• Accueil
  • > Archives pour novembre 2013

Una città… da favola: Bergamo, gioiello dell’Alta Italia

Posté par atempodiblog le 14 novembre 2013

Bergamo, gioiello dell’Alta Italia
Tra i tesori d’Italia, incanto irripetibile e forse non conosciuto bene come meriterebbe, è la città di Bergamo. Scopriamone la storia ultramillenaria, la radicata cultura e le meravigliose bellezze di cui è depositaria la Città Alta.
di Riccardo Bevilacqua ed Enzo De Canio – Radici Cristiane

Bergamo.
Veduta notturna della città di Bergamo

Nel sito dell’attuale Bergamo Alta (originariamente sette colline, poi appianate fra loro) sorgeva già nel VI–VII a.C un centro abitato (oppidum) dei celti orobi, popolazione che rientrava nella cosiddetta cultura di Golasecca, che per molti secoli fece da tramite fra il mondo mediterraneo (etruschi e greci) e quello dei celti transalpini.
La presenza romana, che pure rispettò a lungo autonomie e costumi locali, risale agli inizi del II a.C: la celtica Bérghem divenne il municipio romano di Bergomum, una città ordinata secondo il classico schema dei cardini e dei decumani, con tanto di foro (probabilmente nell’area di Santa Maria Maggiore e della Cappella Colleoni), terme, arena, un capitolium e naturalmente mura.
I Bergomates si latinizzarono gradualmente, ottennero la cittadinanza romana ai tempi di Cesare, fornirono all’Urbe valorosi legionari e, qualche secolo dopo, cominciarono a ricevere la Buona Novella.

Bergamo.
Urna contenente le spoglie del patrono di Bergamo, Sant’Alessandro

Bergomum diviene cristiana
San Narno fu il primo vescovo, ma maggior fama ebbe il martire Sant’Alessandro, futuro patrono, un soldato di origine egiziana che fu decapitato alla fine del III d.C. in Città Bassa, poi sepolto con il debito onore nella Basilica paleocristiana in Città Alta che da lui prese il nome.

Vennero poi i tempi delle invasioni barbariche, Bergamo fu capitale di un potente ducato longobardo e la presenza di questa gente germanica influì in maniera non secondaria sui costumi, le leggi, la lingua, la composizione etnica (una larga parte, ad esempio, dell’originaria nobiltà è di origine longobarda, a partire dai Suardi, articolatisi poi in varie casate tuttora esistenti).
Nel 774 Bergamo con la sua provincia divenne centro di una contea franca, ma verso la fine del IX-inizi del X secolo i vescovi, a partire da Adalberto, assunsero il controllo anche politico della città, coadiuvati nel governo dalle famiglie di nobili, feudatari e maggiorenti, quelle che poi, nel 1098, crearono un nuovo regime, il libero Comune, originariamente gestito da aristocratici sovente in dissidio fra loro, come i Suardi (Ghibellini), i Rivola e i Colleoni (Guelfi).

Bergamo.
Il percorso della funicolare che collega la città Bassa a quella Alta

Nel cuore delle lotte fra Chiesa e Impero
Bergamo partecipò alle lotte dell’epoca del Barbarossa: nel famoso Monastero Cluniacense di San Giacomo di Pontida si sarebbe svolto il famoso Giuramento. Conobbe poi ulteriori scontri politico-sociali anche per l’emergere del cosiddetto Popolo (in realtà la borghesia più ricca). Col tempo i dissidi indussero i vari capi partito bergamaschi ad appoggiarsi a più potenti referenti milanesi, così la città, in larga misura su impulso dei ghibellini Suardi, entrò nel 1332 nella Signoria del ghibellino Azzone Visconti. Il dominio di questa famiglia durò fino al 1428 e fu decisamente poco tranquillo, sia per l’opposizione dei Guelfi, soprattutto delle Valli, sia per l’eccessiva oppressione fiscale ai danni della popolazione.

Bergamo.
Mura Venete

Venezia signora di Bergamo
Il dominio veneto, che sapeva rispettare con intelligenza le autonomie locali, fu turbato agli inizi del ‘500 dall’invasione francese, ma abbastanza presto il Leone tornò a dominare in Città Alta e in tutta la Bergamasca, cioè nell’area di Terraferma geograficamente più lontana dalla Dominante.

A Bergamo in questi anni operarono artisti “foresti” quali Lorenzo Lotto, ma anche quelli locali furono sovente di notevole valore, ad esempio Palma il Vecchio o il Moroni. Tra i personaggi di altro genere dell’epoca ricordiamo Gabriele Tadino, detto il Martinengo, Cavaliere di Malta e grande architetto militare, capace di dare moltissimo filo da torcere ai turchi: fu ritratto da Tiziano.
Via via Bergamo, sostanzialmente soddisfatta della dominazione veneta, mostrò di saper dare in più occasioni un proprio contributo significativo alla lotta per la Fede: così non pochi bergamaschi si batterono egregiamente a Lepanto. A turbare la serenità della città furono solo le distruzioni inevitabilmente provocate dalla costruzione delle Mura Venete (1561), pur necessarie per proteggere la città da eventuali brutte tentazioni degli spagnoli insediati a Milano.
Nel ‘600, tutto sommato tranquillo, la città fu purtroppo pesantemente toccata dalla famosa peste manzoniana, mentre nel secolo successivo il dato più notevole fu l’espansione della Città Bassa, con attività commerciali e artigianali che a fine agosto, specie nel campo tessile (la seta) trovavano occasione di valorizzazione nella Fiera di Sant’Alessandro, in locali in muratura nell’attuale Piazza Dante.

Bergamo.
Veduta del centro di Bergamo bassa, Piazza Vittorio Veneto

Nel vortice delle guerre napoleoniche
Purtroppo verso la fine del secolo la diffusione delle idee illuministiche attecchì in città fra non pochi nobili e borghesi, “convertiti” al credo massonico; furono costoro, nel 1797, a supportare il colpo di Stato con il quale le truppe napoleoniche abbatterono il dominio veneto, grazie anche ad una vergognosa provocazione (l’incendio del teatro cittadino), attribuita falsamente all’ultimo capitano della Serenissima.
Il popolo della città non mostrò eccessivo entusiasmo per le novità e le esibizioni dei giacobini locali, che tra l’altro si affrettarono a mettere le mani sui beni della Chiesa e delle istituzioni benefiche, spesso a loro personale pro.
Un esempio per tutti è la soppressione del Monastero di Pontida, la cui magnifica biblioteca venne venduta a peso (!) dai suddetti “intellettuali”, ad eccezione dei tomi più preziosi che qualcuno ritenne opportuno far propri… Le autonomie dei vari quartieri e dei centri vicini vennero eliminate in nome del centralismo democratico.
I Valligiani insorsero, parroci in testa, in nome di Maria e di San Marco, ma vennero purtroppo massacrati alle porte del capoluogo. Giunsero i tempi della Repubblica Cisalpina, con un breve intermezzo austro-russo, poi di quella cosiddetta Italiana, infine del napoleonico Regno d’Italia (dal 1805 al 1814), con tante tasse, i giovani mandati a morire di qua e di là per l’Europa nelle guerre del Buonaparte, con il cosiddetto brigantaggio che si diffondeva sempre più, trovando capi popolari quali Pacì Paciana, “il terrore della Val Brembana”.

Bergamo.
Gaetano Donizetti, uno dei maggiori autori melodrammatici italiani

L’anima cattolica rimane salda
Con l’unificazione, a fronte del predominio politico liberale, come del resto in tutta Italia, andò crescendo il peso dell’opposizione dei cattolici che – non dimentichiamolo – non votavano alle elezioni politiche, ma lo facevano alle amministrative, condizionando così le varie giunte locali.

Nello sviluppo del movimento cattolico, che si estese a società di mutuo soccorso, mense popolari, sindacati, banche e quotidiani (L’Eco di Bergamo, tuttora dominante per diffusione), spiccano i nomi di Nicolò Rezzara e, soprattutto, del conte Stanislao Medolago Albani: grazie a loro, tra l’altro, fu possibile mitigare la povertà allora molto diffusa e contrastare la propaganda socialista.
Nella Prima Guerra Mondiale si distinsero gli alpini e in generale i combattenti orobici, primo tra tutti il grande aviatore, poi podestà, Antonio Locatelli, compagno di D’Annunzio nel volo su Vienna e triplice Medaglia d’Oro al Valor Militare.
In epoca fascista la città fu profondamente rinnovata in senso architettonico, specie nel centro piacentiniano di Città Bassa; gerarchi di spicco a livello nazionale furono i bergamaschi conte Giacomo Suardo e il sindacalista Nino Capoferri.
Dopo il ’43 la guerra civile segnò dolorosamente la vita dei bergamaschi, già colpiti da tragedie come il micidiale bombardamento di Dalmine, sede di un’importante industria siderurgica a pochi chilometri dal capoluogo, né mancarono, all’indomani del 25 aprile, eccidi come quello di Rovetta (in alta Val Seriana).
Nonostante le violenze contrarie, la Bergamasca, il 2 giugno del’46, si dichiarò a maggioranza per la monarchia, poi iniziò un più che quarantennale dominio politico democristiano. Fra le eredità della tradizionale e sincera fede cattolica nella Bergamasca ricordiamo anche il risultato, nei pur tristi anni ’70, delle votazioni per il referendum volto ad abolire l’omicidio di massa dell’aborto. La provincia di Bergamo si espresse, contrariamente a troppe parti d’Italia, per il sì all’abrogazione.
Tornati gli austriaci nel 1814, Bergamo rimase tranquilla fino al 1848, ebbe un capo liberale di rilievo in Gabriele Camozzi; dodici anni dopo fu l’industriale tessile Francesco Nullo a spiccare fra i garibaldini bergamaschi. Proprio nel ’48 muore il bergamasco Gaetano Donizetti, uno dei maggiori rappresentanti del melodramma italiano. Tra i suoi capolavori rammentiamo Elisir d’amore, Lucia di Lammermoor e La Figlia del Reggimento. Molto interessante è il museo a lui dedicato all’interno del Conservatorio di Musica, in via Arena, in Città Alta. Proprio le genti delle Valli furono le prime ad accogliere volentieri, già nel 1426, due anni prima della città, il nuovo dominio veneziano, e bergamasco era, non dimentichiamolo, il grande condottiero Bartolomeo Colleoni, capitano generale delle milizie della Serenissima, innovatore in campo militare, raffinato mecenate nel suo stupendo castello di Malpaga; è sepolto alle spalle di Piazza Vecchia nella celebre Cappella Colleoni, opera dell’Amadeo e tuttora proprietà dei suoi discendenti.

Una città... da favola: Bergamo, gioiello dell'Alta Italia dans Viaggi & Vacanze Divisore

Una città… da favola

Del fascino della città di Bergamo, del suo prestigioso patrimonio artistico, uomini famosi hanno detto e scritto. L’architetto Frank Lloyd Wright l’ha definita «… meravigliosa… sorprendente sino a stordire…», Stendhal addirittura «Il più bel luogo della terra e il più affascinante mai visto». Torquato Tasso, che era nato a Salerno ma la considerava sua patria, ne parla con grande nostalgia nelle sue lettere e le ha dedicato un sonetto che l’Ateneo bergamasco ha fatto incidere su una tavola di marmo. Per coglierne l’atmosfera, la vera anima bisogna, come sempre, andarci.
di Annamaria Scavo – Radici Cristiane

Bergamo.
Città Alta, gruppo monumentale

Cresciuta ai piedi delle prealpi Orobie, allo sbocco di verdi vallate alpine, davanti ad un’ampia pianura, Bergamo, per l’importanza strategica della sua posizione, ha iniziato ben presto la sua storia. Dal V secolo a.C. in poi i popoli più vari l’hanno percorsa ed abitata (liguri, etruschi, galli, romani, franchi, longobardi, prima di passare ai Visconti e alla Serenissima Repubblica di Venezia le cui tracce sono ovunque evidenti), e una vivace vita storica ha lasciato visibili tracce nel patrimonio culturale ed artistico.

Bergamo.
Portale meridionale della Basilica di Santa Maria Maggiore

Bergamo di sopra
Quando emerge dalla fitta nebbia padana, con il suo inconfondibile profilo animato da cupole, campanili e torri (si dice che un tempo fossero circa trecento), sembra illustrare una vecchia favola. Sarà forse anche per le robuste mura rinforzate da bastioni che la cingono, poderosa opera di architettura militare con cui i veneziani a partire dal 1561 hanno fortificato preesistenti mura romane. Non mancano un castello, quello di San Vigilio con quattro torrioni e una rocca con il mastio.
Dentro, un mondo antico, fatto di monumenti importanti ma anche di una particolare atmosfera, di viuzze acciottolate, piazzette, fontane, scalinate, vicoli, angoli suggestivi che riportano indietro nel tempo di secoli, dove ci si potrebbe attendere da un momento all’altro di veder passeggiare i personaggi delle opere buffe di Donizetti, il noto compositore lirico dell’Ottocento che in Bergamo ha avuto i suoi natali.
Quattro importanti porte danno accesso alla parte alta. Tutte costruite fra la seconda metà del 1500 e il 1627, ospitavano i corpi di guardia permanenti e l’esattoria. Solo in occasione della catastrofica pestilenza del 1630 (quella di cui racconta il Manzoni) le porte urbane per ben due volte rimasero aperte e incustodite, pare per tre mesi circa, non essendoci sopravvissuti.
La più cara ai bergamaschi, quella considerata principale, è la porta di Sant’Agostino. Progettata nel 1575 da Paolo Berlendis assieme alla fontana monumentale interna, introduce subito ad un “gioiello” della città, il Monastero con la chiesa di Sant’Agostino.
L’importante complesso conventuale gotico-rinascimentale dai chiostri armoniosi, pare sia stato imprevedibilmente salvato dalla pesante distruzione di opere che accompagnava la fabbrica delle mura venete, grazie ad una borsa piena di zecchini d’oro allungata alla persona giusta nel momento giusto.
La chiesa, ha una bella facciata tardo-gotica in pietra arenaria, con due quadrifore a sesto acuto, un portale a tutto sesto e il tradizionale rosone gotico sovrastato dalla statua del Santo protetta da una nicchia.
La copertura interna dell’unica navata è ritmata da grandi archi ogivali molto suggestivi dall’intradosso dipinto che lasciano a nudo le falde del tetto.
Altri complessi conventuali, tutti antichi, tutti da conoscere costellano la vecchia città, come quello soppresso delle carmelitane. Resta infatti, accanto alla Chiesa del Carmine, un mirabile chiostro quattrocentesco a due ordini sovrapposti che merita andare a cercare in via Colleoni.
Nel 1355 Bernabò Visconti aveva voluto un complesso fortificato, “La Cittadella”. La individuano due caratteristiche torri, quella elegante della Campanella e la torre di Adalberto, senza quasi aperture, tristemente nota come “torre della fame” perché qui Venezia rinchiudeva gli evasori fiscali.
L’insieme si presta attualmente ad ospitare spettacoli e feste popolari e accoglie due importanti musei di Bergamo, quello di Scienze naturali “Enrico Caffi” e il Museo Archeologico.

Bergamo.
Piazza Vecchia, Fontana Contarini

Piazza Vecchia
L’edificio in muratura arenaria ha un caratteristico finestrone centrale di gusto veneziano, cui è stato aggiunto successivamente il balcone, sormontato dal leone di S. Marco. Al primo piano sette capriate in legno per sostenere la copertura. L’orologio solare visibile nel pavimento del portico è del 1798.
Posata sul pavimento regolare in mattoni rossi e lastre di pietra, la elegante fontana detta “del Contarini”, il podestà veneto che la donò alla città.
Di fronte al Palazzo della Ragione, la Biblioteca civica Angelo Mai, una delle più ricche biblioteche italiane (oltre seicentomila volumi e preziosi incunaboli), un tempo sede municipale. Poco rimane dell’originale Palazzo del Podestà, oggi occupato dell’Ateneo.
Non può mancare la Torre civica (il Campanone) centro vitale e istituzionale, luogo rappresentativo di Città Alta e quindi di Bergamo, che da quasi un millennio proietta la sua ombra sui momenti importanti della vita cittadina, protagonista in tempo di festa, quando le tre campane chiamavano la cittadinanza ad onorare il santo patrono, nei momenti di pericolo, per i ripetuti incendi che hanno coinvolto il Campanone stesso e gli edifici adiacenti, e sempre, ogni giorno ancora oggi, quando battono gli oltre cento rintocchi delle 22.00 che un tempo ricordavano la chiusura delle porte d’ingresso alla città.
Attorno al Campanone nei secoli sono state costruite le sedi del potere politico (Palazzo del Podestà, Palazzo della Ragione e Palazzo dell’Istituto Tecnico) e del potere spirituale (complesso della Curia vescovile), ma anche botteghe, carceri, istituti culturali (Palazzo dell’Ateneo) e luoghi di culto e di memoria che ospitano tesori artistici di rilievo come il Duomo, Santa Maria Maggiore e la Cappella Colleoni.
Oggi, la Torre, che all’epoca della costruzione era 37,7 metri, a seguito di successivi sopralzi, tocca i 52,76 metri di altezza. La base ha muri spessi quattro metri e un tempo era luogo di tortura e di carcere duro. Ora funge da osservatorio della Città Alta e dell’abitato in piano ed è destinata a divenire sede del Museo storico cittadino.

Bergamo.
Veduta del Battistero, del Duomo, della Cappella Colleoni, di Santa Maria Maggiore

Piazza del Duomo e la Cappella Colleoni
Anche il Duomo, con la sua facciata ottocentesca, è addossato al palazzo della Ragione. Sorge sull’antica cattedrale di San Vincenzo ed è ora dedicato a Sant’Alessandro, patrono della città. Contiene notevoli dipinti fa cui uno di Giovan Battista Tiepolo.
La piazza è però visivamente dominata da uno degli edifici più emblematici di Bergamo, la Cappella Colleoni, capolavoro in assoluto del primo Rinascimento lombardo anche se, per molti dettagli, la facciata ricorda il gusto gotico fiorentino. A volerla, un grande condottiero che desiderava sepoltura nel luogo più prestigioso della città (tanto da far sacrificare la sagrestia della basilica accanto) ed il suo giovane ma già noto architetto e scultore che si era messo in luce nella fabbrica del Duomo di Milano e della Certosa di Pavia.

Bergamo.
Monumento funebre di Bartolomeo Colleoni, all’interno della Cappella

Architettura medioevale e veneziana ispirano quest’opera, con una cupola genialmente leggera che poggia su tamburo ottagonale rivestito da balaustra e sormontata da una lanterna. Il corpo della Cappella sopravanza il protiro della basilica accanto quel tanto che basta a porla in una gerarchia spaziale vincente. Preziosamente decorata anche all’interno, ospita il corpo del condottiero e della diletta figlia Medea.
Alla destra della Cappella un gioiellino, il Battistero, che dopo essere migrato da Santa Maria Maggiore ad un cortile del Duomo, si è conquistato il suo onorevole posto sulla piazza.
Piazza del Duomo, di Piazza Vecchia è in un certo senso la continuazione. Lì, quasi a voler significare quanto storia e arte si compenetrino, i palazzi, sembrano contendersi lo spazio.
La basilica di Santa Maria Maggiore, opera assai importante, costruita su una precedente chiesa per sciogliere un voto alla Vergine Maria, conserva all’esterno l’originaria struttura romana a croce greca, mentre l’interno è stato modificato nel XVI e XVII secolo.
Contiene un importante presbiterio, preziosi affreschi trecenteschi nel transetto, un grande crocifisso in legno del 1300 e la tomba di Gaetano Donizetti. Due protiri di particolare bellezza e la grande abside sono tutto ciò che compare all’esterno, poiché la basilica curiosamente non ha facciata essendo corpo unico con la Cappella Colleoni. La città Alta continua in un labirinto di stradine, absidi, torri, guglie. L’atmosfera irreale di un ambiente rimasto fermo nel tempo, si apre ogni tanto in una visione deliziosa.
È quanto capita uscendo nella meravigliosa Piazza Vecchia, cui fa da quinta il Palazzo della Ragione, simbolo della libertà comunale medievale.
Eretto nella seconda metà del XII secolo, il palazzo aveva un orientamento opposto all’attuale, finché nel 1453, dopo un incendio, non fu deciso di invertirlo, aprendo i fornici e le trifore, costruendo una scala coperta che conduce al primo piano e sistemando il piano terra con quattro colonne tuscaniche e una loggia a volte che mette in comunicazione la Piazza Vecchia con quella del Duomo, un’opera completata dopo il 1520 dall’architetto Pietro Isabello.Bergamo si presenta divisa in due parti ben distinte, la Città Alta e la Città Bassa, collegate da strade e scalinate e da una pittoresca funicolare che dal 1886 supera un dislivello di circa ottanta metri in poco più di duecento di lunghezza.
La Città Alta, è la parte più antica, da sempre la sede delle istituzioni e del potere.

Publié dans Viaggi & Vacanze | Pas de Commentaire »

PICCOLO CORO ANTONIANO/ Mariele Ventre, presentata la domanda di beatificazione per la direttrice

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2013

PICCOLO CORO ANTONIANO/ Mariele Ventre, presentata la domanda di beatificazione per la direttrice dans Stile di vita Mariele_VentreIn molti, quelli soprattutto cresciuti quando lo Zecchino d’oro era la trasmissione di punta della televisione dei ragazzi, tra gli anni 60 e 70, la ricordano molto bene. Mariele Ventre era la direttrice dello storico Piccolo coro dell’Antoniano di Bologna: dal 1963 al 1995 è stata al suo posto, in mezzo ai bambini, a insegnare loro a cantare. Smise solo con la sua morte, avvenuta il 16 dicembre 1995, dopo aver partecipato ancora una volta solo venti giorni prima allo Zecchino. Adesso potrebbe diventare beata. La domanda di beatificazione infatti è stata presentata ufficialmente alla diocesi bolognese da Padre Berardo, uno dei fondatori del Piccolo Coro. Lo racconta il settimanale Credere: il padre francescano ha dedicato anni a raccogliere informazioni sulla donna, anche lui morto pochi mesi fa non prima di aver presentato la domanda. Aveva definito Mariele “più francescana di noi francescani”. Diplomata al conservatorio di Milano, una carriera sicura da concertista, aveva invece preferito insegnare canto ai bambini, colpita dal valore pedagogico di quell’esperienza.

Tratto da: Il Sussidiario.net

Publié dans Stile di vita | Pas de Commentaire »

L’aspetto divertente della vita e la sua dimensione gioiosa

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2013

L'aspetto divertente della vita e la sua dimensione gioiosa dans Riflessioni benedettoxvipapaemerito“Io non sono un uomo a cui vengano in mente continuamente delle barzellette. Ma saper vedere anche l’aspetto divertente della vita e la sua dimensione gioiosa e non prendere tutto così tragicamente, questo lo considero molto importante, e direi che è anche necessario per il mio ministero. Un qualche scrittore aveva detto che gli angeli possono volare, perché non si prendono troppo sul serio. E noi forse potremmo anche volare un po’ di più, se non ci dessimo così tanta importanza”.

Benedetto XVI

Publié dans Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

I Camilliani: siamo uniti perché si arrivi alla verità

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2013

DOPO GLI ARRESTI
I Camilliani: siamo uniti perché si arrivi alla verità
di Mimmo Muolo – Avvenire

I Camilliani: siamo uniti perché si arrivi alla verità dans Articoli di Giornali e News camillianiNella saletta della Casa Generalizia dove di solito si ricevono gli ospiti tutto è rimasto al suo posto. Anche la foto di padre Renato Salvatore. Ma tra i Camilliani nessuno si illude che, dopo la bufera che ha portato in carcere il superiore generale con l’accusa di sequestro di persona, ogni cosa rimanga come prima. Il vicario generale, padre Paolo Guarise, dice con franchezza: «Questa è una lezione. Ci servirà. Ma adesso vogliamo che la verità emerga in toto e siamo a disposizione della magistratura, perché la giustizia faccia il suo corso».

Dopo l’arresto, è la prima volta (e in esclusiva per Avvenire) che le porte del quartier generale dell’ordine fondato da San Camillo nel 1591 si aprono per un rappresentante della stampa. Padre Guarise è affiancato da uno dei generali emeriti, l’irlandese padre Frank Monks, che tra l’altro era il candidato alternativo a padre Salvatore lo scorso 13 maggio, quando – secondo l’accusa – sarebbero avvenuti i fatti incriminati. Una scelta, quella di parlare in due, che sottolinea la volontà di esprimere la massima unità possibile dell’Ordine in questo momento difficile. «Siamo addolorati e scioccati – dice infatti padre Monks con il suo tipico accento anglosassone –, ma dobbiamo andare avanti. Per i nostri ammalati, per le nostre strutture e per il grande carisma che il fondatore ci ha trasmesso».

Ma questa incresciosa vicenda è stata un fulmine a ciel sereno o avevate avuto qualche sentore?
«Un fulmine a ciel sereno – risponde convinto padre Guarise –. Certo, i problemi anche economici non mancavano, ma mai avrei pensato di ritrovarmi in una situazione come questa.

Eppure al momento della votazione padre Salvatore è stato rieletto per soli due voti. Segno che il capitolo era spaccato?
Padre Guarise precisa un particolare finora inedito: «Il generale è stato eletto con tre voti di scarto». (quindi alla fine, il “sequestro” dei due confratelli sarebbe risultato ininfluente, ndr). Padre Monks aggiunge: «I numeri in effetti farebbero pensare a una spaccatura, ma posso assicurare che non c’erano lotte di potere o di interessi. Solo una diversa visione delle priorità pastorali. Io stesso non avevo la minima intenzione di candidarmi. Ho solo accettato di non ritirare il mio nome quando alcuni confratelli me lo hanno chiesto. E quando è stato eletto padre Renato, sono stato il primo ad abbracciarlo. Anche adesso l’Ordine è unito e insieme faremo fronte alla situazione.

Quali saranno i prossimi passi?
«Domenica scorsa – sottolinea il vicario generale – Abbiamo avuto una riunione della Consulta allargata ai provinciali italiani e a due generali emeriti: oltre al qui presente padre Frank, anche padre Angelo Brusco. Insieme abbiamo deciso innanzitutto la linea di collaborazione e trasparenza nei confronti di chi indaga, affinché la verità venga a galla. Vogliamo bene al nostro Ordine, ma non al prezzo di mentire. Nei prossimi giorni procederemo alla nomina di un avvocato civile, ovviamente diverso da quello che difende padre Renato. E ci avvarremo inoltre dell’aiuto di un esperto canonista, perché c’è il dubbio che il capitolo in cui il generale è stato eletto sia invalido e quindi da rifare.

Che tempi si possono prevedere per una nuova elezione?
Le nostre costituzioni dicono che quando il generale è assente o impedito il vicario generale diventa automaticamente suo facente funzioni e che bisogna convocare un nuovo capitolo entro tre anni. Ma penso che non faremo passare tutto questo tempo e chiederemo alla Santa Sede di procedere prima.

A proposito di Santa Sede, qualche giornale ha ipotizzato un “commissariamento” dell’Ordine. Che c’è di vero in queste voci?
Risponde padre Monks: «Ho incontrato lunedì mattina il cardinale Joao Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per i religiosi. E in precedenza anche padre Guarise era stato ricevuto da lui. Il cardinale ha approvato le nostre decisioni di domenica e ci ha incoraggiato a proseguire sulla strada dell’unità, della trasparenza e della collaborazione con la magistratura. Quindi penso che non ci saranno provvedimenti, perché all’interno dell’Ordine non vi sono divisioni o confusione sul modo di procedere».

E per far fronte alla grave situazione economica dell’ospedale di Casoria come vi muoverete?
«Quell’ospedale – afferma padre Guarise – non è un’isola, appartiene al nostro Ordine e quindi è inserito in una rete di solidarietà che al momento opportuno, se ce ne dovesse essere bisogno, si attiverà. Intanto la provincia siculo-campana ci ha assicurato che gli stipendi dei dipendenti vengono regolarmente pagati e che ci sono i soldi per un ragionevole numero di mesi. Inoltre faremo tutto il possibile affinché ritornino i capitali sottratti» (circa 10 milioni di euro mandati in Svizzera secondo l’accusa, ndr).

Qual è il vostro stato d’animo nei confronti di padre Renato Salvatore e dei due padri “sequestrati” sul cui conto stanno emergendo particolari che, se confermati, non sono certo edificanti?
Padre Monks afferma: «Con padre Renato non è stato ovviamente possibile parlare. Ma, al di là delle responsabilità penali se verranno confermate in giudizio, egli resta un nostro confratello, verso cui è giusto mostrare compassione. Degli altri due confratelli, la cui situazione va sicuramente affrontata, si occuperà il loro provinciale. Se necessario anche con il nostro aiuto». Padre Guarise aggiunge: «Forse questa vicenda si sarebbe potuta evitare lavorando più in équipe. Il generale si è fidato troppo di qualche persona sbagliata e noi consultori abbiamo troppo delegato a lui. Dobbiamo far tesoro di ciò che è avvenuto».

Publié dans Articoli di Giornali e News | Pas de Commentaire »

Sant’Andrea Avellino confessore

Posté par atempodiblog le 12 novembre 2013

Sant'Andrea Avellino confessore dans Stile di vita sant_andrea_avellino

Sant’Andrea Avellino nacque a Castelnuovo di Lucania nell’anno 1521. Costretto fin dalla più tenera età ad abitare lontano dalla casa paterna per ragione di studi, fu in ogni cosa il modello ai suoi condiscepoli. Mirabili erano i suoi progressi nella dottrina e nella santità, che sapeva unire tra loro in bella armonia, tenendo sempre presente alla sua mente la massima, che il principio della sapienza è il timor di Dio. Ebbe anche a lottare per conservare il giglio della purezza, ma con l’aiuto di Dio passò in mezzo ai più gravi pericoli senza offuscare il candore dell’anima sua.

Intrapresi geli studi ecclesiastici, all’età conveniente ricevette l’Orinazione Sacerdotale, e recatosi a Napoli per studiare giurisprudenza, conseguì in breve la laurea di avvocato. Gli accadde che un giorno, mentre stava sciogliendo una questione, si lasciasse inavvertitamente sfuggire una bugia; rientrò subito in se stesso balenatogli nella mente il detto scritturale: la bocca che mentisce uccide l’anima, concepì tant’orrore del suo fallo, che decise di lasciare per sempre l’avvocatura e dedicarsi unicamente al ministero ecclesiastico.

L’Arcivescovo di Napoli gli affidò allora la cura di alcuni monasteri di religiose ed egli si adoperò con tanto zelo da riformare gli abusi e allontanare le persone senza vocazione, che incorse nell’odio di alcuni malvagi, i quali lo perseguitarono attentando più volte alla sua vita.

Non bastando alla sua pietà la vita ecclesiastica, anelava di consacrarsi tutto a Dio nello stato religioso e risolvette di entrare nell’ordine dei Teatini, di recente fondato. Fu accettato e vi entrò il 14 agosto 1556. Era esattissimo nell’osservanza delle regole: dopo appena quattro anni dal suo ingresso in religione fu stimato capace di assumere la delicatissima carica di maestro dei novizi, che disimpegnò per dieci anni con singolare prudenza e grande vantaggio dell’ordine.

Desideroso di giungere al più alto grado di perfezione, aggiunse ai tre voti religiosi altri due voti particolari: di progredire tutti i giorni nella via della perfezione cristiana e di rinnegare sempre in tutto la propria volontà: voti che osservò con eroismo fino alla morte. Il suo zelo rifulgeva specialmente nel confessionale e nella predicazione da cui ottenne abbondati frutti.

Ardente fu la sua carità verso il prossimo che il Signore volle premiare anche con miracoli. Si narra che assalito a tradimento e gravemente ferito, perdonasse di cuore al suo aggressore e che energicamente si interponesse onde non venisse punito.

Nutrì in tutta la sua vita una tenerissima devozione verso la SS. Vergine, ricevendone in cambio visibile custodia alla sua purità.

Visse in religione oltre cinquant’anni e il Signore volle premiar anche in questa vita la fedeltà del suo servo, concedendogli il dono della profezia, la conoscenza dei segreti dei cuori e delle cose occulte, e facendogli godere più volte il colloquio degli Angeli.

La mattina del 10 novembre 1608, a Napoli, incominciando la Santa Messa alle parole: Introibo ad altari Dei, cadde colpito da apoplessia e la sua bell’anima se ne volò al Cielo.

Tratto da: I Santi per ogni giorno dell’anno. Edizioni della Pia Società S. Paolo

Publié dans Stile di vita | Pas de Commentaire »

Val più un’oncia di carità…

Posté par atempodiblog le 12 novembre 2013

Val più un’oncia di carità... dans Citazioni, frasi e pensieri san_roberto_bellarmino

“Val più un’oncia di carità, che cento vagoni di ragione”.

San Roberto Bellarmino

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Riflessioni | Pas de Commentaire »

Il Papa: anche quando ci rimprovera, Dio ci accarezza e mai ci ferisce

Posté par atempodiblog le 12 novembre 2013

Il Papa: anche quando ci rimprovera, Dio ci accarezza e mai ci ferisce
Affidiamoci a Dio come una bambino si affida alle mani del suo papà. E’ quanto affermato da Papa Francesco alla Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che il Signore mai ci abbandona e ha sottolineato che anche quando ci rimprovera, Dio non ci dà uno schiaffo ma una carezza.
di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

Il Papa: anche quando ci rimprovera, Dio ci accarezza e mai ci ferisce  dans Fede, morale e teologia papa_pace_misericordia

“Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità”, ma “per l’invidia del diavolo è entrata la morte nel mondo”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia soffermandosi sulla Prima Lettura, un passo del Libro della Sapienza che ricorda la nostra creazione. L’invidia del diavolo, ha affermato il Papa, ha fatto sì che iniziasse questa guerra, “questa strada che finisce con la morte”. Quest’ultima, ha ribadito, “è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono”. E’ un esperienza che tutti facciamo:

“Tutti dobbiamo passare per la morte, ma una cosa è passare per questa esperienza con una appartenenza al diavolo e un’altra cosa è passare per questa esperienza dalla mano di Dio. E a me piace sentire questo: ‘Siamo nelle mani di Dio dall’inizio’. La Bibbia ci spiega la Creazione, usando una immagine bella: Dio che, con le sue mani ci fa dal fango, dalla terra a Sua immagine e somiglianza. Sono state le mani di Dio che ci hanno creato: il Dio artigiano, eh! Come un artigiano ci ha fatto. Queste mani del Signore… Le mani di Dio, che non ci hanno abbandonato”.

La Bibbia, ha proseguito, narra che il Signore dice al suo popolo: “Io ho camminato con te, come un papà con suo figlio, portandolo per mano”. Sono proprio le mani di Dio, ha soggiunto, “che ci accompagnano nel cammino”:

“Nostro Padre, come un Padre con suo figlio, ci insegna a camminare. Ci insegna ad andare per la strada della vita e della salvezza. Sono le mani di Dio che ci carezzano nei momenti del dolore, ci confortano. E’ nostro Padre che ci carezza! Ci vuole tanto bene. E anche in queste carezze, tante volte, c’è il perdono. Una cosa che a me fa bene pensarla. Gesù, Dio, ha portato con sé le sue piaghe: le fa vedere al Padre. Questo è il prezzo: le mani di Dio sono mani piagate per amore! E questo ci consola tanto”.

Tante volte, ha proseguito, sentiamo dire da persone che non sanno a chi affidarsi: “Mi affido alle mani di Dio!”. Questo, ha osservato Papa Francesco, “è bello” perché « lì stiamo sicuri: è la massima sicurezza, perché è la sicurezza del nostro Padre che ci vuole bene”. “Le mani di Dio – ha commentato – anche ci guariscono dalle nostre malattie spirituali”:

“Pensiamo alle mani di Gesù, quando toccava gli ammalati e li guariva… Sono le mani di Dio: ci guariscono! Io non mi immagino Dio dandoci uno schiaffo! Non me lo immagino. Rimproverandoci, sì me lo immagino, perché lo fa. Ma mai, mai, ci ferisce. Mai! Ci accarezza. Anche quando deve rimproverarci lo fa con una carezza, perché è Padre. ‘Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio’. Pensiamo alle mani di Dio, che ci ha creato come un artigiano, ci ha dato la salute eterna. Sono mani piagate e ci accompagnano nella strada delle vita. Affidiamoci alle mani di Dio, come un bambino si affida alla mano del suo papà. E’ una mano sicura quella!”.

Publié dans Fede, morale e teologia, Misericordia, Papa Francesco I, Perdono, Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso

Posté par atempodiblog le 12 novembre 2013

Quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso dans Citazioni, frasi e pensieri Ges

L’imperatore si rivolse ai cristiani dicendo: “Strani uomini… ditemi voi stessi, o cristiani, abbandonati dalla maggioranza dei vostri fratelli e capi: che cosa avete di più caro nel cristianesimo?”. Allora si alzò in piedi lo stàrets Giovanni e rispose con dolcezza: “Grande sovrano! Quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità”.

Vladimir Solov’ëv – Il dialogo dell’Anticristo

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Fede, morale e teologia, Riflessioni, Stile di vita, Vladimir Sergeevic Solovev | Pas de Commentaire »

L’isolamento del monaco

Posté par atempodiblog le 12 novembre 2013

L'isolamento del monaco dans Citazioni, frasi e pensieri zosina

Si rimprovera al monaco il suo isolamento: “Ti sei isolato fra le mura del monastero per far penitenza, ma hai dimenticato la causa della fratellanza fra gli uomini”. Ma vediamo dunque: chi si adopera di più per la fratellanza? Poiché non siamo noi a essere isolati, bensì loro, e non se ne avvedono. Fin dall’antichità vennero dalle nostre fila quelli che si adoperarono per il popolo: per quale motivo non dovrebbero esservi anche oggi? Questi stessi umili e pii digiunatori e osservatori del silenzio si leveranno e si appresteranno a compiere una grande impresa.

Fëdor Dostoevskij – I fratelli Karamàzov

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Fedor Michajlovic Dostoevskij, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Per san Martino, oca, castagne e vino

Posté par atempodiblog le 11 novembre 2013

Per san Martino, oca, castagne e vino
di Marina Cepeda Fuentes – Il Timone

Per san Martino, oca, castagne e vino dans Cucina e dintorni San_Martino_Oche_Castagne_e_Vino

“Oca, castagne e vino, tieni tutto per San Martino”, afferma un proverbio padano.

Una volta, infatti, la festa del Santo, che cade l’11 novembre e alla quale sono connessi in gran parte dell’Europa detti, proverbi, riti e tradizioni gastronomiche, si celebrava con ricche libagioni e grandi banchetti in cui si mangiava soprattutto l’oca fatta ingrassare con cura. Ma nei primi giorni di novembre il mosto già fermentato diventa vino novello e si spilla quello vecchio dalle botti: “per San Martino si lascia l’acqua e si beve il vino”, assicura un proverbio, mentre un altro ci svela che “per San Martino s’ubriaca il grande e il piccinino”. Ed è anche tempo di castagne: dalla fine di ottobre il profumo delle caldarroste imperversa in alcune città e molte sagre paesane sono dedicate ai frutti appena raccolti e perciò si dice “Per San Martino caldarroste e vino”. Fino al secolo scorso in Italia la festa di San Martino era una sorta di capodanno: cominciavano le attività dei tribunali, delle scuole e dei parlamenti; si tenevano elezioni e in alcune zone scadevano i contratti agricoli e di affitto. Tuttora si dice infatti “far San Martino” all’atto di traslocare o sgomberare. Il giorno dedicato al celebre vescovo di Tours trascorreva nell’ingorda letizia delle tavole colme di ogni ben di Dio, sicché tuttora la figura del Santo è sinonimo di abbondanza: “Ce sta lu sante Martino”, dicono in Abruzzo quando in una casa non mancano le provviste. Ippolito di Cavalcanti, duca di Buonvicino, scriveva nel 1847: “Cheste è chella bella Jornata di San Martino c’a Napole, e me credo pe tutto lo Munno, se fa na grosa festa; e grazia de chesta sollennità, a dove echiù, a dove meno, se fa lo grande pranzo…”.

Quanto alla scelta del grasso volatile come cibo tipico della festa rammenterebbe quella raffigurata di solito ai piedi del santo. Un attributo che risale alla sua leggendaria nomina a vescovo di Tours: con le loro strida le oche svelarono il nascondiglio di Martino che non voleva accettare l’incarico! Ma dietro la popolare tradizione gastronomica si celano vestigia di antiche credenze religiose, sicché “l’oca di san Martino” sarebbe in realtà una discendente di quelle sacre ai Celti, simboli del Messaggero divino, che accompagnavano le anime dei defunti nell’aldilà. In tutti i Paesi dove la religione celtica era più radicata vi è infatti la consuetudine di mangiare l’oca.

Probabilmente dai festeggiamenti del capodanno celtico o samuin, che avveniva nei primi dieci giorni di novembre, deriverebbe la tradizione, viva tuttora in tanti luoghi dell’Europa, di cucinarla a partire dal giorno di Ognissanti: “E il giorno di Ognissanti al di nascente/ ognun parti de la campagna rasai e tornò lieto a mangiar l’oca a casa”, dicono alcuni versi del Tassoni. In Boemia, non solo la si mangia, ma se ne trae l’oroscopo per l’inverno: se le ossa sono bianche, l’inverno sarà breve e mite, se scure è segno di pioggia, neve e freddo. Gli svizzeri, l’11 novembre, la mangiano ripiena di fette finissime di mele e in Germania la si riempie invece di artemisia profumata, mele, marroni glassati col miele, uva passita e le stesse interiora dell’animale. Dicono i tedeschi che l’oca perché sia veramente buona deve provenire dalla Polonia o dall’Ungheria, fra l’altro la patria di san Martino che era nato nell’antica Pannonia. In Italia è la Padania la terra dove l’oca, insieme con il maiale, costituisce uno dei cibi più fantasiosamente cucinati. La ricetta più diffusa per San Martino è il “bottaggio”, simile alla “cassoeuola” lombarda: nell’oca così preparata la freschezza e la fragranza della verza attenua l’intensità del suo sapore un po’ dolciastro.

Una curiosità: nella cucina tradizionale romana non vi sono ricette per cucinare l’oca, forse per ancestrale riconoscenza dei Romani verso questi volatili, simbolo di fedeltà e vigilanza. D’altronde le oche che sorvegliavano il tempio della dea Giunone al Campidoglio riuscirono a salvare il colle dall’invasione dei Galli nel 390 a.C. dando l’allarme con le loro strida!

Publié dans Cucina e dintorni | Pas de Commentaire »

Via al processo di beatificazione per don Benzi, il prete che «giudicava tutto abbracciando tutti»

Posté par atempodiblog le 11 novembre 2013

Il successore, Giovanni Ramonda, ricorda: «Vestito con la talare entrava nelle discoteche per conoscere i giovani e andava per le strade a raccogliere prostitute e barboni. Dormiva con le scarpe ai piedi»
di Benedetta Frigerio – Tempi

Via al processo di beatificazione per don Benzi, il prete che «giudicava tutto abbracciando tutti»  dans Don Oreste Benzi don_benzi_bambino«Mia mamma faceva spesso il ricamo ed io, curioso, la osservavo. Chiedevo: “Mamma cosa fai?”. “Adesso non puoi capire, aspetta e vedrai che cosa bella viene fuori”. Poi mi mostrava il lavoro compiuto: “Visto che avevo  ragione?”. Da adulto ho rielaborato queste impressioni e mi hanno aiutato a capire che Dio ha un disegno su ognuno di noi, un progetto preciso che però non  ci rivela tutto in una volta. Ce lo rivela un passo dopo l’altro. Come faceva  mia mamma: un punto qui, un punto là e alla fine emergeva il disegno completo. Lei però il disegno l’aveva già tutto in mente fin dall’inizio. E se io mi fido  del grande disegno d’amore, allora entro da protagonista in quella storia  preparata da Dio che è padre» (don Oreste Benzi, Con questa tonaca lisa, Guaraldi).

È con questi occhi che don Oreste Benzi guardava ogni prostituta, tossico, barbone, orfano, anziano, handicappato. «Era lui ad andare cercarli, cambiando migliaia di cuori, offrendo a ciascuno una famiglia ma soprattutto un senso,  questo il significato della nostra comunità di accoglienza». Giovanni Ramonda, oggi alla guida della Comunità Papa Giovanni XXIII, sposato con 12 figli, di cui 3 naturali e 9 accolti, incontrò il sacerdote romagnolo più di trent’anni fa. Fu un colpo di fulmine: decise di lasciare ogni progetto per seguirlo.
All’indomani della notizia dell’avvio del processo di beatificazione per il  sacerdote romagnolo scomparso il 2 novembre 2007, il suo successore accetta di raccontare a tempi.it quelle virtù eroiche che la Chiesa gli ha riconosciuto. «Abbiamo chiesto l’apertura dell’iter a cinque anni dalla morte, come previsto dal diritto canonico.Vogliamo scoprire ancora di più chi era don Benzi e farlo  sapere al mondo. Crediamo che possa emergere tutta la straordinarietà di un uomo  che ha dato ogni attimo della sua esistenza a Cristo attraverso i bisognosi. Saranno i fatti giudicati dalla Chiesa a rivelarne la santità».

don_benzi_mario_rebeschini1 dans Stile di vitaDon Benzi diceva: «Quando io incontro il povero in me si rifà presente quel momento in cui ebbi quell’impressione profonda di mio papà che riteneva di non valere niente». E sosteneva che per rendere protagoniste le persone bisogna offrire loro il senso: «Bisogna offrire Cristo». Cosa significa concretamente?
Ripeteva che occorre proporre un incontro con Cristo «simpatetico», non discorsivo. Era gioioso e anche scherzoso se serviva. Era un prete fedele al Magistero, che vestito con la talare entrava nelle discoteche  per conoscere i giovani e andava per le strade a raccogliere prostitute e barboni. Così affascinava e attraeva i ragazzi, i senza tetto, i drogati. Ma  anche i personaggi famosi, i vip, i cantanti. E così conquistò anche me. Era un  veicolo potente della tenerezza di Dio che viene a prendersi cura di ogni uomo. Ricco o povero, sapeva far emergere in ognuno anche l’unica risorsa rimasta,  anche se nascosta lui riusciva ancora a vederla.

Come continuate senza di lui?
Era la sua vicinanza al Signore che gli permetteva di essere così. Don Benzi non ha mai attirato nessuno di noi a sé, ci indicava la strada per arrivare a Cristo, attraverso la regola della comunità: fatta di preghiera, messa quotidiana, adorazione eucaristica, vita totalmente condivisa in cui ogni cosa è decisa insieme. Siamo consapevoli che obbedendo al Suo corpo si obbedisce a Cristo. La formazione in comunità è poi legata allo studio del catechismo e agli incontri culturali. Perché, come diceva don Benzi, per stare in piedi davanti al mondo bisogna stare in ginocchio davanti a Dio: questo ci permette di continuare a costruire sulla roccia.

don_benziBenzi ha fondato case di spiritualità e di educazione per i giovani, case famiglia,  comunità terapeutiche in tutta Italia e in tutto il mondo. Intanto stava con gli  ultimi e trovava il tempo anche per lottare per i loro diritti. Come riusciva a  rispondere a tutto?
Lo faceva e basta. Ricordo che alla fine ogni giornata, passata per le strade di tutta Italia a raccogliere gente, fare  conferenze per sensibilizzare le persone o per cercare di far comprendere alle istituzioni l’importanza della sua lotta, arrivava a casa sfinito e fuori dalla  porta c’era sempre qualcuno che lo aspettava. E lui non rifiutava nessuno, non bisognava permettere che qualcuno soffrisse da solo. Per questo dormiva appena  qualche ora, seduto su una poltrona con le scarpe ai piedi. Prendendoci uno a uno in 40 anni ha costruito un’opera di migliaia di persone. È così che ha  cambiato un pezzo di mondo.

E non ha mai rinunciato nemmeno alla lotta politica, tuonando pubblicamente contro le ingiustizie.
Non gli bastava mettere il braccio sotto le spalle di chi portava la croce: quel braccio bisognava anche  toglierlo dalle spalle di chi le croci le produce. Se davvero tieni a una  persona fai di tutto! Per questo i cristiani non possono stare in sagrestia, per  questo don Benzi faceva pressione sulle istituzioni, sul Parlamento e ha voluto che la comunità si accreditasse all’Onu. Non smetteva di prendere posizione contro le leggi disumane e su ogni fatto che accadeva legato all’aborto, alla prostituzione, ai diritti dei poveri e dei malati. Così continuiamo a fare noi, giudicando e abbracciando ogni particolare del mondo.

don_benzi_bambinoBenzi diceva che vivere veramente con i poveri è possibile solo per chi sta del tutto con il Signore. Che cosa aveva da offrire agli ultimi?
Da quello che diceva e faceva si capiva che la sua non era una risposta sociologica alla  povertà. Sapeva che gli ultimi avevano bisogno prima di tutto di quello di cui  aveva bisogno lui: l’amore di Cristo. Infatti spendere tutta la vita per chi necessita di ogni cosa, non parlare genericamente della povertà o fare un po’ di volontariato, richiede la capacità di vedere Dio nel povero. Così quanti vengono accolti dalla comunità spesso vogliono conoscere il Signore, capiscono che ciò che attendevano prima di incontrarci era innanzitutto Lui.

Siete laici che lavorano nel mondo eppure vivete un’esistenza che  sembra impossibile oggi: conciliate lavoro, ospitalità e impegno pubblico. È una  vita possibile per tutti?
È una vita impossibile per chi sta da solo. Noi invece possiamo abbracciare tutto senza rinunciare a nulla perché  siamo insieme. Vivere così, nella semplicità, pregando e lavorando, ci rende felici. Lo dico dopo trent’anni. E molti vedendoci lo capiscono.

Avete 253 case famiglia solo in Italia, 20 comunità di recupero, diverse case di spiritualità, dimore per i senzatetto. Se si contano quelle all’estero si oltrepassano le 500 strutture con 41 mila persone riunite ogni giorno intorno alle vostre tavole. Come si è potuta espandere un’opera simile in così pochi anni?
Fa impressione anche a noi vedere come in quarant’anni questa esperienza abbia contagiato tanta gente che ha scelto di vivere in comunità. Significa che don Benzi aveva ragione: tutti aspettano di incontrare il senso della vita e di darla interamente per questo.

Publié dans Don Oreste Benzi, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Festeggiamenti in onore di San Giuseppe Moscati (16/11/2013)

Posté par atempodiblog le 9 novembre 2013

FESTEGGIAMENTI IN ONORE
di
SAN GIUSEPPE MOSCATI

presso la Chiesa del Gesù Nuovo di Napoli (piazza del Gesù Nuovo)

San Giuseppe Moscati festa

Sabato 16 novembre 2013 – Festa del Santo

ore 7:30 – 9:00 – 10:00 – 11:00 – 12:00 – 13:00
ss. Messe con omelia all’altare maggiore

ore 17:30 solenne concelebrazione
presieduta da Sua Eccellenza Monsignor PIETRO LAGNESE
Vescovo di Ischia

Triduo in preparazione

Mercoledì 13 – Giovedì 14 – Venerdì 15 novembre
s. Messa ore 18:30

Publié dans San Giuseppe Moscati | Pas de Commentaire »

“Cosa cambia, prof, se Dio c’è o non c’è?”

Posté par atempodiblog le 9 novembre 2013

Il tema di uno studente in un intervento alla Scuola di comunità con Carrón.
Un’insegnante ne resta provocata. E approfondisce quel primo contraccolpo in classe. Fino a un dialogo che la porta, da Vasco, a parlare di Gesù
Tratto da: Tracce

“Cosa cambia, prof, se Dio c'è o non c'è?” dans Riflessioni scuola_alunniDurante l’ultima Scuola di comunità di Carrón sono stata molto colpita dalla lettera dell’insegnante che riporta il testo di uno dei temi svolti dai suoi alunni tredicenni. Tornando a casa pensavo che quel tema era la descrizione esatta di che cosa significhi vivere senza Dio e che mi aiutava a rispondere relativamente ad una provocazione che spesso mi viene dai miei alunni. Insegno, infatti, religione.

Non si tratta di filosofeggiare, ma i ragazzi dimostrano tutto il loro scetticismo circa l’idea che possa esserci Dio, creatore e provvidenziale. Di fronte alle ragionevoli argomentazioni sulla presenza di Dio nella storia e nella vita dell’uomo (seguo esattamente il Percorso di Don Giussani), se ne escono dicendomi che, anche se fosse vero che Dio esiste, in fondo la vita non cambia: i dolori ci sono lo stesso e la vita pare una faccenda non troppo bella, tranne che per poche parentesi felici. «Cosa cambia, prof, se Dio c’è o non c’è?». Poche domande come questa mi interpellano a fondo e mercoledì mi è parso di poter vedere il quadro di una vita senza l’ipotesi di Uno che ti fa, che ti vuole.

Ho pensato che il tema del ragazzino che ci descrive soli, sostituibili, parte di un meccanismo naturale e materiale, ci fa concepire tristi e cinici, ci sta stretto. Potremmo anche rassegnarci se non accadesse qualcosa che ci facesse sentire importanti, unici e voluti. Ho pensato che questo a me è successo e continua a succedere. Ho qualcuno per cui sono veramente importante, ho marito, figli, madre, amici. In questo forse non c’è una vera novità rispetto ai miei alunni: abbiamo tutti qualcuno, in un modo o nell’altro. Io però ho di più: ho Dio, che ho incontrato e che mi ama più di chiunque, perchè è l’unico in grado di volere me, proprio me, così come sono. Nessuno lo può fare prima di vederti, prima che tu sia. Perché non sa come sarai. Tua madre vuole un figlio, tuo marito una donna da amare, i tuoi amici vogliono un vero amico. Tutti ci troviamo di fronte qualcuno già fatto ed è meraviglioso sentirsi accolti, accettati, desiderati, ma è ancora generico. Altro è essere pensati e voluti con questa faccia, con questo modo di essere. Ed è questo che noi vogliamo, che ci soddisfa. Ma questo è possibile solo a Dio.

Appena sono stati pubblicati gli appunti, sono andata in classe armata di tablet ed ho letto quel tema e parte della lettera iniziale della Scuola di comunità. L’ho fatto nelle prime, dove si inizia con le grandi domande e più spesso viene fuori la famosa obiezione. Ogni volta che finiva una lezione avevo capito sempre di più, mi stupivo sempre di più, mi sentivo piena di ragioni, di gratitudine. Forse posso dire che facevo lezione a me stessa, ma anche i miei giovanissimi alunni tiravano fuori domande meno scettiche, anche se talvolta un po’ ingenue.

Devo dire, però, che non ero ancora del tutto soddisfatta, perchè cosa cambia sapere o non sapere che «Uno ti fa»? Forse non basta sapere per vivere.

Arrivo in una quinta e non avevo nessuna idea di leggere la lettera, stiamo infatti riprendendo i contenuti dello scorso anno e abbiamo lavorato sul fatto che il Cristianesimo non è una morale o uno spiritualismo, ma un avvenimento. Mentre imposto il discorso mi rendo conto che è proprio lì che c’entra la lettera. Allora la leggo e dico: «Ma perchè pensate che Dio si sia fatto carne? Perchè potessimo sperimentare davvero, nella carne, nella concretezza, che Lui ci ama proprio così, volendoci proprio come siamo. È questo che ha ribaltato completamente Zaccheo, Giovanni e Andrea, la Samaritana, l’adultera. Loro hanno incontrato un amore che è più profondo di quello di una madre e un padre, di un figlio, di un amico, di una moglie. Solo quello sguardo li ha fatti sentire davvero voluti». Lo dicevo a loro e lo dicevo a me.

Una mattina in una terza è successo qualcosa di commovente. Dall’inizio dell’anno si ferma in classe Lefi, un ragazzo tunisino, molto in gamba, che, purtroppo, non fa religione. Stiamo lavorando sul Senso religioso ed è interessatissimo. Tento di ricostruire brevemente la lezione. Parto riprendendo i discorsi fatti le lezioni precedenti in cui è venuto fuori che siamo pieni di domande e desideri profondi, ma che non riusciamo mai ad arrivare ad una soddisfazione. Che abbiamo una sproporzione strutturale. Finiamo a parlare di Vasco Rossi e della sua ultima canzone Cambiamenti. Insomma, mi piace il fatto che un tempo ha avuto il coraggio di gridare le cose che sentiva dentro di sé, ma adesso è arrabbiato perchè deve rinunciare a certe cose e non è facile. Mio padre diceva molto semplicemente che se uno non può fumare, magiare, bere e andare a donne cosa vive a fare? Lefi, allora, mi dice: «Suo padre ragionava bene». Ed io gli rispondo: «No, ragionava male, se uno pensa che la vita sia bella a certe condizioni è fregato, perché quelle condizioni le perdi sempre, diventi vecchio e non le hai più; metteteci tutte le condizioni che volete ma non cambia».

«E allora la vita è triste ed è una fregatura prof», dice Lefi: «Per tutta la vita punti su certe cose e poi non valgono». «La vita non è triste – dico io – bisogna trovare qualcosa che tiene». «Ma cosa ci può essere? Il niente prof, noi abbiamo un buco grosso dentro e niente può riempirlo». «Già – dico – o il niente o Dio, non abbiamo alternative». Allora leggo il tema della lettera e spiego che il niente è quello che dice il ragazzino: parti di un ingranaggio. E Lefi: «Preferisco il niente, in fondo si va avanti lo stesso». «Non ce la fai dopo un po’ non hai più le forze» gli dico, ma lui ribatte: «Non è vero, è questione di carattere, se sei forte ce la fai». «Sì ma bisogna mettersi addosso una corazza sempre più spessa, devi vivere barricato davanti alla realtà» gli dico. E lui: «Infatti, prof, noi siamo così, viviamo con una maschera per difenderci». «Ma a noi cristiani è capitato Gesù, Dio, e Lui ci ha tolto ogni bisogno di difenderci, non c’è bisogno di maschere e corazze». «Ma prof, se tutti hanno la maschera come fai a togliertela?». «Pensa che bello: – gli dico – ci sono quattro che si guardano senza bisogno di difendersi tra loro e guardano la vita insieme, sapendo di essere amati da Gesù. Sai questa è la nostra fede». È suonata la campanella e sono sciamati via. Lefi è rimasto un po’ così, senza parole. Poi è andato anche lui, c’era l’intervallo.

È accaduto che Gesù fosse lì quella mattina, davanti a me, poveretta e incapace. Davanti a loro, a Lefi, che è intelligente e scrive rap, a Lorenzo che soffre come un cane perchè sua madre l’ha abbandonato, a Martina che sta vedendo morire la sua famiglia, a tutti gli altri che hanno tenuto gli occhi sgranati e il cuore teso. Così straziati da un mondo cinico, che li costringe a chiudersi nella maschera della distrazione, del cinismo, che li fa sentire sostituibili. Resta il loro cuore con quell’indomabile desiderio di essere amati fino in fondo. Prego che possano incontrare quello che ho io.

Marida, Albenga

Publié dans Riflessioni, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Le reliquie di Santa Bernadette Soubirous a Napoli

Posté par atempodiblog le 8 novembre 2013

Reliquie Bernadette

Tratto da: Parrocchia Santa Maria delle Grazie in Pozzuoli

Publié dans Santa Bernadette Soubirous | Pas de Commentaire »

Le calunnie contro padre Stefano Manelli

Posté par atempodiblog le 7 novembre 2013

Le calunnie contro padre Stefano Manelli dans Francesco Agnoli dy5aTempo addietro intervenni, in modo piuttosto rude, sulla vicenda Francescani dell’Immacolata, denunciando su La Nuova Bussola il comportamento di padre Alfonso Bruno. Un frate che calunnia, sostenni, che diffonde e sparge veleni su altre persone, ingiustamente, non può essere la persona adatta a mediare all’interno di una congregazione: non può essere la persona giusta per sistemare i mali di una congregazione, quali che essi siano (cioè piccoli, come credono in tanti, o grandi, immensi, come padre Bruno ha sempre sostenuto, con l’ausilio, però, di qualche bugia di troppo). Padre Alfonso Bruno rispose senza assolutamente fare cenno alle mie affermazioni, ma parlando d’altro. Fu una conferma. Rafforzata dal modo con cui padre Bruno ha continuato a difendere i dati fasulli, da lui divulgati, e dagli insulti feroci pubblicati sul suo sito ai danni di chi aveva solo fatto notare le incongruenze.

Nel frattempo casa è successo? Padre Stefano Manelli si è chiuso in obbediente silenzio: come doveva fare. Come non dubitavo che un uomo di fede e di obbedienza come lui avrebbe fatto. Del resto lo aveva sempre detto e scritto: si sta con il papa, si obbedisce al papa.

Nel suo libro sul mese di maggio, “Maggio, mese di Maria”, scritto molti e molti anni fa, proprio parlando dell’obbedienza, Manelli scriveva quasi profeticamente: “Quando sant’Alfonso de’ Liguori, vecchio ottantenne, venne calunniato da uno dei suoi figli, e fu espulso dalla Congregazione dallo stesso papa, egli, il grande, l’appassionato, l’innamorato difensore del papa, superava lo strazio mortale gridando a se stesso con la fronte a terra, ai piedi dell’altare: “Il papa ha ragione, il papa ha ragione…”. Questa è l’obbedienza che crocifigge, come crocifisse Gesù alla croce” (Casa Mariana editrice, 1999, p.166).

Oggi, dicevo, padre Manelli è costretto a risiedere a Cassino, e la congregazione da lui fondata è nelle mani di chi, per usare un eufemismo, non lo apprezza, e non apprezza nessuno dei suoi più stretti collaboratori (per i quali è stato decretato, per lo più, l’allontanamento dall’Italia). Padre Stefano tace, e sopporta…benché l’ordine non arrivi dal papa, ma dalla Congregazione dei religiosi…

Accade però che non pochi laici si interessino, si informino, chiedano: “che ne è di padre Stefano?” Un ordine senza il suo fondatore, infatti, fa un po’ specie.

La risposta che ho sentito, io stesso, è la più varia: “ormai capisce poco”; “è ostaggio di alcuni” (non si capisce bene di chi); “ha fatto, poveretto, tanti e tanti errori…”. La cosa più grave è che si lascia intendere, da parte di qualcuno, che questi errori siano enormi, indicibili: “Sai, non posso dire tutto…”. La calunnia e la maldicenza funzionano così: basta far balenare un sospetto, non c’è bisogno di dire di più… così si incrina o distrugge l’immagine di una persona, anche agli occhi di chi la aveva tanto stimata.

Però, accade molto di più. Recentemente un laico si è avvicinato a padre Alfonso Bruno, chiedendogli assicurazioni su padre Stefano, sul suo carisma, sul mantenimento dello stesso all’interno dei Francescani dell’Immacolata. La risposta è stata nello stile di padre Bruno: dire e non dire, far capire che padre Stefano sta facendo qualcosa di terribile… in buona fede, certo…ma di terribile…

Padre Alfonso è un giornalista, un tipo loquace: sa mettere in fila le parole; le spara a mitraglia; mette insieme cavoli e capre, e spaccia il tutto per una arringa inconfutabile di Cicerone.

Ho in mano quella conversazione (e non solo). In essa il frate fa intendere all’ascoltatore che padre Manelli è parte nientemeno che di un tentativo di creare nella Chiesa uno…scisma!!

Afferma padre Bruno: “Allora aiutiamolo (padre Manelli, ndr) a stare in comunione con la Chiesa. Perché Padre Stefano, nella sua buona fede, si è messo in un gioco più grande di Lui..”. Vediamo le prime parole: “aiutiamolo a stare nella Chiesa”. Ciò significa che padre Stefano è un border line, un eretico, un disobbediente, qualcuno che sta per uscire dalla Chiesa… Di più: “si è messo in un gioco più grande di lui”…

Un vero maestro: l’ascoltatore, 9 su 10, rimane basito. Perché più si sparano grosse, più, di solito, chi ascolta ci crede (per il meccanismo secondo il quale nessuno si immagina mai che il suo interlocutore stia mentendo, così di grosso, poi). E qual è il “gioco”?

Da vero affabulatore padre Alfonso tira fuori il quotidiano il Foglio, e inizia a leggere alcuni nomi, e a mescolare Giuliano Ferrara, de Mattei, alcuni articoli critici del papa comparsi sul Foglio, fino a formare un grande affresco complottistico in cui anche gli articoli contrari, comparsi sempre sul Foglio, come quello di Scandroglio (che invitava appunto a non criticare il papa in un certo modo, e con certi toni), sono pezzi dello stesso puzzle. Si fa tornare tutto, se si vuole.

Un puzzle nel quale padre Manelli sarebbe dunque complice, “in un gioco più grande di lui” (sa un po’ di accusa e un po’ di scusa: del resto bisogna convincere l’interlocutore, che di padre Manelli è un ammiratore), in cui stanno insieme Ferrara, Corrispondenza romana, la Lega nord, forse anche Totò e altri ancora:

una Chiesa scismatica, alla Lega Nord, una Chiesa autocefala, fa comodo. In nome di quale tradizione? Di quale tradizione? Giuliano Ferrara, che significa teocon americani … Roberto De Mattei, sono tutti scrittori di Corrispondenza Romana, Scandroglio, Matteo Rippa e compagnia cantando, li trovate tutti su Corrispondenza Romana…” (poco importa se Matteo Rippa non esiste, e si chiama Maurizio Crippa, è ciellino, non scrive su Corrispondenza romana (Cr), e il papa lo ha elogiato con un paginone intero, sempre sul Foglio; poco importa se Scandroglio non scrive su Cr e non ha mai criticato il papa; e poi “li trovate tutti su Corrispondenza romana” cosa significa? Mah…).

Finita qui? No, del gioco scismatico farebbe parte anche Magdi Allam, di cui padre Bruno conosce la moglie (è un dato che si dà all’ascoltatore, per dirgli: guarda che io so di cosa parlo, tu forse questi personaggioni non li conosci, ma io sì…): “..Magdi Allam si è indebitato di due milioni di euro, e questa gente qua glieli ha coperti. La moglie è la vera islamologa, Valentina Colombo, che è insegnante all’Università Europea, dove ho studiato io…”.

La conclusione, ai due che chiedevano lumi sul mantenimento del carisma del fondatore estromesso, e si sono sentiti raccontare la favola complottista, è questa: “Vi dico solo questo che noi (come congregazione, ndr) ci siamo ficcati in questo gioco. Vogliamo aiutare Padre Stefano, aiutiamolo a stare in comunione con la Chiesa” (e cioè confinato a Cassino, con i suoi frati più vicini spediti in capo al mondo e umiliati). E’ per farlo stare in comunione, che ora comanda padre Alfonso!

Potrei fermarmi qui. Ma alcuni amici mi hanno già detto: “noi laici stiamone fuori. Cosa centriamo?” Non mi sembra un modo di ragionare da credenti, quanto da ignavi. Padre Pio, che padre Stefano ben conosceva, fu perseguitato dai confratelli e difeso dai laici… Sono uno che è stato calunniato, e che ora vede che il calunniatore ha fatto carriera, e sta calunniando il fondatore della sua congregazione. Dire la verità, in questo caso, non è uno sfogo, ma un dovere imposto dalla coscienza. Tutto qui. Un dovere verso il buon nome di un uomo estromesso da tutto, che  merita quantomeno di non essere calunniato di fronte a coloro che lo apprezzano e lo stimano.

di Francesco Agnoli – Libertà e Persona

Publié dans Francesco Agnoli, Padre Stefano Manelli, Riflessioni | Pas de Commentaire »

123456