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Solo Dio è autentico dispensatore della giustizia

Posté par atempodiblog le 27 octobre 2013

Sui sentieri della Parola: Il fariseo e il pubblicano: la superbia e la verità
Solo Dio è autentico dispensatore della giustizia
di Mons. Marco Frisina – RomaSette

Solo Dio è autentico dispensatore della giustizia dans Commenti al Vangelo ut1r

In questi tempi si sente spesso parlare di giustizia: molti sono impegnati nel giustificare le proprie azioni, altri sono pronti ad accusare gli altri di vere o presunte colpe e chi lo fa si sente sempre con le “mani pulite” e pretende che gli venga riconosciuta l’innocenza. Ma la giustizia è altro e solo Dio ne è autentico dispensatore. Quando noi giudichiamo il prossimo lo facciamo per proclamare la nostra innocenza e ci poniamo al di sopra degli altri sostituendoci a Dio. Nella parabola del fariseo e del pubblicano Gesù ci presenta proprio questa situazione, un uomo “per bene” che giudica un povero peccatore. Sulla bilancia della sua personale giustizia egli pone da una parte se stesso e il suo non essere “come gli altri uomini”, dall’altra parte pone il pubblicano con la sua inettitudine e miseria. Ma la verità del pubblicano attira lo sguardo di Dio che esaudisce la richiesta di perdono e lo giustifica concedendogli la sua misericordia. Il fariseo è così superbo da credere di non dover chiedere il perdono e per questo non lo ottiene.

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Le vetrate delle chiese

Posté par atempodiblog le 27 octobre 2013

Le vetrate delle chiese  dans Citazioni, frasi e pensieri w1vm

«Le vetrate delle chiese possono manifestare che nella creazione tutto esiste solo grazie alla luce che viene dall’esterno, che tutto si rianima solo grazie a una fonte luminosa che proviene da un mondo che è oltre, e che, se la fonte si esaurisce, scompare. Le vetrate mostrano letteralmente che la vita delle cose è possibile solo alla luce del sole, solo sotto lo sguardo del Signore, e che le stesse cose illuminate dalla luce artificiale che viene dall’interno, appaiono oscure e vaghe. Basta che il Signore si giri, perché la vita delle cose si spenga, la loro carne scompaia, la forma si corroda».

di Tat’jana Kasatkina – “Dostojevskij – Il sacro nel profano”

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Col suo Hobbit, Tolkien ha tenuto testa anche ai razzisti del Terzo Reich

Posté par atempodiblog le 26 octobre 2013

Col suo Hobbit, Tolkien ha tenuto testa anche ai razzisti del Terzo Reich
di Edoardo Rialti – Il Foglio

Col suo Hobbit, Tolkien ha tenuto testa anche ai razzisti del Terzo Reich dans John Ronald Reuel Tolkien n7ms“E’ pericoloso fare previsioni, ma potrebbe rivelarsi un classico”: è con queste parole che l’amico C. S. Lewis concludeva la sua recensione – il 2 ottobre 1937 per il Times Literary Supplement – de “Lo Hobbit” di J. R. R. Tolkien. Sono passati più di settant’anni, e alla prima neozelandese dell’adattamento cinematografico di Peter Jackson, c’erano oltre centomila persone. Una “festa a lungo attesa” – a citare “Il Signore degli anelli” dello stesso Tolkien, che nello scrivere quella che era nata come semplice narrazione della buonanotte per i suoi bambini si trovò per primo esposto e coinvolto in un viaggio narrativo dalle conseguenze inimmaginabili, che vide affiorare nella sua immaginazione un affresco sempre più vasto: “Quella del signor Baggins è iniziata come storia comica fra convenzionali e inconsistenti gnomi usciti dalle fiabe dei fratelli Grimm eppoi è arrivata ai limiti estremi della fiaba – tanto che alla fine perfino Sauron il terribile vi fa capolino”.

Fu sempre la finezza critica di Lewis a notare come la vicenda del piccolo e comico Hobbit coinvolto nel riscatto del tesoro usurpato dal drago Smaug – il più bel drago letterario che un amante di fiabe abbia mai incontrato, con la sua parlata magnifica e crudele – si facesse pagina dopo pagina sempre più epica e drammatica, tanto che persino il linguaggio si fa sempre più affine a quello delle heimsokn norrene, alle battaglie e al sentenziare nobile e austero delle contese legali nelle saghe antiche come quelle di Njall o Egill – “Vorrei inoltre chiedere quale parte della loro eredità avreste pagato ai nostri consanguinei, se aveste trovato il tesoro incustodito e noi uccisi” – e come, senza mai perdere il suo umoristico contrasto tra la tensione degli eventi e la comica inadeguatezza del suo protagonista, che da buon gentiluomo di campagna inglese si preoccupa spesso di non smarrire il fazzoletto per soffiarsi il naso, “bisogna leggere il libro personalmente per scoprire come questa mutazione sia inevitabile e come prenda velocità assieme al viaggio dell’eroe”.

E una contesa aspra come quelle che infiammavano i vichinghi, seppure condotta stavolta in punta di penna anziché di spada, aspettava proprio lo stesso Tolkien, e il suo libro, che attirò l’attenzione degli editori tedeschi Ruetten e Loening. Questi si dissero disponibili a intraprendere la traduzione del libro e ad acquistarne i diritti, cosa che non avrebbe significato poco per un semplice professore universitario dalla famiglia numerosa, che aveva già messo le mani avanti sulla possibilità di sottoporlo agli “studi della Disney (per tutte le opere della quale ho un odio sentito)”. La casa editrice tedesca, secondo le leggi del Reich, chiese a Tolkien un certificato o una auto attestazione di razza arisch, cosa che in effetti il suo cognome lasciava ben sperare. La risposta di Tolkien è un piccolo capolavoro. Alla buona creanza – “Grazie per la vostra lettera” – segue una sistematica distruzione filologica delle confuse mitologie di Hitler e compagni: “Temo di non aver capito chiaramente che cosa intendete per arisch. Io non sono di origine ariana, cioè indo-iraniana; per quanto ne so, nessuno dei miei antenati parlava indostano, persiano, gitano o altri dialetti derivati”. Fino alla stoccata finale: “Ma se voi volevate scoprire se sono di origine ebrea, posso solo rispondere che purtroppo tra i miei antenati non ci siano membri di quel popolo così dotato”.

Tolkien certamente amava la cultura tedesca e si diceva fiero delle sue origini, ma, se queste dovranno farsi indistinguibili dalla “completa perniciosità e non scientificità della dottrina della razza”, allora mancherà davvero “poco al giorno in cui un nome germanico non sarà più motivo di orgoglio”. Aveva ragione Thorin il re dei nani quando, agonizzante, fissa negli occhi l’impacciato Hobbit Bilbo, che piange perché l’amico, dopo anni di esilio e di lotte, come Mosè o i monarchi scandinavi, si vede scivolare via ciò per cui aveva tanto lottato, e morendo lo conforta: “In te c’è più di quanto tu sappia, figlio dell’occidente cortese”. Era vero: lo Hobbit non aveva tenuto la testa solo a Smaug il Magnifico o alla gara di indovinelli di Gollum, ma anche al Terzo Reich.

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Potete eludere la Vita, ma non la Morte

Posté par atempodiblog le 25 octobre 2013

Potete eludere la Vita, ma non la Morte dans Citazioni, frasi e pensieri 8uto

O anima mia, che tu sia pronta per la venuta della Straniera,
Che tu sia pronta per colei che sa come fare domande.
O stanchezza di uomini che vi stornate da Dio,
Per la grandezza della vostra mente e la gloria della vostra azione,
Per le arti e le invenzioni e le imprese temerarie,
Per gli schemi della grandezza umana del tutto screditata
Che riducete la terra e l’acqua al vostro servizio,
Che sfruttate i mari e sviscerate le montagne,
Che dividete le stelle in comuni e preferite,
Impegnati a ideare il frigorifero perfetto,
Impegnati a risolvere una morale razionale,
Impegnati a stampare più libri che potete,
A far progetti di felicità e a buttar via bottiglie vuote,
Passando dalla vacuità ad un febbrile entusiasmo
Per la nazione o la razza o ciò che voi chiamate umanità;
Sebbene abbiate dimenticato la via al Tempio,
V’è una che ricorda la via alla vostra porta:
Potete eludere la Vita, ma non la Morte.
Non rinnegherete la Straniera.

di Thomas Stearns Eliot
Tratto da: I cori della Roccia

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Il diritto (e il dovere) del Logos. “La fede è una festa della ragione”. L’errore di quelli che attaccano il Papa e l’errore di ‘Avvenire’ nella risposta

Posté par atempodiblog le 25 octobre 2013

Il diritto al Logos
Da un cattolico la cui fede è “festa della ragione” prima che dei sentimenti. Il giornale dei vescovi ha sbagliato nella polemica con i tradizionalisti

Il diritto (e il dovere) del Logos. “La fede è una festa della ragione”. L'errore di quelli che attaccano il Papa e l'errore di 'Avvenire' nella risposta dans Alessandro Gnocchi ncwaAl direttore - Mi spiace per Gnocchi e Palmaro, ma un cattolico non può irridere il Papa o accusarlo di eresia con la leggerezza di un articoletto di giornale. Certo, la chiesa non è una caserma e – nella libertà dei figli di Dio – si può dire tutto, ma con rispetto e responsabilità. Magari anche con dolore. Si può e si deve brindare prima alla propria coscienza e poi al Papa, come insegnava il cardinale Newman. Ma trasformando la propria “Opinione” nel magistero supremo si rischia di mettersi da soli fuori dalla chiesa (non solo fuori da Radio Maria).

Quanto all’ormai famosa omelia di Francesco del 17 ottobre, contro il cristiano che trasforma la fede in ideologia, penso si tratti anzitutto di una messa in guardia da una certa mentalità lefebvriana, la quale sostituisce il Vangelo con il Denzinger (“Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum”, pubblicato nel 1854, ndr). E ritengo sia un richiamo prezioso. Perché la salvezza è una persona: Gesù Cristo. Non una formula. Ma ciò non significa affatto che il Papa insegni una fede che fa a meno dell’ortodossia. Lo dimostra il suo magistero. Dunque non si può liquidare spensieratamente il tema della dottrina come sembra fare l’editoriale di Avvenire di venerdì scorso.

In quell’articolo, Stefania Falasca, presentata come esegeta del Papa, con un’impropria citazione di De Lubac squalifica come “specialisti del Logos” coloro che si richiamano all’ortodossia dottrinale (che comprende la morale), contrapponendo a essi una generica “tenerezza”, come se Gesù Cristo, che è la misericordia fatta carne, non avesse affermato la sua pretesa divina davanti al mondo: “Io sono la verità” (Gv 14,6). Il documento di ieri sui divorziati risposati del prefetto della Dottrina della fede Müller (chiaramente voluto dal Papa) è esemplare su questo. E mette in guardia da “un falso richiamo alla misericordia”, dimostrando che la contrapposizione di “tenerezza” e dottrina, fatta da Avvenire, non corrisponde al magistero di Francesco. Né al magistero costante della chiesa e dei papi. Infatti lei, direttore, aveva giustamente risposto ad Avvenire che “uno specialista universalmente riconosciuto del Logos abita orante le emerite stanze del Vaticano” (è Joseph Ratzinger).

Il Papa del Concilio Vaticano II, Paolo VI (che è anche il papa dell’Humanae vitae) nel discorso del 19 gennaio 1972, mettendo in guardia da “errori che hanno circolato e tuttora affiorano nella cultura del nostro tempo, e che potrebbero rovinare totalmente la nostra concezione cristiana della vita e della storia”, spiegava: “Il modernismo rappresentò l’espressione caratteristica di questi errori, e sotto altri nomi è ancora d’attualità. Noi possiamo allora comprendere perché la chiesa cattolica, ieri e oggi, dia tanta importanza alla rigorosa conservazione della Rivelazione autentica, e la consideri come tesoro inviolabile, e abbia una coscienza così severa del suo fondamentale dovere di difendere e di trasmettere in termini inequivocabili la dottrina della fede; l’ortodossia è la sua prima preoccupazione; il magistero pastorale la sua funzione primaria e provvidenziale; l’insegnamento apostolico fissa infatti i canoni della sua predicazione; e la consegna dell’Apostolo Paolo: Depositum custodi (1 Tim. 6, 20; 2 Tim. 1, 14) costituisce per essa un tale impegno, che sarebbe tradimento violare. La chiesa maestra non inventa la sua dottrina; ella è teste, è custode, è interprete, è tramite; e, per quanto riguarda le verità proprie del messaggio cristiano, essa si può dire conservatrice, intransigente; e a chi la sollecita di rendere più facile, più relativa ai gusti della mutevole mentalità dei tempi la sua fede, risponde con gli Apostoli: Non possumus, non possiamo (Act. 4, 20)”. Già prima, in un discorso del 20 maggio 1970, aveva mostrato che la drammatica crisi della fede era provocata non solo da cattiva teologia, ma da cattiva filosofia, cioè da un relativismo che distrugge la razionalità: “Oggi la verità è in crisi. Alla verità oggettiva, che ci dà il possesso conoscitivo della realtà, si sostituisce quella soggettiva: l’esperienza, la coscienza, la libera opinione personale, quando non sia la critica della nostra capacità di conoscere, di pensare validamente. La verità filosofica cede all’agnosticismo, allo scetticismo, allo ‘snobismo’ del dubbio sistematico e negativo. Si studia, si cerca per demolire, per non trovare. Si preferisce il vuoto. Ce ne avverte il Vangelo: ‘Gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce’ (Io. 3, 19). E con la crisi della verità filosofica (oh! dov’è svanita la nostra sana razionalità, la nostra philosophia perennis?) la verità religiosa è crollata in molti animi, che non hanno più saputo sostenere le grandi e solari affermazioni della scienza di Dio, della teologia naturale, e tanto meno quelle della teologia della rivelazione; gli occhi si sono annebbiati, poi accecati; e si è osato scambiare la propria cecità con la morte di Dio”.

Paolo VI proseguiva: “Così la verità cristiana subisce oggi scosse e crisi paurose. Insofferenti dell’insegnamento del magistero, posto da Cristo a tutela e a logico sviluppo della sua dottrina, ch’è quella di Dio (Io. 7. 12; Luc. 10, 16; Marc. 16, 16), v’è chi cerca una fede facile vuotandola, la fede integra e vera, di quelle verità, che non sembrano accettabili dalla mentalità moderna, e scegliendo a proprio talento una qualche verità ritenuta ammissibile (selected faith); altri cerca una fede nuova, specialmente circa la chiesa, tentando di conformarla alle idee della sociologia moderna e della storia profana (ripetendo l’errore d’altri tempi, modellando la struttura canonica della chiesa secondo le istituzioni storiche vigenti); altri vorrebbero fidarsi d’una fede puramente naturalista e filantropica, d’una fede utile, anche se fondata su valori autentici della fede stessa, quelli della carità, erigendola a culto dell’uomo, e trascurandone il valore primo, l’amore e il culto di Dio; ed altri finalmente, con una certa diffidenza verso le esigenze dogmatiche della fede, col pretesto del pluralismo, che consente di studiare le inesauribili ricchezze delle verità divine e di esprimerle in diversità di linguaggio e di mentalità, vorrebbero legittimare espressioni ambigue ed incerte della fede, accontentarsi della sua ricerca per sottrarsi alla sua affermazione, domandare all’opinione dei fedeli che cosa vogliono credere, attribuendo loro un discutibile carisma di competenza e di esperienza, che mette la verità della fede a repentaglio degli arbitri più strani e più volubili. Tutto questo avviene quando non si presta l’ossequio al magistero della Chiesa, con cui il Signore ha voluto proteggere le verità della fede (Cfr. Hebr. 13, 7; 9, 17)”. Concludeva richiamando al coraggio della testimonianza: “Ma per noi che, per divina misericordia, possediamo questo scutum fidei, lo scudo della fede (Eph. 6, 16), cioè una verità difesa, sicura e capace di sostenere l’urto delle opinioni impetuose del mondo moderno (Cfr. Eph. 4, 14), una seconda questione si pone, quella del coraggio: dobbiamo avere, dicevamo, il coraggio della verità. (…) E aggiungeremo che questo coraggio della verità è domandato principalmente a chi della verità è maestro e vindice, esso riguarda anche tutti i cristiani, battezzati e cresimati; e non è un esercizio sportivo e piacevole, ma è una professione di fedeltà doverosa a Cristo e alla sua chiesa, ed è oggi servizio grande al mondo moderno, che forse, più che noi non supponiamo, attende da ciascuno di noi questa benefica e tonificante testimonianza”.

C’è un’ultima illuminante pagina di Paolo VI, dove faceva un amaro bilancio del Concilio, conclusosi da cinque anni, constatando che le attese erano state deluse. Scrisse: “Ecco che molti fedeli sono turbati nella loro fede da un cumulo di ambiguità, d’incertezze e di dubbi che la toccano in quel che essa ha di essenziale. Tali sono i dogmi trinitario e cristologico, il mistero dell’Eucaristia e della presenza reale, la Chiesa come istituzione di salvezza, il ministero sacerdotale in mezzo al popolo di Dio, il valore della preghiera e dei sacramenti, le esigenze morali riguardanti, ad esempio, l’indissolubilità del matrimonio o il rispetto della vita umana. Anzi, si arriva a tal punto da mettere in discussione anche l’autorità divina della Scrittura, in nome di una radicale demitizzazione. Mentre il silenzio avvolge a poco a poco alcuni misteri fondamentali del cristianesimo, vediamo delinearsi una tendenza a ricostruire, partendo dai dati psicologici e sociologici, un cristianesimo avulso dalla Tradizione ininterrotta che lo ricollega alla fede degli Apostoli, e ad esaltare una vita cristiana priva di elementi religiosi”.

Condividendo questo giudizio storico di Paolo VI, due uomini del Concilio come Wojtyla e Ratzinger hanno improntato i loro pontificati al ritrovamento del vero Concilio, sulla linea della ininterrotta tradizione della Chiesa. E la rinascita cristiana che è iniziata dagli anni Settanta mostra che la fedeltà all’ortodossia è tutt’altro che chiusura. Chi ci è stato maestro nella fede – penso a don Giussani – non è stato un “paladino del picchetto” (per usare una formula della Falasca). Ma l’esatto contrario. Proprio perché radicato nell’ortodossia cattolica ha potuto insegnarci un’apertura totale a ciò che è umano, permettendo a migliaia di giovani post ’68 di scoprire e amare Cristo. Con una fede piena di ragioni che sa parlare al nostro tempo. Non a caso don Giussani è stato amico di altri maestri del Logos come Ratzinger, De Lubac e Balthasar, ai cui scritti ci siamo poi abbeverati.

C’è un piccolo episodio rivelatore nella monumentale biografia del Gius, appena pubblicata da Alberto Savorana. Giussani un giorno raccontò che aveva in una sua classe del liceo il figlio dello scultore Pio Manzù. Il giovanotto tornava a casa con pagine e pagine di appunti delle vertiginose lezioni del Gius, che faceva battere i loro cuori con le grandi domande dell’umano, da Pavese a Leopardi a Beethoven, che parlava di Gesù (l’unico ad aver detto: Io sono la risposta) a quei ragazzi alla ricerca del senso delle cose. Il suddetto figlio di Manzù era però amico di un altro prete il quale vedendo quegli appunti prese ad aizzarlo contro il Gius dicendogli: “Vedi quanto complica (questo Giussani)… invece la religione è semplice”. Egli sosteneva che “le ragioni complicano”. E “quanti direbbero così!”, commentava il Gius, che poi aggiungeva con forza: “Invece no, la ricerca delle ragioni non complica, ma illumina!”. Quel prete antagonista del Gius, che già allora ce l’aveva con i maestri del Logos, degradava il cristianesimo a banale sentimentalismo, incapace di rispondere alla sete di verità degli uomini. Giussani commentava: “E’ per quella impostazione che Cristo non è più autorità, ma un oggetto sentimentale e Dio è uno spauracchio e non un amico”. E per questo “la fede diventa arida e difficile, perché diventa un peso e un condizionamento invece che una strada su cui correre”. E qui Giussani se ne uscì con un’immagine bellissima: “La fede è una festa della ragione”. Ovvero, una festa del Logos. In perfetta consonanza con Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e tutto il magistero. Compreso Francesco.

Bergoglio del resto ha scoperto don Giussani negli anni Novanta e ha dichiarato di averlo sentito subito come una ventata di aria fresca. Perché quella tracciata da Giussani, come ebbe a dire Papa Wojtyla, è la strada.
Anche la storia della cristianità dimostra che sa aprirsi e sa andare verso le periferie esistenziali chi è davvero radicato nella fede ortodossa della chiesa. Per esempio uno come san Vincenzo de’ Paoli, il grande padre dei più poveri e delle “periferie”, diceva: “Ho temuto tutta la vita di veder nascere qualche eresia. Consideravo la devastazione che aveva fatto quella di Lutero e Calvino e quante persone di ogni condizione ne avevano succhiato il pernicioso veleno, volendo gustare le false dolcezze della loro pretesa riforma. Ho avuto sempre timore di vedermi circuito dagli errori di qualche nuova dottrina, prima di accorgermene. Sì, l’ho temuto per tutta la vita”. Oggi però c’è chi ha in mente un “nuovo cristianesimo” che – dopo duemila anni – accantona il Logos, il dogma e la dottrina.

Secondo il professore Pietro L. Di Giorni – redattore di Testimonianze – si tratta di “un fenomeno che coinvolge ormai anche il cattolicesimo, specie in America latina, ove si manifestano e prendono sempre più forza movimenti carismatici, comunitari, de-istituzionalizzati, con forme di culto mistico-emozionali, che non sopportano dogmi, apparati, liturgie ordinate, nel nome di un esplicito rifiuto di un cristianesimo europeo-occidentale eccessivamente snervato dal razionalismo post illuministico, e che sembrano ripetere, in modo quasi concorrenziale, il pentecostalismo carismatico americano che si avvia a divenire nuova religione globale proprio perché culturalmente sempre più neutra”.

Ecco. Con la polemica di Avvenire contro il Logos si rischia di sprofondare in queste paludi. Sarebbe l’ultimo atto di quella che Paolo VI chiamava “autodemolizione dall’interno” della chiesa. E della fede cristiana. Perché – come ha spiegato Ratzinger a Ratisbona – Dio “agisce mediante il Logos, che è insieme ragione e parola, una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi, appunto, come ragione”. Quindi anche come dottrina della fede. Sconcerta che Avvenire pretenda di arruolare per quell’impresa anti Logos una grande mente cattolica come il padre Henri De Lubac, il quale, con Ratzinger, Giussani, Wojtyla, Balthasar, Guardini, dalla fede ha saputo trarre ricchezza di ragioni e cultura.

De Lubac, con la formula “specialisti del Logos” citata dalla Falasca, non fulminava affatto i cattolici su cui si scaglia l’editoriale di Avvenire, ma – al contrario – proprio certi intellettuali laici – nuovi gnostici – simili a quelli che oggi piacciono tanto nelle sacrestie progressiste del Cortile dei gentili. Ecco la citazione che si trova in “Meditazioni sulla chiesa” del gesuita francese (e ditemi voi se questo ritratto non ricorda i Cacciari, gli Scalfari e i Mancuso):  “Da quando esiste, la chiesa si è sempre attirata il disprezzo di una élite. Filosofi o spirituali, molti spiriti superiori, preoccupati d’una vita profonda, le rifiutano la loro adesione. Alcuni le sono apertamente ostili. Come Celso essi sono disgustati da ‘questa accozzaglia di gente semplice’. […] Molti altri, invece, tra questi saggi, sono convinti di rendere giustizia alla chiesa e protestano quando si sentono definire suoi avversari. Sarebbero disposti a proteggerla all’occorrenza! […] Ma conservano le distanze. Non sanno che farsene di una fede che li accomunerebbe a tutti i miserabili, di fronte ai quali si sentono senz’altro superiori per la loro cultura estetica per la loro capacità di ragionamento, o per la loro preoccupazione d’interiorità. Sono ‘aristocratici’ che non intendono affatto mescolarsi con il gregge. La chiesa, secondo loro, conduce gli uomini per vie troppo comuni. (…) La trattano con molta degnazione, si attribuiscono il potere di enucleare, senza il suo consenso, mediante una ‘trasposizione metafisica’, il senso profondo delle sue dottrine e dei suoi atti sacri”.

E ancora: “Al di sopra della sua fede essi mettono la loro intuizione… Si potrebbero chiamare degli ‘specialisti del Logos’, che però non hanno letto in san Paolo che il Logos ‘respinge ogni altezza che si levi contro la conoscenza di Dio’. Sono dei saggi, ma chi è che non vede realizzarsi dopo venti secoli la profezia: ‘Perderò la sapienza dei sapienti’? Sono dei ricchi che hanno ancora da sentire la voce della prima Beatitudine”. Qualcuno di loro – conclude De Lubac – si trasforma “in capo-scuola o capo-setta”. Pure in fondatore e direttore di giornali-partito.

Da padre De Lubac s’impara dunque a non fare concessioni a questi salotti gnostici. Che poi sono l’opposto delle “periferie” verso cui vuole portarci Papa Francesco con un grande slancio missionario. Un appello il suo da accogliere con tutto il cuore. Del resto il Papa è un figlio spirituale di sant’Ignazio e nessuno come Ignazio è stato un maestro del Logos e dell’ortodossia, paladino della retta dottrina, lui che arrivava a scrivere a san Pietro Canisio, il 13 agosto 1554: “Non si dovrebbe tollerare nessun curato, nessun confessore sospetto di eresia: e se li si riconosce colpevoli dovrebbero esser privati immediatamente di tutte le rendite ecclesiastiche. E’ meglio per un gregge essere senza pastore che avere per pastore un lupo”.

di Antonio Socci – Il Foglio

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Un fenomeno vincente e preoccupante: Halloween, festa delle zucche vuote

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2013

Un fenomeno vincente e preoccupante
Halloween, festa delle zucche vuote
Perché si è affermata così rapidamente una festività estranea alla nostra cultura? È una trovata commerciale o qualcosa di più? È un processo inevitabile? La risposta più appropriata ed efficace è riproporre la ricchezza della festività di Tutti i santi, per introdurre anche i bambini a una visione seria ma anche serena dell’aldilà.
di Paolo Pegoraro – Vita Pastorale

Un fenomeno vincente e preoccupante: Halloween, festa delle zucche vuote dans Fede, morale e teologia Tutti-i-Santi

Halloween non fa più notizia
È un dato di fatto, anche in Italia. Come se ci fosse sempre stata. Invece è comparsa, almeno come fenomeno di costume, non più di sette anni fa. Ma nessuno si chiede più perché ragnatele, zucche e teschi invadano le vetrine di ogni genere di negozi a fine ottobre. «In fondo si tratta solo di una festa innocua», è l’acquiescente risposta che ci diamo.
A fare una ricerca in libreria non si trova nulla che racconti la storia di questa festa. In compenso, però, si scopre che dal 2001 si pubblicano un numero incredibile di libri per bambini: Come festeggiare Halloween, Halloween party, Halloween per bambini, Tre feste… tre recite – Halloween Natale Pasqua. «Lo vedi?», sospira sollevata una parte di noi. «È solo un’occasione d’intrattenimento per i più piccini…».
Sarà poi vero? Damien Le Guay, filosofo e critico letterario, denuncia la situazione nel fulminante pamphlet La faccia nascosta di Halloween. Come la festa della zucca ha sconfitto Tutti i santi (Elledici 2004, pp. 127, € 8,00). In Francia, nota Le Guay, Halloween si è imposta senza colpo ferire in appena tre anni e una vittoria così rapida non s’improvvisa: «Halloween è una festa artificiale: fu premeditata, non spontanea; è stata venduta, progettata, lanciata come un prodotto di largo consumo» (p. 87).
Dietro, infatti, c’era l’abile strategia di marketing del gruppo Masport-César, azienda specializzata in maschere e costumi, che ha fatto balzare il proprio fatturato da 4,27 a 126,23 milioni di euro. La produzione nazionale di zucche passava dalle 21.700 tonnellate del 1996 alle 30.100 del 2000. Una volta consolidato questo nuovo settore di mercato in Europa, ecco farsi avanti anche i colossi statunitensi: McDonalds, Disney e Coca-Cola.

Non solo marketing
Un ruolo chiave, però, lo avevano svolto i mass media, divenuti i principali promotori del nuovo fenomeno sociale. Immediata la risposta di ristoranti e discoteche, che improvvisano seduta stante party di Halloween e menù a base di zucca. Ma se si tratta soltanto di soldi spillati ai gonzi, perché preoccuparsi? Damien Le Guay, infuocato da un sarcasmo degno di Leon Bloy, elenca una serie di motivi che fanno riflettere.

1 - Per prima cosa, denuncia la compiacente passività che vige ormai in ogni strato sociale: in nome del precetto del divertimento, spesso troppo simile all’alienazione, si abbraccia acriticamente ogni cosa. Anche i cristiani non amano più farsi troppe domande su quello che succede.
2 - Il secondo aspetto preoccupante è lo svilimento della solennità di Tutti i santi e della commemorazione di tutti i fedeli defunti. Halloween s’insinua in un vuoto di disaffezione e, insieme a Babbo Natale e ferragosto, consolida quel calendario “post-cristiano” di feste ridotte a nuda esteriorità. Proprio come le sue zucche, sgargianti ma vuote, Halloween «manifesta tutta la “pericolosità” dell’ideologia moderna delle feste: le idee sono scomparse, rimane solo la pratica festiva. Una sorta di pratica senza teoria, di azione senza ragione, di realizzazioni senza responsabili, di battaglia senza un avversario identificabile» (p. 54).

Il ruolo dell’immaginazione
3 – Terzo motivo:«L’aspetto più desolante della festa di Halloween è la sua povertà spirituale e il pericolo simbolico che costituisce» (p. 119). Le Guay parla a proposito di “povertà spirituale” perché questo revival europeo di Halloween è svincolato da tutti i significati che aveva ricevuto nei secoli precedenti: mischia nel suo calderone simboli celtici e cristiani, folklore statunitense, fascinazioni occultiste e psicologia spicciola per venire incontro a ogni prurigine esoterica. Ma tutto è riproposto come maschera e burla, anche la paura della morte. Perché è proprio la realtà della morte, forzosamente nascosta per tutto il resto dell’anno, a essere esorcizzata in un ambiguo rito collettivo, quasi una festa dell’eterna giovinezza che relega nelle case, ancora una volta, gli anziani.
4 - Altro motivo di preoccupazione è che dietro la mascherata della stregoneria e del diabolico, presentate come qualcosa da non prendere sul serio, si cela invece un fenomeno in drammatica crescita: «Presentare Halloween come un rito pagano è eccessivo; sarebbe altrettanto menzognero non riconoscere in essa numerosi e vari aspetti presi in prestito dal paganesimo e dalla stregoneria» (p. 38). Anche se Halloween non promuove esplicitamente fenomeni di occultismo, è accertato che nella notte del 31 ottobre il loro numero aumenta in modo consistente.
5 - Ultima, ma forse più fondata ragione su cui interrogarsi, è che Halloween è una festa indirizzata ai bambini. Le Guay invoca un «principio di precauzione per l’immaginario» (p. 9) perché è nell’immaginazione dei più piccoli che si produce una più forte suggestione, inoculando una fitta cortina di simboli legati a una certa idea – per nulla cristiana – dell’aldilà. Senza considerare che per le prossime generazioni festeggiare Halloween sarà un evento normale, anzi, tradizionale.
Quelle di Le Guay sono riflessioni che vale la pena considerare, quanto meno perché sono domande critiche che risvegliano l’attenzione dalla presunta “inevitabilità” di Halloween. Quale atteggiamento avere davanti a un fenomeno che si espande anno dopo anno? Limitarsi a un confronto muscolare è di sicuro controproducente, anche perché Halloween sembra essere fatta apposta per provocare una beffarda “caccia alle streghe”. A ben vedere, inoltre, Halloween evidenzia un nervo scoperto della società contemporanea: l’incapacità collettiva di affrontare il problema-morte senza depotenziarlo o razionalizzarlo.
Occorre promuovere, innanzi tutto, una serie di atteggiamenti positivi e propositivi che per il cristiano significano testimonianza prima ancora che sfida. Un primo passo è quello della conoscenza e dell’informazione per vivere consapevolmente questi veri e propri segni dei tempi. La repentina imposizione di un fenomeno di massa come Halloween non può passare sotto l’attenzione di tutti come se nulla fosse, a meno che non si sia sprofondati nella rassegnazione. Bisogna avere il coraggio di farsi delle domande, ma anche di farle: provate a domandare che cosa si festeggia ad Halloween, o perché la si festeggia in Italia: otterrete le più varie, balbettanti risposte.

Offrire alternative valide
Il secondo atteggiamento che dovrebbero promuovere quanti si occupano della catechesi è riproporre il valore della solennità di Tutti i santi, all’interno di una rinnovata catechesi sui misteri escatologici della fede cristiana. La liturgia ci prepara alla commemorazione dei fedeli defunti celebrando la comunione di tutta la Chiesa – di quanti pellegrinano, di quanti si purificano e di quanti già contemplano Dio – ricordandoci la comune vocazione alla santità. Dunque la solennità di Tutti i santi va riproposta innanzi tutto nel suo significato ecclesiale, secondo quanto ricorda Lumen gentium 49: «Tutti quelli che sono di Cristo, infatti, avendo il suo Spirito formano una sola Chiesa e sono tra loro uniti in lui (cf Ef 4,16). L’unione di coloro che sono in cammino coi fratelli morti nella pace di Cristo non è affatto spezzata, anzi, secondo la perenne fede della Chiesa, è consolidata dalla comunione dei beni spirituali». Questa fraternità indistruttibile è un annuncio di speranza più liberante di qualsiasi esorcismo sull’aldilà: nella notte in cui Halloween dà piede libero ai nostri fantasmi interiori, la Chiesa c’invita a meditare non sulla morte, ma sulla vita eterna. Tornare a contemplare l’orizzonte ultimo della nostra vita è l’incoraggiamento di cui abbiamo bisogno per dissipare demoni e paure.
L’ultima attenzione pastorale da attuare è quella verso i bambini, proprio perché Halloween ne fa i suoi involontari protagonisti. Qui il ruolo dei genitori diventa insostituibile: per quanto insegnanti o catechisti possano aiutarli, è loro compito accompagnare gradualmente i figli verso una presa di coscienza pacifica, ma senza veli, con il mistero della morte. Una modalità è certamente la visita ai propri cari al cimitero, raccontando le loro vite ai ragazzi se non li hanno conosciuti, magari con l’aiuto delle loro fotografie. Insegnare a pregare per i defunti con serena confidenza è la via migliore per sviluppare una visione cristiana dell’aldilà, vitale, sentita, integrata anche a livello affettivo. Da incoraggiare, infine, il rapporto dei bambini con gli anziani e i nonni in modo speciale.

Divisore dans San Francesco di Sales

Evoluzione storica di un fenomeno multiforme
CHI HA PAURA DELL’ALDILÀ?

Il fascino di Halloween è legato in modo inequivocabile a come immaginiamo l’aldilà. Commemorare i defunti è atto religioso elementare, tanto che molti antropologi considerano la sepoltura dei propri simili come la prima azione propriamente umana. Il ricordo dei propri cari ha sempre rivestito una fondamentale importanza sia nei culti primordiali che in quelli più elaborati: ogni cultura ha sviluppato un suo “giorno dei morti”.

È una festa celtica? Per i Celti britannici l’occasione era Oidche Shamhna, la Notte di Samhain, dio della morte, che segnava la fine dell’estate e l’arrivo dell’inverno. Si riteneva che durante questo passaggio della ruota stagionale Samhain liberasse gli spiriti malefici e i morti tornassero sulla terra; per ammansirli si lasciavano davanti alle porte offerte di cibo e s’indossavano costumi spaventosi per ricacciare gli spiriti nel loro mondo. A officiare i riti di Samhain erano i druidi, che in cambio di compensi proteggevano la popolazione accendendo grandi falò e offrendo sacrifici, talvolta umani.

È una festa cristiana? La solennità di Tutti i santi, istituita nel settimo secolo da papa Bonifacio IV a ricordo dei martiri e inizialmente celebrata il 13 maggio, venne spostata al 1° novembre da Gregorio III nell’anno 834 con l’esplicito intento di aiutare i fedeli a vivere cristianamente la commemorazione dei defunti, abbandonando gli usi pagani. Nasceva così All Hallows’ Eve, cioè la Vigilia di Tutti i santi, celebrata la notte del 31 ottobre. Per Lutero è il giorno in cui la Chiesa ha formalmente abbandonato la fede biblica.

È una festa irlandese? Le tradizioni popolari sopravvissute nella cattolica Irlanda diedero origine alla festa di Halloween – storpiatura di [All] Hallows’ Eve – celebrata in parallelo alle festività cristiane. Ma gli elementi pagani sono decaduti a folklorismo: resta la forza coesiva della festa, ma si è indebolito il suo intimo significato. Si usa scavare volti paurosi nel cavolo rapa trasformandoli in lanterne, le Jack-o-lantern, a rappresentare il personaggio di un racconto, Jack il malfattore, che ingannò il diavolo e per questo, respinto sia dal paradiso che dall’inferno, fu condannato a vagare nella notte eterna facendosi luce con un lanternino. Il consueto trick-or-treat (dolcetto o scherzetto) che i bambini chiedono di casa in casa prende invece origine da un’usanza medievale: i pellegrini bussavano alle porte domandando un po’ di soul cake – il “dolce dell’anima”, un pane quadrato con uvetta – promettendo preghiere per i defunti del donatore.

È una festa americana? Halloween giunge negli Stati Uniti insieme alle centinaia di migliaia d’irlandesi costretti a lasciare la patria dalla disastrosa carestia di patate del 1845-’50. Mancando il cavolo rapa si cominciano a scavare le lanterne nelle zucche americane. Del tutto decontestualizzata, la festa perde anche il suo carattere nazionale e si tramuta in un carnevale nero all’insegna del divertimento collettivo: è negli Usa che Halloween raccoglie l’immaginario gotico di gatti neri, streghe, fantasmi, candele, mascherate e burle. D’altra parte, sono gli anni di Edgar Allan Poe. Si consolida l’uso del trick-or-treat: i bambini passano per le case chiedendo dolci, ma se non li ricevono possono insaponare i vetri della casa o anche romperli, scavare buche nel giardino o imbrattare di vernice le auto.

È una festa europea? Infine Halloween torna in Europa come fenomeno di massa una decina di anni fa, un vero e proprio format importato dagli Stati Uniti. Dal 1995 un’azienda francese di costumi, la Masport, comincia a promuovere Halloween in Europa, fino ad attirare l’attenzione dei giganti americani dell’intrattenimento (McDonalds, Disney, Coca-Cola). Oggi, in Francia, Halloween è un marchio commerciale registrato e detenuto dalla società Optos-Opus. In Italia l’interesse per Halloween è cresciuto in modo esponenziale negli ultimi cinque anni, irraggiandosi dai maggiori centri urbani alle periferie.

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Gioia delle Anime del Purgatorio e loro crescente visione di Dio

Posté par atempodiblog le 24 octobre 2013

Gioia delle Anime del Purgatorio e loro crescente visione di Dio dans Festa dei Santi e commemorazione dei fedeli defunti li43

Gioia delle Anime del Purgatorio e loro crescente visione di Dio. L’esempio della ruggine.
Non credo che si possa trovare contentezza da comparare a quella di un’anima del Purgatorio, eccetto quella dei santi del Paradiso.
E ogni giorno questa contentezza cresce, per l’influsso di Dio in esse anime, il quale va crescendo, siccome va consumando l’impedimento dell’influsso.
2. La ruggine del peccato è l’impedimento, e il fuoco va consumando la ruggine; e così l’anima sempre più si va discoprendo al divino influsso. Siccome una cosa coperta non può corrispondere alla riverberazione del sole, non per difetto del sole, che di continuo luce, ma per l’opposizione della copertura: se si consumerà dunque la copertura, si discoprirà la cosa al sole; e tanto più corrisponderà alla riverberazione, quanto la copertura più si andrà consumando.
3. Così la ruggine (cioè il peccato) è la copertura delle anime, e nel Purgatorio si va consumando per il fuoco; e quanto più consuma, tanto più sempre corrisponde al vero sole Iddio. Però tanto cresce la contentezza, quanto manca la ruggine e si discopre l’anima al divin raggio. E così l’un cresce e l’altro manca, sin che sia finito il tempo.
4. Non manca però la pena, ma solo il tempo di stare in essa pena. E quanto alla volontà, non possono mai dire che quelle pene siano pene, tanto si contentano dell’ordinazione di Dio, con la quale è unita la loro volontà in pura carità.

Le Anime vogliono la perfetta purificazione.
E quando un’anima fosse presentata alla visione di Dio, avendo ancora un poco da purgare, se le farebbe una grande ingiuria, e le sarebbe passione maggiore che dieci Purgatorii.
2. Perciocché quella pura bontà e somma giustizia non la potrebbe sopportare, e sarebbe cosa inconveniente da parte di Dio.
3. Ed a quell’anima che vedesse Iddio non essere pienamente da sé ancora soddisfatto, in modo che le mancasse pure un sol batter d’occhio di purgazione, le sarebbe cosa intollerabile, e per levarsi quella poco ruggine, andrebbe più presto in mille Inferni (quando se li potesse eleggere), che star innanzi alla divina presenza, non purificata in tutto ancora.

Tratto da: Il trattato del Purgatorio di Santa Caterina da Genova (Ed. Segno)
Fonte: Flos Carmeli

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Il purgatorio in questa vita

Posté par atempodiblog le 23 octobre 2013

Il purgatorio in questa vita  dans Citazioni, frasi e pensieri Madonna-con-Bambino-e-anime-purganti-Luca-Giordano-Chiesa-di-San-Pietro-di-Castello-Ve
Madonna con Bambino e anime purganti, Luca Giordano. Chiesa di San Pietro di Castello (Ve)

“Prego solo che la Tua Misericordia mi conceda il purgatorio in questa vita nel fuoco d’amore del Tuo Sacro Cuore”.

Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

Divisore dans San Francesco di Sales

Freccia dans Viaggi & Vacanze Novena alle Sante Anime del Purgatorio del Beato Giustino M. della SS. Trinità Russolillo (dal 24 ottobre al 1 novembre)

Freccia dans Viaggi & Vacanze Offertorio del Prez.mo Sangue di N. S. per le anime purganti

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I figli e la libertà

Posté par atempodiblog le 22 octobre 2013

I figli e la libertà
San Josemaría Escrivá de Balaguer
Tratto da: josemariaescriva.info

I figli e la libertà dans Fede, morale e teologia hugrAmici dei figli
I genitori sono i principali educatori dei figli, sia nell’aspetto umano che in quello soprannaturale, e devono sentire la responsabilità di questa missione che esige comprensione, prudenza, capacità di insegnare e, soprattutto, di amare; nonché l’impegno di dare buon esempio.

L’imposizione autoritaria e violenta non è una buona risorsa educativa. L’ideale per i genitori consiste piuttosto nel farsi amici dei figli: amici ai quali si confidano le proprie inquietudini, con cui si discutono i diversi problemi, dai quali ci si aspetta un aiuto efficace e sincero.

È necessario che i genitori trovino il tempo di stare con i figli e parlare con loro. I figli sono la loro cosa più importante: più degli affari, più del lavoro, più dello svago. In queste conversazioni bisogna ascoltarli con attenzione, sforzarsi di comprenderli, saper riconoscere la parte di verità — o tutta la verità — che può esserci in alcune loro ribellioni. E allo stesso tempo bisogna aiutarli a incanalare rettamente ansie e aspirazioni, insegnando loro a riflettere sulla realtà delle cose e a ragionare. Non si tratta di imporre una determinata linea di condotta, ma di mostrare i motivi, soprannaturali e umani, che la raccomandano. In una parola, si tratta di rispettare la loro libertà, poiché non c’è vera educazione senza responsabilità personale, né responsabilità senza libertà.
È Gesù che passa, 27

I genitori possono e devono fornire ai figli un aiuto prezioso, aprendo loro nuovi orizzonti, comunicando la propria esperienza, facendoli riflettere, in modo che non si lascino trasportare da stati d’animo passeggeri, e avviandoli a una valutazione realistica delle cose. Quest’aiuto verrà fornito dai genitori personalmente, con i loro consigli, oppure invitando i figli a rivolgersi a persone competenti: a un amico leale e sincero, a un sacerdote preparato e zelante, a un esperto di orientamento professionale.

Il gran bene della libertà
Il consiglio non toglie però la libertà, ma fornisce elementi di giudizio e quindi allarga le possibilità di scelta, evitando l’influenza di fattori irrazionali nella decisione. Dopo aver prestato ascolto al parere degli altri, e aver ponderato ogni cosa, arriva il momento della scelta, e allora nessuno ha il diritto di far violenza alla libertà. I genitori devono fare attenzione a non cedere alla tentazione di proiettarsi indebitamente nei propri figli – di costruirli secondo i propri gusti -, perché devono rispettare le inclinazioni e le capacità che Dio dà a ciascuno.

Di solito quando esiste vero amore, tutto questo non è difficile. E anche nel caso estremo in cui il figlio prende una decisione che i genitori ritengono a ragione errata e prevedibile fonte di infelicità, nemmeno allora la soluzione sta nella violenza, ma nel comprendere e – più di una volta – nel saper rimanere al suo fianco per aiutarlo a superare le difficoltà e trarre eventualmente da quel male tutto il bene possibile.

I genitori che amano davvero i loro figli e cercano sinceramente il loro bene, dopo aver offerto i loro consigli e le loro riflessioni, devono farsi da parte delicatamente, in modo che nulla si opponga alla libertà, a questo grande bene che rende l’uomo capace di amare e di servire Dio. Devono tener presente che Dio stesso ha voluto essere amato e servito in libertà, e rispetta sempre le nostre decisioni personali: «Dio lasciò l’uomo – dice la Bibbia – arbitro di sé stesso» (Sir 15, 14).
Colloqui, 104

Dio, nella sua giustizia e nella sua misericordia — infinite e perfette —, tratta con lo stesso amore, e in modo disuguale, i suoi figli disuguali. Per questo, uguaglianza non significa giudicare tutti con la stessa misura.
Solco, 601

In un ambiente di pace
La pace coniugale dev’essere l’ambiente della famiglia, perché è la condizione indispensabile per un’educazione profonda ed efficace. I piccoli devono vedere nei genitori un esempio di dedizione, di amore sincero, di mutuo aiuto, di comprensione; le piccole difficoltà di ogni giorno non devono nascondere la realtà di un affetto capace di superare tutto.
Colloqui, 108

Però qualche volta possiamo litigare, vero?, mi direte. E io vi risponderò di sì, che qualche volta… anche conviene. È una manifestazione di amore…Però poco! E da soli! Volere dare spettacolo di litigare davanti ai figli, agli amici, ai vicini, ai parenti, come in una pubblica piazza? Picchiarsi? No! Ditevi una parola all’orecchio e aspettate la sera, con calma! E la sera… vediamo chi dei due ha meno vergogna a dire all’altro che ha ragione!… Chiedetevi perdono, datevi un bell’abbraccio, ricordatevi quando ve lo siete dati la prima volta… e amatevi, che al Signore piace il vostro affetto. Vedrete che non succede niente.
Incontro con Josemaría Escrivá, San Paolo, 1-6-1974

È preferibile qualche volta lasciarsi ingannare: la fiducia data ai figli fa sì che essi stessi provino vergogna di averne abusato e si correggano; se invece non hanno libertà, se vedono che non c’è fiducia in loro, si sentiranno spinti ad agire sempre con sotterfugi.
Colloqui, 100

Amici di Dio
Si deve insegnare (prima con l’esempio, poi con la parola) in che cosa consiste la vera pietà. La bigotteria non è che una desolante caricatura pseudo-spirituale, frutto quasi sempre di mancanza di dottrina e anche di una certa deformazione umana: è logico che risulti ripugnante a chi ama l’autenticità e la sincerità.

Con gioia constato che la pietà cristiana attecchisce nel cuore dei giovani – quelli di oggi come quelli di quarant’anni fa – quando la vedono incarnata come vita sincera; – quando capiscono che pregare è parlare con il Signore come si parla con un padre, con un amico: non nell’anonimato, bensì con un rapporto personale, in una conversazione a tu per tu; – quando si riesce a far echeggiare nelle loro anime quelle parole di Gesù, che sono un invito all’incontro fiducioso: Vos autem dixi amicos (Gv 15, 15), vi ho chiamati amici; – quando si rivolge un deciso appello alla loro fede, affinché vedano che il Signore è lo stesso « ieri, oggi e sempre » (Eb 13, 8).

D’altra parte è necessario che si rendano conto che questa pietà semplice e sincera esige anche l’esercizio delle virtù umane, e che pertanto non può ridursi a qualche pratica di devozione settimanale o quotidiana: essa deve impregnare tutta la vita, deve dare un senso al lavoro e al riposo, all’amicizia, allo svago, a tutto. Non possiamo essere figli di Dio solo di quando in quando, anche se ci devono essere alcuni momenti particolarmente riservati a considerare e approfondire la realtà e il senso della filiazione divina, che è il nocciolo della pietà.
Colloqui, 102

Il bambino apprende a situare il Signore tra i primi e più fondamentali affetti; impara a trattare Dio come Padre, la Madonna come Madre; impara a pregare seguendo l’esempio dei genitori. Quando tutto ciò si comprende, appare evidente il grande compito apostolico che i genitori sono chiamati a svolgere; e il loro dovere di vivere sinceramente la vita di pietà, per poterla trasmettere – più che insegnare – ai figli.

I mezzi? Ci sono delle pratiche di pietà – poche, brevi e abituali – che le famiglie cristiane hanno sempre adottato, e che per me sono meravigliose: la benedizione a tavola, il rosario recitato tutti assieme – anche se oggi non manca chi attacca questa solidissima devozione mariana -, le preghiere personali al mattino e alla sera. Si tratterà di consuetudini che possono variare a seconda dei luoghi; ma credo che si debba sempre promuovere qualche pratica di pietà da vivere insieme, in famiglia, in modo semplice e naturale, senza bigotteria.

In tal modo otterremo che Dio non venga considerato come un estraneo che si va a visitare una volta alla settimana, la domenica, in chiesa; che invece lo si veda e lo si tratti come è nella realtà: anche in famiglia, perché, come ha detto il Signore, “dove sono due o tre riuniti in nome mio, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20).
Colloqui, 103

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Santa Veronica Giuliani si adopera per liberare un’anima dal Purgatorio

Posté par atempodiblog le 22 octobre 2013

Santa Veronica Giuliani si adopera per liberare un'anima dal Purgatorio dans Festa dei Santi e commemorazione dei fedeli defunti Santa-Veronica-Giuliani

“…Iddio voleva farmi la grazia di farmi comprendere perché quest’anima abbia avuto sì grandi pene, e fosse costretta (sia stata condannata) a stare sì gran tempo, cioè sino al giorno del giudizio, in sì atroce tormento. Ma, ora, le si è abbreviato il tempo, mediante l’orazione che si è fatta per lei, e con questa esibizione che io ho fatto a Dio, che mandi qualsiasi pena a me.
Ora, ho capito che verrà un gran patire…

In un istante, ho compreso che, per cinque punti speciali, ella abbia patito e patisca così:

1) per non aver fatto l’obbedienza dei superiori, in specie dei confessori;

2) per non aver osservato il voto della povertà, in più capi. Sopra il medesimo punto e, nello stesso tempo, mi era data notizia del come si deve praticare, in tutte le cose, questo santo voto, ed anco Iddio mi ha fatto conoscere i difetti da me commessi, sopra ciò;

3) per la singolarità del vivere che ella aveva fatto, e per essere stata cagione di altri difetti, in altre cose. Qui ancora ebbi più notizie, in un attimo;

4) per le troppe comodità e per essersi contentata, in molte cose; in specie, di (in) quelle che sono contro la regola;

5) il concetto che ella aveva di sé, e (perché) molte volte credeva che Iddio facesse le grazie, per mezzo suo, con altre cose simili.

Capito tutto ciò, mi parve, di nuovo, intendere che mi preparassi a grandi patimenti, se volevo la liberazione di quest’anima…”.

S. Veronica Giuliani – Il Diario, Ed. Cantagalli. A cura di Maria Teresa Carloni

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Digiuno e preghiera per le anime del Purgatorio

Posté par atempodiblog le 21 octobre 2013

Astenersi dal cibo, un modello universale. Distacco dalle cose, quindi dalla violenza dans Digiuno 6y8m

In parrocchia abbiamo cominciato tutti i venerdì, per aiutarci un po’ a fare il digiuno, alle 19:30 a trovarci per fare un incontro di preghiera.  “Alle sette e mezza?” - ha detto il Parroco – “un brutto orario. La gente cena…”, appunto, digiuno eh? Troviamo una pagnotta, davanti a Gesù si mangia meglio e quindi diciamo il Rosario e poi recitiamo le orazioni alla Croce Santa, “ti adoro Croce Santa”, una preghiera anche Paolo VI ha confermato che recitata secondo certe condizioni libera anime dal Purgatorio e la gente mi dice “vabbé ma dopo che ho liberato i miei parenti che… basta”. Ma come basta? Ma sai quanta gente c’è in Purgatorio? La Madonna a Medjugorje ha detto che oggi un gran numero di anime vanno all’Inferno, con buona pace di chi dice che l’inferno è vuoto; “no, ci sarà il diavolo…”, c’è il diavolo, ci sono i suoi angeli, ci sono tutti quelli che hanno rifiutato Gesù vivendo in peccato mortale fino alla fine della loro vita e senza pentirsi. L’inferno non è vuoto. “La maggior parte va in Purgatorio, pochissimi vanno subito in Paradiso”. Qual è il vantaggio di pregare per chi sta in Purgatorio? Che chi viene liberato va in Cielo e ha una riconoscenza infinita per chi è stato strumento di questa liberazione. Ma voi ci pensate se poteste liberare un anima dal Purgatorio?

Diego Manetti

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Amare doppiamente

Posté par atempodiblog le 21 octobre 2013

Amare doppiamente dans Citazioni, frasi e pensieri p5fn

Amare quando non si è amati, anzi amare doppiamente”.

Madre Landi (Serva di Dio Maria di Gesù)

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Dio perdona e dimentica

Posté par atempodiblog le 21 octobre 2013

Dio perdona e dimentica dans Citazioni, frasi e pensieri 1ayu

Il Papa ai giornalisti disse: “ma cosa credete? Chi non ha fatto i peccati? Ma poi quando uno si pente Dio li dimentica”… perché c’erano dei giornalisti che andavano a cercare “ma questo qui trent’anni fa… quarant’anni fa… ha fatto questa cosa” e il Papa diceva: “di questo passo non si salva più nessuno. Andate a cercare, a frugare e ancora a cercare… ma chi si salva? Ma non sapete che se uno si pente… Dio perdona e dimentica? E rinasce una nuova creatura?”. Quindi Dio dei nostri peccati non è che si scandalizza purché ci sia il pentimento. Li spazza via tutti, poi ci abbraccia.

di Padre Livio Fanzaga

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Rivoluzione

Posté par atempodiblog le 21 octobre 2013

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Nel giudicare la svolta della storia occidentale nel Settecento, si tenga sempre presente quella differenza radicale di prospettiva che da allora separa noi da tutte le generazioni precedenti. La diremo con le parole di Johan Huizinga: «Per l’uomo dell’Ancien Régime il nocciolo della prospettiva sociale stava nel concetto di eguaglianza totale tra gli uomini, ma riferita all’eternità, non ai pochi anni della vita terrena».

Il che, in fondo, vale non solo per l’égalité ma anche per le altre due Persone della Trinità rivoluzionaria: liberté, fraternité. Non capiremo nulla della storia se non metteremo in conto questa differenza radicale: noi guardiamo alla Terra, i nostri antenati guardavano al Cielo; noi ci aggrappiamo alla vita, loro meditavano sulla morte; noi ci preoccupiamo di far carriera, loro di salvarsi dall’inferno; noi ci confrontiamo con i padroni, loro con il Padre.

Certo, quella prospettiva non impediva che la si tradisse bellamente, col lasciare libero sfogo alle umane passioni di sempre. Ma si trattava pur sempre di “tradimenti” (ampiamente deplorati dalla coscienza pubblica e pagati dagli interessati con segreti o espliciti sensi di colpa) rispetto a un orientamento di pensiero e di vita generalmente e pacificamente accettato.

Le cose si sono talmente rovesciate che, mentre era peccaminoso “tradire” il Cielo per la Terra, a partire da un certo punto diventa peccaminoso (almeno socialmente) il contrario: il pensare all’eternità e non alla storia, anzi alla cronaca. È questo, infatti, il concetto di “alienazione” contro cui, seppure da punti di vista diversi, combattono sia il marxismo “proletario” che la psicoanalisi “borghese”. “Anormale”, un tempo, era chi guardava in basso; nei secoli moderni “anormale” è chi guarda in alto.

È forse questo il motivo per cui il linguaggio politico moderno fece ricorso all’astronomia, e quegli eventi li chiamò “rivoluzionari”: parola dotta che, sino al Settecento, riguardava la fisica e non la politica, indicando il movimento di un corpo astrale attorno al suo asse. Parola ottimamente scelta, per significare questo “rigirarsi” completo, questo mutamento totale di prospettiva.

Possiamo pensarne bene o male: sta di fatto che —nel giudicare la storia che ci ha preceduti— non ci è lecito dimenticare che questa “revolutio” è avvenuta e che, quindi, le “nostre” categorie non sono più le “loro”.

 Tratto da: Vittorio MESSORI, Pensare la storia. Una lettura cattolica dell’avventura umana, Paoline, Milano 1992, p. 225-226.
Fonte: Storia Libera

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L’unica regola sia l’amore

Posté par atempodiblog le 20 octobre 2013

Madre Orsola Benincasa
Immagine tratta da: Mis ilustraciones

Sii sempre allegro, perché così, con allegria, si deve servire il Signore.

Lavora con pace e realizza per amore tutte le cose…

Prega con calma, come colui che gusta un cibo delizioso. E ricorda che Dio sempre ascolta la tua preghiera.

Ama svisceratamente la Nostra Signora, perché tutto il bene che abbiamo ci arriva dalle Sue mani.

E se davvero desideri essere felice, che la tua unica regola sia l’amore…

Venerabile Madre Orsola Benincasa

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