La Cappella grande del Duomo di Verona

Posté par atempodiblog le 15 janvier 2014

La Cappella grande del Duomo di Verona
Nella cappella grande del Duomo di Verona è presente in nuce quello che sarà lo spirito della vera riforma cattolica in risposta alla rivoluzione protestante che andava in quegli anni affermandosi.

di Martino Cisago – Radici Cristiane

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Il cuore della cattedrale di Verona, rifatta all’interno nello stile del Quattrocento, è a oriente nella “Cappella grande”. Ad esso conduce la “direzione sacra” ad altare Dei: lì, entro la cancellata marmorea, sull’altare dell’abside romanica trasfigurata dal Rinascimento si offre Cristo.
L’arte sostanziata di sapienza, fede, pratica liturgica e docilità alle direttive spirituali e culturali del vescovo Giberti (Palermo 1492-Verona 1542) – gigante della riforma cattolica e antesignano del Concilio di Trento – ha conferito allo spazio l’aspetto dello scrigno prezioso. Gli affreschi, l’altar maggiore con lo scomparso tabernacolo, il pavimento che copre le tombe di Papa Lucio III e del vescovo Ludovico di Canossa, la recinzione marmorea, gli stalli per il vescovo e il capitolo, le cantorie e gli arredi mobili, sono capitoli di un programma episcopale che anticipò in Verona la riforma della Chiesa.

Il programma iconografico
Il cantiere della cappella si aprì tra il 1527 e il 1528. Le pitture del presbiterio di Francesco Torbido (1482 ca-1561) furono ultimate nel 1534 e fanno parte di un piano generale che potrebbe attribuirsi a Giulio Romano (1494-1546).
Giulio, infatti, aveva conosciuto e lavorato per Giberti a Roma e nel 1528 aveva presentato i cartoni per la decorazione pittorica della cappella. Il ciclo è una novità nel contesto veronese della prima metà del XVI secolo; le conseguenze della maniera romanista di Giulio, frutto del classicismo raffaellesco e dell’antico, saranno per Verona assai significative.
Sul fronte dell’arco vediamo l’Annunciazione e negli incavi della base del fondale architettonico, Isaia, additante il cartigio “Ecce Virgo concipiet”, ed Ezechiele, il profeta della nuova Civitas Dei che l’esegesi medievale aveva eletto simbolo di Maria.
Nella volta del presbiterio e nel catino osserviamo «in quattro gran quadri, la natività della Madonna, la presentazione al tempio, et in quello di mezzo, che pare che sfondi, son tre angeli in aria che scortano all’insù e tengono una corona di stelle per coronar la Madonna, la quale è poi nella nicchia accompagnata da molti angeli, mentre è assunta in cielo, e gli apostoli in diverse maniere et attitudini guardano in su» (Vasari).
Il vescovo Giberti, attento all’anima popolare della devozione, non disprezzava queste storie tradizionali e le volle dipinte nel luogo più santo della cattedrale. I riquadri della natività e della presentazione al tempio evocano quelli della “Bibbia di Raffaello” nella II loggia del Palazzo Apostolico vaticano.
L’intelaiatura architettonica dei grandi affreschi si estende anche alla parte inferiore dell’abside dove sono riconoscibili, nella nicchia, un colossale san Zeno, nel fregio e nelle cantorie suppellettili liturgiche.
I due corali con le antifone Veni sponsa Christi e Salve Regina – preziosità decorative alludenti alla riforma liturgico-musicale di Giberti -, anticipano i monocromi con alcune scene dell’Antico Testamento, che la liturgia applica in modo accomodatizio alla maternità verginale di Maria e al suo ruolo di Madre di Dio: il roveto ardente, il sacrificio d’Isacco, il vello di Gedeone, la radice di Jesse, l’arca di Noè, la legge antica del Sinai, Giuditta e Oloferne, l’acqua dalla roccia, il santuario dalle porte chiuse, la vittoria di Davide su Golia.
Anche qui il programma iconografico accosta dogma e pietas: i dogmi della maternità divina di Maria e della sua verginità perpetua stanno accanto alla dottrina, a quel tempo non ancora definita, dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione.

Presbiterio e altare
La cancellata marmorea, idea presente in nuce negli affreschi, modificò l’assetto del presbiterio. La sistemazione, comprendente l’altare con il tabernacolo, la cancellata e il pavimento è da ricondursi all’architetto veronese Michele Sanmicheli (1484-1559).
L’inizio si ebbe nel 1533, allorquando Giberti volle sepolto in cattedrale Ludovico di Canossa suo amico e alleato anche nel proporre al papa l’idea di una riforma generale della Chiesa. Al centro del presbiterio, alto su un podio di tre gradini, si erge l’altare: un policromo cofano marmoreo aperto sul fronte ovest da una fenestrella confessionis che permette la discesa al suo interno.
La confessione incorporata nell’altare unisce al significato teologico quello apologetico: il protestantesimo disprezzava l’uso di porre le reliquie dei martiri, sacrificio degli uomini che si unisce a quello di Cristo, nell’altare.
Giberti, nel desiderio di emulare Roma, optò per un altare che rammentasse le basiliche romane, ma trascurò la tradizionale posizione di questi altari a oriente. Tuttavia, la cancellata che lo circonda ha la funzione di ridestare, velando, il desiderio del Mistero e indica che non vi è necessità visiva fra il popolo e l’azione sacra all’altare.

Tabernacolo a pianta centrale
Il sistema geometrico della cappella aveva il suo cardine nel tabernacolo a pianta centrale. Giberti fu il pioniere della custodia dell’Eucaristia sugli altari maggiori rendendola obbligatoria in diocesi. Per lui l’altare del Sacramento doveva essere solenne e davvero al centro.
Pier Francesco Zini, un ecclesiastico formatosi alla sua scuola, scrive che il vescovo «rese il coro [della cattedrale] più ampio e più bello con grande arte (…) in modo tale che contenesse il (…) tabernacolo per il Corpo del Signore Gesù Cristo come il cuore nel mezzo del petto e la mente al centro dell’anima (…). Tale è la maestà con la quale è innalzato da quattro angeli di bronzo sull’altare maggiore posto in mezzo al coro, che le menti dei religiosi e dei laici, come è giusto, sono ispirate alla devozione».
Nel 1534 si fusero gli angeli di bronzo che sostenevano la custodia preziosa di cristalli e pietre. Una novità nella forma e nell’iconografia che san Carlo Borromeo pensò bene di proporre per gli altari maggiori delle sue chiese; e pure Papa Sisto V nella cappella sistina a Santa Maria Maggiore volle un tabernacolo così.
Circonda l’altare una cancellata che, sviluppandosi dalle parti estreme dell’abside, ne ripete a rovescio la curvatura. La recinzione evoca altre sistemazioni chiesastiche come quella dell’antica San Pietro descritta nella Donazione di Roma della Sala di Costantino in Vaticano di Giulio Romano e Francesco Penni (1524). Da ultimo la forma sepolcrale dell’altare e il tappeto lapideo, che copre la tomba del papa e dei vescovi Canossa e Giberti, conferiscono al luogo anche un significato funerario.
Così la cappella di Giberti appare grande, bella e spaziosa e adatta alla devozione dei fedeli verso l’altar maggiore dove si celebrava Messa e si conservavano le Sacre Specie. La pianta centrale enfatizza l’altare e il tabernacolo e il tradizionale legame di Maria con gli edifici circolari.

Nello spirito della Riforma cattolica
Tutto è concepito in funzione della Presenza e del dogma mariano. L’altare sotto l’arco, circondato dall’abside e dalla solennità del tornacoro, rende evidente il primato del culto e perciò del Sacrificio Augusto sugli altri interessi della comunità.
L’Eucaristia è la sintesi della storia della salvezza, «il Sacramento più grande e il coronamento di tutti gli altri» (san Tommaso d’Aquino). L’Eucaristia è intimamente legata alla vita della Chiesa e dei fedeli e questa vita si appoggia a essa e in essa continuamente si esprime.
La discesa del Verbo in carne e sangue, annunciata dagli affreschi, si compie definitivamente nel sacrificio del Calvario rinnovato sull’altare. La divina potenza che suscitò il Corpo di Cristo nel grembo di Maria, suscita sull’altare la “mirabile conversione” del pane e del vino che il Concilio di Trento chiama “Transustanziazione”.
Nella Comunione la stessa potenza attua l’intima unione dei fedeli con Cristo immolato per essi e la trasformazione della loro vita nella sua. L’Eucaristia diviene così pegno di quella gloria futura anticipata a Colei che portò Dio nel proprio corpo.
L’Eucaristia renderà vuote le tombe per la gloria. La “tomba nuova… scavata nella roccia”, l’altare, in cui il Verbo incarnato discende fino agli inferi è anche la tomba vuota dell’umanità divinizzata, l’Assunta. La tomba vuota ora è per noi luogo di confessione della fede, di martyria, di venerazione delle reliquie e appello alla santità.

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