Cantico di Maria. Ella ricordava quanto il suo spirito aveva visto in Dio
Posté par atempodiblog le 21 novembre 2013
Cantico di Maria
Ella ricordava quanto il suo spirito aveva visto in Dio
Fonte: L’Evangelo come mi è stato rivelato
Opera di Maria Valtorta.
Tratto da: Maria Valtorta …il blog
[2 settembre 1944]
Soltanto ieri sera, venerdì, mi si è illuminata la mente a vedere. Non ho visto altro che una ben giovane Maria, una Maria dodicenne al massimo, il cui visetto non ha più quelle rotondità proprie della puerizia, ma già svela i futuri contorni della donna nell’ovale che si allunga. Anche i capelli non sono più sciolti sul collo coi loro boccoli lievi, ma stanno raccolti in due pesanti trecce di un oro pallidissimo – pare mescolato ad argento tanto sono chiari – lungo le spalle e scendono sino ai fianchi. Il viso è più pensoso, più maturo, per quanto sia sempre il viso di una fanciulla, una bella e pura fanciulla che, tutta vestita di bianco, cuce in una stanzetta piccina piccina e tutta bianca, dalla cui finestra spalancata si vede l’edificio imponente e centrale del Tempio e poi tutta la discesa delle gradinate, dei cortili, dei portici e, oltre le mura della cinta, la città colle sue vie e case e giardini e, in fondo, la cima gibbosa e verde del monte Uliveto. Cuce e canta sottovoce. Non so se sia un canto sacro. Dice:
«Come una stella dentro un’acqua chiara
mi splende una luce in fondo al cuore.
Fin dall’infanzia da me non si separa
e soavemente mi guida con amore.
In fondo al cuore è un canto.
Da dove viene mai?
Uomo, tu non lo sai.
Da dove riposa il Santo.
Io guardo la mia stella chiara
né voglio cosa che non sia,
sia pure la cosa più dolce e cara,
che questa dolce luce che è tutta mia.
Mi hai portata dagli alti Cieli,
Stella, dentro ad un sen di madre.
Ora vivi in me, ma oltre ai veli
ti vedo, o volto glorioso del Padre.
Quando alla tua serva Tu darai l’onore
d’esser umile ancella del Salvatore?
Manda, dal Cielo manda a noi il Messia.
Accetta, Padre santo, l’offerta di Maria».
Maria tace, sorride e sospira, e poi si curva a ginocchi in preghiera. Il suo visetto è tutto una luce. Altolevato verso l’azzurro terso di un bel cielo estivo, pare ne aspiri tutta la luminosità e se ne irradi. O, meglio, pare che dal suo interno un nascosto sole irradi le sue luci e accenda la neve appena rosata delle carni di Maria, e si effonda incontro alle cose e al sole che splende sulla terra, benedicendo e promettendo tanto bene.
Mentre Maria sta per rialzarsi dopo la sua amorosa preghiera, e sul volto le permane una luminosità d’estasi, entra la vecchia Anna di Fanuel e si arresta stupita, o per lo meno ammirata dell’atto e dell’aspetto di Maria. Poi la chiama: «Maria», e la Fanciulla si volge con un sorriso, diverso ma sempre tanto bello, e saluta: «Anna, a te pace».
«Pregavi? Non ti basta mai la preghiera?».
«La preghiera mi basterebbe. Ma io parlo con Dio. Anna, tu non puoi sapere come io me lo sento vicino. Più che vicino: in cuore. Dio mi perdoni tale superbia. Ma io non mi sento sola. Tu vedi? Là, in quella casa d’oro e di neve, dietro alla doppia Cortina, è il Santo dei santi. Né mai alcun occhio, che non sia quello del Sommo Sacerdote, può fissarsi sul Propiziatorio, sul quale riposa la gloria del Signore. Ma io non ho bisogno di guardare con tutta l’anima venerabonda quel doppio Velo trapunto, che palpita alle onde dei canti verginali e dei leviti e che odora di preziosi incensi, come per forarne la compagine e veder tralucere la Testimonianza.
Si che la guardo! Non temere che io non la guardi con occhio venerabondo come ogni figlio d’Israele. Non temere che l’orgoglio mi acciechi facendomi pensare ciò che or ti dico. Io la guardo, né vi è umile servo nel popolo di Dio che guardi più umilmente la Casa del suo Signore come io la guardo, convinta d’esser la più meschina di tutti. Ma che vedo? Un velo. Che penso oltre il Velo? Un Tabernacolo. Che, in quello? Ma se mi guardo in cuore, ecco, io vedo Dio splendere nella sua gloria d’amore e dirmi: « T’amo », e io gli dico: « T’amo », e mi liquefo e mi ricreo ad ogni palpito del cuore in questo bacio reciproco…
Sono in mezzo a voi, maestre e compagne care. Ma un cerchio di fiamma mi isola da voi. Entro il cerchio, Dio e io. Ed io vi vedo attraverso al Fuoco di Dio e così vi amo… ma non posso amarvi secondo la carne, né mai alcuno potrò amare secondo la carne. Ma solo Questo che mi ama, e secondo lo spirito. So la mia sorte. La Legge secolare di Israele vuole di ogni fanciulla una sposa e di ogni sposa una madre. Ma io, pur ubbidendo alla Legge, ubbidisco alla Voce che mi dice: « Io ti voglio », e vergine sono e sarò. Come lo potrò fare? Questa dolce, invisibile Presenza che è meco mi aiuterà, poiché Essa vuole tal cosa. Io non temo.
Non ho più padre e madre… e solo l’Eterno sa come in quel dolore si arse quanto io avevo d’umano. Si arse con dolore atroce. Ora non ho che Dio. A Lui dunque ubbidisco ciecamente… Già l’avrei fatto anche contro padre e madre, perché la Voce mi istruisce che chi vuol seguirla deve passare oltre padre e madre, amorose guardie di ronda intorno alle mura del cuore filiale, che vogliono condurre alla gioia secondo le loro vie… e non sanno che vi sono altre vie, la cui gioia è infinita… Avrei loro lasciato vesti e mantello, pur di seguire la Voce che mi dice: « Vieni, o mia diletta, o mia sposa! ». Tutto avrei loro lasciato; e le perle delle lacrime, perché avrei pianto di doverli disubbidire, e i rubini del mio sangue, ché anche la morte avrei sfidato per seguire la Voce che chiama, avrebbero loro detto che vi è qualcosa più grande dell’amore di un padre e una madre, e più dolce, ed è la Voce di Dio. Ma ora la sua volontà m’ha sciolta anche da questo laccio di pietà filiale. Già, laccio non sarebbe stato. Erano due giusti, e Dio certo parlava in loro come a me parla. Avrebbero seguito giustizia e verità. Quando io li penso, li penso nella quiete dell’attesa fra i Patriarchi, e affretto col mio sacrificio l’avvento del Messia per aprire loro le porte del Cielo. Sulla terra sono io che mi reggo, ossia è Dio che regge la sua povera serva dicendole i suoi comandi. Ed io li compio, poiché compierli è la mia gioia. Quando l’ora sarà, io dirò allo sposo il mio segreto… ed egli lo accoglierà».
«Ma, Maria… quali parole troverai per persuaderlo? Avrai contro l’amore di un uomo, la Legge e la vita».
«Avrò con me Iddio… Iddio aprirà alla luce il cuore dello sposo… la vita perderà i suoi aculei di senso divenendo un puro fiore che ha profumo di carità. La Legge… Anna, non dirmi bestemmiatrice. Io penso che la Legge stia per essere mutata. Da chi, tu pensi, se è divina? Dal solo che mutare la può. Da Dio. Il tempo è prossimo più che non pensiate, io ve lo dico. Perché, leggendo Daniele, una gran luce mi si è fatta venendo dal centro del cuore, e la mente ha compreso il senso delle arcane parole. Abbreviate saranno le settanta settimane per le preghiere dei giusti. Mutato il numero degli anni? No. Profezia non mente. Ma non il corso del sole, sibbene quello della luna è la misura del tempo profetico, onde io dico: « Prossima è l’ora che udrà vagire il Nato da una Vergine ».
Oh! volesse, questa Luce che mi ama, dirmi, poiché tante cose mi dice, dove è la felice che partorirà il Figlio a Dio e il Messia al suo popolo! Camminando scalza percorrerei la terra, né freddo e gelo, né polvere e solleone, né fiere e fame mi farebbero ostacolo per giungere a Lei e dirle: « Concedi alla tua serva e alla serva dei servi del Cristo di vivere sotto il tuo tetto. Girerò la macina e lo strettoio, come schiava alla macina mettimi, come mandriana al tuo gregge, come colei che deterge i pannilini al tuo Nato, mettimi nelle tue cucine, mettimi ai tuoi forni… dove tu vuoi, ma accoglimi. Che io lo veda! Ne oda la voce! Ne riceva lo sguardo ». E, se non mi volesse, mendica alla sua porta io vivrei di elemosine e scherni, all’addiaccio e al solleone, pur di udire la voce del Messia bambino e l’eco delle sue risa, e poi vederlo passare… E forse un giorno riceverei da Lui l’obolo di un pane… Oh! se la fame mi straziasse le viscere e mi sentissi mancare dopo tanto digiuno, non mangerei quel pane. Lo terrei come sacchetto di perle contro il cuore e lo bacerei per sentire il profumo della mano del Cristo, e non avrei più fame né freddo, perché il contatto mi darebbe estasi e calore, estasi e cibo…»
«Tu dovresti esser la Madre del Cristo, tu che l’ami così! È per questo che vuoi rimanere vergine?».
«Oh! no. Io sono miseria e polvere. Non oso alzare lo sguardo verso la Gloria. È per questo che più del doppio Velo, oltre il quale so esser l’invisibile Presenza di Jeovà, io amo guardare entro il mio cuore. Là è il Dio terribile del Sinai. Qua, in me, io vedo il Padre nostro, un’amorosa Faccia che mi sorride e benedice, perché sono piccola come un uccellino che il vento sorregge senza sentirne peso, e debole come stelo del mughetto selvaggio che non sa che fiorire e odorare, e al vento non oppone altra forza che quella della sua profumata e pura dolcezza. Dio, il mio vento d’amore! Non per questo. Ma perché al Nato da Dio e da una Vergine, al Santo del Santissimo non può che piacere che ciò che nel Cielo ha scelto per Madre e ciò che sulla terra gli parla del Padre celeste: la Purezza. Se la Legge meditasse questo, se i rabbi, che l’hanno moltiplicata in tutte le sottigliezze del loro insegnamento, volgendo la mente a orizzonti più alti si immergessero nel soprannaturale, lasciando l’umano e l’utile che perseguono dimenticando il Fine supremo, dovrebbero soprattutto volgere il loro insegnare alla Purezza, perché il Re d’Israele la trovi al suo venire. Con l’ulivo del Pacifico, colle palme del Trionfatore spargete gigli, e gigli e gigli…
Quanto Sangue dovrà spargere per redimerci, il Salvatore! Quanto! Dalle mille e mille ferite, che Isaia vide sull’Uomo dei dolori, ecco che cade, come rugiada da un vaso poroso, una pioggia di Sangue. Non cada dove è profanazione e bestemmia, questo Sangue divino, ma in calici di purezza fragrante, che lo accolgano e raccolgano per poi spargerlo ai malati dello spirito, ai lebbrosi dell’anima, ai morti a Dio. Date gigli, gigli date per asciugare, con la candida veste dei petali puri, i sudori e le lacrime del Cristo! Date gigli, gigli date per l’ardore della sua febbre di Martire! Oh! dove sarà quel Giglio che ti porta? Dove quello che ti disseterà l’arsura? Dove quello che si farà rosso del tuo Sangue e morirà per il dolore di vederti morire? Dove quello che piangerà sul tuo Corpo svenato? Oh! Cristo! Cristo! Sospiro mio!…». Maria tace, lacrimante e sopraffatta.
Anna tace per qualche tempo e poi, con la sua voce bianca di vegliarda commossa, dice: «Hai altro da insegnarmi, Maria?».
Maria si scuote. Deve credere, nella sua umiltà, che la sua maestra la rimproveri, e dice: «Oh! perdono! Tu sei maestra, io sono un povero nulla. Ma questa Voce mi sale dal cuore. Io ben la sorveglio, per non parlare. Ma, come fiume che sotto émpito d’onda rompe le dighe, or ecco m’ha presa ed è straripata. Non far conto delle mie parole e mortifica la mia presunzione. Le arcane parole dovrebbero stare nell’arca segreta del cuore, che Dio nella sua bontà benefica. Lo so. Ma è tanto dolce questa invisibile Presenza, che io ne sono ebbra… Anna, perdona alla tua piccola serva!».
Anna la stringe a sé, e tutto il vecchio viso rugoso trema e luccica di pianto. Le lacrime si insinuano fra le rughe come acqua per terreno accidentato che si muta in tremulo acquitrino. Ma la vecchia maestra non suscita riso, anzi il suo pianto eccita la più alta venerazione.
Maria sta fra le sue braccia, il visetto contro il petto della vecchia maestra, e tutto finisce così.
Dice Gesù:
«Maria si ricordava di Dio. Sognava Dio. Credeva sognare. Non faceva che rivedere quanto il suo spirito aveva visto nel fulgore del Cielo di Dio, nell’attimo in cui era stata creata per essere unita alla carne concepita sulla terra. Condivideva con Dio, seppure in maniera molto minore, come giustizia voleva, una delle proprietà di Dio. Quella di ricordare, vedere e prevedere per l’attributo della intelligenza potente e perfetta, perché non lesa dalla Colpa.
L’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio. Una delle somiglianze è nella possibilità, per lo spirito, di ricordare, vedere e prevedere. Questo spiega la facoltà di leggere nel futuro. Facoltà che viene, per volere di Dio, molte volte e direttamente, altre per ricordo che si alza come sole su un mattino, illuminando un dato punto dell’orizzonte dei secoli già visto dal seno di Dio. Sono misteri che sono troppo alti perché li possiate comprendere in pieno.
Ma riflettete. Quell’Intelligenza suprema, quel Pensiero che tutto sa, quella Vista che tutto vede, che vi crea con un moto del suo volere e con un alito del suo amore infinito, facendovi suoi figli per l’origine e suoi figli per la mèta vostra, può forse darvi cosa che sia diversa da Lui? Ve la dà in parte infinitesimale, perché non potrebbe la creatura contenere il Creatore. Ma quella parte è perfetta e completa nella sua infinitesimalità.
Quale tesoro di intelligenza non ha dato Dio all’uomo, ad Adamo! La colpa l’ha menomato, ma il mio Sacrificio lo reintegra e vi apre i fulgori della Intelligenza, i suoi fiumi, la sua scienza. Oh! sublimità della mente umana, unita per la Grazia a Dio, compartecipe della capacità di Dio di conoscere!… Della mente umana unita per la Grazia a Dio.
Non c’è altro modo. Lo ricordino i curiosi di segreti ultra umani. Ogni cognizione che non venga da anima in grazia – e non è in grazia chi è contrario alla Legge di Dio, che è ben chiara nei suoi ordini – non può che venire da Satana, e difficilmente corrisponde a verità, per quanto si riferisce ad argomenti umani, mai risponde a verità per quanto si riferisce al sopraumano, perché il Demonio è padre di menzogna e seco trascina su sentiero di menzogna.
Non c’è nessun altro metodo, per conoscere il vero, che quello che viene da Dio, il quale parla e dice o richiama a memoria, così come un padre richiama a memoria un figlio sulla casa paterna, e dice: « Ricordi quando con Me facevi questo, vedevi quello, udivi quest’altro? Ricordi quando ricevevi il mio bacio di commiato? Ricordi quando mi vedesti per la prima volta, il folgorante sole del mio volto sulla tua vergine anima testé creata e ancora monda, perché appena da Me uscita, dalla tabe che ti ha poi menomata? Ricordi quando comprendesti in un palpito d’amore cosa è l’Amore? Quale è il mistero del nostro Essere e Procedere? ». E, dove la capacità limitata dell’uomo in grazia non giunge, ecco lo Spirito di scienza che parla e ammaestra.
Ma, per possedere lo Spirito, occorre la Grazia. Ma, per possedere la Verità e Scienza, occorre la Grazia. Ma, per avere seco il Padre, occorre la Grazia. Tenda in cui le Tre Persone fanno dimora, Propiziatorio su cui posa l’Eterno e parla, non da dentro alla nube, ma svelando la sua Faccia al figlio fedele.
I santi si ricordano di Dio. Delle parole udite nella Mente Creatrice e che la Bontà risuscita nel loro cuore per innalzarli come aquile nella contemplazione del Vero, nella conoscenza del Tempo.
Maria era la Piena di Grazia. Tutta la Grazia una e trina era in Lei. Tutta la Grazia una e trina la preparava come sposa alle nozze, come talamo alla prole, come divina alla sua maternità e alla sua missione. Essa è Colei che conclude il ciclo delle profetesse dell’Antico Testamento e apre quello dei « portavoce di Dio » nel Nuovo Testamento.
Arca vera della Parola di Dio, guardando nel suo seno in eterno inviolato, scopriva, tracciate dal dito di Dio sul suo cuore immacolato, le parole di scienza eterna, e ricordava, come tutti i santi, di averle già udite nell’esser generata col suo spirito immortale da Dio Padre creatore di tutto quanto ha vita. E, se non tutto ricordava della sua futura missione, ciò era perché in ogni perfezione umana Dio lascia delle lacune, per legge di una divina prudenza, che è bontà e che è merito per e verso la creatura. Eva seconda, Maria ha dovuto conquistarsi la sua parte di merito nell’esser la Madre del Cristo con una fedele, buona volontà, che Dio ha voluto anche nel suo Cristo per farlo Redentore.
Lo spirito di Maria era nel Cielo. Il suo morale e la sua carne sulla Terra, e dovevano calpestare terra e carne per raggiungere lo spirito e congiungerlo allo Spirito nell’abbraccio fecondo».
Nota mia. Tutto ieri mi ero pensata di vedere l’annuncio della morte dei genitori e, chissà perché, dato da Zaccaria. Così anche mi pensavo a modo mio il come sarebbe stato trattato da Gesù il punto del «ricordo di Dio da parte dei santi». Stamane, quando cominciò la visione, ho detto: «Ecco, ora le diranno che è orfana», e ne avevo già il cuore piccino, perché… era la mia stessa tristezza di questi giorni che avrei sentito e visto. Invece non c’è nulla di quanto avevo pensato vedere e udire. Ma neppure una parola per sbaglio. Questo mi consola, perché mi dice che proprio di mio non c’è nulla, neppure una onesta suggestione verso un dato punto. Tutto viene proprio da altra fonte. La mia paura continua cessa… – fino alla prossima volta, perché mi accompagnerà sempre questa paura d’essere ingannata e di ingannare.
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