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Noi ci tiriamo fuori, la colpa è sempre degli altri

Posté par atempodiblog le 19 octobre 2013

Noi ci tiriamo fuori, la colpa è sempre degli altri
di Piero Gheddo

Noi ci tiriamo fuori, la colpa è sempre degli altri dans Piero Gheddo r1q6
Giorni fa vado dal parrucchiere. Ci sono alcuni uomini che aspettano, io leggo il giornale e sento che stanno parlando in questo senso: le cose vanno male, l’Italia è diventata invivibile per colpa del governo, dei sindacati, degli evasori fiscali, dei giornalisti, della mafia e della camorra che sono giunte anche a Milano. Poi il parrucchiere mi taglia i capelli, pago il servizio e chiedo: “Mi dà lo scontrino fiscale?” e lui dice: “Ma non è necessario, padre, lei è venuto a trovare un amico…”. Condannava gli evasori fiscali e non si accorgeva di essere anche lui uno dei tanti.

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Il popolo della notte

Posté par atempodiblog le 19 octobre 2013

Discoteche, ecstasy, corse clandestine, riti macabri e profanazione di tombe: è inquietante il fenomeno di tanti giovani che scelgono la notte per “vivere”. Qualche riemedio elementare.
di Carlo Climati – Il Timone

Il popolo della notte dans Anticristo g4do

Negli ultimi anni, uno strano fenomeno sta caratterizzando sempre di più la vita di tanti giovani: quello della vita di notte. Moltissimi ragazzi scelgono di vivere nel buio, lasciandosi intrappolare da uno stile di vita trasgressivo e senza limiti. Escono tardi e ritornano a casa con le prime luci dell’alba, dopo molte ore trascorse in un pub o in discoteca. La notte, così, non è soltanto uno spazio di tempo, ma diventa una condizione dell’animo umano, uno stato di oscurità e di abbrutimento. Un vero e proprio buio interiore. Tra i pericoli di questa nuova moda, c’è sicuramente l’ecstasy, la nuova droga venduta in molti locali da ballo. Produce un’eccitazione del tutto innaturale ed una perdita di consapevolezza delle reazioni del proprio corpo. Il rischio mortale è legato al possibile colpo di calore, dovuto all’eccessiva attività fisica e all’aumento critico della temperatura.
Andando a ballare nel cuore della notte, i ragazzi manifestano un normale desiderio di dialogo e di comunicazione. Hanno voglia di stare assieme a qualcuno. Ma poi, si ritrovano soli.
La musica assordante, infatti, impedisce di parlare. E così, pur essendo circondati da tante persone, i giovani rimangono muti, privati della possibilità di dialogare. È come se ognuno ballasse dentro un guscio, isolato dal resto del mondo.
Intanto, intorno, si consuma lo spettacolo messo in scena dagli organizzatori della serata.
Sui cubi si esibiscono ragazze e ragazzi ridotti a una banale dimensione di un corpo. Non sono più esseri umani, ma soltanto delle belle statue in movimento.
Il ritmo della musica è talmente forte che la droga diventa quasi una “medicina” da prendere, per stare al passo con gli altri. I frutti di certi comportamenti, troppo spesso, sono quelli che si leggono sui giornali del giorno dopo. Gli incidenti del sabato sera sono la logica conseguenza di un “cocktail” micidiale che riempie le notti di molti giovani: droga, alcolici, musica assordante, luci psichedeliche, impossibilità di comunicare…
E non è questo, purtroppo, l’unico modo per morire sulla strada. Un altro grande pericolo della vita notturna è il fenomeno delle folli corse in moto e in automobile.
Si tratta di vere e proprie gare clandestine, in cui molti ragazzi credono di misurare la propria potenza. In genere, vengono improvvisate in zone isolate, periferiche, dove si possono trovare lunghi tratti di strada poco frequentati. Il fenomeno sta crescendo, ormai, in molte parti del mondo e si lega ad un’altra triste piaga: quella delle scommesse clandestine. Mentre i ragazzi corrono, c’è chi sta a guardare e punta soldi sul possibile vincitore. Così, la vita e la morte diventano un macabro gioco con il quale arricchirsi. Sulla pelle delle persone…

Un altro fenomeno in crescita tra i giovani è quello di certe macabre “visite” notturne ai cimiteri. Negli ultimi anni, questo disgustoso “passatempo” ha dato origine a numerosi episodi di vandalismo e di profanazione, a volte legati anche al satanismo giovanile.
Nella notte di Halloween del 2001, in un paesino della Sardegna, otto minorenni mascherati da streghe, fantasmi e diavoli sono entrati in un cimiteri. Dopo aver scavalcato il cancello, hanno cominciato a scherzare e a rincorrersi. Poi hanno forzato la porta del ossario e hanno sparso le ossa tra le tombe e i vialetti.
Qualche anno prima, nel 1996, la procura di La Spezia aveva avviato una vasta indagine, denominata “Operazione Diablo”, per smantellare un’organizzazione di giovani dedita alla profanazione ,di tombe, al furto di oggetti sacri e a riti satanici di vario genere. Una ragazza, appena ventenne, si faceva chiamare con uno pseudonimo: “Morgana”. Assieme a un suo coetaneo, ha compiuto atti vandalici nei cimiteri. I due ragazzi hanno distrutto alcune statue e bruciato una croce di legno. Inoltre, hanno coperto le lapidi di scritte come “Ave Satana” e “Supporta la guerra contro i cristiani”.

Come aiutare i giovani a non cadere in certe trappole? La prima proposta da fare, anche se può apparire banale, è quella di recuperare il valore del sonno e comprendere l’importanza del riposo durante notte.
Ogni tanto, naturalmente, può capitare di fare tardi. Ma quello non può diventare un’abitudine, uno stile di vita.
Scambiare sempre il giorno con la notte significa, inevitabilmente, pagarne le conseguenze.
La seconda proposta è quella di insegnare al ragazzi una sana “cultura del limite”, che deve essere alla base di ogni autentica civiltà.
Purtroppo, oggi, molti giovani sono educati con lo stile della totale anarchia. Spesso sono gli stessi genitori a proporre ai ragazzi questo tipo di insegnamento. A volte, mentre parlano dei loro figli, li sentiamo dire: “Io lo lascio libero, deciderà lui quando sarà maggiorenne”. Oppure: “Non voglio condizionarlo, deve essere lui a scegliere liberamente”.
Il rischio, quindi, è che i ragazzi rimangano degli eterni bambinoni. Che non crescano mai e non si assumano le proprie responsabilità. Con la scusa del “lasciarli liberi di scegliere”, i giovani finiscono per non essere educati. E la libertà diventa una trappola.

Oggi, purtroppo, il termine “libertà” viene spesso inteso come “libertà di fare tutto”. Ma per essere davvero liberi è necessario porre dei confini morali alle proprie azioni. Altrimenti, tutto diventa lecito. Non c’è più rispetto per se stessi e per gli altri.
Per giustificare certi comportamenti negativi viene utilizzata un’altra parola molto popolare: “libertà di scelta”.
Oggi si sente spesso dire che drogarsi è una scelta, oppure che abortire è una scelta. E così con la scusa della “scelta” ci si sente autorizzati a compiere il male. Invece, sarebbe il caso di capire che noi non siamo soli. E che le nostre scelte possono danneggiare altri esseri umani. Ce lo ha fatto capire il grande regista Frank Capra, con un’immagine molto bella del film “La vita è meravigliosa”, la storia di un angelo che riesce a distogliere un uomo in crisi, George Bailey, dalla sua intenzione di suicidarsi.
George (l’attore James Stewart), nel corso della sua esistenza, non aveva fatto altro che seminare il bene. Aveva costruito un villaggio per i poveri e salvato la vita a suo fratello Harry. Il fratello, a sua volta, aveva salvato la vita a tanti soldati, durante la guerra.
L’angelo mostra a George come sarebbe stata diversa, e triste, la, sua città se lui non fosse mai nato. Nessuno avrebbe mai costruito le case per i poveri. E nessuno avrebbe salvato la vita a suo fratello, il quale, essendo morto, non avrebbe potuto salvare i soldati.
L’angelo dice a George: “La vita di un uomo è legata a quella di tanti altri uomini. E quando quest’uomo non esiste, lascia un vuoto”.
Ecco perché la vera educazione dei giovani è quella che propone dei limiti, delle regole, dei “no”. Inizialmente potrà sembrare meno simpatica e meno gradita, ma a lungo andare si rivelerà la soluzione migliore per illuminare la grande notte che tanti ragazzi hanno “dentro”.

Ricorda
“Oggi il mondo brulica dei maestri dell’effimero. Non insegnano ai giovani a vivere, ma a come consumare il tempo della vita. Senza slancio ideale e morale, la nuova generazione non sa che cosa fare della propria esistenza e la butta via come un oggetto privo di valore. Senza motivazioni spirituali che la riscattano e la elevano, la vita diventa un fardello insopportabile”(P. Livio Fanzaga, Cristianesimo controcorrente. Pensieri sul destino dell’uomo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, p. 32).

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Guardati da chi ha sempre un consiglio per te

Posté par atempodiblog le 19 octobre 2013

Guardati da chi ha sempre un consiglio per te
Muniti di frasi fatte “adatte” ad ogni circostanza, questi individui intervengono su tutto: pur con le migliori intenzioni riducono la libertà d’azione altrui
Tratto da: RIZA.it

Guardati da chi ha sempre un consiglio per te dans Riflessioni aqjc

Ci sono frasi con cui alcune persone letteralmente “invadono” la vita di altri. Dicono di farlo per il loro bene, e in parte è forse vero. Ma l’eccesso di consigli e di iniziative non richieste, la troppa sollecitudine e attenzione per i fatti altrui tradiscono sempre qualcosa che non va e, soprattutto, ottengono effetti opposti e disastrosi. Se sei vittima del classico impiccione, ecco dei validi consigli.

Li riconosci facilmente: se non li ascolti si arrabbiano
Riconoscere un vero impiccione è semplice: se non segui un suo consiglio ci resta male, se non gli fai confidenze ti critica, se non ti fai aiutare si sente inutile. È  una persona che magari per indole sarebbe anche portata ad aiutare gli altri, ma che per nevrosi lo fa in modo obbligato, quasi fosse l’unica maniera per relazionarsi. C’è qualcosa di troppo in questa sua attenzione per la tua vita, e questo “di più” è di solito dovuto ad alcuni suoi limiti. Eccoli:

Una vita vuota
Ha una vita personale scarsissima, senza interessi o passioni, e “risolve” la cosa occupandosi di una vita altrui come fosse la sua, con la presunzione di sapere sempre qualcosa più di te.

Bassa autostima
Anche se dà consigli a iosa, ha bisogno di sentirsi importante, di vedere riconosciuto il suo valore, e di sentirsi “buono e generoso”. Paradossalmente, tutti i suoi consigli fanno sentire l’altro un incapace.

Cuore in eccesso e poco metodo
Pensa, poiché ci mette il cuore, di poter dire e fare tutto. Ma non basta: bisogna calibrarsi sulla sensibilità dell’altro.

Bisogno d’amore
Crede che per essere amati si debba essere utili e così, aiutando, crea un “credito affettivo” («Con quello che ho fatto per te!»).

Dipendenza emotiva
Inconsciamente spera di tener legata a sé una persona cara rendendola dipendente dal suo aiuto. Un “doppio legame” patologico.

Così te ne difendi

Parla poco di te
A volte si racconta troppo di se stessi. Ma ogni cosa che dici per l’impiccione diventa “cibo” per le sue proiezioni mentali. Fagli invece capire che “il tuo bene” è veramente tuo quando sei tu a conquistarlo, non lui.

Non temere gli errori
Chi ti consiglia vorrebbe che tu non sbagliassi mai, vuole indicarti “la giusta via” (che lui nella sua vita non è riuscito a percorrere…). Fagli capire che gli errori sono tappe di crescita, ma devono essere i tuoi, non i suoi. Altrimenti tu non crescerai e accumulerai rabbia verso di lui.

Riduci la tolleranza
Se è arrivato a invaderti è perché glielo hai permesso. Rifletti su questa tua disponibilità che spesso non è solo buona educazione o rispetto, ma incapacità di affermare le tue scelte.

Devi essere più determinato
Ascolta e fai ciò che vuoi. Serve sempre ascoltare, basta che non sia una fiumana. Ma poi fai quello che senti e che pensi. Così, anche sbagliando, avrai sempre in mano tu il timone della tua vita. Ed è ciò che conta.

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Non giudichiamo, preghiamo per le persone che si sono tolte la vita

Posté par atempodiblog le 17 octobre 2013

 Non giudichiamo, preghiamo per le persone che si sono tolte la vita dans Diego Manetti due-solitudini-che-pensano-di-completarsi

Tre anni fa, al termine di un incontro in Piemonte, mi avvicina una donna e mi dice che vorrebbe parlarmi. Mi racconta del figlio che si è suicidato a 19 anni, si è impiccato, lasciato dalla ragazza.

Purtroppo questo qua dell’affettività è un motivo ricorrente per il semplice fatto che i nostri giovani che non hanno un centro nella vita si attaccano l’uno all’altro, due solitudini che pensano di completarsi. E spesso l’altro diventa tutto… “sei la mia vita”, “sei il mio tutto”… son sciocchezze. Ma che sei il mio tutto? Il mio Tutto è Dio. E’ l’Infinito. Tu sei una cosina piccola come me, come fai ad essere il mio tutto? Appena appena me ne rendo conto vado in crisi e se tu mi rifiuti io mi sento perso. Per queste persone così fragili il suicidio è l’unica scelta.

Bèh, questa donna mi chiama e mi dice “puoi venire a casa mia a parlare?” e così ci siam trovati lì a parlare. Sapete la cosa che mi ha stupito? Uno dice “ma chi più di una madre può amare un figlio?”, ma io ho notato una cosa, che questa donna aveva risentimento nei confronti del figlio. Non me l’ha detto, lo sentivo dalle parole… come dire: “come ti sei permesso di toglierti la vita e lasciarmi qui!”, che poco poco è quello che pensiamo quando diciamo “perché ho perso i miei cari?” e li vorremmo tirare indietro.

Io mi son permesso di dire a questa signora “preghi per poter perdonare suo figlio”, lei si è arrabbiata e ha detto “ma come? Io amo mio figlio! Tu non sai…” e io di rimando “ma scusi, scusi… si fidi. Dica una piccola preghiera, ogni giorno, ‘Gesù mio, perdonami’, ‘Gesù mio, perdonami’. Avvolgi tutti nel perdono”. E lei: “io ho già perdonato!”. Io “perdonare è una cosa che solo Dio sa fare, chiedi, ogni giorno, la grazia di perdonare”. Ha masticato amaro e me ne sono andato a casa.

Dopo un anno mi telefona e mi dice: “avevi ragione, io ho cominciato a fare questa preghiera senza crederci e poco a poco è venuto fuori che io avevo rabbia verso mio figlio perché se n’era andato. Dopo un po’ che pregavo ‘Gesù mio, perdonami’, ‘Gesù mio, perdonami’, ho cominciato a sentirmi in pace. Sono andata a confessarmi, sono ritornata a Messa, adesso canto nel coro”.

E’ un mistero che ci lega a quelli che non ci sono più e spesso lo prendiamo dalla parte degli uomini e non dalla parte di Dio. Detto questo, preghiera per tutti quelli che hanno finito la vita nel suicidio. […] Noi non sappiamo nella coscienza di chi si toglie la vita quale possibilità si gioca nell’ultimo istante. Una donna andò a confessarsi da Padre Pio in preda all’angoscia perché il marito si era tolto la vita e Padre Pio la ricevette e questa donna sfoga il suo dolore da Padre Pio e dice: “mio marito è perso” e Padre Pio gli dice “no”, lei “ma si è buttato dal ponte” e lui “ah no, perché tra il ponte e l’acqua c’è stato il tempo di un ‘Gesù mio’”. La Misericordia di Dio è un mistero. Non giudichiamo, preghiamo per le persone che si sono tolte la vita, perché la Misericordia di Dio è più grande della nostra misura. Non diamo per perso nessuno.

Tratto da una catechesi audio di Diego Manetti

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P. Cappelletti in Purgatorio: trarne esempio e sprone per la nostra redenzione

Posté par atempodiblog le 17 octobre 2013

P. Cappelletti in Purgatorio: trarne esempio e sprone per la nostra redenzione dans Festa dei Santi e dei fedeli defunti santa-veronica-giuliani

Sebbene sia stato lasciato scritto di P. Cappelletti che fu uomo e sacerdote pieno di carità verso i prossimi, mortificato e rigido verso se stesso, puntuale nell’osservanza delle regole della sua Congregazione, ed assai retto, in tutto ciò che intraprendeva per la gloria di Dio, e per la salute delle anime, Veronica conobbe il mistero che lo condusse prima della gloria eterna, a una necessaria purificazione. Ella stessa lo scrive con una semplicità e un’innocenza che fa sbalordire. Non giudica la santa, né commenta; lei tutto vede alla luce di una giustizia misericordiosa e sa che tutto torna a maggior gloria di Dio. Vediamo anche noi, senza commenti e giudizi inopportuni, quali furono le mancanze che turbarono la santa anima di Padre Cappelletti al solo scopo di trarne esempio e sprone per la nostra redenzione.

“Parvemi di capire il contenuto di quel ferraiolo così pesante che aveva il P.C. Esso significava che aveva mancato, nei sei anni di superiorato, e nel mistero della santa confessione, ed in specie, in tutto ciò che aveva lasciato passare qui da noi, non avendo levato i disordini e le cose (che erano) contro il nostro istituto; (significava anco) la troppa sollecitudine (che ebbe) nelle cose dei suoi parenti, ed altre cose a me non note. Quel denso fumo poi che gli usciva dalla bocca, proveniva dai mancamenti fatti nel santo sacrificio della Messa; in quel luogo solitario e deserto vi stava, per i piaceri che cercava la sua umanità, quando Iddio lo teneva derelitto ed arido; e (la somma di) tutte queste ore che, per tre pre il dì, mi è convenuto patire, per adempiere gli ordini della divina giustizia, era pena di varie cose che non ho modo di dire…

O Dio! Tutto ciò mi ha dato grande pena, e penso che, per causa mia, abbia patito più che per le altre. Sia lodato Dio e Maria SS.ma, che per mezzo dei suoi santissimi dolori (ha ottenuto), che egli sia a godere del Santo Paradiso! Tutto ciò mi dovrebbe servire di mutazione di vita. Se un servo di Dio così mortificato e che attendeva solo al profitto delle anime, ha patito tanto, che sarà di me che vivo cosi trascurata…?”.

Rivolgiamoci la stessa domanda, e troveremo ragione di accusare noi stessi.

S. Veronica Giuliani – Il Diario, Ed. Cantagalli. A cura di Maria Teresa Carloni

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Saper discernere

Posté par atempodiblog le 17 octobre 2013

Saper discernere dans Discernimento vocazionale d1gh

Oh! quanto piccolo è il numero delle vere Religiose che realmente possiedono lo spirito del loro stato! Ve ne è pressappoco una su cinquanta. Bisogna a tutti i costi che voi siate di codeste privilegiate!

Quanto grande è la responsabilità d’una Superiora, d’una Maestra di Novizie, d’una insegnante! Quale conto da rendere al buon Dio!

Via via che sarò liberata, m’intenderete più chiaramente, e quando lo sarò del tutto, diverrò per voi un secondo angelo custode! Ma un angelo che vedrete!

Madre… sta ancora in Purgatorio. Ella ha ammesso nella Comunità molti soggetti senza vocazione che v’introducono il rilassamento. È una grande scienza quella di saper discernere gli spiriti. Se si facesse maggiore attenzione ai soggetti che si ricevono, non si avrebbero tanti inconvenienti nelle Comunità.

di Suor Maria della Croce (Elisa Sofia Clementina Hebert) – Il manoscritto del Purgatorio

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Il Purgatorio è il luogo in cui ci si strugge nel desiderio di incontrare l’Amato

Posté par atempodiblog le 17 octobre 2013

Il Purgatorio è il luogo in cui ci si strugge nel desiderio di incontrare l'Amato dans Festa dei Santi e dei fedeli defunti lff9

Un episodio raccontato da Padre Pio a Padre Anastasio: «Una sera, mentre, solo, ero in coro a pregare, sentii il fruscio di un abito e vidi un giovane frate trafficare all’altare maggiore, come se spolverasse i candelabri e sistemasse i portafiori. Convinto che a riordinare l’altare fosse fra Leone, poiché era l’ora della cena, mi accosto alla balaustra e gli dico: “Fra Leone, vai a cenare, non è tempo di spolverare e aggiustare l’altare”.

Ma una voce, che non era quella di Fra Leone mi risponde”: “Non sono fra Leone”, “e chi sei?”, chiedo io. “Sono un vostro confratello che qui fece il noviziato. L’ubbidienza mi dette l’incarico di tenere pulito e ordinato l’altare maggiore durante l’anno di prova. Purtroppo più volte mancai di rispetto a Gesù sacramentato passando davanti all’altare senza riverire il Santissimo conservato nel tabernacolo. Per questa grave mancanza, sono ancora in Purgatorio. Ora il Signore, nella sua infinita bontà, mi manda da voi perché siate voi a stabilire fino a quando dovrò soffrire in quelle fiamme di amore. Mi raccomando…”.“Io credendo di essere generoso verso quell’anima sofferente, esclamai: “vi starai fino a domattina alla Messa conventuale”.

Quell’anima urlò: “Crudele!”. Poi cacciò un grido e sparì. Quel grido lamento mi produsse una ferita al cuore che ho sentito e sentirò tutta la vita. Io che per delega divina avrei potuto mandare quell’anima immediatamente in Paradiso, la condannai a rimanere un’altra notte nelle fiamme del Purgatorio».

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“Ti amerò per sempre”, un indizio di vita eterna

Posté par atempodiblog le 17 octobre 2013

“Ti amerò per sempre”, un indizio di vita eterna dans Diego Manetti ti-amer-per-sempre

Ricordatevi di quando avete avuto il primo incontro con persona che amate. Quando vi siete dati appuntamento per andare vedere le stelle o per andare al cinema o per andare a magiare una pizza… quello che era, e al di là di quanto fosse disgustosa la pizza neanche ve lo ricordate, ma avete il ricordo di quella sera, quando vi siete presi le mani, vi siete guardati negli occhi e vi siete detti: “ti amerò per sempre”. Anche i più scettici, anche i più sgarrupati dei ragazzi dicono “ti amerò per sempre”. Perché dici “per sempre”? Perché pensi che vivrai per sempre, perché il tuo “cuore è inquieto” finché non trova Dio e tira fuori una cosa che la tua mente ancora non conosce, una cosa che per orgoglio non accetteresti mai di dire. Quando io dico che tutti crediamo alla vita eterna non faccio violenza a nessuno, perché noi viviamo ogni giorno pensando di non morire mai.

Tratto da una catechesi di Diego Manetti

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La morte è un evento “inattendibile”

Posté par atempodiblog le 17 octobre 2013

La morte è un evento “inattendibile” dans Citazioni, frasi e pensieri vw6t

“Si è sovente detto che noi siamo nella condizione di una condannato a morte, in mezzo ad altri condannati, che non conosce il giorno della sua esecuzione, ma vede ogni giorno giustiziare i suoi compagni di prigione. Ciò non è però del tutto esatto: bisognerebbe piuttosto confrontarci ad un condannato a morte che si prepara coraggiosamente all’ultimo supplizio, che ci mette tutto il suo impegno per fare bella figura sul patibolo e che nel frattempo è portato via da una epidemia di febbre spagnola. [...] Ecco ciò che ha capito la saggezza cristiana che raccomanda di prepararsi alla morte come se questa potesse sopravvenire da un momento all’altro. La morte non può essere attesa”.

di Jean-Paul Sartre
Tratta da: L’Aldilà nei messaggi di Medjugorje. La Regina della Pace chiama l’umanità alla salvezza. Di Padre Livio con Diego Manetti. Ed. PIEMME

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Pregare per i defunti

Posté par atempodiblog le 17 octobre 2013

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“La preghiera per i defunti diventa invocazione per la loro sorte beata. Sostare davanti a una tomba può esse l’occasione di una grande revisione di vita, ci mette nella condizione più propizia per meditare sulla Parola di Dio che ci fa guardare alla meta del nostro cammino”.

Card. Agostino Vallini

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Protesi verso l’alto

Posté par atempodiblog le 17 octobre 2013

Protesi verso l’alto dans Citazioni, frasi e pensieri fk1gcl

“Se durante l’Inferno Dante esplora l’animo umano schiacciato dal peccato e dalla sofferenza, descrivendo un’umanità spietata e dolorosa nell’atto di confrontarsi con le proprie colpe, nel Purgatorio il poeta descrive un’umanità protesa verso l’alto. Consapevole dei suoi limiti, l’uomo del Purgatorio osserva il cielo con nostalgia del Paradiso e desiderio di miglioramento”.

Mons. Marco Frisina

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Odiare distrugge

Posté par atempodiblog le 17 octobre 2013

Il caso Priebke ce lo dimostra
Odiare distrugge
di Marina Corradi – Avvenire

Odiare distrugge dans Articoli di Giornali e News ezfo

Le immagini da Albano di una folla che sputa sul feretro del centenario Priebke, e prende a calci il carro funebre che lo trasporta, lasciano addosso un malessere, un’ombra di sgomento a chi le guarda nei telegiornali. Viviamo in un Paese generato da un tessuto antico, e uno dei fili di questa trama è il virgiliano parce sepulto, pietà per chi è morto. E ben sapendo chi era il capitano delle SS Erich Priebke, e che cosa orribilmente ha fatto, e che 335 furono le vittime innocenti alle Fosse Ardeatine, colpisce che settant’anni dopo la rabbia sia tanto viva e cocente da non fermarsi, incontrollabile, davanti a una bara.

Ma per capire i tafferugli di Albano occorre pensare che Erich Priebke, sì, è morto, ma gli ambienti neonazisti a lui vicini volevano usare il suo funerale per far rumore tra i vivi; e che lo stesso capitano delle SS e primo responsabile della strage delle Fosse Ardeatine, si è lasciato dietro una intervista-testamento in cui in sostanza nega l’Olocausto e afferma di volere restare fedele a ciò che è stato. Allora si intuisce come la richiesta di un pubblico funerale in chiesa cercasse non pietà, ma un palcoscenico per una rivendicazione politica, e perché la Chiesa di Roma non abbia acconsentito a questa richiesta.

Saggiamente, si può dire, guardando la gazzarra attorno a un morto, e i saluti fascisti da una parte, e dall’altra la furia della piazza che gridava: «Fatelo benedire a noi». E tra quelli che alzavano una mano nel saluto romano c’erano facce di ragazzi, così fieri, così certi di aver capito la storia; e tra quelli che sputavano sul carro funebre c’erano uomini con i capelli grigi, da cui ti aspetteresti, davanti alla morte, una frazione di istante almeno di silenzio. Chiunque sia il morto, e qualunque cosa abbia fatto, silenzio. Non tanto per lui, quanto per il mistero che ha varcato; e l’arrestarsi delle parole e delle ingiurie, nella certezza che ora chi è morto è davanti a ben altro giudizio.

Invece, quella piazza di Albano è sembrata il teatro di una parallela amnesia.

Proprio alla vigilia dell’anniversario della deportazione degli ebrei romani, oltre mille dei quali non fecero ritorno, una indecente amnesia del vertiginoso male che è stato il nazismo e dell’immane crimine che è stata la Shoah. Ma, dall’altra parte della piazza, pure smemoratezza: dell’anima cristiana, del parce sepulto, dell’antico imperativo di smettere di ingiuriare, quando il nemico è morto.

Che Erich Priebke, classe 1913, nazista a vent’anni, non fosse pentito e anzi rivendicasse con orgoglio la sua storia, lo dimostra il « testamento » con cui sembra volere vivere, e provocare, anche da morto. Accettabile allora che nell’ultimo viaggio al suo feretro abbiano sputato addosso? No, e forse anche quelli che l’hanno fatto, ripensandoci, ne provano una confusa vergogna. In fondo, è un mondo come se Dio non esistesse, quello che ad Albano è stato rappresentato nell’ora di un funerale.

Con uomini che senza timore di Dio inneggiano al male, e altri che si scagliano contro un morto. Il mondo come sarebbe senza Dio e senza più umanità, proprio secondo il disegno di Hitler, dentro a una storia definita solo da uomini testardi nella ferocia e implacabili nell’odio. Ci è venuta in mente, guardando quella scena, una frase di Etty Hillesum, ebrea olandese morta ad Auschwitz a 29 anni, ricordata da Benedetto XVI in una delle sue ultime udienze.

Per le strade di Amsterdam, mentre già le deportazioni erano iniziate, Etty discuteva appassionatamente con un amico, vecchio militante comunista: «Vedi Klaas – dice Etty – non si combina niente con l’odio. Ognuno deve distruggere in se stesso ciò che vorrebbe distruggere negli altri. (…) Ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende più inospitale». Quei calci, quegli sputi su una bara, di che capacità di violenza raccontano, in una folla di onesti cittadini. E gli altri, con la mano lugubremente alzata nel saluto romano, settant’anni dopo. In una piazza italiana, il dramma di una smemoratezza parallela.

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Santa Margherita Maria Alacoque

Posté par atempodiblog le 16 octobre 2013

Santa Margherita Maria Alacoque

Santa Margherita Maria Alacoque dans Paray le Monial Qui-sopra-Margherita-a-soli-quattro-anni-impara-a-pregare-nel
Qui sopra, Margherita, a soli quattro anni, impara a pregare nel castello di Corcheval

Nacque nel 1647 nella diocesi di Autun in Francia. Accolta tra le suore della Visitazione di Paray-le-Monial, percorse rapidamente la via della perfezione. Ricevette mistiche rivelazioni, particolarmente sulla devozione verso il Cuore di Gesù, e lavorò molto per introdurne il culto nella Chiesa. Morì il 17 ottobre del 1690.

Con-gli-occhi-fissi-sul-campanile-della-chiesa-dove-sa-che-Ges dans Sacri Cuori di Gesù e Maria
Con gli occhi fissi sul campanile della chiesa, dove sa che Gesù è presente, Margherita è assorta nella preghiera e non sente i richiami del fratello

È il 27 dicembre 1673, festa di S. Giovanni evangelista. La venticinquenne Suor Margherita Maria è raccolta in adorazione davanti al SS. Sacramento nella cappella del monastero della Visitazione di Paray-le-Monial, in Francia. All’improvviso il suo corpo diventa insensibile, mentre lo spirito si ravviva e acquista una lucidità fuori del comune. In lei sta avvenendo qualcosa di straordinario. Riferisce: “mi sentii tutta investita dalla divina presenza”. Poi vide Lui, circonfuso di luce e di gloria, e raccolse il suo messaggio: “Questo mio Cuore brucia di tanto amore per te e per gli uomini che non posso più contenerlo. È necessario che sia fatto conoscere a tutti, perché tutti siano ricolmi dei miei benefici”. È l’inizio di una serie di manifestazioni visibili di Gesù che, per circa tre anni, si ripeteranno ogni primo venerdì del mese. Grazie straordinarie che infiammano una esistenza, tutto sommato, ordinaria. La vita di suor Margherita, infatti, fino a quel giorno non aveva proprio nulla di particolare, se non povertà, sofferenze e anonimato.

Margherita-Maria-entra-nel-monastero-della-Visitazione-il-25-mag dans San Claudio de la Colombière
Margherita Maria entra nel monastero della Visitazione il 25 maggio 1671

Nata nel 1647, in uno sperduto villaggio francese, è la quinta di sette figli. La sua giovinezza non è facile: rimasta orfana di padre all’età di otto anni, Margherita cresce “senz’altra educazione che quella che veniva dalla servitù e dai contadini”, come ella stessa riferisce nella sua Autobiografia. La madre, spesso malata, è in balia di alcuni parenti che si comportano in modo rozzo e dispotico, non risparmiando insulti e perfino maltrattamenti. La convivenza con la famiglia paterna è “una guerra continua”, Margherita e sua madre sono “ridotte alla più dura schiavitù”. Per le gravi ristrettezze economiche viene affidata a una comunità di clarisse: vi rimane solo due anni a causa di una grave malattia reumatica che rischia di immobilizzarla: “Le ossa doloranti sembravano conficcarsi nella pelle per tutto il corpo”, scriverà più tardi. Guarisce e in lei si fa strada, tenacemente, il richiamo della vita consacrata. Ostacolata dai familiari che la spingono al matrimonio ha qualche incertezza: è il periodo della mondanità, dei vestiti eleganti, delle feste e dei ricevimenti, ma poi il richiamo dello Sposo celeste è troppo forte e insistente.

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Margherita Maria, immersa nella preghiera, si dimentica di controllare che l’asina e il puledro non bruchino nell’orto del monastero. Ma gli animali non combinano nessun guaio

Il 20 giugno 1671, a 24 anni, Margherita entra nel convento di Paray-le-Monial, nell’ordine contemplativo delle Visitandine. Qui vivrà per 19 anni, fino alla morte. La vita in convento non è facile. Spesso viene umiliata dalle consorelle che la considerano sbadata, squilibrata, “visionaria”. Alcune, nel sentire ciò che ella riferisce della sua vita spirituale, si indignano, la trattano da pazza, da posseduta dal demonio: arrivano a spruzzarle addosso dell’acqua benedetta. La stessa Margherita teme di essere ingannata e di ingannare a sua volta: “Piangevo in continuazione, non riuscendo in alcun modo a sottrarmi alla potenza di quello Spirito sovrumano che agiva in me”. Intanto continuano le straordinarie rivelazioni che procurarono a suor Margherita sofferenze e incomprensioni.

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Gesù appare a Margherita Maria

Nella più celebre delle visioni Gesù le si mostrò con il petto aperto, dentro il quale essa vide il Cuore divino consumato da fiamme e circondato di spine. In uno dei colloqui lo Sposo le chiede di farsi apostola della riparazione e di impegnarsi per istituire la festa del Sacro Cuore il venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini. Così farà, con l’aiuto provvidenziale di un altro santo, il gesuita Claudio de la Colombière, suo direttore spirituale. Le rivelazioni non la esaltano. Lo stesso Sposo la mette in guardia: “Non fare nulla senza l’approvazione di chi ti guida, per avere con te l’autorità dell’obbedienza”. Quando si tratta di scegliere tra un comando di Gesù e quello della Superiora non ha dubbi: preferisce obbedire alla Superiora. Umiltà e obbedienza, preghiera e sacrificio. La sua vita ascetica ha dei tratti impressionanti. Scrive: “Legavo il mio corpo con corde nodose, serrando così forte che, a mala pena, riuscivo a respirare e mangiare. Lasciavo le corde tanto a lungo in quello stato che alla fine esse affondavano nella carne che vi ricresceva sopra; e quando andavo a toglierle, le dovevo strappare a viva forza e fra immani sofferenze”. Altrove, narrando una delle sue esperienze mistiche, Margherita confessa: “Ero convinta che nella mia vita non ci fossero abbastanza sofferenze, né sufficienti umiliazioni e nulla sembrava bastare alla mia immensa voglia di patire. La sofferenza maggiore era quella di non soffrire abbastanza”.

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Margherita Maria, maestra delle novizie, riceve in dono da esse un disegno del Sacro Cuore

A poco a poco, nella comunità, la diffidenza nei suoi confronti viene vinta, l’indifferenza scossa: si capisce che Margherita, oltre ad avere il privilegio di comunicazioni straordinarie da parte di Dio, è una religiosa ricca di esperienza e degna di fiducia. Viene così eletta Maestra delle novizie. Le giovani allieve l’amano e la ammirano: “Ci farà diventare sante, anche nostro malgrado”, afferma una di loro. Il 22 luglio 1690 comincia gli esercizi spirituali che dureranno quaranta giorni. In un ultimo gesto di offerta affida la sua vita al Cuore di Gesù.

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Papa Clemente XIII istituisce il 6 febbraio 1765 la festa del Sacro Cuore e Pray-le-Monial diviene meta di pellegrinaggi

L’8 ottobre si ammala. Il medico è convinto che guarirà anche questa volta. Margherita sa invece che la sua ora è venuta e chiede gli ultimi sacramenti. Le sue ex novizie la vegliano di continuo. A una di esse chiede di bruciare tutto quello che il suo confessore le aveva chiesto di scrivere sulla sua esperienza spirituale. La giovane è esitante: sa che tutti quei manoscritti sono un vero tesoro per la Congregazione e per la Chiesa e allora le chiede di rinunciare anche a quest’ultimo desiderio e di lasciare la decisione alla Superiora. La Maestra delle novizie, sul letto di morte, obbedisce a una sua alunna. Muore poco dopo, il 17 ottobre, a 43 anni, pronunciando il nome di Gesù.
All’indomani della morte, dietro richiesta di numerosi fedeli che desideravano avere qualche ricordo di Margherita, alcune consorelle entrarono nella sua celletta in cerca di piccoli oggetti: non fu trovato nient’altro che il libro delle Regole e il flagello. Margherita, che aveva contemplato la bellezza e la pienezza del cielo, parlando cuore a cuore con il suo Signore, era ricca solo di Dio, e questo le bastava: “Il cuore divino è un oceano pieno di tutte le cose buone; lì le anime povere possono gettare le loro necessità: è un oceano pieno di gioia dove far annegare tutta la nostra tristezza, un oceano di umiltà dove far annegare il nostro orgoglio, un oceano di misericordia per quelli che sono nell’angoscia, un oceano d’amore in cui immergere le nostre miserie” (S. Margherita Maria Alacoque). Memoria Liturgica: 16 ottobre.

di Alessandro Belano fdp
Tratto dalla Rivista “Don Orione Oggi” (2004)
In questo articolo (fonte 30Giorni) alcune immagini di Mauro Cavallini, tratte dal libro “Santa Margherita Maria”, Editions du Signe, Strasbourg 2000.

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Bergoglio è ratzingeriano

Posté par atempodiblog le 15 octobre 2013

Bergoglio è ratzingeriano
Benedetto non è la sua caricatura dogmatica. E la Grazia agostiniana di Francesco è tesoro comune
di Maurizio Crippa – Il Foglio

Bergoglio è ratzingeriano dans Articoli di Giornali e News g4d2
Piero della Francesca, “Il sogno di Costantino”. Affresco nel ciclo della “Leggenda della vera Croce”. Arezzo, basilica di San Francesco (1458-1466)

Questo articolo non parla di Papa Francesco. Bisognerebbe saperne una più del diavolo sul discernimento e la coscienza, sulla povertà, sui sinodi e il magistero, sull’estetica del bagaglio a mano. Questo articolo non parla di Papa Francesco, se non altro perché inizia qualche secolo prima. E’ stato Agostino nella “Città di Dio”, di fronte al Sacco di Roma del 410 e alle accuse dei pagani – ma come, abbiamo pregato il vostro Dio, e questo è il risultato? – a fissare il punto decisivo: nessuna città terrena potrà mai essere la realizzazione della Città di Dio. Due amori differenti le convocano, l’amore di sé e dei beni materiali raduna i cittadini nella Civitas terrena, la Grazia raduna gli uomini in quella di Dio.

Per leggere l’articolo cliccare qui 2e2mot5 dans Diego Manetti Bergoglio è ratzingeriano

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Breve ritratto di Santa Teresa d’Avila, dottore della Chiesa

Posté par atempodiblog le 14 octobre 2013

Breve ritratto di Santa Teresa d’Avila, dottore della Chiesa dans Libri coec

Santa Teresa d’Avila, riformatrice del Carmelo, fondatrice dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi. Una donna che poteva dire, nel pieno della sua poderosa attività: “Non mi ricordo d’essermi mai lagnata. In questo senso, io non sono affatto donna. Ho il cuore duro”. Ma il suo cuore non era duro; era grande, e la magnanimità, unita alla umiltà, forma il carattere di questa grande mistica, che avvertiva costantemente accanto a sé la presenza di Dio e al tempo stesso, da grande asceta, la vicinanza del demonio.

Usciva da un’importante famiglia spagnola, nel tempo in cui la Spagna dominava il mondo. Il fratello del suo padrino fu il primo Viceré del Perù.
Entrata giovanissima nel Carmelo, fino a quarant’anni condusse una vita religiosa molto mitigata, per non dire mediocre, senza ardore di santità. Ma nel 1555, la carmelitana tiepida cessò di vivere per sé, e in lei cominciò a vivere Dio. Trasverberata dal fuoco divino, non conobbe incertezze, non ebbe debolezze, non temette avversità, persecuzioni e persino condanne, da parte dei “Carmelitani Calzati”, i quali le opposero una durissima resistenza.

Ella diceva: “Nostro Signore chiede e ama anime coraggiose, per quanto umili. Nella vita spirituale occorre intraprendere grandi cose”. Da parte sua, intraprese “grandi cose” attuando la riforma del Carmelo, anzi la fondazione di nuovi conventi, maschili e femminili, nei quali l’ascetismo non fosse una parola priva di significato.

Si mise a viaggiare, ella che amava la vita comoda, sopportando fatiche e disagi, nonostante la sua salute malferma e i continui disturbi. Ferita a una gamba, si rivolgeva a Dio con schiettezza di donna risoluta: “Signore, dopo tante noie, ci voleva anche questo guaio!”. Dio le rispose: “Teresa, io tratto così i miei amici”. E lei, di rimando: “Ah, Dio mio, ora capisco perché ne avete così pochi!”.

Qual fosse la sua attività d’instancabile fondatrice di Carmeli riformati, lo si può apprendere dalla Vita scritta da lei stessa: uno dei libri di avventura spirituale più coloriti e più sinceri. Fu la “mamma” di tutti i Carmelitani Scalzi, che si lasciarono guidare da lei, guidata da Dio per mezzo di visioni e intimi colloqui. Fu maestra di mistici, come il poeta San Giovanni della Croce. Fu direttrice di coscienze. Scrisse al Re Filippo II e ai personaggi più autorevoli della Spagna. Si occupò di tutto e, da brava madre, pensò anche alla parte economica delle sue fondazioni. “Teresa senza la grazia di Dio - diceva - è una povera donna. Con la grazia di Dio, una forza. Con la grazia di Dio e molti denari, una potenza”. E Santa Teresa fu veramente una potenza, che trascinò gran numero di anime elette nel vortice della sua passione mistica e ascetica. Fu definita “l’onore della Spagna e della Chiesa”. Ma più che onore, bisognerebbe parlare di amore, perché Santa Teresa morta nel 1582, a sessantasette anni fu esempio perfetto di “sposalizio spirituale” con Dio ed è stata proclamata dottore della Chiesa.

Tratto da: Mille santi del giorno di Piero Bargellini, Vallecchi Editore

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