San Gregorio Armeno, un angolo ricco di fede, tradizione e bellezza
Posté par atempodiblog le 6 décembre 2013
San Gregorio Armeno, un angolo ricco di fede, tradizione e bellezza
Nel cuore della Napoli artigiana, illuminata dalle piccole luci colorate tipiche degli addobbi natalizi, si sviluppa una delle più celebri strade del storico: San Gregorio Armeno, famosa nel mondo per il suo antichissimo monastero e ancor più per le caratteristiche botteghe artigianali di presepi natalizi.
di Roberta Mochi – Radici Cristiane
Uno splendido campanile pensile caratterizza ancora di più il panorama della “platea nostrana”, nome attribuito alla zona dopo che il quindicesimo vescovo di Napoli San Nostriano, fece costruire qui le terme per i poveri. Questo, che era il centro artistico e culturale della città, diede i natali a Gian Battista Vico e fu la dimora di Francesco de Sanctis e Benedetto Croce e tuttavia, conserva ancora la vitalità che l’ha contraddistinto per secoli.
La strada è infatti oggi un pullulare di turisti provenienti da tutto il mondo, scolaresche e folle di diversa origine e provenienza vengono in visita spinte dalla possibilità di trovare sui banchi e nei vecchi negozi ogni elemento da utilizzare per l’addobbo del presepe natalizio, dai pastori al sughero per le grotte, delle suppellettili agli animali da cortile, minuziosamente riprodotti in ogni particolare.
Ma San Gregorio Armeno non è solo il piacere della suggestione profusa dei dettagli e delle sfumature, dal profumo rigorosamente realistico, delle statuine esibite nelle botteghe ammassate fra loro nello stretto percorso; offre, piuttosto, la possibilità di visitare il Monastero omonimo.
Il Monastero
Il monastero di San Gregorio Armeno ha origini davvero molto antiche; venne fondato intorno al 725 da un gruppo di monache in fuga dalla Bisanzio iconoclasta, il cui viaggio e arrivo a Napoli sono oggi rappresentati da Luca Giordano negli affreschi della controfacciata (1678-79).
Lo stesso artista volle partecipare nel senso più pieno del termine a questo complesso architettonico, al punto da inserire il proprio ritratto nell’affresco, tuttora visibile, nell’uomo che indica il luogo del riparo delle suore.
Inizialmente, il monastero era un groviglio di case, circondato da un muro non troppo alto. Ognuna di queste abitazioni aveva più camere, una cucina e una cantina (e non mancavano altre comodità).
Le monache, al momento di fare ingresso nel convento, potevano occupare gli alloggi liberi o farne fabbricare di nuovi a proprie spese.
Nel 1563, concluso il Concilio di Trento, venne imposta la clausura e le monache di San Gregorio, dopo un periodo di preparazione di circa un anno, iniziarono la vita claustrale il 17 gennaio 1570, quando fecero la professione religiosa, abbandonando gli antichi riti greci e cambiando l’abito da bianco in nero.
L’assetto attuale del monastero, invece, risale al 1574, anno in cui, racconta il canonico Celano, “resa comoda l’abitazione ed atta alla vita comune”, la badessa Donna Giulia Caracciolo, nell’ambito delle riforme imposte dal Concilio di Trento, concepì la nuova chiesa e “la principiò col disegno, modello e guida di Vincenzo Della Monica e Giovan Battista Cavagna e quasi tutto fu fatto del denaro proprio di essa Donna Giulia”.
Il Celano definì questa chiesa come una “stanza di paradiso in terra” e tale doveva apparire soprattutto nei giorni festivi, in cui la sua sontuosa omogeneità nei colori verde e oro sfavillava nello splendore degli arredi e degli argenti.
Pochi anni più tardi, terminata la chiesa, vennero iniziati i lavori per il prezioso e spettacolare soffitto ligneo, dipinto dal fiammingo Teodoro d’Errico e dalla sua bottega. Il partito a cassettoni domina la navata unica e copre anche il Coro della Monache, nascosto da una splendida Gelosia del Settecento.
Gli arredi della chiesa sono estremamente importanti, ed amplificano l’effetto scenografico e teatraleggiante degli interni: cantorie di cartapesta, balaustre di marmo con fogliami a traforo e grate in legno intagliato occhieggiano all’altare maggiore con tarsie marmoree, lapislazzuli e madreperla: e ancora, la mirabile raggiera in ottone del comunichino, le decorazione in stucco dorato dell’abside sino ai due enormi e fastosi organi settecenteschi: il tutto testimonia, con la propria luminosa presenza, la vitalità e perizia la tradizione artigianale locale tra Sei e Settecento.
Proprio in questo secolo, infatti, la chiesa fu completamente rivestita da un nuovo apparato decorativo, eseguito da abilissime mani, che furono coordinate dalla sapienza espressiva di Niccolò Tagliacozzi Canale, architetto e scultore, ideatore di molte altre macchine decorative, permanenti ed effimere, della città e venne eretto (1716), sul cavalcavia che univa le due aree appartenenti al convento il campanile di stile barocco.
Nell’ultima cappella a destra, infine, sono custodite le spoglie e le reliquie di santa Patrizia, venerata a punto tale dai napoletani che, nell’accezione popolare, la chiesa viene chiamata col suo nome.
Il chiostro
Il chiostro custodisce nel centro, tra aiuole in fiore ed alberi di agrumi la fontana di Matteo Bottigliero, le cui statue raffigurano l’incontro al pozzo di Cristo e la Samaritana. Un’iscrizione ricorda che la fonte, ‘ricca per ameno gioco di acque’, dolce spettacolo per gli occhi, venne fatta costruire dalla badessa Violante Pignatelli, nel 1783. Mentre sul lato opposto fa riferimento al restauro voluto dalla badessa Francesca Caracciolo del 1843 ‘affinché alle vergini sacre a Dio non mancasse il perpetuo simbolo della evangelica purezza e della fonte divina della viva acqua’.
Interessante anche il lato del portico corrispondente la navata della chiesa, in cui è possibile notare alcune aperture dotate di grate a sedili, attraverso cui le monache potevano assistere alla Messa senza allontanarsi dal chiostro stesso.
Questa area, si arricchì, nel corso del tempo, di una moltitudine di opere d’arte portate in dote dalle fanciulle che si monacavano. Tutti questi beni sono oggi protetti in quello straordinario museo devozionale che è il salottino della Badessa.
Santa Patrizia e le Suore Crocifisse Adoratrici dell’Eucarestia
Nata a Costantinopoli verso la seconda metà del secolo VII e probabilmente discendente dell’Imperatore d’Oriente Costante II, Patrizia, pure essendo cresciuta nel lusso, si distacca ben presto dallo stile di vita a cui le sue nobili origini l’avevano destinata, mostrando eccezionali doti di carità e solidarietà.
Giunta a Roma, viene consacrata a Dio dal Pontefice e, tornata in Patria alla morte del padre, distribuisce la propria copiosa eredità ai bisognosi. Subito dopo parte alla volta della Palestina ma una furiosa tempesta dirotta la sua nave verso il Golfo di Napoli dove trova riparo e ospitalità presso il Castel dell’Ovo.
Qui costituisce una comunità di preghiera e alla sua morte lascia un testamento spirituale che viene seguito da quelle amiche che ne volevano continuare l’opera. Viene sepolta nel monastero dei santi Nicandro e Marciano, che diventa sede delle sue ‘patriziane’.
Nel 1864 le pie donne devono lasciare l’edificio e vengono ricoverate presso il monastero femminile benedettino di San Gregorio Armeno dove portano le sue spoglie.
Pian piano le patriziane si estinguono e nel 1922 iniziano ad operare nel monastero le Suore Crocifisse Adoratici dell’Eucarestia (fondate nel 1855 a Napoli da Madre Maria Pia della Croce), che con tanta venerazione continuano a custodire l’urna con il sangue di santa Patrizia.
Si racconta infatti, che, alla morte della Santa, una fedele le sottrasse un dente, provocando una emorragia. Quel sangue, raccolto ed esposto alle suore, si sciolse e da allora torna liquido proprio il giorno della festa di santa Patrizia, il 25 agosto e, dal Seicento, anche ogni martedì. E’ la riptezione di questo miracolo che ha suscitato un culto popolare così vasto.
Suore Crocifisse – Piazzetta di San Gregorio Armeno, I – 80138 Napoli – Tel. 0815520186
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