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Le calunnie contro padre Stefano Manelli

Posté par atempodiblog le 7 novembre 2013

Le calunnie contro padre Stefano Manelli dans Francesco Agnoli dy5aTempo addietro intervenni, in modo piuttosto rude, sulla vicenda Francescani dell’Immacolata, denunciando su La Nuova Bussola il comportamento di padre Alfonso Bruno. Un frate che calunnia, sostenni, che diffonde e sparge veleni su altre persone, ingiustamente, non può essere la persona adatta a mediare all’interno di una congregazione: non può essere la persona giusta per sistemare i mali di una congregazione, quali che essi siano (cioè piccoli, come credono in tanti, o grandi, immensi, come padre Bruno ha sempre sostenuto, con l’ausilio, però, di qualche bugia di troppo). Padre Alfonso Bruno rispose senza assolutamente fare cenno alle mie affermazioni, ma parlando d’altro. Fu una conferma. Rafforzata dal modo con cui padre Bruno ha continuato a difendere i dati fasulli, da lui divulgati, e dagli insulti feroci pubblicati sul suo sito ai danni di chi aveva solo fatto notare le incongruenze.

Nel frattempo casa è successo? Padre Stefano Manelli si è chiuso in obbediente silenzio: come doveva fare. Come non dubitavo che un uomo di fede e di obbedienza come lui avrebbe fatto. Del resto lo aveva sempre detto e scritto: si sta con il papa, si obbedisce al papa.

Nel suo libro sul mese di maggio, “Maggio, mese di Maria”, scritto molti e molti anni fa, proprio parlando dell’obbedienza, Manelli scriveva quasi profeticamente: “Quando sant’Alfonso de’ Liguori, vecchio ottantenne, venne calunniato da uno dei suoi figli, e fu espulso dalla Congregazione dallo stesso papa, egli, il grande, l’appassionato, l’innamorato difensore del papa, superava lo strazio mortale gridando a se stesso con la fronte a terra, ai piedi dell’altare: “Il papa ha ragione, il papa ha ragione…”. Questa è l’obbedienza che crocifigge, come crocifisse Gesù alla croce” (Casa Mariana editrice, 1999, p.166).

Oggi, dicevo, padre Manelli è costretto a risiedere a Cassino, e la congregazione da lui fondata è nelle mani di chi, per usare un eufemismo, non lo apprezza, e non apprezza nessuno dei suoi più stretti collaboratori (per i quali è stato decretato, per lo più, l’allontanamento dall’Italia). Padre Stefano tace, e sopporta…benché l’ordine non arrivi dal papa, ma dalla Congregazione dei religiosi…

Accade però che non pochi laici si interessino, si informino, chiedano: “che ne è di padre Stefano?” Un ordine senza il suo fondatore, infatti, fa un po’ specie.

La risposta che ho sentito, io stesso, è la più varia: “ormai capisce poco”; “è ostaggio di alcuni” (non si capisce bene di chi); “ha fatto, poveretto, tanti e tanti errori…”. La cosa più grave è che si lascia intendere, da parte di qualcuno, che questi errori siano enormi, indicibili: “Sai, non posso dire tutto…”. La calunnia e la maldicenza funzionano così: basta far balenare un sospetto, non c’è bisogno di dire di più… così si incrina o distrugge l’immagine di una persona, anche agli occhi di chi la aveva tanto stimata.

Però, accade molto di più. Recentemente un laico si è avvicinato a padre Alfonso Bruno, chiedendogli assicurazioni su padre Stefano, sul suo carisma, sul mantenimento dello stesso all’interno dei Francescani dell’Immacolata. La risposta è stata nello stile di padre Bruno: dire e non dire, far capire che padre Stefano sta facendo qualcosa di terribile… in buona fede, certo…ma di terribile…

Padre Alfonso è un giornalista, un tipo loquace: sa mettere in fila le parole; le spara a mitraglia; mette insieme cavoli e capre, e spaccia il tutto per una arringa inconfutabile di Cicerone.

Ho in mano quella conversazione (e non solo). In essa il frate fa intendere all’ascoltatore che padre Manelli è parte nientemeno che di un tentativo di creare nella Chiesa uno…scisma!!

Afferma padre Bruno: “Allora aiutiamolo (padre Manelli, ndr) a stare in comunione con la Chiesa. Perché Padre Stefano, nella sua buona fede, si è messo in un gioco più grande di Lui..”. Vediamo le prime parole: “aiutiamolo a stare nella Chiesa”. Ciò significa che padre Stefano è un border line, un eretico, un disobbediente, qualcuno che sta per uscire dalla Chiesa… Di più: “si è messo in un gioco più grande di lui”…

Un vero maestro: l’ascoltatore, 9 su 10, rimane basito. Perché più si sparano grosse, più, di solito, chi ascolta ci crede (per il meccanismo secondo il quale nessuno si immagina mai che il suo interlocutore stia mentendo, così di grosso, poi). E qual è il “gioco”?

Da vero affabulatore padre Alfonso tira fuori il quotidiano il Foglio, e inizia a leggere alcuni nomi, e a mescolare Giuliano Ferrara, de Mattei, alcuni articoli critici del papa comparsi sul Foglio, fino a formare un grande affresco complottistico in cui anche gli articoli contrari, comparsi sempre sul Foglio, come quello di Scandroglio (che invitava appunto a non criticare il papa in un certo modo, e con certi toni), sono pezzi dello stesso puzzle. Si fa tornare tutto, se si vuole.

Un puzzle nel quale padre Manelli sarebbe dunque complice, “in un gioco più grande di lui” (sa un po’ di accusa e un po’ di scusa: del resto bisogna convincere l’interlocutore, che di padre Manelli è un ammiratore), in cui stanno insieme Ferrara, Corrispondenza romana, la Lega nord, forse anche Totò e altri ancora:

una Chiesa scismatica, alla Lega Nord, una Chiesa autocefala, fa comodo. In nome di quale tradizione? Di quale tradizione? Giuliano Ferrara, che significa teocon americani … Roberto De Mattei, sono tutti scrittori di Corrispondenza Romana, Scandroglio, Matteo Rippa e compagnia cantando, li trovate tutti su Corrispondenza Romana…” (poco importa se Matteo Rippa non esiste, e si chiama Maurizio Crippa, è ciellino, non scrive su Corrispondenza romana (Cr), e il papa lo ha elogiato con un paginone intero, sempre sul Foglio; poco importa se Scandroglio non scrive su Cr e non ha mai criticato il papa; e poi “li trovate tutti su Corrispondenza romana” cosa significa? Mah…).

Finita qui? No, del gioco scismatico farebbe parte anche Magdi Allam, di cui padre Bruno conosce la moglie (è un dato che si dà all’ascoltatore, per dirgli: guarda che io so di cosa parlo, tu forse questi personaggioni non li conosci, ma io sì…): “..Magdi Allam si è indebitato di due milioni di euro, e questa gente qua glieli ha coperti. La moglie è la vera islamologa, Valentina Colombo, che è insegnante all’Università Europea, dove ho studiato io…”.

La conclusione, ai due che chiedevano lumi sul mantenimento del carisma del fondatore estromesso, e si sono sentiti raccontare la favola complottista, è questa: “Vi dico solo questo che noi (come congregazione, ndr) ci siamo ficcati in questo gioco. Vogliamo aiutare Padre Stefano, aiutiamolo a stare in comunione con la Chiesa” (e cioè confinato a Cassino, con i suoi frati più vicini spediti in capo al mondo e umiliati). E’ per farlo stare in comunione, che ora comanda padre Alfonso!

Potrei fermarmi qui. Ma alcuni amici mi hanno già detto: “noi laici stiamone fuori. Cosa centriamo?” Non mi sembra un modo di ragionare da credenti, quanto da ignavi. Padre Pio, che padre Stefano ben conosceva, fu perseguitato dai confratelli e difeso dai laici… Sono uno che è stato calunniato, e che ora vede che il calunniatore ha fatto carriera, e sta calunniando il fondatore della sua congregazione. Dire la verità, in questo caso, non è uno sfogo, ma un dovere imposto dalla coscienza. Tutto qui. Un dovere verso il buon nome di un uomo estromesso da tutto, che  merita quantomeno di non essere calunniato di fronte a coloro che lo apprezzano e lo stimano.

di Francesco Agnoli – Libertà e Persona

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Eritrea, una voce dall’inferno

Posté par atempodiblog le 7 novembre 2013

Eritrea, una voce dall'inferno dans Articoli di Giornali e News mnd3La prima colonia italiana, l’Eritrea (1889-1941), è oggi ritenuta il paese africano dove i diritti dell’uomo sono più violati e fornisce il maggior numero dei profughi africani che ogni giorno sbarcano (se non muoiono nel deserto o in mare) a Lampedusa e sulle coste della Sicilia. Non è nel caos politico-militare come Libia e Somalia, vittime di bande tribali o islamiste. L’Eritrea è sotto il tallone di Isaias Afewerki, storico capo del movimento indipendentista eritreo, presidente dal 1993 (anno dell’indipendenza dall’Etiopia), che ha imposto un regime mono-partitico, eliminato i media indipendenti e schiacciato l’opposizione. Il popolo vive in un regime di terrore e di progressivo impoverimento, fino a denutrizione e fame diffuse, in un paese con 5 milioni di abitanti e 121.000 kmq (più di un terzo dell’Italia), che aveva una fiorente produzione agricola. Ho intervistato un profugo eritreo di 67 anni giunto in Italia all’inizio del 2013. Parla abbastanza bene l’italiano (aveva studiato nella scuola italiana di Asmara). È pienamente d’accordo con il “Coordinamento Eritrea Democratica” che nell’ottobre scorso ha promosso una manifestazione a Roma per protestare contro il governo eritreo, che è la causa prima delle migliaia di eritrei che tentano tutte le vie pur di fuggire dal loro paese. Gli chiedo com’è la situazione in cui si trova il popolo eritreo. Ecco la sua risposta:

«Abbiamo combattuto contro gli etiopi per avere la democrazia, la libertà, lo sviluppo e ci ritroviamo con un dittatore che peggio di così non credo sia possibile. Il presidente Afewerki ha studiato in Cina ai tempi di Mao Tse-tung ed è tornato in Eritrea per combattere la guerra di liberazione dall’Etiopia. Aveva una formazione e idee comuniste ed ha combattuto con l’aiuto di Russia e Cina; poi, acquistata l’indipendenza nel 1993, ha continuato con quei legami, consiglieri e aiuti, realizzando in Eritrea un regime maoista o staliniano che sta soffocando il popolo. Il paese è governato da un uomo solo. Anche i suoi collaboratori, se solo sospetta che tramano contro di lui, li fa gettare nelle terribili prigioni dei detenuti politici, dove marciscono migliaia di veri o presunti oppositori, che sono l’élite del paese. Dopo la guerra con l’Etiopia per i confini nel 1998-2000, quasi tutti i ministri del suo governo si sono uniti e hanno protestato col Presidente perché non si doveva fare la guerra (che ha distrutto le poche industrie che esistevano) e perché era necessario andare verso la libertà di espressione. Il presidente li ha fatti arrestare tutti, mi pare 12 su 15, e gettare in carcere e oggi, con il sistema durissimo di quelle prigioni (dicono sotto terra), almeno la metà sono già morti. Sono migliaia i prigionieri politici, l’Onu li quantifica (giugno 2012) tra i 5.000 e i 10.000, ma io penso molti di più.

«Dopo la guerra con l’Etiopia, Afewerki ha militarizzato il paese rendendolo una vera prigione per tutti. Non ci sono più giornali né radio libere, chi parla male del governo è arrestato, chi sente radio o TV straniere lo stesso.
Nelle famiglia c’è lo spionaggio di quel che si dice, di quel che si fa, di chi si incontra.
Tutti si chiudono in se stessi e si cerca di sopravvivere. I giovani e le ragazze che arrivano ai 18 anni devono fare il servizio militare obbligatorio, che si sa quando comincia ma non quando finisce. Non ci sono più università, ne è rimasta una sola del governo, ma è un campus per pochi privilegiati, che fanno gli esercizi militari e studiano. Nessuno può emigrare prima dei 50 anni. Dopo sì, perché hanno interesse a mandare fuori gli anziani, che poi aiutano i parenti e quindi l’Eritrea.

«Con l’Etiopia non c’è guerra, ma i confini sono chiusi, nessuno passa, nessuno commercia, non si può nemmeno telefonare in Etiopia. Se un eritreo vuole telefonare ad un suo parente in Etiopia, deve telefonare in Italia e pregare qualcuno che telefoni in Etiopia per lui. All’inizio del 2013 c’è stato un tentativo di ribellione. Generali e colonnelli si sono ribellati e dai confini con l’Etiopia sono arrivati fino a Decameré e poi ad Asmara, ma sono stati fermati dai carri armati. Ne hanno ammazzati molti, altri sono fuggiti o in prigione. Non c’è persecuzione contro i cristiani, la Chiesa copta, dopo qualche tentativo di ribellarsi, adesso è succube e manovrata dal governo che aveva tentato di fare un altro patriarca, ma poi il popolo si ribellava e hanno fatto marcia indietro. La Chiesa cattolica è l’unica che ha preso posizione con i suoi vescovi denunziando la violazione della libertà e dei diritti dell’uomo. Cinque anni fa il governo varò una legge che penalizzava fortemente le religioni, i vescovi cattolici erano gli unici che dichiaravano di non essere d’accordo e la gente diceva: “Meno male che i cattolici, piccola minoranza, hanno il coraggio di resistere alla dittatura”. Poi si unirono anche i copti e i musulmani.

«Il governo non ha nazionalizzato l’economia perché chi lavora, chi commercia, chi avvia iniziative è sempre il partito. L’Eritrea esporta un po’ di pesce e di prodotti agricoli pregiati e ha un certo numero di turisti. Ultimamente ci sono miniere d’oro, prodotto d’esportazione. La ferrovia costruita dall’Italia fra Massawa e Asmara, che passa dal mare ai 2300 metri di altezza della capitale, era una meraviglia di gallerie, ponti, viadotti. Adesso c’è qualche vecchia littorina italiana usata quasi solo per turismo. Asmara è stata definita la più bella capitale dell’Africa ed è vero. Ci sono chiese, palazzi, piazze, viali, dove si vede l’influsso degli anni Trenta dell’Italia e dell’Europa di quel tempo. Gli architetti italiani si sono sbizzarriti a costruire secondo tutti gli stili architettonici che c’erano in Europa fra le due guerre mondiali. E poi c’è il sole, il clima meraviglioso in tutte le stagioni, le regioni dell’altopiano eritreo che contengono anche ruderi del passato cristiano di molti secoli addietro, le famose chiese costruite fra le rocce e nelle rocce. Ma oggi tutto è in mano al governo, anche commercianti e negozianti lavorano per il governo a 500 nafka al mese (cioè circa 5 Euro), perché importa solo il governo. L’Eritrea potrebbe vivere bene se fosse libera, ma com’è adesso sta morendo».

di Piero Gheddo – La nuova Bussola Quotidiana

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