Un medico povero – Beatificazione e Canonizzazione
di Antonio Tripodoro s.j. e Egidio Ridolfo s.j.
Tratto da: Giuseppe Moscati, il medico Santo di Napoli e il Gesù Nuovo
San Giuseppe Moscati
CARTA D’IDENTITÁ (a cura di Don Bosco Land) |
Nome |
Giuseppe |
Cognome |
Moscati |
Nazionalità |
Italiana |
Residenza |
Napoli |
Nato il |
25/07/1880 (Benevento) |
Morto il |
12/04/1927 (Napoli) |
Beatificato |
16/11/1975 da Paolo VI |
Santificato |
25/10/1987 da Giovanni Paolo II |
Stato |
Laico e celibe |
Professione |
Medico |
Gruppo di riferimento |
Gesuiti |
Un medico povero
Moscati era un medico povero. Sembra un controsenso parlare di povertà nella vita di un uomo che per le capacità, l’ingegno, la fama e la posizione sociale avrebbe potuto avere tutti i beni materiali che poteva desiderare. Eppure è così: Moscati era povero. Lo affermano tutti coloro che l’hanno conosciuto, citando particolari di questa povertà. Non solo non era attaccato al denaro, ma dava ai poveri ciò che aveva; vestiva modestamente ed era la sorella Nina a interessarsi del suo vestiario. Parco nel cibo, rifuggiva ogni ricercatezza; non aveva carrozze, cavalli, né automobili, come i suoi colleghi.
Il dott. Domenico Galdi, che negli anni 1925-27 era studente di medicina e, nella clinica Lettieri frequentemente incontrava il prof. Moscati, ha scritto che molti direttori di cliniche (Cartellino, Boeri, D’Amato, Bossa, De Carli, Brutti) si recavano in quella clinica per curare i propri ammalati privati. Vi andava anche Moscati e, dice, «noi giovani allievi chiedevamo a Moscati perché egli non avesse un’auto come i suoi colleghi (infatti veniva sempre a piedi). A tale domande egli si infastidiva e diceva: “Io sono povero; non ho la possibilità, per i miei impegni, di affrontare una simile spesa! Vi prego di credermi!”.
Continua poi il dott. Galdi: «Ciò che riceveva era destinato ai poveri, che egli non solo curava gratuitamente, ma che assisteva affettuosamente, fornendo loro medicine e quant’altro fosse necessario per vivere».
Duecento lire per quattro consulti
Il Dott. Francesco Brancaccio narra che Moscati era stato chiamato d’urgenza a Portici per visitare un giovane, che aveva avuto un attacco d’appendicite e doveva operarsi. Il Professore si oppone energicamente all’intervento e ordina una borsa di ghiaccio da tenere in permanenza sull’addome del paziente. In quindici giorni torna quattro volte a visitarlo, finché il giovane non si ristabilisce completamente. Al termine, come onorario, gli viene data una busta.
«Il Maestro (racconta il dott. Brancaccio) nella via, assalito da un dubbio esclama:
“chi sa quanto mi hanno dato!…”, apre la busta: mille lire. Torna di corsa sui suoi passi e sale dalla famiglia, che si meraviglia al vederlo. Il prof. Moscati affronta il padre del giovanetto e con cipiglio burbero gli dice: “O siete pazzi o m’avete preso per un ladro!”. Tutti stupiscono, e credendo d’aver dato poco al Professore, il padre prende un altro biglietto da mille e lo porge al Maestro, che con energia lo rifiuta, e cavando dal portafogli ottocento lire, le lascia su di un tavolo, facendo la scala di corsa. Così un clinico sommo – conclude – per quattro consulti veniva ricompensato con la misera somma di lire duecento!»
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Cinquanta lire per tre visite a tre persone
Racconta il Prof. Mario Mazzeo:
«Un giorno, un medico mio amico inviò alla sua consultazione tre infermi appartenenti alla medesima famiglia e provenienti da Montorsi in provincia di Benevento. Alla fine della terza visita colui che accompagnava gli infermi, non avendo potuto sapere dalla parola del Servo di Dio il compenso che doveva, posò sullo scrittoio di lui un biglietto da 100 ed un altro da 50. Il Servo di Dio che di abitudine non guardava nemmeno quello che ponevano sullo scrittoio, rimase meravigliato e fece un cenno come di orrore, senza molte parole prese il biglietto da 100 lire e l’offrì a chi gliela aveva dato dicendo:
«Cinquanta lire per tutti e tre sono anche troppe; andate in pace e salutatemi tanto il dottore».
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Medico dei poveri
Se si volessero raccogliere gli episodi che manifestano la predilezione del Prof.Moscati per la povera gente, non basterebbe un libro. Ne riportiamo solo alcuni.
“Una volta – attesta il Dott.Brancaccio – mandai al professore una giovane donna ammalata di tubercolosi con un biglietto, con cui gli facevo notare le condizioni economiche della povera inferma.
Il professor Moscati la visita, prescrive la cura, non prende alcun compenso e congeda l’inferma; ma questa, con grande meraviglia, si accorge che nel foglio della diagnosi vi era un biglietto da 50 lire, messovi dal professore senza dir nulla”. Quando io lo ringraziai della sua pietà, riverendolo, mi rispose: “Per carità, non lo dite a nessuno”.
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Studio medico di S.Giuseppe Moscati, così come era stato ricostruito dopo l’apertura delle Sale dedicate al Santo. |
Racconta il gesuita P.Antonio de Pergola che, insieme a Moscati, tornando da Vico Equense, si fermarono a Castellammare di Stabia e si diressero alla “povera e miserabile dimora di un ferroviere infermo, presso il cui capezzale i colleghi del malato, nel treno medesimo, avevano pregato il Professore di andare”.
Moscati cominciò la visita e intanto i ferrovieri raccoglievano denaro per pagare il Professore.
Moscati se ne accorse e allora “si avvicinò e con elequente semplicità rivolse loro queste poche parole: «Poiché voi, sottraendo parte del vostro duro lavoro, siete venuti in aiuto del vostro amico infermo, io mi associo al vostro senso umanitario e contribuisco alla sottoscrizione con la mia quota, onde l’infermo possa avere, con la somma raccolta, i mezzi necessari per curare la malattia», e consegnò loro tre biglietti da lire 10”.
Il Dott. G. Ponsiglione racconta “Si presenta un giorno al suo studio un distinto signore dell’aristocrazia di Napoli con la preoccupazione sul volto e lo prega di visitare subito la madre inferma. Il Professore sta sulla negativa, tanto che il signore gli chiede spiegazione di questo “no” reciso. – “Gliela dò subito- rispose il Prof.Moscati – “Ella ha ricchezze e può benissimo pagare un naltro professore. Io sono diretto ad un povero prete a San Giovanni a Teduccio”. – Quel signore rimase edificato “E – soggiunse – se l’accompagnassi prima a San Giovanni, verrebbe poi a casa mia?” – “Volentieri, Ella vuol concorrere ad un’opera buona”. E così fu fatto”.
Una Religiosa del Sacro Cuore ha riferito che Moscati, chiamato da un’inferma, le prescrisse una cura, ma tornandovi un’altra volta vide che la cura non era stata fatta. Egli, resosi conto che – nonostante l’ampiezza – la casa nascondeva invece povertà, “trovò subito il modo di provvedere senza destare ammirazione; e diede in parole di rimprovero, dicendo che quando si chiama il medico, se ne devono adempiere le prescrizioni, indi si allontanò.
Quelli della famiglia restarono afflitti; ma di lì a poco, rimuovendo i cuscini dell’inferma, trovarono un biglietto di 500 lire. Il dottor Moscati, per sfuggire all’ammirazione della sua carità, aveva assunto la veste del rimprovero e dell’asprezza”.
La morte improvvisa
“Ti spiace accompagnarmi?”. Sentì chiedersi lo studente dal giovane Primario a cui riconosceva tutta Napoli un prestigio già fuor dall’ordinario per aver legato saldamente alla Scienza la Fede più fervente.
“Non è per esrcizio di diagnostica che desidero averti insieme a me. Le discussioni sopra i casi clinici le sai fare benissimo da te. Vorrei che da cristiano già temprato tu vedessi l’autentico “malato”.
Si avviarono in un dedalo di vicoli stretti e fangosi, non sensa disagio. Poi, dentro il corridoio di un tugurio, (il Prof. Moscati più a suo agio per la pratica certo dell’ambiente; un poco più a tentoni lo studente), si spinsero all’estremo pianerottolo contemplando uno squallido spettacolo: un uomo dall’aspetto cadaverico sopra una branda retta per miracolo fissò lo sguardo sopra il professore, quasi in attesa del suo salvatore. Il quale, prontamente inginocchiatosi presso il giaciglio come a un rituale, conchiuse un minuzioso esame clinico con la puntura di un medicinale, furtivamente alla famiglia ansiosa, lasciando anche un’offerta generosa.
Poche parole al bravo allievo espressero il senso di quel gesto (abituale al Maestro) e so quanto ne orientarono l’esimia attività professionale:
“Ricordalo: tu hai visto nettamente l’immagine del Cristo Sofferente!”.
[Dall'Osservatore Romano della Domenica, 23/11/1975]
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Traslazione del corpo di Giuseppe Moscati nella chiesa del Gesù Nuovo: 16 novembre 1930. |
Il 12 aprile 1927, martedì santo, il prof. Moscati, dopo aver partecipato, come ogni giorno, alla Messa e aver ricevuto la Comunione, trascorse la mattinata in Ospedale per poi tornare a casa. Consumò, come sempre, un frugale pasto e poi si dedicò alle consuete visite ai pazienti che andavano da lui.
Ma verso le ore 15 si sentì male, si adagiò sulla poltrona, e poco dopo incrociò le braccia sul petto e spirò serenamente. Aveva 46 anni e 8 mesi.
La notizia della sua morte si diffuse immediatamente, e il dolore di tutti fu unanime. Soprattutto i poveri lo piansero sinceramente, perché avevano perduto il loro benefattore.
Tra le prime testimonianze dopo la sua morte, significativa è quella del cardinale di Napoli, Alessio Ascalesi. Dopo pregato dinanzi al corpo di Moscati, rivolto ai familiari disse: “Il Professore non apparteneva a voi, ma alla Chiesa. Non quelli di cui ha sanato i corpi, ma quelli che ha salvato nell’anima gli sono andati incontro quando è salito lassù”.
Nel registro delle firme, posto nell’ingresso della casa, tra le altre fu trovata questa frase: “Non hai voluto fiori e nemmeno lacrime: ma noi piangiamo, perché il mondo ha perduto un santo, Napoli un esemplare di tutte le virtù, i malati poveri hanno perduto tutto!”.
Il corpo fu sepolto nel Cimitero di Poggioreale, e precisamente nella Cappella cimiteriale dell’Arciconfraternita della SS.Trinità dei Pellegrini.
Ma tre anni più tardi, il 16 novembre 1930, in seguito all’istanza di varie personalità del clero e del laicato, l’Arcivescovo di Napoli concesse il trasferimento del corpo dal Cimitero alla Chiesa del Gesù Nuovo, tra due ali imponenti di folla.
Particolarmente felice di questo fu Nina Moscati, sorella del Professore, che dopo essergli stata sempre vicina in vita, aiutandolo nell’esercizio della sua carità, dopo la morte aveva donato alla chiesa del Gesù Nuovo il vestiario, il mobilio, e le suppellettili del fratello.
Nel 1977, due anni dopo la Beatificazione, ci fu la ricognizione canonica del corpo: le ossa furono ricomposte, e il corpo di Moscati fu collocato nell’urna di bronzo, opera del Prof. Amedeo Garufi.
Al Gesù Nuovo il corpo fu tumulato in una sala dietro l’altare di S. Francesco Saverio, e la lapide a destra sotto l’altare della Visitazione lo ricorda ancora.
NOTA: Il 10 febbraio 2001, vigilia della IX Giornata Mondiale del Malato e della festa della Madonna di Lourdes, per iniziativa del Primicerio dell’Arciconfraternita della SS.Trinità dei Pellegrini, Avv.Giuseppe Di Rienzo, una lapide commemorativa indica nel cimitero di Poggioreale la tomba nella quale, per circa tre anni dopo la morte, riposarono i resti mortali di S.Giuseppe Moscati, nella cappella cimiteriale dell’Arciconfraternita.
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Beatificazione di S.Giuseppe Moscati. Paolo VI con i gesuiti Molinari, Marranzini e Tripodoro [Foto Osservatore Romano] |
Dopo la traslazione al Gesù Nuovo, il 16 novembre 1930, questa sepoltura era rimasta anonima e non era stata più utilizzata. Era nota solo a un piccolo gruppo di Dirigenti dell’Arciconfraternita.
La lapide commemorativa è stata benedetta dal Vescovo Ausiliare di Napoli, Mons.Vincenzo Pelvi, dopo una liturgia eucaristica da lui presieduta. Erano presenti – insieme con alcuni Medici e un gruppo di membri dell’Arciconfraternita dei Pellegrini – il Parroco della chiesa del Gesù nuovo, P.Pasquale Puca s.j., il Primicerio Avv.Giuseppe Di Rienzo e Mons.Enrico Cirilli, Assistente spirituale dell’Arciconfraternita. Era presente anche il Cappellano dell’Ospedale dei Pellegrini, P.Vincenzo Esposito OFM Cap.
Beatificazione (Paolo VI)
La stima e la venerazione che avevano circondato il Prof. Moscati durante la vita, esplosero dopo la sua morte, e presto il dolore e il pianto di coloro che lo avevano conosciuto si tramutò in commozione, entusiasmo, preghiera. Si ricorreva a lui in ogni circostanza, e molti affermavano di ricevere grazie fisiche e spirituali per sua intercessione.
Il 16 luglio 1931 iniziarono i Processi informativi presso la Curia di Napoli, primo atto ufficiale nel cammino verso la canonizzazione. Il 10 maggio 1973 la Congregazione per le Cause dei Santi, a Roma, emanò il Decreto sulle virtù eroiche, per cui Giuseppe Moscati viene dichiarato Venerabile.
Nel frattempo venivano istruiti i processi per l’esame di due miracoli: due guarigioni improvvise attribuite a Moscati. Un maresciallo degli agenti di custodia, Costantino Nazzaro, nato ad Avellino il 22/05/1902 e vissuto in perfetta salute fino al 1933, quando cominciò ad avvertire i primi sintomi di una malattia che avrebbe potuto stroncargli la vita.
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Canonizzazione di S.Giuseppe Moscati: 25 ottobre 1987 [Foto Osservatore Romano] |
Era affetto dal morbo di Addisone aveva avuto prognosi sicura di morte, poichè non si conoscevano casi di guarigione e le terapie servivano solo a prolungare la resistenza del malato. Infatti, nonostante le cure, il Nazzaro non migliorava ei medici non gli davano alcuna speranza. Conosciuto nella chiesa del Gesù Nuovo il Servo di Dio Giuseppe Moscati, lo pregò insieme alla sua famiglia e vi ritornò ogni quindici giorni. Una notte vide in sogno che Moscati lo operava, e svegliatosi si trovò perfettamente guarito.
Il secondo miracolo approvato dalla Congregazione per le Cause dei Santi è quello di Raffaele Perrotta, di Calvi Risorta (CE), guarito da meningite cerebrospinale meningococcica. Quando già i familiari avevano preparato per lui l’abito per la sepoltura, ecco che tra il 7 e l’8 febbraio 1941 si ebbe una instantanea e definitiva guarigione.
Il 16 novembre 1975, il Papa Paolo VI dichiarò Beato Giuseppe Moscati, durante una solenne celebrazione in Piazza San Pietro.
Quel giorno la pioggia si presentò varie volte durante la funzione, ma la folla che gremiva la piazza seguì con commozione il sacro rito fino alla conclusione, riparandosi sotto gli ombrelli.
Canonizzazione (Giovanni Paolo II)
Nel 1977, due anni dopo la Beatificazione, ci fu la ricognizione canonica del corpo: le ossa furono ricomposte, e il corpo di Moscati fu collocato nell’urna di bronzo, opera del Prof. Amedeo Garufi, sotto l’altare della Visitazione.
La devozione per Moscati cresceva sempre più. In vista della canonizzazione, fu scelta ed esaminata la guarigione da leucemia, o mielosi acuta mieloblastica, del giovane Giuseppe Montefusco, avvenuta nel 1979.
Quest’uomo era considerato ormai spacciato. La madre, Rosaria Rumieri, avvilita per la diagnosi infausta, vide una notte in sogno la foto di un medico in camice bianco. Raccontò il sogno al suo Parroco, che le parlò del Beato medico Giuseppe Moscati. La signora venne al Gesù Nuovo, e subito riconobbe il volto della foto vista in sogno.
Da allora iniziò a pregare Moscati, coinvolgendo anche parenti e amici. Il figlio Giuseppe dopo poco tempo guarì perfettamente. Non ha più fatto alcuna cura e ha ripreso il suo pesante lavoro di fabbro. Poi si è felicemente sposato, e vive ora felicemente con moglie e figli.
Dopo lunghi esami, finalmente nel concistoro del 28 aprile 1987 il Papa Giovanni Paolo II fissò la data della canonizzazione al 25 ottobre dello stesso anno.
Dall’ 1 al 30 ottobre era in corso a Roma la VII assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, che trattava della “Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, a 20 anni dal Concilio Vaticano II”.
Non poteva aversi una coincidenza migliore: Giuseppe Moscati era un laico, che aveva svolto la sua missione nella Chiesa e nel mondo. La sua canonizzazione era auspicata da studiosi, medici e studenti universitari, che ricordavano la sua figura di scienziato e di uomo di fede, impegnato a lenire le sofferenze e a condurre gli ammalati a Cristo.
Alle 10 del 25 ottobre 1987, in Piazza San Pietro, il Papa Giovanni Paolo II, dinanzi a circa 100.000 persone, dichiarava Santo Giuseppe Moscati, a 60 anni dalla morte.
Alla Messa di Canonizzazione era presente il miracolato Giuseppe Montefusco, di 29 anni, con la madre, che offrì al Papa un volto di Cristo in ferro battuto, da lui stesso realizzato nella sua officina di Somma Vesuviana (Napoli).
La festa liturgica di San Giuseppe Moscati fu fissata, in seguito, al 16 novembre di ogni anno.
Il miracolato Giuseppe Montefusco
Giuseppe Montefusco, nato a Somma Vesuviana (NA) il 15-2-1958, agli inizi del 1978 cominciò ad accusare pallore, stancabilità, vertigini, inappetenza. Poiché i globuli rossi e le piastrine erano fortemente diminuiti, il 13-4-1978 fu ricoverato all’Ospedale Cardarelli. Qui tutti i sanitari furono concordi nella diagnosi: leucemia acuta mieloblastica: che, prima dei chemioterapici e dei citostatici, portava in breve termine alla morte. Dalla letteratura medica risulta che solo una piccola parte dei pazienti, affetti da leucemie acute non linfatiche, sopravvive oltre i cinque anni, sempre che vengano eseguiti cicli di chemioterapia superintensiva.
Però dal giugno 1979 il Montefusco smise ogni cura e riprese il pesante lavoro di fabbro. Racconta la mamma, Rosaria Rumieri, che una notte in sogno vide la foto di un medico in camice bianco, al quale tutti portavano offerte. Lo fece anche lei, offrendo 2.000 lire. Raccontando il sogno, il parroco le disse che si trattava di Moscati, il cui corpo era nel Gesù Nuovo La signora vi andò e riconobbe la foto vista in sogno. Volle acquistare un quadro e le chiesero un’offerta di 2.000 lire. Da allora parenti ed amici pregavano Moscati e ritornavano spesso al Gesù Nuovo. Giuseppe intanto cominciò a star meglio e dopo un mese guarì.
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Esame del miracolo
Esame del miracolo Avvenuta la guarigione di Giuseppe Montefusco nel 1979, fu istruito un processo presso il Tribunale Ecclesiastico Campano di Napoli; gli atti furono inviati alla Congregazione per le Cause dei Santi; il Consiglio Medico, il 3 dicembre 1986, confermò la diagnosi letale di “leucemia acuta non linfoide”, e confermò «la modalità della guarigione relativamente rapida, completa e duratura… non spiegabile secondo le conoscenze mediche».
Il 27 marzo 1987 il Congresso dei Teologi riconobbe la validità delle prove giuridiche e teologiche. I Cardinali della Congregazione per le Cause dei Santi espressero parere favorevole, e il Papa Giovanni Paolo II decise la Canonizzazione, fissandone la data al 25 ottobre 1987.
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Festa Liturgica: 16 novembre
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L’urna di bronzo realizzata da Amedeo Garufi |
La morte, per i cristiani, è la nascita al Cielo e per questo le feste dei santi si celebrano nel giorno della loro dipartita dal mondo. Anche la festa di S. Giuseppe Moscati doveva tenersi il 12 aprile di ogni anno, ma, per motivi pastorali, si è ottenuto dalla Congregazione per il Culto Divino di celebrarla il 16 novembre. In questo giorno, infatti, nel 1930, i resti mortali del Santo furono trasferiti nella chiesa del Gesù Nuovo e riposti sul lato destro dell’altare di San Francesco Saverio, dove ancora si conserva la lapide.
Nel 1977 furono collocati sotto l’altare della Visitazione, nell’urna scolpita dal Prof. Amedeo Garufi. I motivi pastorali sono dettati dalla coincidenza delle prime due settimane di aprile con la settimana santa o con il periodo della risurrezione del Signore. L’Urna di bronzo, che racchiude il corpo di S. Giuseppe Moscati, è composta da un trittico che raffigura tre aspetti significativi della vita del Santo.
Il pannello di sinistra ci mostra il Professore in cattedra con gli alunni attorno; quello centrale raffigura il Santo che, illuminato da Cristo, conforta una mamma col bambino; sulla destra si vede il Medico accanto al letto di un ammalato. Il 7 ottobre del 1990 è stata inaugurata la Statua di bronzo collocata alla sinistra di chi guarda l’urna, opera dello scultore Prof. Luigi Sopelsa, di Venezia. Prima di giungere a Napoli, la statua è stata benedetta da Papa Giovanni Paolo II a Benevento, dove 110 anni prima era nato Giuseppe Moscati.