Chesterton: La storia in giallo

Posté par atempodiblog le 3 novembre 2013

Chesterton: La storia in giallo
Un esempio di didattica alle superiori, quando la fantasia viene in soccorso alla storia.

Con Chesterton alle radici della modernità attraverso la metafora
di Roberto Filippetti
Tratto da: Cultura Cattolica

Novembre ’95. IV superiore. “Professore, ci hanno dettato il nuovo orario provvisorio: abbiamo lei alla VI ora del sabato”. Tanto in Italiano con Machiavelli, quanto in Storia col Protestantesimo e la Riforma cattolica stiamo approfondendo le radici della modernità. Mi viene un’idea: leggere insieme in classe un racconto di G. K. Chesterton: Il martello di Dio (dal volume L’innocenza di Padre Brown, BUR, 1989).

Chesterton: La storia in giallo dans Anticristo uqitSiamo in un villaggetto, Bohun Beacon, appollaiato su una ripida altura, sormontata da un’imponente chiesa gotica. Ai suoi piedi la bottega del fabbro e l’osteria, ove – dopo l’ennesima notte di bagordi – sta seduto Norman Bohun. Lì lo sorprende suo fratello Wilfred Bohun, pio e austero prete anglicano. I Bohun sono rampolli dell’antica famiglia medievale che ha dato lustro (“Beacon”) al villaggio, “ma è un grave errore credere che simili casate mantengano alta la tradizione cavalleresca. A parte i poveri, sono ben pochi quelli che conservano le tradizioni; gli aristocratici non seguono le tradizioni, ma la moda” (vecchio Chesterton, hai colpito ancora!). Norman, il libertino, confessa di star andando a fare visita alla moglie del fabbro – donna formosa, bellissima, e cattolica – dato che l’erculeo marito di lei – protestante presbiteriano – è fuori paese. Il reverendo Wilfred mette in guardia il fratello sia dai fulmini di Dio che dalla forza dell’uomo, ma Norman replica di essere uscito di casa “parzialmente corazzato”: ha in testa uno strano cappello verde che cela un elmetto d’acciaio. Wilfred, disgustato, s’avvia verso la chiesa, dalla quale sta uscendo Joe, l’idiota del villaggio; prima di entrare nell’edificio sacro, fa in tempo a vedere il fratello dissoluto che si prende gioco del povero ragazzo, gettandogli monetine nella bocca aperta, in un crudele tiro al bersaglio. Il reverendo, che ama andare a pregare nei luoghi alti e solitari, sale su uno stallo posto sotto una splendida vetrata gotica. Lì mezz’ora dopo lo trova Gibbs, l’ateo ciabattino del paese, e gli porta la tragica notizia: Norman è stato ammazzato. Giace a terra con il cranio ridotto a “un’orrenda massa molle spiaccicata”. Gli stanno attorno l’ispettore di polizia, il medico, il pastore presbiteriano, mentre un pretino cattolico – padre Brown – parla con la bellissima moglie del fabbro. Al ciabattino Gibbs tutto sembra chiaro: solo un gigante come il fabbro può aver assestato un tal colpo. Il medico conferma: schegge di cranio si sono conficcate addirittura nel terreno. L’ispettore rinviene l’arma del delitto: un piccolo, leggero martello che sta, insanguinato e sporco di capelli, vicino al muro della chiesa. La cosa – nota padre Brown – è di per sé misteriosa: perché un uomo così grosso ha usato un martello tanto piccolo?

Intanto il fabbro, calmo e tranquillo, sta tornando in paese con due amici. Visto il cadavere, con “occhi d’acciaio” fissa “quel cane d’un peccatore” e commenta: “È andato all’inferno”. È subito invitato dal ciabattino ateo a tacere: sono gli altri che devono dimostrarne la colpevolezza. Gibbs è pieno “d’ammirazione per il sistema giudiziario inglese; giacché non c’è uomo più attaccato alla legge di un laicista convinto” (quant’è vero, vecchio Chesterton!). Il fabbro ha un alibi di ferro: ha molti testimoni, puritani come lui, che gli sono rimasti accanto “nella sala del comitato della nostra missione per il risveglio della fede, che tiene seduta tutta notte: pensiamo alla salvezza delle anime noi!”. Chi è allora l’assassino? A parere del medico non può essere che la moglie del fabbro, e cerca di dimostrarlo entrando nei meandri della coscienza di una donna che tradisce il marito, ma che forse odia l’arrogante e perfido amante. Padre Brown ribatte che l’ipotesi non è ragionevole, perché non considera tutti i fattori: il colpo ha frantumato un elmetto di ferro come se fosse vetro, impossibile per le esili braccia di quella donna. “Lei è come molti altri medici, – osservò -. La sua scienza psicologica è davvero suggestiva; ma la sua scienza fisica è del tutto inconcepibile” (cosa non di poco conto per un fisiatra!) Tocca ora al reverendo Bohun avanzare la propria ipotesi: solo un idiota si sarebbe servito di un martello così piccolo, avendone a disposizione tanti più grandi; l’assassino è Joe il matto che, come ogni pazzo, “nel suo parossismo può avere la forza di dieci uomini”. Padre Wilfred ha un sorriso “scomposto ma stranamente felice”: da prete, non vuole che il reo finisca sul patibolo e Joe, essendo idiota, verrà risparmiato. Il medico è convinto. Anche padre Brown trova l’ipotesi “intrinsecamente inattaccabile”, eppure afferma “sulla base di quanto sa positivamente, che non è la vera”. Il medico è stizzito. “Questi preti papalini sono diabolicamente astuti”. Anche il fabbro (ormai scagionato: lui era lontano e il suo martello “non aveva 44 ali per volare lungo mezzo miglio”) ha un idea: è la mano stessa di Dio che ha fulminato il malvagio per difendere l’onore della donna. A padre Brown, che con Wilfred si sta avviando a visitare l’antica chiesa gotica (già cattolica ed ora anglicana), il dottore chiede di svelare il mistero di quell’omicidio, ma il nostro pretino replica: “Esiste un’eccellente ragione perché un uomo che esercita il mio ministero tenga le cose per sé quando non ne è sicuro: e la ragione è ch’è sempre suo dovere tenerle per sé quando è sicuro”.

Il piccolo sacerdote offre però due indizi: il fabbro sbaglia a dire che il colpo è piombato giù per miracolo (“a parte il miracolo che l’uomo di per sé rappresenta, col suo cuore strano, malvagio, e tuttavia semieroico”); la fiaba di un martello che vola “è la cosa più vicina alla verità”. Quindi i due religiosi entrano in chiesa. Wilfred porta Brown su in alto, sotto la vetrata; ma il prete cattolico sale più in alto ancora, fin sulla piattaforma esterna e chiede a Wilfred di raggiungerlo. Da lassù il recinto del fabbro appare minuscolo e il cadavere di Norman sembra “una mosca schiacciata”. “Penso che è pericoloso fermarsi in questi luoghi alti, sia pure per pregare – disse padre Brown -. Le altezze furono fatte perché si guardi a esse, non perché da esse si guardi in giù. La religione puritana del fabbro fa di lui “un buon uomo”, ma non un cristiano: duro, impetuoso, inesorabile”: è la religione di chi, dalle cime, guarda “all’ingiù, sul mondo, invece che in alto, verso il cielo. L’umiltà è madre di giganti. Si vedono cose grandi dalla valle; e solo cose piccole dalle cime”. Ma anche ad un altro uomo è accaduto di salire in alto a guardare il mondo da lassù: egli aveva cominciato “col pregare assieme agli altri, davanti all’altare, ma poi fu preso dalla passione dei luoghi alti e solitari, per andarvi a dire le preghiere: angoli o nicchie sui campanili e sulle guglie. E una volta, su uno di questi luoghi che danno le vertigini… immaginò di esser Dio… e commise un gran delitto”. Da lassù gli uomini gli apparivano “come insetti”, e specialmente uno, con quel cappello verde, gli sembrò “un insetto velenoso”; aveva poi a disposizione quella terribile energia della natura che è la forza di gravità, per la quale un piccolo martello, raccolto da terra in un impeto “d’ira non giusta”, diventa un’arma micidiale. Il reverendo Wilfred, smascherato, sta per gettarsi nel vuoto, ma padre Brown lo blocca: “Non da questa porta, – disse con dolcezza: – questa conduce all’inferno”. Quindi aggiunge che non lo denuncerà, poiché Wilfred “non è ancora andato all’estremo del male”: non ha infatti cercato di far ricadere la colpa sul fabbro o sulla donna, ma ha tentato di accollare il delitto all’idiota Joe “perché sapeva che non poteva essere condannato. Questo è uno di quei barlumi ch’è mia missione trovare negli assassini” (e di lì a poco, liberamente, da uomo, Wilfred scenderà per la porta giusta e andrà a costituirsi).Quest’ultima battuta di padre Brown descrive il genio della posizione cattolica: una capacità “ecumenica” di valorizzare il buono, pur di mezzo al marciume.

[...]

Suona la campanella. La sesta ora del sabato è… miracolosamente volata. Abbiamo imparato qualcosa in più sul laicismo legalista, sul puritanesimo calvinista, sullo psicologismo scientista, sul farisaico superomismo. Ma soprattutto abbiamo ricevuto da Chesterton una lezione di metodo che è – manzonianamente – “il sugo di tutta la storia”: padre Brown risolve il caso perché è aperto a tutta la realtà, tiene conto di tutti i fattori; e ci suggerisce quell’amore al Destino grazie al quale vediamo i “barlumi” ch’è nostra missione trovare.

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