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La scelta della modalità di confessione

Posté par atempodiblog le 21 décembre 2013

La scelta della modalità di confessione dans Citazioni, frasi e pensieri Confessionale-con-grata

“Voglio ricordare che non si deve far pesare sul penitente il proprio gusto, ma rispettare la sua sensibilità per quanto concerne la scelta della modalità di confessione, cioè se faccia a faccia o attraverso la grata del confessionale”.

Giovanni Paolo II, Il Sacramento della penitenza – Libreria editrice Vaticana, pag. 47

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Sede per le confessioni e Diritto canonico

Posté par atempodiblog le 21 décembre 2013

Sede per le confessioni e Diritto canonico dans Fede, morale e teologia Confessionale-con-grata

Il fatto di non usare più i confessionali tradizionali è un abuso attuato da alcuni sacerdoti.
Di fatto la Chiesa vuole che ci siano sempre anche confessionali muniti di grata.
La presenza del confessionale è un segno importante e di sua natura eloquente: è capace di richiamare alla memoria l’esistenza del Sacramento e la necessità di celebrarlo.

Ecco quanto dispone il Codice di diritto canonico:
“Relativamente alla sede per le confessioni, le norme vengano stabilite dalla Conferenza episcopale, garantendo tuttavia che si trovino sempre in luogo aperto i confessionali, provvisti di una grata fissa tra il penitente e il confessore, cosicché i fedeli che lo desiderano possano liberamente servirsene” (can. 964,2).
Tuttavia per qualsiasi motivo serio, il sacramento può essere celebrato anche altrove (can. 964,3).

di Padre Angelo Bellon O.P. – Amici Domenicani

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Confessarsi come Dio comanda

Posté par atempodiblog le 21 décembre 2013

Confessarsi come Dio comanda dans Fede, morale e teologia confessionali

Alla fine del documento Misericordia Dei si chiede alle Conferenze episcopali che emanino disposizioni in cui, tra l’altro, si garantisca che i confessionali siano collocati “in luogo visibile” e siano provvisti anche “di grata fissa”.

BERTONE: È una disposizione saggia. La garanzia di non essere riconosciuti quando ci si va a confessare è una garanzia di libertà di coscienza dei fedeli. E questa garanzia deve essere accordata a tutti coloro che la desiderano. Altra cosa è se si tratti di una direzione spirituale o di un fedele che abbia un confessore stabile.

Tratto da: 30Giorni (Confessarsi come Dio comanda, 2002)

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O Maria ottienici il Natale di Gesù nella nostra vita

Posté par atempodiblog le 19 décembre 2013

“Ecco ci è nato un Figlio! O Maria ottienici il Natale di Gesù nella nostra vita”.

O Maria ottienici il Natale di Gesù nella nostra vita dans Citazioni, frasi e pensieri don-Giustino-Maria-Russolillo

“Dio ha tanto amato il mondo da mandare il Suo Figlio unigenito perché fosse non solo il Salvatore degli uomini, ma proprio Egli in persona fosse la salvezza degli uomini. L’ha mandato e l’ha dato! Ce l’ha mandato per sempre, ce l’ha dato per sempre, non per una visita, non per un beneficio che passa… non come un medico che visita il malato, fa la sua diagnosi, scrive le medicine opportune e poi se ne va… nostro Signore è venuto per essere Egli in persona la nostra salvezza”.

“O Dio mio Bimbo, a me dal Ciel venuto! O Dio mio Figlio, a me dal Ciel nato! O divina mia unione! O canzone eternità! Mio Dio e mio tutto, Mio Dio e mio tutto! Io sono fuor di me per la dolcezza!”.

Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

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Un crescente bisogno di azzurro

Posté par atempodiblog le 18 décembre 2013

Un crescente bisogno di azzurro dans Citazioni, frasi e pensieri ftj48p

«Ieri ho visitato il “piazzale Michelangelo”: punto di incanto da dove si domina tutta la città: mi sono spinto sino alla basilica di S. Miniato, oasi di silenzio e di solitudine. C’è dentro di me un crescente bisogno di azzurro; come dire? una chiamata sempre più esplicita alla contemplazione e ogni qual volta il luogo è adatto mi sento trasportato in questo regno interiore candido ed infinito. Spezziamo così le catene della nostra prigionia terrena: per dimenticarci almeno un momento di tutte le cose».

di Giorgio La Pira – Lettera alla zia Settimia del 14 maggio 1926

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Il luogo della nascita di Gesù

Posté par atempodiblog le 18 décembre 2013

Il luogo della nascita di Gesù
Fonte: The Franciscans of the Holy Land
Tratto da: Storia Libera

Il luogo della nascita di Gesù dans Fede, morale e teologia Il-luogo-della-nascita-di-Ges

Dopo i vangeli, la più antica testimonianza sul luogo della nascita di Gesù (verso la metà del II sec.) è del filosofo e martire Giustino, originario di Flavia Neapolis, odierna Nablus, in Palestina: «Al momento della nascita del bambino a Betlemme, poiché non aveva dove soggiornare in quel villaggio, Giuseppe si fermò in una grotta prossima all’abitato e, mentre si trovavano là, Maria partorì il Cristo e lo depose in una mangiatoia, dove i Magi, venuti dall’Arabia lo trovarono». In particolare la menzione della grotta come abitazione di fortuna, va riconosciuta come un’eco della viva tradizione locale, attestata anche nell’antichisssimo apocrifo detto “Protoevangelo di Giacomo” (II sec.), ripetuta da Origene (III sec.) e alla base di tutta la storia successiva del santuario betlemitano. Questa medesima grotta fu circondata dalle magnifiche costruzioni dell’imperatore Costantino e di sua madre Elena non molto dopo il 325 d. C., come ci narra lo storico Eusebio di Cesarea, contemporaneo ai fatti. Nel 386, san Girolamo si stabilì nei pressi della basilica, con la nobile matrona romana Paola e altri seguaci, vivendo vita monastica, dedicandosi allo studio della Bibbia e producendo la sua celebre versione latina (Vulgata), che divenne poi ufficiale nella chiesa d’Occidente. Il suo sepolcro, così come quello dei suoi compagni e compagne, fu scavato nelle immediate vicinanze della grotta medesima.

La basilica del IV sec. fu sostituita nel VI sec. da un’altra di dimensioni maggiori, che è quella ancora oggi in piedi. In epoca crociata (XII sec.) le pareti furono abbellite di preziosi mosaici dai fondi incrostati d’oro e di madreperla, dei quali rimangono ampi frammenti con scene del nuovo Testamento (nel transetto, con iscrizioni latine) e la rappresentazione simbolica di concili ecumenici (nella navata, con iscrizioni greche). Al di sopra delle colonne della navata in una fila di medaglioni sono raffigurati gli antenati di Gesù (con diciture latine). Uno degli angeli adoranti della parete sinistra ha ai piedi una iscrizione (in latino e in siriaco) con il nome dell’artista, il pittore Basilio. Scavi fatti negli anni 1934-35 (dal governo mandatario inglese) hanno riportato alla luce considerevoli avanzi dei mosaici pavimentali della basilica costantiniana, alcuni dei quali sono visibili tanto nella navata che nel transetto della basilica.

I francescani, che dimorano a Betlemme dal 1347, posseggono accanto alla basilica della Natività il proprio convento e una chiesa (dedicata alla santa martire Caterina) che serve principalmente per le necessità della comunità cristiana cattolica locale di rito latino; da questa chiesa si scende alle grotte di S. Girolamo.

Un antico pellegrino anonimo, citato dal monaco benedettino Pietro Diacono (XII sec.), ci parla dei ricordi sacri presenti nei dintorni Betlemme: «Non lontano di là c’è una chiesa detta dei Pastori, dove un grande giardino è accuratamente chiuso tutto intorno da un muro; e c’è in quel luogo una grotta molto luminosa, che ha un altare là dove un angelo, apparso ai pastori veglianti, annunciò la nascita di Cristo». Anche san Girolamo (fine IV sec.) menziona più volte questo luogo, associandolo alla biblica Migdal-Eder (Torre di Eder o del gregge) e la chiesa di Gerusalemme vi celebrava una festa la vigilia del Natale. Il vescovo Arculfo (VII sec.) ricorda la presenza dei sepolcri dei tre pastori nella chiesa. Prima dell’arrivo dei crociati la chiesa fu distrutta ma, nonostante ciò, le rovine continuarono ad essere visitate dai pellegrini.

Tradizionalmente il luogo era segnalato a Deir er-Ra’wat, sul margine meridionale della pianura sottostante Betlemme, dove esistono notevoli rovine di un antico edificio sacro. La chiesa inferiore o cripta, pressocché integra, servì anche da chiesa parrocchiale per i greci ortodossi fino al 1955. Nel 1972 si procedette allo scavo (a cura di V. Tzaferis) e al restauro del monumento; una chiesa moderna affianca l’antica.

La localizzazione tradizionale venne messa in questione dalle scoperte di C. Guarmani (1859) e, successivamente, dagli scavi di p. Virgilio Corbo (1951-52) a Siyar el-Ghanam, sopra un poggio situato a una certa distanza dal luogo precedente. Vi furono ritrovati i resti di un insediamento agricolo risalente al I sec. d. C. (con pressoi per olio, grotte e colombario) e di un monastero bizantino (chiesa, cortili, cisterne, panetteria, ambienti mosaicati) fiorito tra il IV e l’VIII sec. d. C. Il nuovo santuario, dedicato ai SS. Angeli, fu fatto costruire dalla Custodia di Terra Santa nel 1954 (arch. A. Barluzzi).

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Prepariamoci ad accogliere Gesù: Novena di Natale (da recitarsi dal 16 al 24 dicembre)

Posté par atempodiblog le 16 décembre 2013

Prepariamoci ad accogliere Gesù: Novena di Natale (da recitarsi dal 16 al 24 dicembre) dans Preghiere Presepio

Signore Gesù,
noi ti vediamo bambino
e crediamo che Tu sei il Figlio di Dio,
fatto uomo per opera dello Spirito Santo
nel grembo della Vergine Maria.

Come a Betlemme, anche noi con Maria, Giuseppe,
gli Angeli e i pastori ti adoriamo
e ti riconosciamo nostro unico Salvatore.

Proteggi le nostre famiglie,
benedici tutti i bambini del mondo
e fa’ che regni sempre tra noi
l’amore che Tu ci hai portato
e che rende più felice la vita!

Tu sei Dio, e vivi e regni con Dio Padre,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Benedetto XVI
Tratta da: Giuseppe di Nazareth

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Dio che ti fa l’occhiolino

Posté par atempodiblog le 15 décembre 2013

Dio che ti fa l'occhiolino dans Citazioni, frasi e pensieri 2u6iq8z

«Quando sei al massimo dell’esasperazione nel disprezzo di te e nel rifiuto della vita, dici, accusandoti: “io sono un verme strisciante”; e chi ci trovi al tuo livello, al tuo basso livello? Ci trovi Dio, Gesù Cristo, volontariamente disceso con te al tuo livello. I piedi arrivano fino a terra, fino alla superficie della terra, e lì c’è Dio, curvo a lavarteli e a baciarli. [...] Ogni volta che il quotidiano ti scandalizza, che il normale, il dolore o la gioia, le cose, la materialità della tua situazione ti scandalizza, segna quel momento come un comparire di Dio che ti fa l’occhiolino, di questo Amico che ti fa segno: “Guardami sono qui, dove stai col naso? Sei un po’ strabico? Riconoscimi sono qui”. È qui, nelle cose; è qui, nei fatti».

Don Luigi Giussani
Tratto da: La Roccia Splendente

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Papa Francesco all’Angelus: la Chiesa non è rifugio per gente triste, è la casa della gioia

Posté par atempodiblog le 15 décembre 2013

“La Chiesa non è un rifugio per gente triste”: così Papa all’Angelus nella terza domenica di Avvento, permeata dalla gioia dell’avvicinarsi del Natale. Francesco saluta e chiede preghiere ai tanti bambini, oggi in piazza San Pietro per far benedire i bambinelli dei loro presepi.
di Roberta Gisotti – Radio Vaticana

Papa Francesco all’Angelus: la Chiesa non è rifugio per gente triste, è la casa della gioia dans Fede, morale e teologia Partecipare-alla-Messa-di-Natale

Nella “domenica della gioia” ci si rallegra “perché il Signore è vicino”. “Il messaggio cristiano” è infatti la ‘buona notizia’ “per tutto il popolo”.

“La Chiesa non è un rifugio per gente triste, la Chiesa è la casa della gioia!”.

“Ma quella del Vangelo – ha chiarito il Papa – non è una gioia qualsiasi. Trova la sua ragione nel sapersi accolti e amati da Dio”, che “viene a salvarci, e presta soccorso specialmente agli smarriti di cuore”.

“La sua venuta in mezzo a noi irrobustisce, rende saldi, dona coraggio, fa esultare e fiorire il deserto e la steppa, cioè la nostra vita quando diventa arida: e quando diventa arida la nostra vita? Quando è senza l’acqua della Parola di Dio e del suo Spirito d’amore”.

Per quanto siano grandi i nostri limiti e i nostri smarrimenti, ha rassicurato Francesco:

“non ci è consentito essere fiacchi e vacillanti di fronte alle difficoltà e alle nostre stesse debolezze”,

“Al contrario, siamo invitati ad irrobustire le mani, a rendere salde le ginocchia, ad avere coraggio e non temere” – ha detto Francesco – perché “Dio mostra sempre la grandezza della sua misericordia”.

“Grazie al suo aiuto noi possiamo sempre ricominciare da capo: come ricominciare da capo? Qualcuno può dirmi: “No, Padre, io ne ho fatte tante… Sono un gran peccatore, una grande peccatrice… Io non posso rincominciare da capo!”. Sbagli! Tu può ricominciare da capo! Perché? Perché Lui ti aspetta, Lui è vicino a te, Lui ti ama, Lui è misericordioso, Lui ti perdona, Lui ti dà la forza di ricominciare da capo! A tutti! Siamo capaci di riaprire gli occhi, superare tristezza e pianto e intonare un canto nuovo”.

“E questa gioia vera rimane anche nella prova, anche nella sofferenza”:

“perché non è superficiale, ma scende nel profondo della persona che si affida a Dio e confida in Lui”.

“Quanti hanno incontrato Gesù lungo il cammino, sperimentano nel cuore una serenità e una gioia di cui niente e nessuno potrà privarli”.

“Perciò, quando un cristiano diventa triste, vuol dire che si è allontanato da Gesù. Ma allora non bisogna lasciarlo solo! Dobbiamo pregare per lui, e fargli sentire il calore della comunità”.

Poi l’invocazione alla Madonna perché “ci ottenga di vivere la gioia del Vangelo in famiglia, al lavoro, in parrocchia e in ogni ambiente. “Una gioia intima, fatta di meraviglia e tenerezza”.

“Quella che prova una mamma quando guarda il suo bambino appena nato, e sente che è un dono di Dio, un miracolo di cui solo ringraziare!”.

E tanta meraviglia si è vista negli occhi dei bimbi rivolti verso la finestra del Papa, venuti in piazza San Pietro per far benedire i ‘bambinelli’ dei loro presepi, e grande tenerezza si è sentita nelle parole di Francesco, che li ha salutati dopo la preghiera mariana:

“Cari bambini, quando pregherete davanti al vostro presepe, ricordatevi anche di me, come io mi ricordo di voi. Vi ringrazio, e buon Natale!”.

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La gente, oggi, è convinta…

Posté par atempodiblog le 15 décembre 2013

La gente, oggi, è convinta... dans Charles Péguy La-gente-oggi-convinta

“La gente, oggi, è convinta che la morale consista dell’indignarsi contro qualcun altro”.

Charles Péguy

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“Mai avere paura della tenerezza”

Posté par atempodiblog le 15 décembre 2013

“Mai avere paura della tenerezza”
Intervista con papa Francesco su Natale, fame nel mondo, sofferenza dei bambini, riforma della Curia, donne cardinale, Ior e prossimo viaggio in Terra Santa
di Andrea Tornielli – Vatican Insider

“Mai avere paura della tenerezza” dans Andrea Tornielli Papa-Francesco
Immagine tratta da: Familia Cristiana

«Il Natale per me è speranza e tenerezza…». Francesco racconta a «La Stampa» il suo primo Natale da vescovo di Roma. Casa Santa Marta, martedì 10 dicembre, ore 12.50. Il Papa ci accoglie in una sala accanto al refettorio.
L’incontro durerà un’ora e mezza. Per due volte, durante il colloquio, dal volto di Francesco sparisce la serenità che tutto il mondo ha imparato a conoscere, quando accenna alla sofferenza innocente dei bambini e parla della tragedia della fame nel mondo. Nell’intervista il Papa parla anche dei rapporti con le altre confessioni cristiane e dell’«ecumenismo del sangue» che le unisce nella persecuzione, accenna alle questioni del matrimonio e della famiglia che saranno trattate dal prossimo Sinodo, risponde a chi lo ha criticato dagli Usa definendolo «un marxista» e parla del rapporto tra Chiesa e politica.

Che cosa significa per lei il Natale?
«È l’incontro con Gesù. Dio ha sempre cercato il suo popolo, lo ha condotto, lo ha custodito, ha promesso di essergli sempre vicino. Nel Libro del Deuteronomio leggiamo che Dio cammina con noi, ci conduce per mano come un papà fa con il figlio. Questo è bello. Il Natale è l’incontro di Dio con il suo popolo. Ed è anche una consolazione, un mistero di consolazione. Tante volte, dopo la messa di mezzanotte, ho passato qualche ora solo, in cappella, prima di celebrare la messa dell’aurora. Con questo sentimento di profonda consolazione e pace. Ricordo una volta qui a Roma, credo fosse il Natale del 1974, una notte di preghiera dopo la messa nella residenza del Centro Astalli. Per me il Natale è sempre stato questo: contemplare la visita di Dio al suo popolo».

Che cosa dice il Natale all’uomo di oggi?
«Ci parla della tenerezza e della speranza. Dio incontrandoci ci dice due cose. La prima è: abbiate speranza. Dio apre sempre le porte, mai le chiude. È il papà che ci apre le porte. Secondo: non abbiate paura della tenerezza. Quando i cristiani si dimenticano della speranza e della tenerezza, diventano una Chiesa fredda, che non sa dove andare e si imbriglia nelle ideologie, negli atteggiamenti mondani. Mentre la semplicità di Dio ti dice: vai avanti, io sono un Padre che ti accarezza. Ho paura quando i cristiani perdono la speranza e la capacità di abbracciare e accarezzare. Forse per questo, guardando al futuro, parlo spesso dei bambini e degli anziani, cioè dei più indifesi. Nella mia vita di prete, andando in parrocchia, ho sempre cercato di trasmettere questa tenerezza soprattutto ai bambini e agli anziani. Mi fa bene, e mi fa pensare alla tenerezza che Dio ha per noi».

Come si può credere che Dio, considerato dalle religioni infinito e onnipotente, si faccia così piccolo?
«I Padri greci la chiamavano “synkatabasis”, condiscendenza divina. Dio che scende e sta con noi. È uno dei misteri di Dio. A Betlemme, nel 2000, Giovanni Paolo II disse che Dio è diventato un bambino totalmente dipendente dalle cure di un papà e di una mamma. Per questo il Natale ci dà tanta gioia. Non ci sentiamo più soli, Dio è sceso per stare con noi. Gesù si è fatto uno di noi e per noi ha patito sulla croce la fine più brutta, quella di un criminale».

Il Natale viene spesso presentato come fiaba zuccherosa. Ma Dio nasce in un mondo dove c’è anche tanta sofferenza e miseria.
«Quello che leggiamo nei Vangeli è un annuncio di gioia. Gli evangelisti hanno descritto una gioia. Non si fanno considerazioni sul mondo ingiusto, su come faccia Dio a nascere in un mondo così. Tutto questo è il frutto di una nostra contemplazione: i poveri, il bambino che deve nascere nella precarietà. Il Natale non è stata la denuncia dell’ingiustizia sociale, della povertà, ma è stato un annuncio di gioia. Tutto il resto sono conseguenze che noi traiamo. Alcune giuste, altre meno giuste, altre ancora ideologizzate. Il Natale è gioia, gioia religiosa, gioia di Dio, interiore, di luce, di pace. Quando non si ha la capacità o si è in una situazione umana che non ti permette di comprendere questa gioia, si vive la festa con l’allegria mondana. Ma fra la gioia profonda e l’allegria mondana c’è differenza».

È il suo primo Natale, in un mondo dove non mancano conflitti e guerre…
«Dio mai dà un dono a chi non è capace di riceverlo. Se ci offre il dono del Natale è perché tutti abbiamo la capacità di comprenderlo e riceverlo. Tutti, dal più santo al più peccatore, dal più pulito al più corrotto. Anche il corrotto ha questa capacità: poverino, ce l’ha magari un po’ arrugginita, ma ce l’ha. Il Natale in questo tempo di conflitti è una chiamata di Dio, che ci dà questo dono. Vogliamo riceverlo o preferiamo altri regali? Questo Natale in un mondo travagliato dalle guerre, a me fa pensare alla pazienza di Dio. La principale virtù di Dio esplicitata nella Bibbia è che Lui è amore. Lui ci aspetta, mai si stanca di aspettarci. Lui dà il dono e poi ci aspetta. Questo accade anche nella vita di ciascuno di noi. C’è chi lo ignora. Ma Dio è paziente e la pace, la serenità della notte di Natale è un riflesso della pazienza di Dio con noi».

In gennaio saranno cinquant’anni dallo storico viaggio di Paolo VI in Terra Santa. Lei ci andrà?
«Natale sempre ci fa pensare a Betlemme, e Betlemme è in un punto preciso, nella Terra Santa dove è vissuto Gesù. Nella notte di Natale penso soprattutto ai cristiani che vivono lì, a quelli che hanno difficoltà, ai tanti di loro che hanno dovuto lasciare quella terra per vari problemi. Ma Betlemme continua a essere Betlemme. Dio è venuto in un punto determinato, in una terra determinata, è apparsa lì la tenerezza di Dio, la grazia di Dio. Non possiamo pensare al Natale senza pensare alla Terra Santa. Cinquant’anni fa Paolo VI ha avuto il coraggio di uscire per andare là, e così è cominciata l’epoca dei viaggi papali. Anch’io desidero andarci, per incontrare il mio fratello Bartolomeo, patriarca di Costantinopoli, e con lui commemorare questo cinquantenario rinnovando l’abbraccio tra Papa Montini e Atenagora avvenuto a Gerusalemme nel 1964. Ci stiamo preparando».

Lei ha incontrato più volte i bambini gravemente ammalati. Che cosa può dire davanti a questa sofferenza innocente?
«Un maestro di vita per me è stato Dostoevskij, e quella sua domanda, esplicita e implicita, ha sempre girato nel mio cuore: perché soffrono i bambini? Non c’è spiegazione. Mi viene questa immagine: a un certo punto della sua vita il bambino si “sveglia”, non capisce molte cose, si sente minacciato, comincia a fare domande al papà o alla mamma. È l’età dei “perché”. Ma quando il figlio domanda, poi non ascolta tutto ciò che hai da dire, ti incalza subito con nuovi “perché?”. Quello che cerca, più della spiegazione, è lo sguardo del papà che dà sicurezza. Davanti a un bambino sofferente, l’unica preghiera che a me viene è la preghiera del perché. Signore perché? Lui non mi spiega niente. Ma sento che mi guarda. E così posso dire: Tu sai il perché, io non lo so e Tu non me lo dici, ma mi guardi e io mi fido di Te, Signore, mi fido del tuo sguardo».

Parlando della sofferenza dei bambini non si può dimenticare la tragedia di chi soffre la fame.
«Con il cibo che avanziamo e buttiamo potremmo dar da mangiare a tantissimi. Se riuscissimo a non sprecare, a riciclare il cibo, la fame nel mondo diminuirebbe di molto. Mi ha impressionato leggere una statistica che parla di 10mila bambini morti di fame ogni giorno nel mondo. Ci sono tanti bambini che piangono perché hanno fame. L’altro giorno all’udienza del mercoledì, dietro una transenna, c’era una giovane mamma col suo bambino di pochi mesi. Quando sono passato, il bambino piangeva tanto. La madre lo accarezzava. Le ho detto: signora, credo che il piccolo abbia fame. Lei ha risposto: sì sarebbe l’ora… Ho replicato: ma gli dia da mangiare, per favore! Lei aveva pudore, non voleva allattarlo in pubblico, mentre passava il Papa. Ecco, vorrei dire lo stesso all’umanità: date da mangiare! Quella donna aveva il latte per il suo bambino, nel mondo  abbiamo sufficiente cibo per sfamare tutti. Se lavoriamo con le organizzazioni umanitarie e riusciamo a essere tutti d’accordo nel non sprecare il cibo, facendolo arrivare a chi ne ha bisogno, daremo un grande contributo per risolvere la tragedia della fame nel mondo. Vorrei ripetere all’umanità ciò che ho detto a quella mamma: date da mangiare a chi ha fame! La speranza e la tenerezza del Natale del Signore ci scuotano dall’indifferenza».

Alcuni brani dell’«Evangelii Gaudium» le hanno attirato le accuse degli ultra-conservatori americani. Che effetto fa a un Papa sentirsi definire «marxista»?
«L’ideologia marxista è sbagliata. Ma nella mia vita ho conosciuto tanti marxisti buoni come persone, e per questo non mi sento offeso». Le parole che hanno colpito di più sono quelle sull’economia che «uccide»… «Nell’esortazione non c’è nulla che non si ritrovi nella Dottrina sociale della Chiesa. Non ho parlato da un punto di vista tecnico, ho cercato di presentare una fotografia di quanto accade. L’unica citazione specifica è stata per le teorie della “ricaduta favorevole”, secondo le quali ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. C’era la promessa che quando il bicchiere fosse stato pieno, sarebbe trasbordato e i poveri ne avrebbero beneficiato. Accade invece che quando è colmo, il bicchiere magicamente s’ingrandisce, e così non esce mai niente per i poveri. Questo è stato l’unico riferimento a una teoria specifica. Ripeto, non ho parlato da tecnico, ma secondo la dottrina sociale della Chiesa. E questo non significa essere marxista».

Lei ha annunciato una «conversione del papato». Gli incontri con i patriarchi ortodossi le hanno suggerito qualche via concreta?
«Giovanni Paolo II aveva parlato in modo ancora più esplicito di una forma di esercizio del primato che si apra ad una situazione nuova. Ma non solo dal punto di vista dei rapporti ecumenici, anche nei rapporti con la Curia e con le Chiese locali. In questi primi nove mesi ho accolto la visita di tanti fratelli ortodossi, Bartolomeo, Hilarion, il teologo Zizioulas, il copto Tawadros: quest’ultimo è un mistico, entrava in cappella, si toglieva le scarpe e andava a pregare. Mi sono sentito loro fratello. Hanno la successione apostolica, li ho ricevuti come fratelli vescovi. È un dolore non poter ancora celebrare l’eucaristia insieme, ma l’amicizia c’è. Credo che la strada sia questa: amicizia, lavoro comune, e pregare per l’unità. Ci siamo benedetti l’un l’altro, un fratello benedice l’altro, un fratello si chiama Pietro e l’altro si chiama Andrea, Marco, Tommaso…».

L’unità dei cristiani è una priorità per lei?
«Sì, per me l’ecumenismo è prioritario. Oggi esiste l’ecumenismo del sangue. In alcuni paesi ammazzano i cristiani perché portano una croce o hanno una Bibbia, e prima di ammazzarli non gli domandano se sono anglicani, luterani, cattolici o ortodossi. Il sangue è mischiato. Per coloro che uccidono, siamo cristiani. Uniti nel sangue, anche se tra noi non riusciamo ancora a fare i passi necessari verso l’unità e forse non è ancora arrivato il tempo. L’unità è una grazia, che si deve chiedere. Conoscevo ad Amburgo un parroco che seguiva la causa di beatificazione di un prete cattolico ghigliottinato dai nazisti perché insegnava il catechismo ai bambini. Dopo di lui, nella fila dei condannati, c’era un pastore luterano, ucciso per lo stesso motivo. Il loro sangue si è mescolato. Quel parroco mi raccontava di essere andato dal vescovo e di avergli detto: “Continuo a seguire la causa, ma di tutti e due, non solo del cattolico”. Questo è l’ecumenismo del sangue. Esiste anche oggi, basta leggere i giornali. Quelli che ammazzano i cristiani non ti chiedono la carta d’identità per sapere in quale Chiesa tu sia stato battezzato. Dobbiamo prendere in considerazione questa realtà».

Nell’esortazione lei ha invitato a scelte pastorali prudenti e audaci per quanto riguarda i sacramenti. A che cosa si riferiva?
«Quando parlo di prudenza non penso a un atteggiamento paralizzante, ma a una virtù di chi governa. La prudenza è una virtù di governo. Anche l’audacia lo è. Si deve governare con audacia e con prudenza. Ho parlato del battesimo, e della comunione come cibo spirituale per andare avanti, da considerare un rimedio e non un premio. Alcuni hanno subito pensato ai sacramenti per i divorziati risposati, ma io non sono sceso in casi particolari: volevo solo indicare un principio. Dobbiamo cercare di facilitare la fede delle persone più che controllarla. L’anno scorso in Argentina avevo denunciato l’atteggiamento di alcuni preti che non battezzavano i figli delle ragazze madri. È una mentalità ammalata».

E quanto ai divorziati risposati?
«L’esclusione della comunione per i divorziati che vivono una seconda unione non è una sanzione. È bene ricordarlo. Ma non ho parlato di questo nell’esortazione».

Ne tratterà il prossimo Sinodo dei vescovi?
«La sinodalità nella Chiesa è importante: del matrimonio nel suo complesso parleremo nelle riunioni del concistoro in febbraio. Poi il tema sarà affrontato al Sinodo straordinario dell’ottobre 2014 e ancora durante il Sinodo ordinario dell’anno successivo. In queste sedi tante cose si approfondiranno e si chiariranno».

Come procede il lavoro dei suoi otto «consiglieri» per la riforma della Curia?
«Il lavoro è lungo. Chi voleva avanzare proposte o inviare idee lo ha fatto. Il cardinale Bertello ha raccolto i pareri di tutti i dicasteri vaticani. Abbiamo ricevuto suggerimenti dai vescovi di tutto il mondo. Nell’ultima riunione gli otto cardinali hanno detto che siamo arrivati al momento di avanzare proposte concrete, e nel prossimo incontro, in febbraio, mi consegneranno i loro primi suggerimenti. Io sono sempre presente agli incontri, eccetto la mattina del mercoledì per via dell’udienza. Ma non parlo, ascolto soltanto, e questo mi fa bene. Un cardinale anziano alcuni mesi fa mi ha detto: “La riforma della Curia lei l’ha già cominciata con la messa quotidiana a Santa Marta”. Questo mi ha fatto pensare: la riforma inizia sempre con iniziative spirituali e pastorali prima che con cambiamenti strutturali».

Qual è il giusto rapporto fra la Chiesa e la politica?
«Il rapporto deve essere allo stesso tempo parallelo e convergente. Parallelo, perché ognuno ha la sua strada e i suoi diversi compiti. Convergente, soltanto nell’aiutare il popolo. Quando i rapporti convergono prima, senza il popolo, o infischiandosene del popolo, inizia quel connubio con il potere politico che finisce per imputridire la Chiesa: gli affari, i compromessi… Bisogna procedere paralleli, ognuno con il proprio metodo, i propri compiti, la propria vocazione. Convergenti solo nel bene comune. La politica è nobile, è una delle forme più alte di carità, come diceva Paolo VI. La sporchiamo quando la usiamo per gli affari. Anche la relazione fra Chiesa e potere politico può essere corrotta, se non converge soltanto nel bene comune».

Posso chiederle se avremo donne cardinale?
«È una battuta uscita non so da dove. Le donne nella Chiesa devono essere valorizzate, non “clericalizzate”. Chi pensa alle donne cardinale soffre un po’ di clericalismo».

Come procede il lavoro di pulizia allo Ior?
«Le commissioni referenti stanno lavorando bene. Moneyval ci ha dato un report buono, siamo sulla strada giusta. Sul futuro dello Ior si vedrà. Per esempio, la “banca centrale” del Vaticano sarebbe l’Apsa. Lo Ior è stato istituito per aiutare le opere di religione, missioni, le Chiese povere. Poi è diventato come è adesso».

Un anno fa poteva immaginare che il Natale 2013  lo avrebbe celebrato in San Pietro?
«Assolutamente no».

Si aspettava di essere eletto?
«Non me l’aspettavo. Non ho perso la pace mentre crescevano i voti. Sono rimasto tranquillo. E quella pace c’è ancora adesso, la considero un dono del Signore. Finito l’ultimo scrutinio, mi hanno portato al centro della Sistina e mi è stato chiesto se accettavo. Ho risposto di sì, ho detto che mi sarei chiamato Francesco. Soltanto allora mi sono allontanato. Mi hanno portato nella stanza adiacente per cambiarmi l’abito. Poi, poco prima di affacciarmi, mi sono inginocchiato a pregare per qualche minuto insieme ai cardinali Vallini e Hummes nella cappella Paolina».

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Le Beatitudini (San Tommaso Moro)

Posté par atempodiblog le 14 décembre 2013

Le Beatitudini (San Tommaso Moro) dans Citazioni, frasi e pensieri dgorup

Beati quelli che sanno ridere di se stessi,
perché non finiranno mai di divertirsi.

Beati quelli che sanno distinguere una montagna da un ciottolo,
perché eviteranno molti fastidi.

Beati quelli che sanno riposare e dormire senza trovare scuse:
diventeranno saggi.

Beati quelli che sanno ascoltare e tacere:
impareranno cose nuove.

Beati quelli che sono abbastanza intelligenti per non prendersi sul serio:
saranno apprezzati dai loro vicini.

Beati quelli che sono attenti alle esigenze degli altri, senza sentirsi indispensabili:
saranno dispensatori di gioia.

Beati sarete voi se saprete guardare seriamente le cose piccole e tranquillamente le cose importanti:
andrete lontano nella vita.

Beati voi se saprete apprezzare un sorriso e dimenticare uno sgarbo:
il vostro cammino sarà pieno di sole.

Beati voi se saprete interpretare sempre con benevolenza gli atteggiamenti degli altri, anche contro le apparenze:
sarete presi per ingenui, ma questo è il prezzo della Carità.

Beati quelli che pensano prima di agire e che pregano prima di pensare:
eviteranno tante stupidaggini.

Beati soprattutto voi che saprete riconoscere il Signore in tutti coloro che vi incontrano:
avrete trovato la vera luce e la vera sapienza.

San Tommaso Moro

Tratto da: Filia Ecclesiae

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Abbiamo un incontro che ci attende

Posté par atempodiblog le 13 décembre 2013

Abbiamo un incontro che ci attende dans Fede, morale e teologia Un-Dono

Abbiamo un incontro che ci attende, che non si conclude con il Natale. Ciascuno di noi ha qualcosa che desidera nel cuore, qualcosa di vero, di bello, di grande. E per star bene fuori, dobbiamo chiedere dei doni dentro di noi. Quello che facciamo a volte ci delude perché non lo abbracciamo con il nostro essere ma  lo tolleriamo, come qualcosa fuori di noi, che non ci appartiene e quindi non ci nutre, non dà gioia al nostro cuore.  Stiamo attenti che anche Gesù Bambino non diventi un momento fuori di noi. Deve essere Qualcuno che ci dà delle risposte dentro, Qualcuno che ci dà la forza di fare scelte vere. Invito tutti voi a non pensare alle cose negative che abbiamo dentro; facciamo un bel sorriso a Gesù! Lasciamo cadere tutte le ombre, lasciamo che se ne vadano da noi, scegliamo di stare nella Luce, di vivere lo splendore della Luce che porteranno gli angeli alla Sua nascita.

E il regalo che dobbiamo chiedere a Gesù deve essere innanzitutto quello di voler star bene con noi stessi, di essere in pace con noi, sereni, entusiasti con la nostra stessa vita! Proviamo a vivere tutto questo alla presenza di Gesù: Lui viene sulla “terra” della nostra vita per dare la Sua di vita a noi, per mettere se stesso nelle nostre mani. Chissà se saremo capaci di accoglierlo: vogliamo o non vogliamo avere con noi Gesù?!

Quando c’è Lui, c’è tutto! Soprattutto sperimenteremo una qualità di vita, di gioia, di amore, di pace che mai prima abbiamo vissuto. Sono duemila anni che questa storia si ripete e c’è gente che ancora lascia Gesù fuori dalla porta come un mendicante … Lui è fuori, alla porta del nostro cuore, sta bussando proprio perché sa che senza di Lui noi facciamo un “buco nell’acqua”, abbiamo sempre l’amaro in bocca, anche quando ci sembra di aver realizzato cose importanti: un dialogo profondo, un’amicizia vera… dopo un po’ tutto sfuma! Durano poco le cose senza Gesù. Prima cosa allora: incontrare Gesù, aprirgli la porta e lasciarlo entrare in casa nostra. E vedremo che tutte le cose belle e autentiche, appoggiate a Lui, diventeranno gioia viva, speranza viva, pace vera: la vera gioia del Natale.

di Suor Elvira Petrozzi – Comunità Cenacolo

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Se Dio esiste non può che perdonare

Posté par atempodiblog le 11 décembre 2013

Se Dio esiste non può che perdonare
di Don Fabio Bartoli - La fontana del villaggio

Se Dio esiste non può che perdonare dans Misericordia 25yufs4

Oggi ho aiutato un uomo a morire.

Non è una cosa così straordinaria.

Succede ogni tanto nella vita di un prete.

Non era un uomo buono, anzi. Nella vita ne ha fatte più di Bertoldo, diciamolo. Una volta perfino, tanti anni fa, mi cacciò via da casa con una doppietta in mano.

Ma oggi in punto di morte ha chiesto di me.

E il Signore si è preso cura di lui, ha steso sulla sua paura e sulla sua sofferenza il velo della santa unzione e tutti i suoi peccati sono stati perdonati, ma proprio tutti.

Ed è entrato nella Gloria, e dalla porta principale, come fosse un san Pietro o un san Paolo, come una madonna portata in processione. Portato in processione dagli angeli e dai santi, e da tutti quelli che nella sua vita ha fatto soffrire, e ha umiliato e disprezzato e forse perfino ucciso.

Lo hanno portato loro perché nella comunione dei Santi le cose funzionano così e non c’è tra loro alcun rancore né vendetta, ma solo la gioia del perdono reciproco. E lo stupore di fronte alla manifestazione dell’amore incondizionato di Dio nella vita di uno che li ha fatti morire, eppure era loro fratello.

Oggi ho aiutato un uomo a morire.

Ho recitato su di lui una breve formula, ho steso sulla sua fronte un velo d’olio. Ed è entrato nella Gloria. Con la naturalezza di un “cucchiaio” di Totti, di una “voleé” di Federer, come se fosse nato per quello. Ed era nato per quello in effetti.

Anni ed anni di rancore, di rabbia, di sofferenze subite ed inflitte, di umiliazioni subite ed inflitte, di coltellate date e ricevute. Anni di violenza, di soprusi, di contraffazioni, di meschinità, di bugie colossali, di doppiezza e di inganno cancellati in un giorno, in un’ora, in un minuto.

Tutto così facile? Sì tutto così facile, ed anche di più. Perché la Fatica non l’ha fatta lui, ma un Altro al posto suo e il dolore, la paura, l’angoscia, il male l’ha preso su di sé, tutto su di sé e per lui, e per me, e per te che leggi non è rimasto più.

Non c’è più male, non c’è. Ne resta solo l’eco forse, il ricordo, una cicatrice magari, ma che dopo il perdono non è più memoria di un dolore, ma di una vittoria, non è più il segno di una sconfitta, ma la celebrazione dell’amore.

Tutto così facile? Sì, così. Come per Dizma, quel ladrone che poi non doveva essere tanto buono, visto che in croce andavano i terroristi e gli assassini, eppure con quell’unico e solo gesto di pietà in punto di morte si è guadagnato l’onore di essere l’unico santo canonizzato in diretta. E da Gesù stesso.

Non c’è stato bisogno di complicate penitenze per Dizma, nè per il mio penitente. Nessun percorso di riabilitazione, nessun bisogno di rieducazione, nessuna fatica, nessuna dilazione. Accoglienza piena, perdono totale ed incondizionato.

E pensavo che se Dio esiste non può che agire così.

Se Dio c’è non può che perdonare in questo modo.

Per questo esistono i sacramenti. Questa logica meravigliosa e scioccante di Dio che a un certo punto mette tutto da parte e nella sua fame di salvarti dimentica ogni calcolo che giustamente diciamo umano, ogni ragionamento di convenienza e prudenza, perfino ogni sapienza teologica (e che se ne fa Dio della teologia dopotutto?).

Dio ci ama incondizionatamente e ci perdona sempre, ci perdona prima. Ci ha perdonato ancor prima del nostro peccato. E tutto ciò che dobbiamo fare è accorgercene, e stendere la mano per prenderlo questo perdono e farlo nostro.

Sia pure in punto di morte, sia pure dopo una vita sbagliata dal principio alla fine.

Se non fossi cattolico impazzirei, non potrei vivere senza credere al Dio che ha inventato la confessione. E l’unzione degli infermi.

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Il Papa: la porta del Signore è sempre aperta, il cristiano non perda mai la speranza

Posté par atempodiblog le 11 décembre 2013

Quando Gesù si avvicina a noi, sempre apre le porte e ci dà speranza. E’ quanto affermato da Papa Francesco, martedì mattina, nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che non dobbiamo avere paura della consolazione del Signore, ma anzi dobbiamo chiederla e cercarla. Una consolazione che ci fa sentire la tenerezza di Dio.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

Il Papa: la porta del Signore è sempre aperta, il cristiano non perda mai la speranza dans Fede, morale e teologia 2hqqn7k

“Consolate, consolate il mio popolo”. Papa Francesco ha iniziato la sua omelia soffermandosi su un passo del Libro del Profeta Isaia, Libro della consolazione d’Israele. Il Signore, ha osservato, si avvicina al suo popolo per consolarlo, “per dargli pace”. E questo “lavoro di consolazione” è così forte che “rifà tutte le cose”. Il Signore compie una vera ri-creazione:

“Ricrea le cose. E la Chiesa non si stanca di dire che questa ri-creazione è più meravigliosa della creazione. Il Signore più meravigliosamente ricrea. E così visita il suo popolo: ricreando, con quella potenza. E sempre il popolo di Dio aveva questa idea, questo pensiero, che il Signore verrà a visitarlo. Ricordiamo le ultime parole di Giuseppe ai suoi fratelli: ‘Quando il Signore vi visiterà portate con voi le mie ossa’. Il Signore visiterà il suo popolo. E’ la speranza di Israele. Ma lo visiterà con questa consolazione”.

“E la consolazione – ha proseguito – è questo rifare tutto non una volta, tante volte, con l’universo e anche con noi”. Questo “rifare del Signore”, ha detto il Papa, ha due dimensioni che è importante sottolineare. “Quando il Signore si avvicina – ha affermato – ci dà speranza; il Signore rifà con la speranza; sempre apre una porta. Sempre”. Quando il Signore si avvicina a noi, ha tenuto a ribadire, “non chiude le porte, le apre”. Il Signore “nella sua vicinanza – ha soggiunto – ci dà la speranza, questa speranza che è una vera fortezza nella vita cristiana. E’ una grazia, è un dono”:

“Quando un cristiano dimentica la speranza, o peggio perde la speranza, la sua vita non ha senso. E’ come se la sua vita fosse davanti ad un muro: niente. Ma il Signore ci consola e ci rifà, con la speranza, andare avanti. E anche lo fa con una vicinanza speciale a ognuno, perché il Signore consola il suo popolo e consola ognuno di noi. Bello come il brano di oggi finisce: ‘Come un pastore egli fa pascolare il gregge, e con il suo braccio lo raduna, porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri’. Quell’immagine di portare gli agnellini sul petto e portare dolcemente le madri: questa è la tenerezza. Il Signore ci consola con tenerezza”.

Dio che è potente, ha proseguito, “non ha paura della tenerezza”. “Lui si fa tenerezza, si fa bambino, si fa piccolo”. Nel Vangelo, ha osservato, Gesù stesso lo dice: “Così è la volontà del Padre, che neanche uno di questi piccoli si perda”. Agli occhi del Signore, ha aggiunto, “ognuno di noi è molto, molto importante. E Lui si dà con tenerezza”. E così ci fa “andare avanti, dandoci speranza”. Questo, ha detto ancora, “è stato il principale lavoro di Gesù” nei “40 giorni fra la Risurrezione e l’Ascensione: consolare i discepoli; avvicinarsi e dare consolazione”:

“Avvicinarsi e dare speranza, avvicinarsi con tenerezza. Ma pensiamo alla tenerezza che ha avuto con gli apostoli, con la Maddalena, con quelli di Emmaus. Si avvicinava con tenerezza: ‘Dammi da mangiare’. Con Tommaso: ‘Metti il tuo dito qui’. Sempre così è il Signore. Così è la consolazione del Signore. Che il Signore ci dia a tutti noi la grazia di non avere paura della consolazione del Signore, di essere aperti: chiederla, cercarla, perché è una consolazione che ci darà speranza e ci farà sentire la tenerezza di Dio Padre”.

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