di Elsa Giammarchi. Appena nata un’emorragia rischierà di portarla alla morte, così che la madre si trova costretta a conferirle il battesimo di necessità. Il suo calvario inizia prestissimo: a tre mesi le viene diagnostica una poliomielite, e questo comporterà il dover sopportare una menomazione fisica per tutta la vita quale può essere l’avere una gamba visibilmente inferiore all’altra. Oltre alle sofferenze per così dire sensoriali, si aggiunge dunque la derisione da parte dei suoi compagni, che mai condanna, ma che al contrario cerca sempre di comprendere e di scusare. Se da un lato Benedetta è pronta ad aiutare tutti, a essere gentile ed educata, dall’altro sente spesso il bisogno di ritirarsi a meditare, a pregare, a contemplare la grandezza del creato e del suo Creatore. Il cristianesimo di Benedetta non è dunque una sorta di sentimentalismo, di solidarietà di clan, un umanesimo filantropico, ma essenzialmente un essere al servizio della verità, conscia del fatto che la carità della verità è, in ottica cristiana, la più alta forma di carità. Ma torniamo al nostro racconto: il padre, un ingegnere termale, si trasferisce a Sirmione con la famiglia quando Benedetta ha l’età per iscriversi al liceo classico, che frequenterà a Desenzano. A quell’età Benedetta inizia a percepire i primi segnali di sordità; ciò nonostante non si lascia vincere dal timore di diventare sorda ma, al contrario, discerne sempre più cosa è essenziale e si rallegra del fatto che nulla potrà mai assordare la voce della sua coscienza. Benedetta era affezionatissima alla corona del rosario che le fu regalata in occasione del sacramento della prima comunione. Amava pregare la Vergine con una fede vera, autentica e convinta. Dopo aver perso la corona, grande fu la gioia nel ritrovarla “casualmente”: niente, infatti, le era così caro. Aveva ben capito che tutto ci è stato dato per mezzo di Maria. Benedetta individua la sua vocazione, che è quella di diventare medico.

Non mancano, però, le umiliazioni, cui lei sa rispondere sempre con una carità evangelica che lascia sbalorditi per l’illuminazione. Un esempio fra i tanti: un giorno, il professore di anatomia le getta il libretto per terra, dinanzi a tutti gli studenti, berciando che non si è mai visto un medico sordo. Invece di cedere alla collera per un simile maltrattamento, è lei che si scusa con il docente, assicurandogli di non averlo offeso volontariamente. A casa, poi, confiderà alla madre che l’insegnante si era comportato bene, dato che il libretto non si era rotto. Sarà però costretta ad arrendersi e non potrà mai diventare medico, pur essendo giunta all’ultimo esame del corso. Dovrà portare scarpe ortopediche, il busto, il bastone e sottoporsi a una lunghissima via crucis di pesanti interventi chirurgici fino a quando sarà lei stessa a diagnosticare la sua patologia: neurofibromatosi diffusa o morbo di Recklinghausen. Una malattia rarissima che la porterà, poco alla volta, alla perdita di tutti i sensi e a immobilizzarla a letto. Diventerà anche cieca ed è appropriato vedere una somiglianza con il biblico Tobia. Benedetta andrà due volte a Lourdes con il treno ospedale dell’Unitalsi, a ricevere quell’acqua con la quale era stata battezzata dalla madre. Se la prima volta ci va con l’augurio di guarire, è la seconda volta che Dio le dà la grazia speciale di capire il mistero della croce. Molti si accorgono di lei, le chiedono consigli, le scrivono e lei si dona completamente agli altri. Gli ultimi tempi continua a farlo con l’aiuto della madre, sforzandosi di utilizzare un alfabeto muto e servendosi soltanto della mano destra, unica parte del corpo non paralizzata. Chi va a trovare Benedetta non ci va espletando opera di carità, o per pietà, ma per uscirne lui arricchito; è Benedetta che visita i peccatori, i bisognosi, gli afflitti e gli scoraggiati, con la luce del suo spirito cristiano. Incarna perfettamente le parole di San Paolo: «Quando sono debole, allora sì che sono forte. Tutto posso in Colui che mi dà forza». I suoi pensieri sono raccolti in un libro e sono tradotti in tutto il mondo, poiché è impossibile non restare contagiati da questa ragazza. Come per tutti i grandi mistici, anche Benedetta ha dovuto sopportare, oltre alle sofferenze fisiche, anche momenti di aridità, la cosiddetta notte dello spirito, e questo non la sminuisce, ma, al contrario, ne esalta il valore. Il cammino della perfezione passa attraverso la croce. Non c’è santità senza rinuncia e senza combattimento spirituale. Benedetta muore, a 27 anni, la mattina del 23 gennaio del 1964, giorno dello Sposalizio della Vergine. L’ultima sua parola fu «grazie». Tempo prima aveva confidato di aver fatto un sogno: entrare in un cimitero di Romagna e trovare in una tomba aperta una rosa bianca da cui emanava una luce abbagliante. Pochi istanti prima della sua morte, in giardino, una rosa bianca fioriva in modo inspiegabile, data la stagione invernale. La Chiesa l’ha dichiarata Venerabile con Decreto del dicembre 1993. Negli anni l’interesse verso Benedetta aumenta costantemente. Sono ormai più di dieci le biografie pubblicate su di lei. La sua storia ha interessato e colpito innumerevoli personalità, da Ignazio Silone a mons. Ennio Francia, da Giorgio La Pira al cardinal Tonini, da Oscar Luigi Scalfaro a Sergio Zavoli, da mons. Angelo Comastri a Padre Turoldo. Vi è persino un giornale dedicato a lei e un sito internet che porta il suo nome (www.benedetta.it).

Ricorda
«Sappiano che sono pure uniti in modo speciale a Cristo sofferente per la salute del mondo quelli che sono oppressi dalla povertà, dalla infermità, dalla malattia e dalle varie tribolazioni, o soffrono persecuzioni per la giustizia: il Signore nel Vangelo li ha proclamati beati, e “ il Dio… di ogni grazia, che ci ha chiamati all’eterna sua gloria in Cristo Gesù, dopo un po’ di patire, li condurrà egli stesso a perfezione e li renderà stabili e sicuri” (1 Pt 5,10)». (Concilio Vaticano II, Costituzione Lumen Gentium, n. 41).

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