Feconde come rugiada….
Posté par atempodiblog le 15 novembre 2013
Se la rugiada è feconda, anche le lacrime lo devono essere. Tra le ricchezze della creazione, nessuna è stata tanto prostituita quanto le lacrime. Santa Rosa da Lima diceva che esse appartengono a Dio e che chi le dà a un altro le sottrae al Signore. Ora, le lacrime sono diventate abominevoli; esse, che per natura sono segrete, sono diventate una parata, una posa, un’ostentazione; esse, che sono i singhiozzi della verità quando la verità non può più parlare, sono diventate menzogne; esse, che sono forza, sono diventate dissolventi; esse, che sono sorgenti di vita, nascoste più su del pensiero, sono diventate sorgenti di morte nascoste più sotto del deliquio.
Nelle lacrime prostituite c’è qualcosa che somiglia ai sacrifici umani.
Il Cristianesimo ha restituito le lacrime e il sangue al Creatore dei cieli e delle acque. Le ha poste presso le sorgenti della vita. Gesù Cristo piange presso la tomba di Lazzaro. Le lacrime di Maddalena sono diventate uno dei grandi ricordi dell’umanità. I pittori farebbero bene a non trattarle alla leggera e a non confonderle con le lacrime contrarie, per non commettere un delitto. Le lacrime sono salite cosi in alto che il loro posto è il tribunale della penitenza, quando accanto ad esse il sangue di Gesù Cristo cade sulla testa del peccatore insieme all’assoluzione. Dio fa quel che vuole delle cose che tocca. Talvolta ne fa un uso meraviglioso. Se tocca le lacrime, le muta in forza per i deboli e in terrore per i forti.
Il linguaggio cristiano con una energica parola designa il dolore del peccato. Questa parola è contrizione, che significa spezzamento del cuore. Se l’abitudine non gettasse su tutte le cose il grigio velo dell’indifferenza, gli uomini sarebbero particolarmente colpiti da questa magnifica parola. Ed ecco quel che volevo dire: la contrizione è piena di gioia. La contrizione è più deliziosa di qualsiasi cosa più desiderata. Non parlo delle delizie vaghe di certi sentimenti che somigliano ai sogni, delizie infeconde e snervanti. Le delizie di cui parlo sono realtà fortificanti, attive, feconde. Sono gioie che fanno agire.
Per valutare un atto compiuto nella verità è bene guardare lo stesso atto compiuto nell’errore. A fianco del pentimento, che è un nome meno bello di contrizione, ci sono i rimorsi. Il pentimento è buono, il rimorso è cattivo. E così il pentimento dona la gioia, mentre il rimorso dona la tristezza; perché Dio è nel pentimento ma non già nel rimorso.
Il pentimento calma il colpevole; il rimorso l’esaspera. Il pentimento lo apre alla speranza, il rimorso lo chiude. Il pentimento è pieno di lacrime, il rimorso pieno di terrori. Il rimorso fa vedere i fantasmi, il pentimento fa vedere delle verità.
Però preferisco il nome contrizione a quello di pentimento. Trovo nella contrizione assai più gioia e luce. A questo proposito voglio richiamare la vostra attenzione sul linguaggio del Cristianesimo, linguaggio così meravigliosamente profondo che aprirebbe vie infinite alla nostra intelligenza e alla nostra anima se l’abitudine non s’intromettesse a farci misconoscere i doni di Dio, a farci passare sotto le stelle e le parole del cielo, senza alzare la testa. Orbene, il Cristianesimo nel suo linguaggio ci dice: — Fate un atto di contrizione.
Un atto di contrizione! Che cosa meravigliosa, se non fossimo vittime dell’abitudine.
Agli occhi di chi ignora la sua anima, la contrizione appare forse qualcosa di puramente passivo, come la tristezza umana; una minorazione, una dispersione di forze; e invece, è vero il contrario. Essa è, oh meraviglia, un atto.
Una certa saggezza scadente potrebbe dire al colpevole: — Non v’abbandonate al dolore; siate uomo; mostrate un coraggio virile.
Il Cristianesimo invece gli dice: — Fate un atto di contrizione!
di Ernest Hello - L’uomo, San Paolo, Alba (Cuneo) 1958, pp. 99-101
Tratto da: Filia Ecclesiae
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