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Anno nuovo, lotta nuova

Posté par atempodiblog le 31 décembre 2013

Anno nuovo, lotta nuova
Anno nuovo, lotta nuova dans Riflessioni 30n7vw6Questo fu il motto che si propose nel cominciare l’anno 1972. Andrés Vázquez de Prada commenta nella biografia del fondatore dell’Opus Dei come san Josemaría mettesse a fuoco il nuovo anno raccomandando il detto popolare.

San Josemaría insegnava che l’importante per la santità è saper rettificare continuamente. “Per esperienza personale, sapete- e me lo avete sentito ripetere spesso, per prevenire scoraggiamenti- che la vita interiore consiste nel cominciare e ricominciare ogni giorno; e avvertite nel vostro cuore, come io nel mio, che abbiamo bisogno di lottare con costanza.” Riportiamo un testo, tratto da una biografia, che racconta come si propose questa massima all’inizio del 1972.

Il Padre cominciò a parlare lentamente. Cercava di fare una sintesi dell’ anno che si concludeva. Quel giorno aveva trascritto su una scheda alcune riflessioni e si era segnato una frase che riassumeva i suoi pensieri. Trasse di tasca l’agenda e lesse: «questo è il nostro destino sulla terra: lottare, per amore, fino all’ultimo istante. Deo gratias!».
(…)
Terminava il 1971 ed egli considerava le sofferenze che aveva patito negli ultimi anni e la loro origine. Senza lasciarsi vincere dallo scoraggiamento, decise di cominciare una vita nuova, rinnovando al Signore l’offerta di un generoso sacrificio, riaffermando il proposito di servirlo, non perché cominciava un nuovo anno, ma perché tutti i giorni sono ugualmente buoni per darsi a Dio. Disse ai suoi figli che per tutta la vita aveva ricominciato, riaggiustando la sua vita interiore, facendo atti di contrizione, gettandosi pentito nelle braccia di Dio, come il figlio prodigo di ritorno alla casa paterna. «La vita umana è, in un certo senso, un continuo ritorno verso la casa di nostro Padre, Dio. Un ritorno attraverso la contrizione».
Quel 31 dicembre fece, quindi, una confessione generale e si preparò a cominciare una nuova vita al servizio della Chiesa. Trasformò il detto “anno nuovo, vita nuova” nel suo programma per il 1972: «Anno nuovo, lotta nuova». Un anno era un tempo troppo breve per cambiare il mondo, ma il Padre non era pessimista e non si fermava solo a considerare la fugacità del tempo. La buona volontà di migliorare nella vita interiore, con l’aiuto della grazia, avrebbe reso soprannaturalmente fecondi quei dodici mesi:
«Il tempo è un tesoro che se ne va, che sfugge, che scorre tra le mani come l’acqua sulle rocce. Ieri è passato e l’oggi sta passando. Domani sarà presto un nuovo ieri. La durata di una vita è molto breve. E tuttavia quante cose si possono fare in così breve spazio per amore di Dio!».

La Chiesa aveva bisogno di figli fedeli, che riparassero per i figli sleali. Si dedicò quindi a instillare nelle anime, a cominciare dai suoi figli, l’amore per la Chiesa e l’impegno di riparare per le molte offese che le si arrecavano. Per questa strada molti si sarebbero avvicinati alla santità, o almeno avrebbero lottato per eliminare qualche difetto e per migliorare, perché, spiegava il Padre, «la santità consiste nell’avere difetti e nel lottare contro di essi, anche se moriremo con i nostri difetti».

Chiese la collaborazione delle sue figlie e dei suoi figli. Continuò a esortare tutta l’Opera a un deciso impegno di vita interiore e concluse il 1972 con un lungo viaggio di catechesi in Spagna e in Portogallo, incontrando un’enorme quantità di persone.

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La mattina del 1° gennaio 1972, il Padre cominciò subito col rileggere l’appunto della sera precedente ai suoi figli del Collegio Romano: «Questo è il nostro destino sulla terra: lottare, per amore, fino all’ultimo istante. Deo gratias!». Li esortò a ricominciare ancora una volta la lotta interiore, ricordando loro le parole della Sacra Scrittura: “La vita dell’uomo sulla terra è una milizia”. Il sacramento della Confermazione rende i cristiani milites Christi. «Non vergognatevi di essere soldati di Cristo, persone che devono combattere!».
«Voi, figli miei, lotterete sempre, e anch’io cercherò di farlo, fino all’ultimo istante della mia vita. Se non lottiamo, vuol dire che non stiamo andando bene. Sulla terra non possiamo mai avere la tranquillità dei poltroni, che si lasciano andare perché sanno che l’avvenire è sicuro. L’avvenire di noi tutti è incerto, nel senso che possiamo tradire nostro Signore, la nostra vocazione e la fede».
Dovevano combattere per non farsi asservire dal peccato e per ottenere la pace, che è conseguenza della guerra che il cristiano deve sostenere «contro tutto ciò che, nella sua vita, non viene da Dio: la superbia, la sensualità, l’egoismo, la superficialità, la meschinità di cuore».

Nei giorni successivi, mentre si avvicinava il 9 gennaio, giorno del suo compleanno, il Padre diceva scherzando che stava per «compiere sette anni». Alludeva alla perenne gioventù spirituale del cristiano e al cammino di infanzia spirituale che egli da tempo aveva intrapreso. Con la chiarezza di coscienza che dà l’intimità con Dio, diceva: «Josemaría: tanti anni, altrettanti ragli». I membri del Consiglio Generale gli regalarono un piccolo altorilievo di marmo bianco. Rappresentava il Buon Pastore, con la pecora perduta o ferita sulle spalle, il cane, la bisaccia e il bastone; don Alvaro aveva fatto aggiungere una dedica in latino: “9 gennaio 1972: a nostro Padre, nel settimo decennio della sua nascita, con tanto affetto”.

Il Fondatore dell’Opus Dei, III: I cammini divini della terra, Andrés Vázquez de Prada. Ed. Leonardo International, Milano, 2004.

Tratto da: San Josemaría Escrivá

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Auguri a tutti per questo anno nuovo che sorge pieno di grazie!

Posté par atempodiblog le 30 décembre 2013

Auguri a tutti per questo anno nuovo che sorge pieno di grazie! dans Citazioni, frasi e pensieri Buon_anno_nuovo

“Auguri a tutti per questo anno nuovo che sorge pieno di grazie!
É come un melograno: ha bagliore di rosso che pare fuoco di distruzione e, invece, quel rosso acceso dà la dolcezza della vita al mondo. É come uno spineto che improvvisamente fiorisce”.

di Don Dolindo Ruotolo

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Il vostro amore mi rende sublime

Posté par atempodiblog le 30 décembre 2013

Il vostro amore mi rende sublime dans Citazioni, frasi e pensieri San-Giuseppe-Moscati

“Mio Gesù amore! Il vostro amore mi rende sublime; il vostro amore mi santifica, mi volge non verso una sola creatura, ma a tutte le creature, all’infinita bellezza di tutti gli esseri, creati a vostra immagine e somiglianza!”.

San Giuseppe Moscati

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Il cane e la paura dei botti: che cosa fare

Posté par atempodiblog le 30 décembre 2013

Il cane e la paura dei botti: che cosa fare
Che cosa fare quando il nostro cane ha paura dei fuochi d’artificio? Com’è possibile aiutarlo?
di Zita Talamonti - Scienza e salute

Il cane e la paura dei botti: che cosa fare dans No ai botti pericolosi Paura-botti-capodanno

Sono tantissimi i cani che hanno paura dei fuochi d’artificio; in questi casi si parla di “fobia specifica nei confronti dei rumori”, patologia che, nei casi più gravi, può essere assimilabile ai nostri “attacchi di panico”.  I sintomi sono vari: il cane può ansimare, avere un aumento della salivazione, vocalizzare, tremare, tentare di nascondersi, urinare o defecare, ecc. Ecco qualche consiglio per aiutare il nostro amico a quattro zampe.

Per prima cosa, se sappiamo che il nostro cane ha una forte paura dei botti e viviamo in una zona in cui vengono fatti scoppiare i fuochi d’artificio per inaugurare il nuovo anno, non portiamolo a passeggio nelle ore clou e rimaniamo con lui durante la notte di Capodanno; in questo modo potremo mettere in atto alcune accortezze per assicurarci che viva l’esperienza dei rumori forti nel modo meno traumatico possibile.

Non lasciamo mai il nostro cane in giardino o sul terrazzo, ma teniamolo in casa con noi, lasciandogli a disposizione la cuccia e la ciotola dell’acqua, chiudendo le finestre e abbassando le tapparelle; accendiamo la radio o la televisione mantenendo un volume abbastanza alto.

Ai primi botti, se il cane è all’erta ma è ancora abbastanza tranquillo, cerchiamo di distrarlo e tenerlo impegnato in qualche attività piacevole: ad esempio, possiamo giocare un po’ con la pallina oppure possiamo lasciargli un osso per cani da rosicchiare.

Se il cane dovesse spaventarsi, cerchiamo di ignorarlo il più possibile. Ad esempio, se cerca un nascondiglio, lasciamo che rimanga lì, non sgridiamolo, non chiamiamolo e non andiamo da lui per consolarlo.

Infatti, ogni parola di consolazione (ad esempio, “stai tranquillo, va tutto bene”) e ogni carezza data mentre il cane manifesta un atteggiamento di paura non fanno altro che rinforzare tale comportamento: sarebbe come premiarlo per lo stato di paura e agitazione, col risultato di aumentare la sua paura. In questi casi è meglio ignorarlo evitando ogni interazione con lui; non appena il cane apparirà più rilassato e magari si metterà sulla sua cuccia, potremo accarezzarlo e lodarlo, premiandolo per aver assunto un comportamento positivo.

E’ molto importante non sgridarlo mai se ad esempio abbaia, ulula, mugola, urina sul pavimento o rovescia qualche oggetto: in questi casi bisognerebbe cercare di distrarlo impegnandolo in altre attività.

A volte ci si rassegna all’idea che il proprio animale abbia paura dei rumori forti, ma in realtà lo si può aiutare. Quindi se un proprietario sa che il suo cane ha questo tipo di problema, è importante che si rivolga a un Veterinario comportamentalista, che potrà visitare il cane e prescrivere una terapia comportamentale ed, eventualmente, una terapia farmacologica per aiutare l’animale a stare meglio.

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“Regina della famiglia…”

Posté par atempodiblog le 29 décembre 2013

“Regina della famiglia…”
di Mons. Gualtiero Bassetti, arcivescovo-vescovo di Perugia-Città della Pieve
Tratto da: Madre di Dio

“Regina della famiglia...” dans Fede, morale e teologia 5z2qg2

Nelle Litanie lauretane, secondo la magnifica intuizione del beato Giovanni Paolo II, l’invocazione “Regina della famiglia, prega per noi” si colloca dopo “Regina del rosario, prega per noi” e prima di “Regina della pace, prega per noi”. Maria è la Regina dell’universo perché associata in modo unico al suo Figlio, sia nel cammino terreno, sia nella gloria del cielo ed è la Regina perché Dio ha posto il governo di tutte le cose nelle sue mani (cf Lumen gentium, 59).

Ella è la Regina della famiglia perché è la corredentrice di tutta l’umanità e ne è la protettrice e la custode. Maria, infatti, pur proclamandosi la serva del Signore (cf Luca 1,38) e trascorrendo tutta la sua vita nel più umile nascondimento, è colei che “regge” la famiglia ed è colei che aiuta ogni famiglia nella sua piena realizzazione: aiuta ad accogliere i figli e a educarli alla fede; aiuta a raggiungere la santità nella vita coniugale; e aiuta a comprendere in pienezza il valore della fedeltà che non si basa su una legge, ma si fonda sulla carità coniugale, sull’amore di donazione, reciproco e gratuito, ovvero sull’amore nel Signore.

Maria è la chiave di volta della Sacra Famiglia di Nazareth. Quella famiglia di duemila anni fa, naturale, monogamica e stabile, è ancora oggi per noi un esempio indelebile di vita cristiana e si colloca saldamente alla base del nostro vivere sociale. È un modello di amore coniugale, di collaborazione, di sacrificio ed è, al tempo stesso, un’esperienza unica, legata al mistero dell’incarnazione e alla sua missione di adempiere la volontà di Dio. Maria è, dunque, la Regina della famiglia che, come ci ha insegnato il Concilio vaticano II, è anche una «Chiesa domestica», ovvero il luogo dove si trasmette la fede ai figli e dove si possono comprendere le tre dimensioni della Chiesa: l’annuncio, la celebrazione e la testimonianza.

Dinanzi alla Regina della famiglia, riflettiamo sulle parole che Tertulliano scriveva alla sua sposa: «Come è dolce il giogo che unisce due fedeli nella stessa speranza! Entrambi servono lo stesso Signore; nessun disaccordo c’è tra loro. Insieme pregano, insieme digiunano, istruendosi, incoraggiandosi e sostenendosi a vicenda. Sono uguali nella Chiesa di Dio, uguali al banchetto di Dio. Cantano insieme i salmi e gl’inni: faranno a gara nel lodare meglio il loro comune Signore. Cristo si rallegra e manda a quella famiglia la sua pace» (Ad uxorem, 2,8).

“Prega per noi, Regina della famiglia!”. Con questa invocazione chiediamo, sull’esempio di Maria, di proteggere e difendere le famiglie in questo difficile contesto storico, dove tutte le tradizionali norme sociali sembrano essere messe in discussione in nome di un controverso relativismo culturale. Rivolgendoci a Maria, la madre di Gesù nostro Signore e moglie di Giuseppe, ci affidiamo a lei come madre e consorte, come sapiente e umile serva di Dio, di far salire al cielo le nostre preghiere e di far scendere sulla terra la grazia, la pace e il sollievo per tutte quelle famiglie che sono nella sofferenza e nella divisione.

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Gli uomini non diventano pazzi sognando…

Posté par atempodiblog le 28 décembre 2013

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Possiamo constatare ovunque che gli uomini non diventano pazzi sognando. I critici sono molto più matti dei poeti. Omero è integro e calmo a sufficienza; sono i suoi critici a ridurlo in brandelli di stravaganza. Shakespeare è pienamente se stesso; sono alcuni critici ad aver scoperto che era qualcun altro. E sebbene san Giovanni Evangelista avesse scorto, nella sua visione, molti strani mostri, non aveva mai visto una creatura tanto folle quanto uno dei suoi commentatori.

-Gilbert Keith Chesterton-

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Fëdor, il Papa e la verità nel volto di un bambino

Posté par atempodiblog le 28 décembre 2013

Fëdor, il Papa e la verità nel volto di un bambino
di Alessandro D’Avenia – Avvenire
Tratto da: Una casa sulla Roccia

Fëdor, il Papa e la verità nel volto di un bambino dans Fedor Michajlovic Dostoevskij mt8oiq

Sulla sofferenza dei bambini Papa Francesco cita Dostoevskij come «un maestro di vita» e spiega che «l’unica preghiera che a me viene è la preghiera del perché». «Signore, perché? Lui non mi spiega niente. Ma sento che mi guarda. E così posso dire: Tu sai il perché, io non lo so e Tu non me lo dici, ma mi guardi e io mi fido di Te, Signore, mi fido del tuo sguardo». Alla domanda sulla sofferenza dei bambini: «Un maestro di vita per me è stato Dostoevskij, e quella sua domanda, esplicita e implicita, ha sempre girato nel mio cuore: perché soffrono i bambini? Non c’è spiegazione. Mi viene questa immagine: a un certo punto della sua vita il bambino si “sveglia”, non capisce molte cose, si sente minacciato, comincia a fare domande al papà o alla mamma. È l’età dei “perché”. Ma quando il figlio domanda, poi non ascolta tutto ciò che hai da dire, ti incalza subito con nuovi “perché?”. Quello che cerca, più della spiegazione, è lo sguardo del papà che dà sicurezza. Davanti a un bambino sofferente, l’unica preghiera che a me viene è la preghiera del perché. Signore, perché? Lui non mi spiega niente. Ma sento che mi guarda. E così posso dire: Tu sai il perché, io non lo so e Tu non me lo dici, ma mi guardi e io mi fido di Te, Signore, mi fido del tuo sguardo».

Il Papa cita Fëdor Dostoevskij come maestro di vita, e non è la prima volta. Un autore di romanzi è considerato a tutti gli effetti qualcuno che può “in-segnare la vita”, perché la bellezza riconcilia la verità con la vita. La verità astratta, senza carne, solleva sensi di colpa o noia. Invece, quando la verità mantiene la sua dimensione carnale, seduce, perché si veste di bellezza incompiuta, che l’uomo riconosce proprio perché incompiuta, e proprio perché bellezza. In questi casi la vita, orfana e rintanata in un cantuccio, prende coraggio, esce fuori e va incontro alla verità fatta consimile. Ci capita leggendo un romanzo di dire: mi ha capito, mi ha salvato, è arrivato al momento giusto. La letteratura a volte, con la sua grazia, affianca l’impresa formidabile della Grazia. Ci riesce Dostoevskij. Nel citarlo il Papa evoca le brucianti pagine in cui Ivan Karamazov, nella sofferenza degli innocenti, scorge un segno dell’assenza di Dio e se ne serve per la sua ribellione. Quella del freddissimo Ivan verso il dolore innocente non è però com-passione ma denuncia, scusa, teoria progettata da un cuore incapace di amare con i fatti e bisognoso quindi di auto-giustificazione. Egli s’aggrappa a quel dolore non per alleviarlo, ma per usarlo. Prende le distanze da quel dolore per mettere a tacere la sua coscienza e Dio, ergendosi a giudice di un mondo e di un Dio sbagliati. Ivan non muove un dito, non si china sul dolore, ma lo lascia lì, per servirsene come atto di accusa e come certificato medico per il suo cuore gelido. Per Ivan il dolore innocente è la frontiera sbarrata a un Dio che non risponde ai perché dell’uomo, la frontiera che segna il confine della terra dell’uomo in cui Dio non può entrare perché non ha i documenti in regola e viene rimandato indietro. Su quella stessa frontiera lo lascia entrare il Papa che incontra proprio lì lo sguardo di Dio, un Dio con la carta d’identità in regola, e tanto di fotografia: Cristo. Anche Dostoevskij smaschera la “colpa originale” di Dio e la rinvia alla libertà dell’uomo. Nelle pagine dello stesso romanzo il monaco Zosima ricorda il fratello Markel, morto giovane. Anche lui, come Ivan, lontano da Dio. Markel però, grazie al suo male, ha una conversione profonda fino a dire «in verità ognuno è colpevole dinanzi a tutti, per tutti e per tutto. Io non so come spiegarlo, ma sento fino allo spasimo che è così». Proprio questa consapevolezza gli ha dato la gioia del Paradiso, perché gli ha aperto occhi e cuore all’Amore. Egli si fa carico del dolore innocente come colpevole: veste così i panni del Dio che nella notte di Natale veste quelli dell’uomo. Sembrano parole provenienti da un mondo altro quelle di Markel, ma sono le parole che usano i santi definendo la propria essenza incapace di amare e benedire. Prima ancora di riferirsi ai peccati effettivamente commessi, essi dicono “sono un peccatore”. E lo dicono proprio perché la santità di Dio li ha toccati.

Sono due le possibilità che Dostoevskij prospetta di fronte al male, all’ingiustizia, al dolore: Ivan, l’uomo che resta uomo, o Markel, l’uomo che è trasformato in un altro Cristo. O si maledice un mondo siffatto, nel quale siamo convocati senza consenso, trincerandosi dietro un legittimo atto di accusa al mondo e a chi l’ha fatto, allontanandocene, accusando la storia fino a disprezzarla: si diventa freddi, rigidi, effettivamente “cattivi”; oppure si benedice il mondo e si assume su di sé la colpa, rimanendo nel dinamismo della storia, accettando il male che ogni giorno riserva (la morte si sconta vivendo), lasciando che la pena ferisca la carne e a contatto con essa, in Cristo, venga superata chinandosi e abbracciando: si diviene più aperti ed effettivamente buoni, di una bontà che non è nostra. Maledire gli altri e il mondo ci porta a maledire Dio e in ultima istanza noi stessi. Ivan. Benedire gli altri e il mondo invece è essere dentro lo sguardo che Dio ha sulle cose e le persone, è essere liberi dal giudizio, e noi saremo giudicati come abbiamo giudicato, salderemo il debito che abbiamo imputato ai nostri debitori. Markel.

Cristo è la via. Non giudica la storia, la prende su di sé con tutto il suo male e chiede di unirsi a lui, per aggiungere liberamente ciò che “manca” alla sua com-passione per l’uomo. Da lì nasce la tenerezza di cui parla il Papa, che altrimenti rischia di esser scambiata per inconcludente emozione verso chi soffre. Tenerezza è affermare la bellezza di ogni persona voluta da Dio (marito, moglie, amico, parente, cliente, passante, estraneo…) anche se ne abbiamo perso le ragioni. Proprio questa è la conversione di Markel a cui Ivan non approda, proprio questo dono è venuto a farci Dio: la trasformazione della nostra incapacità di vedere bene il mondo e il bene nel mondo. Tenero è un Dio che non risponde al nostro perché sul male con un discorso, una teoria, che non ci darebbe soddisfazione se non per poco, perché il male resterebbe lì, ma ci soddisfa col suo sguardo, col suo volto di bambino, con una manina tesa a stringere un pollice adulto. Nessuno si sente giudicato da un neonato, ma solo trasformato, vinto nelle sue resistenze, ammaestrato.

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Di giorno in giorno…

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2013

Di giorno in giorno... dans Citazioni, frasi e pensieri s0yj2t

Fino all’ultimo istante di vita, nessuno di noi è un problema svolto, risolto ed etichettato come «buono» o «cattivo». La pienezza della nostra persona è tutta da conquistare nell’impegnativo percorso di scelte, azioni e pensieri che facciamo di giorno in giorno. Dire che è una battaglia non è metaforico, ma onesto.

-Gilbert Keith Chesterton-

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Buon Natale di cuore a tutti!!

Posté par atempodiblog le 24 décembre 2013

Buon Natale di cuore a tutti!!

Auguri! dans Santo Natale

“La venuta di Cristo nel mondo è sorgente di vera e di grande gioia; la felicità, la pienezza di vita, la certezza della verità, la rivelazione della bontà e dell’amore, la speranza che non delude, la salvezza in una parola, a cui l’uomo aspira, è finalmente concessa, è a nostra disposizione; ed ha un nome, un nome solo: Cristo Gesù”.

Paolo VI

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Cari amici preti, non siamo noi, ma è Dio che esagera con i regali…

Posté par atempodiblog le 24 décembre 2013

“Pregate per i vostri pastori, affinché abbiano sempre amore per voi, come l’ha avuto e l’ha mostrato mio Figlio dando la sua vita per la vostra salvezza”. (Messaggio della Madonna di Medjugorje a Mirjana del 2/11/2013)

Regali-e-doni-natalizi dans Articoli di Giornali e News

Cari amici preti, non siamo noi, ma è Dio che esagera con i regali…
di Antonio Socci – Libero
Tratto da: lo Straniero

“Per molta gente l’oppio non è tanto stupefacente quanto un sermone pomeridiano”. Così Jonathan Swift – autore dei “Viaggi di Gulliver”, ma anche pastore protestante irlandese – iniziava una sua esilarante predica “Sul dormire in chiesa”.
Ma il libro che anni fa l’ha riproposta col titolo “La predica tormento dei fedeli”, più che castigare la distratta indolenza dei cristiani, incenerisce la pochezza dei predicatori.

OVVIO DEI POPOLI
Nel giorno di Natale, quando le chiese si riempiono di persone, i celebranti danno il meglio, o peggio, di sé. Sarebbe quella una grande occasione di annuncio (come ha ricordato di recente papa Francesco nella sua esortazione “Evangelium gaudium”). Ma come viene usata?

Joseph Ratzinger, anni fa, se ne uscì con una battuta che più o meno diceva: una prova della divinità della Chiesa sta nel fatto che la fede dei popoli sopravvive a milioni di omelie domenicali.
Certo, a scorrere i diversi autori che dicono la loro, nel libretto sopra citato, si scopre che la “predica” è da tempo vissuta come anticipo delle penitenze del Purgatorio. Già don Giuseppe De Luca scriveva: “abbiamo annoiato il mondo, noi che dovevamo svegliarlo e salvarlo”.
E lo scrittore cattolico Georges Bernanos: “Un prete che scende dal pulpito della verità con la bocca a culo di gallina, un po’ riscaldato, ma contento, non ha predicato, ma ha fatto tutt’al più le fusa”.
E François Mauriac: “Non c’è nessun posto in cui i volti sono così inespressivi come in chiesa durante le prediche”.
Ricordo che Bernanos nel “Diario di un curato di campagna” scrive: “Una cristianità non si nutre di marmellata più di quanto se ne nutra un uomo. Il buon Dio non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ragazzo mio, ma il sale. Ora, il nostro povero mondo rassomiglia al vecchio padre Giobbe, pieno di piaghe e di ulcere, sul suo letame. Il sale, su una pelle a vivo, è una cosa che brucia. Ma le impedisce anche di marcire.”
Tuttavia, se in tanti casi prevale la noia di un disincarnato perbenismo “politically correct”, in altri c’è un eccesso di sale che rende il piatto immangiabile. E finisce per aggiungere ustioni e dolori al povero Giobbe, già assai provato di suo.

REGALI
Accade quando i fedeli vengono investiti da invettive infuocate di improvvisati Savonarola che si sentono impegnati a castigare il mondo infame.
Questo moralismo ha una versione “progressista” e una “tradizionalista”. Nel primo caso l’uditorio sarà messo sul banco degli accusati per le sue (presunte) colpe sociali, nel secondo per le sue (presunte) colpe spirituali. Comunque sono sempre ceffoni.
In genere poi sotto Natale i predicatori moralisti di entrambe le obbedienze si trovano concordi nel martellare il povero, silente uditorio per il suo ripugnante consumismo.
Tanti buoni parroci infatti si rivolgono a noi come se fossimo nababbi spendaccioni, ribaldi che vivono di lussi superflui e viziosi che trascorrono le feste in orge e gozzoviglie.
L’invettiva “contro i regali” (ignara peraltro di quanto ha scritto Benedetto XVI sulla “cultura del dono”) è così abituale che viene ripetuta pigramente anche in anni come questo, che in realtà vede tutti al verde, alle prese con le bollette e le tasse. Altro che regali.
Se questi predicatori – che peraltro non si vestono di peli di cammello e non si nutrono di locuste come il Battista – avessero un minimo di realismo capirebbero.
Del resto, se nemmeno a Natale crescono i consumi, la crisi si aggrava. Allora serve a poco tuonare dal pulpito che tutti hanno diritto a una casa e a un lavoro…
Temi utili però per continuare a recriminare anche dopo Natale. Ma perché inveire sempre verso quei poveri cristiani che vanno a messa e già devono sudare per far quadrare i bilanci familiari? Perché metterli sul banco degli accusati quando ci pensano già lo stato e il fisco a spolparli e vessarli in mille modi?
Perché strapazzarli così anche là dove pensavano di incontrare e ascoltare un Dio che aspetta a braccia aperte i suoi figli, come un Padre pieno d’amore?
Che triste e misera cosa un simile cristianesimo. Predicatori del genere – diceva Charles Péguy – sanno solo “lamentarsi e blaterare”, sono “medici ingiuriosi che se la prendono con il malato, avvocati ingiuriosi che se la prendono con il cliente; pastori ingiuriosi che se la prendono con il gregge”.
E dire che avrebbero da dare al mondo la notizia più grande ed entusiasmante. La più consolante. Ma non se ne accorgono. O se la sono dimenticata: è il regalo che Dio ha fatto agli uomini.
Lui sì che esagera con i regali. Lui sì che sciala e ci vizia, riempiendoci di beni. Infatti il Creatore non si è accontentato di darci l’esistenza, la terra, il cielo, i mari, le montagne, le stelle, i campi di grano, l’acqua, il fuoco, la luna e il sole. Ha fatto la follia di donarci il suo stesso cuore: suo figlio Gesù. Colui che paga per tutti noi.
E’ per questo regalo impareggiabile che la gente semplice anche quest’anno varcherà la soglia della Chiesa. Per vedere il Dio bambino. Il Re che si è spogliato di tutte le sue ricchezze per fare ricchi noi. Cercano “la carezza del Nazareno”. Cercano il Bel Pastore che ha promesso consolazione a tutti gli affaticati e gli oppressi.
E’ quel Gesù che, nel villaggio di Naim, pieno di compassione per la madre che aveva perso il figlio, prima di resuscitarglielo le sussurrò: “donna, non piangere!”. Per questo è venuto sulla terra, per dire a tutti: “amico, fratello, sorella, non piangere più. E non temere. Perché io sono qui con te”.

CONSOLAZIONE
Ecco come lo annunciava papa san Leone Magno:
“Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita”.
Come ha scritto don Julian Carron, se si è verificato l’impossibile – cioè Dio che si è fatto uomo – più “nessuno può dirsi abbandonato, dimenticato o condannato… il Signore vuole farci capire che a Lui tutto è possibile”.

Il cambiamento della nostra vita, il cambiamento del mondo e qualunque altro miracolo.
Un maestro di fede come don Divo Barsotti diceva:
“Noi offendiamo Dio quando non chiediamo i miracoli! Noi non ci crediamo! Per questo non chiediamo. Parlo schiettamente. Guardate i santi: insistevano. Pensate a quello che diceva san Filippo Neri: ‘Noi dobbiamo costringere Dio a venire a compiere questo miracolo’. Aveva una forza che non si lasciava vincere dal fatto del silenzio di Dio, dal fatto che sembrava che Dio non ascoltasse la preghiera; insistevano fintanto che Dio non doveva piegarsi alla volontà dell’uomo”.
Poi don Divo spiegava:

“No, non è che Dio si pieghi alla volontà dell’uomo, ma Dio risponde alla preghiera dell’uomo. Noi manchiamo contro il Signore quando non chiediamo i miracoli. Dobbiamo chiedere a Dio e non dobbiamo vergognarci di chiedergli tanto…Facciamo poche storie: non crediamo, non crediamo. Bene, non devo turbarmi, perché anche se anche avessi ammazzato, perché se anche avessi commesso un adulterio… se veramente io fossi il peggiore dei peccatori, posso io pensare che il mio peccato sia un limite alla Onnipotenza e alla Misericordia Divina?”.
Infine don Barsotti aggiungeva:

“Perché si stanca la pazienza di Dio? Perché non gli si chiede quello che noi possiamo desiderare. Se tu chiedi meno della creazione, tu vai all’Inferno, perché non chiedi quello che Lui ti dona. Lui ti dona Se Stesso. I santi chiedevano e chiedevano, fintanto che non avevano ottenuto”.

Questa sì è una Buona Notizia. L’unica grande Notizia.

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Un cuore totalmente rinnovato dal pentimento e dal perdono

Posté par atempodiblog le 23 décembre 2013

Atto di carità
“Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa; perché sei bene infinito e nostra eterna felicità;
e per amore tuo amo il prossimo come me stesso e perdono le offese ricevute.
Signore, che io ti ami sempre più”.

Un cuore totalmente rinnovato dal pentimento e dal perdono dans Cardinale Angelo Comastri 2ytnoysAndando a fare il prete nel carcere mi sentii nuovamente libero, nuovamente realizzato come prete e, soprattutto, come strumento della misericordia e del perdono di Dio.

[…] Mi dissero che nel settore dove prestavo il mio servizio di sacerdote c’era un detenuto piuttosto pericoloso, aveva sgozzato con le forbici da cucina la sua amante dopo aver avuto con lei diversi figli.

In occasione del Santo Natale dell’anno 1969, chiesi al direttore del carcere di poter entrare nelle singole celle per portare l’augurio di buon Natale ai detenuti, insieme a un pacchetto di sigarette e un pacco di biscotti. Ottenni il permesso.

Quando giunsi alla cella dove c’era il detenuto pericoloso, provai un po’ di paura ed esitai prima di entrare, pur essendo accompagnato da una guardia carceraria. Varcai la soglia e dissi: “Buon Natale a tutti! Vi lascio un piccolo segno di amicizia nel ricordo dei Magi che portarono i loro doni a Gesù nella grotta di Betlemme”.

Non feci in tempo a finire il mio saluto, che un denso sputo mi raggiunse dritto sul volto e mi lasciò quasi paralizzato. Non veniva dal detenuto pericoloso, ma da un giovane, lo seppi dopo, che con un calcio aveva ucciso la sua donna e il bambino che portava in grembo. Feci un passo indietro, pulii il volto con il fazzoletto e poi, un po’ impacciato, balbettai: “Sono venuto nel nome di Gesù e nel Suo nome rinnovo l’augurio di ogni bene. Arrivederci e buon Natale”. In quel momento vidi il detenuto pericoloso alzarsi dal tavolaccio sul quale era coricato e venirmi incontro con passo deciso. Esclamai dentro di me: “Mio Dio! Che ho detto di male?” e mi preparai a ricevere qualche altro insulto, se non peggio. L’uomo invece si fermò davanti a me e mi fissò con uno sguardo non cattivo e poi mi disse: “Perché non hai reagito? In questo mondo se non ti difendi vieni schiacciato, reagisci e non fare il coniglio”.

Io risposi: “Credo nel perdono, credo che la bontà è più forte della cattiveria, questo è l’insegnamento di Gesù e io voglio viverlo fino in fondo”. Il detenuto pericoloso esclamò: “Gesù! Gesù! Ma chi è Gesù?” E aggiunse: “Ma perché non mi chiami a colloquio quando ritorni qui?”. Risposi: “Lo faccio volentieri. Ci vediamo mercoledì prossimo”.

Il mercoledì successivo lo feci chiamare e mi ritrovai davanti a lui, che era quasi un gigante, per riprendere il colloquio aperto in un contesto drammatico. Gli tesi la mano per stringere la sua, ma egli rifiutò, diceva: “Con questa mano ho ucciso, è sporca di sangue e non posso stringere la tua mano che tocca il Corpo del Signore”. Questo gesto mi impressionò e mi commosse profondamente.

A quel primo colloquio ne seguirono altri, nei quali mi raccontò la sua triste storia e mi spiegò come era arrivato al feroce delitto, concluse: “la strada del male è in discesa. Bisogna fermarsi subito, altrimenti accade l’irreparabile, come è accaduto a me”.

Dopo vari incontri, ebbi l’ardire di dirgli: “perché non ti confessi? Gesù è felice di perdonarti”. La sua reazione fu: “Mai! Gesù non può perdonarmi. Io sono peggio di Giuda”.

[...] Dopo vari mercoledì, finalmente decise di inginocchiarsi per fare la Santa Confessione, mi raccontò tutta la storia del delitto e, a un certo punto, i suoi singhiozzi erano così intensi che le sue spalle sussultavano violentemente. A me sembrava in quel momento di rivivere la scena di Gesù che dalla Croce perdona il ladrone pentito. Mi sentivo indegno di quell’ora di luce e di misericordia. Dissi tra me: “Valeva la pena di diventare prete solo per vivere questo momento”. Salutando il detenuto pericoloso gli dissi: “Domenica prossima vieni alla Santa Messa nella rotonda, farai la tua prima nuova Comunione”, “non lo so se verrò. E’ troppo quello che ho ricevuto, perché io…” e mi mostrò ancora una volta le mani, nelle quali vedeva impresso il terribile delitto.

La domenica successiva venne alla Santa Messa e, al momento della Comunione, si avvicinò all’Altare. Quando mi trovai davanti a lui e alzai la mano dicendo: “Corpo di Cristo”, il detenuto pericoloso mi prese improvvisamente la mano e la riempì di lacrime dicendo: “Padre, non posso, non sono degno!”. E io: “Gesù ti ha perdonato. La tua anima è stata lavata dal Sangue di Cristo”. Restammo per alcuni minuti in quell’atteggiamento, tra lo stupore di tutti e poi finalmente Gesù entrò in quel cuore totalmente rinnovato dal pentimento e dal perdono.

Dopo la Santa Mesa lo chiamai, e gli dissi ancora parole di fiducia e di speranza. Egli replicò: “Ora  la vita che mi resta devo spenderla per dire grazie a Gesù per il perdono che mi ha regalato”.

del Cardinale Angelo Comastri – Dio scrive dritto. L’avventura umana e spirituale di un cardinale

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Il Natale cristiano

Posté par atempodiblog le 23 décembre 2013

A Natale la Chiesa ricorda la nascita del Redentore, ma soprattutto la rivive. Perché Gesù Cristo è vivo, ieri, oggi e sempre. E nasce sempre nel cuore del credente per donargli la grazia che salva.
di Padre Livio Fanzaga – Il Timone
Tratto da: Capodorlandonline

Il Natale cristiano dans Fede, morale e teologia Natale

Il Natale, forse più ancora delle altre feste cristiane, compresa la Domenica, è stato investito da un’ondata di secolarizzazione che ha ridotto l’evento centrale della storia dell’umanità a un’orgia consumistica. Natale di chi? Molti neppure se lo chiedono. Il festeggiato, che dovrebbe essere Gesù Bambino, viene oscurato dalla figura bonacciona di Babbo Natale. Invece della grotta di Betlemme i negozi, e invece della grazia della redenzione i regali. Il fenomeno ci rattrista, ma non ci sorprende. Il paganesimo è sempre nascosto in qualche angolo del cuore, mentre il cristianesimo è una grazia che occorre continuamente conquistare e conservare. Il mondo celebri pure i suoi miti, ma il cristiano non si lasci catturare. E’ fondamentale che almeno i credenti vivano il Natale come un evento di fede e di grazia. Detto nel più semplice dei modi la festa di Natale è il compleanno di Gesù Cristo. E’ nella notte del 25 dicembre di oltre duemila anni fa che il Figlio di Dio fatto uomo è stato donato al mondo dalla Vergine Maria. Noi celebriamo con la massima solennità questo evento centrale del cristianesimo, perché la nostra fede ha come suo punto di riferimento la persona di Gesù. Il 25 Marzo celebriamo la festa dell’Annunciazione, quando il Verbo di Dio, per opera dello Spirito Santo, si è incarnato nel grembo della Vergine Maria. Nove mesi dopo la Piena di Grazia dà alla luce il Figlio, che è nel medesimo tempo suo Figlio e il Figlio di Dio. Quel Bambino che Maria e Giuseppe, insieme ai pastori accorsi al canto degli angeli, adorano deposto in una mangiatoia, è il Salvatore del mondo. La grandezza immensa del Natale corrisponde a quella del Festeggiato. E’ una grandezza divina, perché il cuore della fede cristiana è la divinità di Gesù Cristo. Guardando a quel Bambino, che Maria porta in braccio, noi vediamo il volto di Dio. E’ possibile vedere il volto di Dio con i nostri occhi? Sì, è possibile, perché Dio ha inviato il suo Verbo perché si facesse uomo e divenisse in tutto simile a noi, fuorché il peccato. Il volto di Dio che ci presenta il Natale è quello dell’umiltà, della tenerezza e della familiarità. Guardando a quel Bambino che ci sorride aprendoci le braccia, come sarebbe possibile avere paura di Dio? Quel Bambino ci dice che Dio è accessibile, è accogliente e merita la nostra fiducia assai più dei grandi di questo mondo. Maria, che lo ha portato nel grembo nove mesi e che lo ha generato nel gelo di una notte invernale, ce lo rende ancora più vicino, perché porta il sigillo della sua somiglianza. Avranno notato i pastori come quel Bambino divino assomiglia alla Madre? Il Natale cristiano è tale se è fondato sulla fede. Per celebrarlo è necessario rinnovare con fermezza la nostra fede nella divinità di quel Bambino. Il Figlio di Maria è il Figlio di Dio. Per questo egli è l’unico Salvatore del mondo. E’ l’unico, perché solo di Lui, e di nessun altro, noi possiamo dire: «E’ vero Dio e vero uomo». Ed è per questo che il Concilio di Efeso ha solennemente proclamato Maria “Madre di Dio”. Il significato di questa espressione riguarda innanzi tutto il Figlio di Maria, che non è un bambino come tutti gli altri, ma è il Figlio dell’eterno Padre che ha assunto la nostra natura umana. Ma nel medesimo tempo indica la grandezza sconfinata di Maria che ha concepito, prima nella fede e poi nella carne, colui che è «Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero».

Il Natale è un evento di fede che si rinnova ogni volta che lo celebriamo. A Natale la Chiesa non solo ricorda la nascita del Redentore, ma soprattutto la rivive. Infatti Gesù Cristo è vivo, ieri, oggi e sempre, ed Egli  dona oggi alla sua Chiesa la grazia del Natale. L’evento che Maria, Giuseppe e i pastori hanno vissuto nella realtà storica, noi oggi siamo chiamati a riviverlo nei nostri cuori. Ciò che è accaduto a Betlemme deve rinnovarsi nel cuore di ogni cristiano. In che modo? Innanzi tutto è necessario preparare la culla del nostro cuore, perché è in esso nasce di nuovo il Salvatore del mondo. La tradizione unanime sottolinea che il Natale deve essere un avvenimento interiore. Forse in nessuna altra festa dell’anno il popolo cristiano accorre così numeroso al confessionale. Benché il precetto della Chiesa richieda di confessarsi almeno una volta all’anno, in particolare in occasione della Pasqua, la gente sente il bisogno di purificare il proprio cuore soprattutto in occasione del Natale. Perché questo? Forse perché percepisce con l’istinto della fede che è nel cuore di ognuno di noi che si celebra l’evento della nascita del Redentore. La purificazione del cuore avviene attraverso una confessione ben fatta. E’ necessario prepararla per tempo con la preghiera e l’esame di coscienza, senza aspettare la ressa delle ultime ore. E’ una tragica illusione pensare di celebrare il Natale di Cristo senza essere in grazia di Dio. Perché la confessione sia ben fatta deve rappresentare un decisivo passo avanti nella propria vita spirituale. Non serve molto confessarsi alla vigilia di Natale ed essere pronti a cadere in peccato mortale già nel giorno di S. Stefano. Col cuore purificato siamo pronti a vivere l’evento di grazia che è senza dubbio rappresentato dalla Messa di mezzanotte. Nel momento della S. Comunione il Figlio di Dio fatto uomo entra nel nostro cuore e vi riversa, fra le tante grazie, anche quella speciale del Natale. E’ una grazia di umiltà, di infanzia spirituale, di tenerezza e di pace. Accogli questa grazia che il Salvatore ti dona e rivivi nel tuo intimo lo stupore e la gioia dei pastori che contemplavano Dio nel volto sorridente di un Bambino. Questo è l’essenziale del Natale, ma non è tutto. E’ necessario fare un cammino di preparazione insieme alla propria famiglia e alla propria parrocchia. I cristiani devono tenere alle loro belle tradizioni e rinverdirle in questi tempi aridi di ritorno al paganesimo. Di qui l’importanza di costruire il presepio nelle case, coinvolgendo i propri bambini. Il presepio rende visibile l’evento storico della nascita di Gesù ed è un invito per la famiglia a pregare insieme davanti alla culla. In questo modo la fede si rafforza, i cuori si riconciliano e genitori e figli si rispecchiano nel modello della S. Famiglia di Nazareth. Anche l’albero di Natale ha un significato cristologico, perché Gesù è l’albero sempre verde della vita immortale, che Egli ci ha donato morendo sul legno della Croce. Insieme al presepio e all’albero non possono mancare i canti di Natale, che ci sono stati consegnati da una straordinaria tradizione popolare. Bisogna insegnarli ai bambini nelle case e nelle parrocchie. Ed è proprio le parrocchie che dovrebbero riproporre la novena di Natale come itinerario controcorrente nei giorni convulsi della corsa agli acquisti che precedono la vigilia. E i regali? Ben vengano anche loro, come espressione di un cuore veramente natalizio, riconciliato e colmo di bontà. Com’era bello quando i bambini aspettavano i regali da Gesù Bambino! Anche Lui, il festeggiato, aspetta con ansia un regalo. E’ il nostro cuore che Egli ha creato per sé e che trova riposo soltanto nel suo amore.

Ricorda
TU SCENDI DALLE STELLE
Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo, e vieni in una grotta al freddo, al gelo.
Oh Bambino mio divino, io ti vedo qui a tremar
o Dio beato;
ah quanto ti costò l’avermi amato!
A Te che sei del mondo il Creatore, mancan panni e fuoco,
o mio Signore
Caro eletto pargoletto quanto questa povertà più m’innamora, giacché ti fece amor povero ancora!
(Sant’Alfonso Maria dé Liguori, 1700) 

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Le giaculatorie più comuni: le chiacchiere

Posté par atempodiblog le 22 décembre 2013

“Noi giustamente insistiamo molto sul valore dell’obiezione di coscienza, ma forse dobbiamo esercitarla anche per difenderci da una legge non scritta dei nostri ambienti che purtroppo è quella delle chiacchiere. Allora facciamo tutti obiezione di coscienza; e badate che non voglio fare solo un discorso morale! Perché le chiacchiere danneggiano la qualità delle persone, danneggiano la qualità del lavoro e dell’ambiente”.

 Le giaculatorie più comuni: le chiacchiere dans Citazioni, frasi e pensieri divieto_di_chiacchiera

Tante volte ho trovato comunità, seminaristi, religiosi, o comunità diocesane dove le giaculatorie più comuni sono le chiacchiere! E’ terribile! Si “spellano” uno con l’altro… E questo è il nostro mondo clericale, religioso… Scusatemi, ma è comune: gelosie, invidie, parlare male dell’altro. Non solo parlare male dei superiori, questo è un classico! Ma io voglio dirvi che questo è tanto comune, tanto comune. Anche io sono caduto in questo. Tante volte l’ho fatto, tante volte! E mi vergogno! Mi vergogno di questo! Non sta bene farlo: andare a fare chiacchiere. “Hai sentito… Hai sentito…”. Ma è un inferno quella comunità! Questo non fa bene. E perciò è importante la relazione di amicizia e di fraternità. Gli amici sono pochi. La Bibbia dice questo: gli amici, uno, due… Ma la fraternità, fra tutti. Se io ho qualcosa con una sorella o con un fratello, lo dico in faccia, o lo dico a quello o a quella che può aiutare, ma non lo dico agli altri per “sporcarlo”. E le chiacchiere, è terribile! Dietro le chiacchiere, sotto le chiacchiere ci sono le invidie, le gelosie, le ambizioni. Pensate a questo. Una volta ho sentito di una persona che, dopo gli esercizi spirituali – una persona consacrata, una suora… Questo è buono! Questa suora aveva promesso al Signore di non parlare mai male di un’altra. Questa è una bella, una bella strada alla santità! Non parlare male di altri. “Ma, padre, ci sono problemi…”: dillo al superiore, dillo alla superiora, dillo al vescovo, che può rimediare. Non dirlo a quello che non può aiutare. Questo è importante: fraternità!  Ma dimmi, tu parlerai male della tua mamma, del tuo papà, dei tuoi fratelli? Mai. E perché lo fai nella vita consacrata, nel seminario, nella vita presbiterale? Soltanto questo: pensate, pensate… Fraternità! Questo amore fraterno.

Papa Francesco
Tratto da: La Santa Sede

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Dio fatto tenerezza

Posté par atempodiblog le 21 décembre 2013

Dio fatto tenerezza dans Andrea Tornielli Ges-e-Maria

«Nel racconto della nascita di Gesù, quando gli angeli annunciano ai pastori che è nato il Redentore dicono loro: “Questo sarà per voi il segno, troverete un bambino appena nato avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia…”. Questo è il segno: l’abbassamento totale di Dio. Il segno è che, questa notte, Dio si è innamorato della nostra piccolezza e si è fatto tenerezza, tenerezza verso ogni fragilità, verso ogni sofferenza, verso ogni angoscia, verso ogni ricerca, verso ogni limite. Il segno è la tenerezza di Dio e il messaggio che cercavano tutti coloro che sentivano disorientati, anche quelli che erano nemici di Gesù e lo cercavano dal profondo dell’anima, era questo: cercavano la tenerezza di Dio. Dio fatto tenerezza, Dio che accarezza la nostra miseria, Dio innamorato della nostra piccolezza».

Jorge Mario Bergoglio, omelia della veglia di Natale, 24 dicembre 2004
Tratto da: Sacri Palazzi

divisore dans Medjugorje

freccetta.jpg La confessione natalizia (di Don Tino Rolfi)

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Confessione

Posté par atempodiblog le 21 décembre 2013

Confessione dans Citazioni, frasi e pensieri Confessione

Vorrei confessarmi, vado in chiesa. I due confessionali sono vuoti, il prete sta confessando una attempata signora seduto con lei su uno dei banchi. La signora parla concitata, il prete ascolta. Si sente praticamente tutto. I fedeli fanno finta di nulla. Sto a debita distanza. Dopo un quarto d’ora, a gesti faccio capire che vorrei confessarmi anch’io. Il prete annuisce. Dopo mezz’ora la confessione non è ancora finita, così prendo e me ne vado. Alcuni giorni dopo, entro in una chiesa milanese dove, da tal ora a tal altra, confessano. Lucetta rossa accesa, mi siedo e aspetto il mio turno. Il confessionale è una moderna cabina con la porta di vetro smerigliato. Intravedo una signora che parla. Attendo, anche qui, mezz’ora abbondante. Finalmente tocca a me, entro e mi trovo faccia a faccia col prete. Scarico l’elenco e in tre minuti sono fuori. Ora, io sono una persona conosciuta nell’ambiente ecclesiale e non mi va di raccontare le mie miserie a un prete col quale potrei trovarmi, in seguito, a dover polemizzare per motivi professionali. Dunque, avrei necessità della grata interposta tra il mio viso e quello del confessore. Si chiama privacy, l’aveva inventata la Chiesa ma vi ha rinunciato [...] certo clero. E’ quest’ultimo, infatti, a scoraggiare il ricorso alla confessione in quei pochi che, in tempi di cristianizzazione, vorrebbero ritornarvi.

di Rino Cammilleri – Antidoti

Divisore dans San Francesco di Sales

Freccia dans Viaggi & Vacanze Elogio del confessionale (di Paolo Rodari)

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