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La storia di Lizzie Velasquez

Posté par atempodiblog le 30 janvier 2014

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Si chiama Lizzie Velasquez ed è una ragazza ventenne di Austin, Texas. È affetta da una rarissima malattia (sindrome di De Barsy) che le impedisce di ingrassare, poiché il suo corpo – benché sia costretta a mangiare ogni quarto d’ora – non può trattenere grassi (non ha mai pesato più di 28 chili). In questo video, Lizzie, che oggi è una “speaker motivazionale” e laureanda, narra la sua storia e anche dell’amara scoperta che un giorno fece vedendo un video su Youtube in cui era definita «la donna più brutta del mondo» e in cui le si consigliava il suicidio. Lizzie ha scritto tre libri in cui racconta la sua vita, con alcuni particolari che nel video non sono narrati, come, ad esempio il fatto che, da piccola, i suoi genitori dovessero utilizzare i vestiti delle bambole per vestirla, non esistendo indumenti adatti alla sua taglia. Grazie alla sua famiglia, Lizzie ha potuto affrontare le difficoltà della sua esistenza, frequentare la scuola, entrare a far parte del gruppo delle cheerleader e, soprattutto, imparare che un malato non è la sua malattia. Come ha detto lei stessa: «Dio mi ha fatto come sono per una ragione e non vorrei essere diversa. Affronto gli ostacoli sulla mia strada a testa alta e con il sorriso sulle labbra». E di certo l’ironia non le manca.

Tratto da: Tempi.it

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Charles Péguy, un poeta preso dal fascino di Maria

Posté par atempodiblog le 30 janvier 2014

Il canto d’amore di Charles Péguy
Un poeta preso dal fascino di Maria
La Madre di Dio che un giorno è diventata anche madre nostra («perché il Figlio ha preso tutti i peccati /ma la Madre ha preso tutti i dolori») ci riceve fra le sue braccia accoglienti e ci guida nel porto della volontà di Dio, se solo abbiamo «l’audacia», come scriveva il grande poeta francese, di affidare a lei le nostre vite.

di Maria Di Lorenzo – Madre di Dio

charles peguy

«Quando avremo recitato la nostra ultima parte,/ quando avremo deposto cappa e mantello, /quando avremo gettato maschera e coltello, /ricorda il nostro lungo peregrinare./ Quando ci caleranno nella fossa /e ci avranno offerto assoluzione e messa, /ricorda, o Regina di ogni promessa, /il nostro lungo cammino, il nostro peregrinare…».

La voce del poeta Charles Péguy attraversa tutto il XX secolo e porta in eredità a quello che si affaccia sulla scena del terzo millennio un seme di libertà. La libertà dei figli di Dio. Di Dio e di Maria. «Mistero, pericolo, gioia, disgrazia, grazia di Dio, scelta unica, responsabilità spaventosa, miseria, grandezza della nostra vita». Sono parole sue, estrapolate da un’opera che è un vero inno a Maria, Il portico del mistero della seconda virtù, data alle stampe il 22 ottobre 1911.
«Ascolta, bimba mia, – dice il poeta – ora ti spiegherò, ascoltami bene, /ora ti spiegherò perché, /come, in che/ la Santa Vergine è una creatura unica, rara./ Di una rarità infinita, fra tutte precellente, /unica fra tutte le creature. / Seguimi bene…».
E comincia, in sordina prima e poi con accenti sempre più appassionati, il suo canto d’amore alla Vergine:
«A colei che è infinitamente grande /perché è anche infinitamente piccola…/A colei che è infinitamente ricca/ perché è anche infinitamente povera…/A colei che è infinitamente alta/ perché è anche infinitamente discendente…/A colei che è infinitamente salva /perché a sua volta salva infinitamente…/ A colei che è tutta Grandezza e tutta Fede / perché è anche tutta Carità…/ A colei che è la più imponente / perché è anche la più materna…/ A colei che è infinitamente celeste /perché è anche infinitamente terrestre…/ A colei che è infinitamente gioiosa / perché è anche infinitamente dolorosa…/ A colei che è con noi / perché il Signore è con lei…/ Colei che è infinitamente regina /perché è la più umile delle creature…».

«Ho ritrovato la fede!»
Grandezza e mistero di Maria. Un canto affascinante, il suo, che ha quasi l’andamento e il sapore di antiche litanie. Ma da dove nasceva questo elogio della Santa Vergine? Dobbiamo gettare un rapido sguardo sulla vita – vita in verità assai breve, appena 41 anni, e altrettanto tumultuosa – di questo grande poeta francese.
Charles Péguy, bisogna dirlo subito, appartiene alla schiera dei convertiti. E del convertito la sua dimensione di scrittore avrà sempre l’impronta, negli aspetti di assoluto rigore come nelle fulminanti accensioni liriche.
Nato a Orléans il 7 gennaio 1873, ancora in fasce perse il padre, sicché sua madre per sopravvivere dovette imparare il mestiere di impagliatrice di sedie. Charles potrà studiare grazie alle borse di studio.
A vent’anni si trasferisce a Parigi, a quel tempo ha già abbandonato ogni pratica religiosa. È un giovane colto, intelligente, che diventerà discepolo di Bergson. Sensibile alle questioni sociali, è acceso da un ideale che nell’ultimo scorcio dell’Ottocento ha i contorni rivoluzionari del socialismo.
Péguy aderisce al credo socialista con l’intensità della gioventù e tutto l’ardore del suo cuore appassionato, ma ne resterà presto deluso. Da tale disillusione prenderà corpo la crisi, salutare e risolutiva.
È l’irruzione nella sua vita della Grazia. Evento misterioso, come ogni conversione, ma evento indubbiamente segnato da Maria. La storia di tanti convertiti sta lì a dimostrarlo: dietro ogni «caduta da cavallo», dietro ogni ritorno alla fede, c’è sempre lo «zampino» di Lei, della Madonna.
È Maria che riconduce a Dio, per sentieri segreti e imprevedibili che solo Lei conosce. Persino il peccatore più incallito, e con un piede già nell’abisso, ci rammenta S. Massimiliano Kolbe e con lui S. Luigi Grignion de Montfort (cfr. Trattato della vera devozione a Maria, n. 100), si converte ed è salvo per intercessione della Vergine, che sa come sciogliere i cuori più induriti.
Come nel caso del colto e indifferente scrittore di Orléans. A un certo punto, infatti, Péguy scrive all’amico Joseph Lotte, della sua cerchia parigina di intellettuali socialisti, e gli confessa: «Ho ritrovato la fede…Sono cattolico…».
È il settembre del 1908. Ha 35 anni. Da questo momento fino al giorno della sua morte – che avverrà nell’estate del 1914, in guerra, durante la battaglia della Marna – Charles Péguy si dedicherà a diffondere la fede ritrovata, in scritti di forte ispirazione religiosa.
E’ un cattolicesimo, il suo, vissuto in forma mistica e rivoluzionaria. Un cattolicesimo che ha il suo centro di luce in Maria, icona della speranza. I suoi versi, spesso ieratici, a volte ridondanti, conservano tracce di echi biblici molto forti, tra l’epico e il profetico. Il suo stile, personalissimo e incisivo, è impossibile da imitare. E difatti egli è rimasto una voce pressoché unica nel panorama della letteratura europea del Novecento.

Maria icona della speranza
Il portico del mistero della seconda virtù rappresenta la seconda parte di un trittico in versi che il poeta volle dedicare alle virtù teologali: fede, speranza e carità, comprendente Il mistero della carità di Giovanna d’Arco (1910) e Il mistero dei Santi Innocenti (1912).
Delle virtù teologali, secondo il poeta, è la speranza la più gradita a Dio, forse perché è anche la più difficile: «La Fede è una sposa fedele. / La Carità è una Madre / la Speranza è una bambina da nulla», scrive Péguy, «eppure è questa bambina che traverserà i mondi…».
La speranza, «singolare mistero, il più misterioso», precede quindi la fede e la carità, e corrisponde alla «infanzia del cuore». E’ qualcosa di «più dolce del sottile germoglio d’aprile», dice il poeta; essa «vede quello che non è ancora e che sarà, / ama quello che non è ancora e che sarà», ed è per l’appunto la «seconda virtù» a cui si fa cenno nel titolo. Una virtù che discende da Maria, la quale «ha preso a carico e in tutela / e in commenda per l’eternità / la giovane virtù Speranza».
Che cosa significa? Significa che la Madre di Dio un giorno è diventata anche madre nostra («perché il Figlio ha preso tutti i peccati /ma la Madre ha preso tutti i dolori») e, tra le sue braccia accoglienti, ci riceve e ci guida al porto sicuro della volontà di Dio, se appena abbiamo l’ardire («l’audacia», egli scrive) di affidarle le nostre vite.
«E lei, che li aveva presi, – continua – aveva / tanti figli sulle braccia. /Tutti i figli degli uomini. / Da quel primo piccino che aveva portato in braccio / Quel piccolo uomo che rideva come un tesoro / e che dopo le aveva causato tanto tormento /perché era morto per la salvezza del mondo…».
Maria è l’immagine della tenerezza di Dio verso tutti noi, suoi figli, «noi che non siamo nulla, noi che entriamo nella vita e subito ne usciamo, / come dei girovaghi entrano in una fattoria per un pasto soltanto, / per una pagnotta e per un bicchiere di vino». Creature effimere che durano un giorno, infelici, a contatto col dolore e la morte, anelanti a una difficile se non impossibile innocenza del cuore.
Eppure, dice Péguy, proprio all’uomo, a questo «pozzo d’inquietudine», Dio ha fatto dono di sé («spaventoso amore, spaventosa carità»). È questo il suo mistero, il mistero della seconda virtù: che «il Creatore ha bisogno della sua creatura…/ Colui che è tutto ha bisogno di ciò che non è nulla…».

Maternità universale
E’ il mistero di Dio, l’essenza per noi inspiegabile della sua gratuità, che poi fa tutt’uno col mistero di Maria, il suo essere compresenza e armonia degli opposti: purezza e al tempo stesso coscienza della miseria umana, senso di finitudine e salvezza donata a piene mani.
«A tutte le creature – scrive il poeta – manca qualche cosa, e non soltanto di non essere Creatore. / A quelle che sono carnali, lo sappiamo, manca di essere pure. / Ma a quelle che sono pure, bisogna saperlo, manca di essere carnali./ Una sola è pura essendo carnale. / Una sola è carnale essendo pura. / E’ per questo che la Santa Vergine non è solo la più grande benedizione che sia caduta sulla terra / ma la più grande benedizione discesa in tutta la creazione…».
Anche gli angeli, è vero, sono puri, dice Péguy, però non conoscono la materia, non hanno corpo, questo nostro corpo impastato di fango e di cenere che sempre ci inchioda alla terra. Maria, al contrario, pur essendo immacolata, «pura come Eva prima del primo peccato», ha sperimentato la realtà della carne, ed è in grado di capire quella pesantezza tutta umana del vivere. «E finché ci sarà un riparo, /cioè un ovile, / Essa è la madre del pastore eterno».
Maria, madre del Buon Pastore, è per l’uomo garanzia perenne di soccorso, e proprio in virtù della sua maternità, che è di carattere soprannaturale e, perciò, universale. A Lei, quindi, ci si può affidare infallibilmente, con la certezza di arrivare a Dio; a Lei si ricorre, infine, nell’ora estrema per trarne speranza di salvezza. «Quando avremo lasciato sacco e corda, / quando avremo tremato gli ultimi tremiti, / quando avremo rantolato gli ultimi dolori, / ricorda la tua misericordia. / Nulla ti chiediamo, o Rifugio dei peccatori, / solo l’ultimo posto nel tuo purgatorio, / per piangere a lungo la nostra tragica storia, / e contemplare da lontano il tuo splendore…».

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L’ambrosia del demonio

Posté par atempodiblog le 30 janvier 2014

L'ambrosia del demonio dans Anticristo n5sdmo

“Il peccato contro la speranza, il più mortale di tutti, è forse il meglio accolto, il più accarezzato. Ci vuole molto tempo per riconoscerlo, e la tristezza che lo annunzia e lo precede è così dolce! E’ il più ricco degli elisir del demonio, la sua ambrosia”.

di Georges Bernanos

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Amicizia nuova

Posté par atempodiblog le 30 janvier 2014

Amicizia nuova
Nella familiarità nata tra cattolici ed ebrei per far fronte alla persecuzione nazista in Italia
di Anna Foa – L’Osservatore Romano

Gli studi degli ultimi anni stanno mettendo sempre più in luce il ruolo generale di protezione che la Chiesa ha avuto nei confronti degli ebrei durante l’occupazione nazista dell’Italia. Da Firenze, con il cardinal Dalla Costa su cui si tiene questo convegno, proclamato Giusto nel 2012, a Genova con don Francesco Repetto, anch’egli Giusto, a Milano con il cardinal Schuster, e via via fin naturalmente a Roma dove la presenza del Vaticano, oltre all’esistenza delle zone extraterritoriali, consentì il salvataggio di migliaia di ebrei. Proprio a proposito di Roma il lavoro recente di Andrea Riccardi ha messo in luce molti aspetti importanti di questa vicenda, dalle modalità con cui fu portata avanti l’opera di ricovero e salvataggio dei perseguitati, che erano tali da non poter essere il frutto soltanto di “iniziative dal basso” ma erano chiaramente coordinate oltre che consentite dai vertici della Chiesa, al fatto che essa non si limitava agli ebrei, più a rischio degli altri, ma si estendeva a tutti coloro che erano in pericolo (la mezza Roma che nascondeva l’altra mezza), al fatto evidente che i nazisti erano ben consapevoli di quello che succedeva nei conventi: la partita si giocava sul filo del rasoio e non riguardava solo la possibilità di dar rifugio agli ebrei, ma il rapporto tra Chiesa e nazisti, e cioè la possibilità che il regime nazista ponesse d’un colpo fine alla presenza di uno Stato neutrale, il Vaticano, nel cuore della Roma occupata. Si cancella così l’immagine proposta negli anni Sessanta di un Papa indifferente alla sorte degli ebrei o addirittura complice dei nazisti.

Amicizia nuova dans Articoli di Giornali e News 5ecux5Vorrei mettere qui in rilievo che questa più recente immagine dell’aiuto prestato agli ebrei dalla Chiesa nasce non da posizioni ideologiche filocattoliche, ma soprattutto da ricerche puntuali sulla vita degli ebrei durante l’occupazione, dalla ricostruzione di storie di famiglie o di individui. Dal lavoro sul campo, insomma. Il rifugio nelle chiese e nei conventi emerge in continuazione dai racconti dei sopravvissuti, percorre come un filo rosso le testimonianze orali raccolte negli anni in Italia (come il corpo vastissimo delle testimonianze di ebrei italiani rese alla Shoah Foundation), si ritrova presente nella maggior parte delle memorie dei contemporanei. È raccontato come un dato di fatto, appartiene al campo delle evidenze, con tutte le diversità delle situazioni, dai conventi che chiedono una retta a quelli che accolgono gratis gli ebrei, che a loro volta danno una mano nel lavoro quotidiano come nel caso delle ragazze ebree che aiutano a fare scuola ai bambini nella scuola delle Maestre Pie Filippini a Roma Ostiense, raccontato da Rosa Di Veroli. È insomma un’immagine che è il frutto non del dibattito sul tema Chiesa e Shoah ma anche e soprattutto della ricerca volta ad illuminare la vita e il percorso degli ebrei sotto l’occupazione nazista.

La dibattuta quaestio storiografica su Pio XII e gli ebrei ha per molti decenni frenato la ricerca e spostato sul terreno ideologico ogni tentativo di fare chiarezza sui fatti storici. Penso che per fare storia del rapporto della Chiesa con gli ebrei nell’Italia occupata sia innanzi tutto necessario sgombrare il campo da questa questione. Cioè, la domanda principale non può essere quella del rapporto tra lo “spirito profetico” di un Papa e i compromessi diplomatici di un altro Papa, ma quella su quanto e fino a che punto e anche con quante opposizioni interne la Chiesa e il Papa fossero alla guida dell’opera di salvataggio degli ebrei italiani. Le due questioni sono distinte e vanno, io credo, tenute distinte.

L’indagine sulle modalità concrete dell’aiuto agli ebrei, sulla presenza degli ebrei nei conventi e nelle chiese, sulla vita degli ebrei dentro i rifugi ecclesiastici, comincia a mettere in luce un aspetto su cui, mi sembra, poco si è riflettuto finora, quello del cambiamento di mentalità che ne può essere derivato, un tema su cui qualche spunto si può trovare nel libro di Andrea Riccardi su Roma. Infatti, è vero che ebrei e cristiani avevano convissuto per secoli, tra le mura dei ghetti e nelle antiche giudecche, in Italia e particolarmente a Roma, ma questa convivenza aveva raramente coinvolto degli ecclesiastici. Ora, di necessità per l’urgenza della persecuzione, preti ed ebrei dividevano lo stesso cibo. Le donne ebree passeggiavano nei corridoi dei conventi di clausura, gli ebrei imparavano il Padre Nostro e si infilavano la tonaca come precauzione in caso di irruzioni tedesche e fasciste. Rosa Di Veroli, richiesta di pregare insieme con gli altri in chiesa, lo faceva ma recitando sottovoce lo Shemà. C’era un’effettiva speranza da parte cristiana di toccare il cuore indurito degli ebrei e spingerli al battesimo? E quegli ebrei che si battezzarono, lo fecero in seguito ad una vera richiesta o per il fascino di un mondo che non conoscevano e che offriva loro protezione? E ci viene in mente la Lia Levi di Una bambina e basta, attratta per un breve momento dal battesimo. Parliamo ovviamente dei casi di conversione nei conventi, non di quelle conversioni, vere o simulate che fossero, fatte nel 1938 nella speranza di evitare i rigori delle leggi razziste, quando il cardinal Schuster battezzava all’alba gli ebrei in Duomo e i giornali antisemiti più radicali, con Farinacci, vedevano in questi battesimi “il cavallo di Troia degli ebrei nella società ariana e cristiana“.

Tutto questo mette certamente in moto nelle due parti esitazioni e timori nei confronti di un rapporto tanto stretto e quotidiano. Nei sacerdoti e soprattutto nelle suore questi timori possono prendere la strada dell’impulso verso la conversione, inserendosi così su un filone più consolidato e tradizionale di rapporto. Così, la quotidianità e l’attenzione trovano giustificazione e conforto nella speranza di portare un ebreo al battesimo. Negli ebrei, invece, il timore direi atavico di essere spinti verso la conversione porta talvolta (emergono casi del genere nella documentazione orale) a non prendere nemmeno in considerazione l’idea di trovare rifugio in un’istituzione ecclesiastica. Ma può succedere che nulla di tutto questo si realizzi. Che dire, a Roma, della chiesa di San Benedetto al Gazometro, dove molti ebrei trovarono rifugio, e del suo parroco allora giovanissimo, don Giovanni Gregorini, che trovava il tempo di fare ogni giorno due chiacchiere con uno dei rifugiati ebrei, uomo di una certa età e molto religioso, parlando con lui delle rispettive religioni, e dei loro rapporti? Qui, dalle due parti, c’è rispetto reciproco e curiosità dell’altro.

Insomma, io credo che questa familiarità nuova e improvvisa, indotta senza preparazione dalle circostanze, in condizioni in cui una delle due parti era braccata e rischiava la vita ed era quindi bisognosa di maggior “carità cristiana”, non sia stata senza conseguenze sull’avvio e sulla recezione del dialogo. Un dialogo molto più tardo, certo, e avviato soprattutto a livello teorico (pensiamo a Jules Isaac e all’insegnamento del disprezzo), mentre questo ci appare come un dialogo dal basso, fatto di pasti consumati insieme e di discorsi senza pretese, anche per superare le ansie di un rapporto sconosciuto fino a quel momento. Così, le suore di un altro convento romano aggiungevano il lardo alla zuppa comune solo dopo averla distribuita alle ebree rifugiate da loro. Anche questa è una forma di dialogo dal basso, mi sembra.

Nel primo dopoguerra, nel momento in cui prevaleva la rimozione, questo processo dialogico è stato in parte bloccato, da una parte perché gli ebrei erano intenti a ricostruire il proprio mondo e la propria identità dopo la catastrofe, dall’altra perché i cattolici sembravano esser tornati sulle posizioni tradizionali in cui la speranza della conversione era più forte del rispetto. È forse questa chiusura dei primi anni dopo la Shoah ad impedire lo sviluppo di quel dialogo dal basso, alla pari di quello ai livelli più alti, come dimostra il fallimento dell’incontro di Jules Isaac con Pio XII. Comunque fosse, agli inizi degli anni Sessanta, con Il vicario di Hochhuth, su questo processo sarebbe stata proiettata l’ombra della leggenda nera di Pio XII, con il risultato di intralciare e opacizzare la memoria e il peso di quel primo percorso comune. Oggi è il momento giusto per riprendere a indagarlo.

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Maria, la sacra calamita

Posté par atempodiblog le 29 janvier 2014

Maria, la sacra calamita dans Citazioni, frasi e pensieri abic92

Maria è la sacra calamita che, dovunque si trovi attira così fortemente l’eterna Sapienza, che questa non può resistere. E’ la calamita che l’ha attirata sulla terra per tutti gli uomini e che l’attira ancora, ogni giorno, in ogni anima dove Maria dimora. Se giungiamo ad avere Maria dentro di noi, facilmente ed in poco tempo, per la sua intercessione, avremo anche la divina Sapienza.
Di tutti i mezzi per avere Gesù Cristo, Maria è il più sicuro, il più facile, il più breve e il più santo. Facessimo pure spaventose penitenze, penosissimi viaggi e laboriosissime fatiche, spargessimo perfino sangue per acquistare la Sapienza, se in tutti questi sforzi non entrassero l’intercessione e la devozione alla Vergine santa, sarebbero mutili ed incapaci di ottenerla.
Ma se Maria dice una parola per noi, se in noi regna il suo amore, se abbiamo l’impronta dei suoi fedeli servi che custodiscono le sue vie, allora, presto e con poca fatica, avremo la Sapienza divina.

Tratto da: L’Amore dell’Eterna Sapienza di San Luigi Maria Grignion de Montfort

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Il disprezzo e la derisione del prossimo

Posté par atempodiblog le 29 janvier 2014

Il disprezzo e la derisione del prossimo dans Charles Dickens Un-canto-di-Natale

Era abbastanza saggio da sapere che a questo mondo non è mai accaduto nulla di buono che in un primo tempo qualcuno non abbia deriso; e sapendo che gente come quella era cieca ad ogni costo, pensò che potevano pure strizzare gli occhi in un ghigno, piuttosto che mostrare la loro cattiveria in forme meno piacevoli. Anche il suo cuore rideva, e ciò gli bastava.

Tratto da: Canto di Natale di Charles Dickens

Divisore dans San Francesco di Sales

Nessun vizio è così contrario alla carità, e più ancora alla devozione, quanto il disprezzo e la derisione del prossimo.

La derisione e la beffa non vanno senza disprezzo; è per questo che è un peccato molto grave, e i moralisti hanno ragione di dire che la derisione è il modo peggiore di offendere il prossimo con parole; le altre offese salvano sempre, in una certa misura, la stima per la persona; la derisione invece non la risparmia in nulla.

Tratto da: Filotea di San Francesco di Sales

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Sposato, giovane, istruito: il cliente che non ti aspetti

Posté par atempodiblog le 29 janvier 2014

Sposato, giovane, istruito: il cliente che non ti aspetti dans Articoli di Giornali e News ifbkfc

I maschi italiani che comprano le donne sono insospettabili. Il 50% è sposato, in maggioranza hanno tra i 30 e i 50 anni e appartengono a ogni ceto sociale. Anzi, al crescere dell’istruzione aumenta la domanda. Sono italiani e immigrati, militari, marinai, pescatori, camionisti, impiegati, manager che viaggiano con frequenza. E poi su fino ai piani alti della politica e dello spettacolo che frequentano le escort. Resistono gli anziani habituè grazie ai progressi della chimica farmaceutica. Crescono pedofili e i turisti del sesso, che dovremmo cominciare a chiamare una buona volta turismo cattivo. Una ricerca del Gruppo Abele presentata a Torino nell’ambito del progetto europeo Etts ha fotografato i clienti delle donne prostituite in base ai dati raccolti dalle unità di strada italiane raccontando un universo complesso e variegato. Con alcune novità: anzitutto sarebbero di meno – 2,5 milioni e non nove come finora si credeva – mentre ogni giorno sarebbero 250 mila a comprare prestazioni sessuali sul marciapiede e indoor. Dato ottenuto moltiplicando il numero di donne che vendono il proprio corpo in Italia (25 mila, stima condivisa dalla Caritas anche se per la Camera sono invece 40 mila) per circa dieci prestazioni. Molti continuano a cercare rapporti in strada, mentre una parte altrettanto consistente, soprattutto giovani, ormai lo fa sul web accedendo da lì a privè, appartamenti e locali per massaggi.

I profili psicologici tratteggiano alcune tipologie diffuse come gli sperimentatori, gli abituali, i compulsivi, i clienti dell’estremo e i punitori, che disprezzano la donna che si vende e usano violenza. Per gli psicoterapeuti hanno in comune il narcisismo mentre il terreno su cui si formano è la cultura consumistica unita alla pornografia diffusa sul web che sta abbattendo i limiti facendo credere che qualunque cosa si possa acquistare, anche il corpo umano.

Valerio Pedroni, della Fondazione Somaschi Oggi, segnala i pericoli di Internet specie per i minori. «Negli ultimi anni sono nati siti specifici dove il cliente condivide giudizi e “recensisce” le prostitute. Il proliferare dei siti porno aumenta il ventaglio delle tipologie di sesso a pagamento, anche se il consumo diventa virtuale».

Secondo il filosofo dell’Università Cattolica Silvano Petrosino sono profili che possono degenerare: «Attraverso il potere esercitato sulle prostitute e sui soggetti più deboli, l’uomo ricerca un godimento per placare la sua inquietudine anche con la violenza». È un tipo spesso schizofrenico il cliente, che opera una distinzione nell’universo femminile tra moglie-madre desessualizzata e le prostitute. Non mancano infatti secondo lo studio uomini che considerano il rapporto con la prostituta come “complementare” a una relazione stabile e i solitari che considerano tale rapporto l’unico possibile in quanto ritengono di avere difficoltà relazionali e affettive con le donne “normali”. Spesso pagano qualcuno che li ascolti. Non hanno molti scrupoli; la maggioranza preferisce le prostitute straniere (le donne italiane sono circa il 10%) pur consapevole del fatto che sono vittime di tratta, per il loro minore potere contrattuale. Crescono i pedofili. Dal 5 al 12% a seconda dei territori cercano minorenni, le quali hanno un’età compresa tra i 12 e i 18 anni, provengono dall’Europa dell’est o dalla Nigeria e si concedono in luoghi chiusi.

Quanto al turismo cattivo, secondo Ecpat lo praticano 80.000 italiani (60% occasionali, 35% abituali, 5% pedofili) e la nostra nazionalità si è sempre attestata ai primi 5 posti della classifica dei turisti sessuali nei vari Paesi.

La legge italiana non è repressiva con i clienti. Del resto l’effetto delle ordinanze anti prostituzione non ha ridimensionato la domanda, generando lo spostamento del fenomeno al chiuso: dal 30 al 70% secondo le forze di polizia a seconda dei territori mentre le ordinanze anticlienti dal 2011, in base al pronunciamento della Corte Costituzionale devono avere carattere emergenziale e durata limitata. Nonostante il rischio di malattie e infezioni sessualmente trasmissibili come sifilide e Hiv, cresce il numero di chi chiede rapporti non protetti: dal 30% dei casi al chiuso, al 50/70% in strada anche pagando dal 35 al 50% in più. Crescono anche le prostitute contagiate, secondo Ivano Dal Conte dell’ospedale torinese Amedeo di Savoia.

Infine, tra i giovani, rispetto al passato cresce l’opinione negativa sui clienti delle prostitute, ma resiste un’idea distorta della donna e del suo corpo, frutto di anni di tivù spazzatura, pubblicità volgare e pessimi modelli.

Paolo Lambruschi – Avvenire

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La lettura spirituale

Posté par atempodiblog le 29 janvier 2014

La lettura spirituale dans Citazioni, frasi e pensieri Don-Giustino-Maria-della-SS-Russolillo-Apostolo-delle-Vocazioni

La lettura spirituale è di tanta importanza che me ne voglio fare un primissimo dovere. La uso per il mio progresso personale e l’apostolato per la santificazione universale. Nella preghiera sono io che parlo al Signore. Nella lettura il Signore parla a me. […] mi applicherò a divorare, e molto più a godermi ed assimilare tanti libri di ascetica, teoria e pratica. Di essi ne voglio un tesoro, per me e per gli altri. Mai estenderò fino al libro l’idea della s. povertà, ne avrei o una falsa idea o una sbagliata applicazione. Sempre avrò con me, come un indivisibile amico, come un visibile angelo, un libro spirituale, per tutti i ritagli alquanto considerevoli di tempo. Farò grande uso e continuo apostolato delle vite dei santi.

Ascensione – Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

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Quando l’uomo non vede altro…

Posté par atempodiblog le 29 janvier 2014

Quando l’uomo non vede altro... dans Citazioni, frasi e pensieri w16a0g

“Quando l’uomo non vede altro che il proprio nulla, Dio non lo vede più che nella sua misericordia”.

Ernest Hello

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Cercare in sé stessi e non altrove

Posté par atempodiblog le 29 janvier 2014

Cercare in sé stessi e non altrove dans Citazioni, frasi e pensieri tah35c

“Cosa spinge l’essere umano a distruggere gli altri? – Ma ricordati che sei un essere umano anche tu. Io non vedo nessun’altra soluzione, veramente non ne vedo nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappare via il nostro marciume. Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi.

È l’unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove. Malgrado il dolore e l’ingiustizia, la coscienza che tutti questi orrori non sono come un pericolo misterioso e lontano al di fuori di noi, ma che si trovano vicinissimi e nascono dentro di noi. E perciò sono molto più familiari e assai meno terrificanti.

So che chi odia ha fondati motivi per farlo. Ma perché dovremmo sempre scegliere la strada più corta e più a buon mercato? Laggiù ho potuto toccare con mano come ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo lo renda ancora più inospitale”.

Etty Hillesum

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Intravedo in ogni anima un santo particolare

Posté par atempodiblog le 28 janvier 2014

Intravedo in ogni anima un santo particolare dans Citazioni, frasi e pensieri Beato-Giustino-M-della-Santissima-Trinit-Russolillo

“O mio Dio, intravedo in ogni anima un santo particolare, in cui vagheggia un’idea Tua; mondo di bellezza che in esso vuole rivelarsi”.

Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

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Che in me sia Maria SS.ma

Posté par atempodiblog le 28 janvier 2014

Che in me sia Maria SS.ma dans Citazioni, frasi e pensieri Nostra-Signora

“Che in me sia Maria SS.ma, che io mi trasformi in Maria e allora non mancherà lo Spirito di sopravvenire in me e di formare in me Gesù Cristo”.

Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

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L’apostolo che lottò contro tutte le lebbra

Posté par atempodiblog le 28 janvier 2014

Raoul Follereau
L’apostolo che lottò contro tutte le lebbra
Assieme alla moglie Madeleine, girò il mondo per combattere la terribile malattia. Sapiente comunicatore, bussò alle porte dei potenti e scrisse all’Onu. Ma sapeva parlare a tutti, toccando il cuore.
di Enzo Romeo – Credere

L’apostolo che lottò contro tutte le lebbra dans Raoul Follereau Raoul-Follereau
Nel Sahara incontrò i primi lebbrosi - Nato nel 1903 a Nevers, in Francia, Raoul Follereau incontra per la prima volta i lebbrosi nel Sahara. Da quel momento inizia a viaggiare in tutto il mondo per debellare la terribile malattia.

Il tempo ha la meglio sullo spazio, dice papa Francesco. E il tempo ci sorprende, perché ci costringe a parlare della lebbra nel 2014, nell’era della scienza, quando sembra un anacronismo dedicare una Giornata mondiale alle persone colpite da una malattia citata nei Vangeli ma inconcepibile nel terzo millennio. Eppure ogni anno si registrano decine di migliaia di nuovi casi, concentrati soprattutto in Asia, America latina e Africa. Perfino l’Italia non è immune, anche se gli episodi si contano sulle dita di una mano, diagnosticati soprattutto tra gli immigrati o tra italiani tornati a casa dopo un lungo soggiorno all’estero. A Gioia del Colle esiste ancora un lebbrosario, gestito dalla diocesi di Altamura, che ospita pochi lungodegenti, ormai non più infettivi.

Fu Raoul Follereau nel 1954 a chiamare alla mobilitazione tutti gli uomini di buona volontà. La guerra fredda divideva il pianeta in blocchi contrapposti e Follereau parlava di pace e solidarietà senza frontiere. Inviò una lettera aperta all’Onu intitolata Un giorno di guerra per la pace, controfirmata da tre milioni di giovani. Già nel 1944 aveva scritto a Roosevelt, chiedendo che l’equivalente dei costi di un giorno di guerra fossero destinati alla ricostruzione. Dieci anni dopo spedì un’altra missiva, al presidente americano Eisenhower e a quello sovietico Malenkov, per avere in regalo da ciascuno un aereo da bombardamento. «Avevo calcolato – spiegò anni dopo – che al costo dei due apparecchi avremmo potuto acquistare i sulfamidici contro la lebbra. Gli anni sono trascorsi e un giorno ho ritrovato in un recinto di demolizione novantasei aeroplani B52; ce n’erano un paio ancora cromati, sembravano in grado di volare. E mi sono detto: “Guarda, i miei due! Con il loro prezzo si sarebbero curati i lebbrosi di tutto il mondo”».

Follereau fu un idealista sognatore. Prima avvocato, poi giornalista, quindi “apostolo dei lebbrosi”, mosso spiritualmente da una potente elica a tre pale: fede, speranza, carità. Un percorso compiuto nella scia dell’umanesimo cristiano francese, che da Giovanna d’Arco arriva fino all’Abbé Pierre. Se quest’ultimo sopportò per tutta la vita lo stereotipo di prete di sinistra, c’è chi a Follereau vorrebbe appiccicare l’etichetta di credente di destra. Goffa operazione, perché non contestualizzata. Il giovane Follereau agì in un’epoca segnata dal colonialismo, dalle tensioni della Grande guerra e dalla depressione del ’29. Tra cambiamenti e incertezze – molto simili a quelli di oggi – creò una Lega dell’Unione latina per rinverdire in Francia e altrove le radici cristiane. La minaccia allora più percepita in ambito cattolico era l’ateismo bolscevico, a cui facevano da contraltare ideologie altrettanto pericolose, come il fascismo, ma suadenti, poiché si presentavano quale diga a una società senza Dio. Sondare questo panorama storico è ora compito di un team di studiosi che dovrà fornire elementi alla diocesi di Parigi per l’apertura della causa di beatificazione di Follereau e di sua moglie Madeleine Boudou, che lo sostenne per quasi sessant’anni. «Ci sono molti scritti che devono passare al vaglio degli storici e ciò richiederà del tempo», dice da Parigi Michel Récipon, presidente della Fondazione Follereau. «Certe parole da lui usate negli anni Trenta», ammette, «non sono quelle che sceglierebbe oggi, ma ogni uomo è figlio del suo tempo e in tante conferenze ha chiarito il suo pensiero, volto sempre agli ultimi e ai sofferenti».

Michel Récipon ha raccolto il testimone dal padre André, stretto collaboratore di Follereau. «Fu un uomo», ha detto il vecchio André, «che ha lottato contro tutte le lebbre. I lebbrosi sono gli esclusi per eccellenza, coloro che non hanno voce. Per questo Follereau ne divenne il megafono e oggi il suo lavoro continua in una trentina di nazioni attraverso i tanti che si ispirano a lui». André Récipon ricorda che ad “addestrare” definitivamente Raoul alla causa della lebbra furono le suore missionarie che durante la Seconda guerra mondiale ospitarono lui e la moglie nel convento alla periferia di Lione.

Follereau aveva incontrato i lebbrosi nel Sahara, dov’era andato per raccontare la vita di Charles de Foucauld, il piccolo fratello del deserto. A un certo punto il radiatore dell’auto si mise a bollire e i passeggeri furono obbligati a una sosta; apparvero in quel mentre dei fantasmi d’uomini che subito si allontanarono e nascosero. Follereau chiese: «Chi sono?». «Lebbrosi» rispose l’accompagnatore. «Quel giorno – disse – capì che esisteva un crimine imperdonabile, senza appelli e senza amnistia: la lebbra».

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Controcorrente

Posté par atempodiblog le 28 janvier 2014

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“Una cosa morta può andare con la corrente, ma solo una cosa viva può andarvi contro”.

Gilbert Keith Chesterton

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Lasciar pedere le chiacchiere

Posté par atempodiblog le 28 janvier 2014

Lasciar pedere le chiacchiere dans Citazioni, frasi e pensieri San-Francesco-di-Sales

E’ proprio vero, Filotea, se per far piacere agli altri, ci lasciamo andare a ridere, a giocare, a ballare con la gente di mondo, il mondo ne sarà scandalizzato; se non lo facciamo ci accuserà di essere ipocriti e tristi; se ci vestiamo bene, penserà che abbiamo un motivo nascosto; se andiamo alla buona, ci farà passare per gente senza educazione; la nostra allegria sarà per lui dissolutezza, la mortificazione, tristezza; ci guarda tanto di traverso che per quanto ci sforziamo, non gli andremo mai a genio.

Le nostre imperfezioni le ingigantisce e le classifica peccati, i nostri peccati veniali li fa mortali; i nostri peccati di debolezza li trasforma in peccati di malizia.

Dovrebbe invece sapere, come dice S. Paolo, la carità è benigna, il mondo, al contrario, è cattivo; dovrebbe sapere anche che la carità non pensa male; al contrario, il mondo pensa sempre male, e se proprio non gli riesce di accusare le nostre azioni, accusa le nostre intenzioni.

I montoni possono avere le corna o non averle, essere bianchi o essere neri, il lupo, appena gli riuscirà, li sbranerà. E’ un po’ la stessa cosa per noi fare quello che vogliamo, il mondo ci farà sempre guerra; se ci fermiamo un po’ davanti al confessore, si chiederà che cosa gli stiamo raccontando; se invece ci sbrighiamo, dirà che abbiamo taciuto metà!

Sorveglierà tutti i nostri movimenti e per un piccolo scatto di collera dirà che siamo insopportabili; la cura dei nostri affari la chiamerà avarizia, la nostra dolcezza, stupidità; quanto ai figli del mondo, la loro collera è sincerità, la loro avarizia abilità amministrativa; le libertà che si prendono, franchezza: i ragni rovinano sempre l’opera delle api!

Filotea, lasciamo perdere questo cieco: lascialo urlare finché non si stancherà, come fa il barbagianni per spaventare gli uccelli del giorno. Restiamo fermi nei nostri propositi, sarà la perseveranza a dimostrare che è sul serio e con sincerità che ci siamo votati a Dio e incamminati nella vita devota.

Le comete e i pianeti hanno apparentemente la stessa luminosità; solo che le comete scompaiono in poco tempo, perché hanno soltanto una luminosità transitoria, mentre i pianeti godono di una luce continua; lo stesso si può dire dell’ipocrisia e della virtù; esternamente si assomigliano molto, ma volendo, si possono distinguere con sicurezza l’una dall’altra: l’ipocrisia non dura nel tempo e si scioglie come nebbia al sole, mentre la virtù autentica rimane stabile e costante.

Tratto da: Filotea di San Francesco di Sales

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