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Leo Pettinari: “sono un mediano fortunato”

Posté par atempodiblog le 31 octobre 2013

Leo Pettinari
Sono un mediano fortunato”
Sognava la Serie A, poi i dolori al petto e lo stop dei medici: carriera finita. Un verdetto duro, che però gli salva la vita. «Non mi sento miracolato». Eppure…
di Stefania Grimoldi – Credere

Leo Pettinari: “sono un mediano fortunato” dans Medjugorje wjdm

Medjugorje, Malattia, Miracolo. La formula delle 3M, giornalisticamente parlando, è troppo ghiotta per rinunciare a un titolo a effetto. Un po’ come chiedere a un toscano di rinunciare alla battuta dissacrante.

Leonardo Pettinari, pratese di nascita, calciatore di professione fino allo scorso gennaio, dribbla entrambe le tentazioni per raccontare e dare un senso alla sua storia. «Io mi definisco fortunato, miracolato proprio no. Anzi mi dà quasi fastidio quando lo vedo scritto, perché in fondo non è successo nulla». Se nulla si può definire la brusca interruzione di un traguardo professionale come quello di giocare in Serie A per una cardiomiopatia aritmogena, la patologia fatale al bergamasco Piermario Morosini. Ed è qui che il sarcasmo toscano può aiutare, anche di sponda, a rimettere le cose a posto e spiegare senza enfasi. «Qualche amico che non crede me l’ha detto: sei stato a Medjugorje e sei tornato malato. Io sono convinto invece che la prospettiva giusta sia quella opposta: dopo quel pellegrinaggio, il primo della vita in assoluto, la malattia si è rivelata. Sono stato fortunato, punto e basta».

Fortuna, fede, famiglia, un’altra bella formula per spiegare la nuova vita di Leonardo Pettinari. Ma nessuna semplificazione è lecita se a neanche 27 anni scopri di doverti reinventare le giornate, che la routine fatta di allenamenti e partite all’improvviso non c’è più, che la Serie A – annusata per la prima volta nel novembre 2011 con la maglia dell’Atalanta –, resterà per sempre un traguardo messo alle spalle in tutta fretta. «Per fortuna ho avuto più di un anno per abituarmi all’idea e nello stesso periodo mi stavo preparando al Matrimonio con Giusy. La mattina della sospensione, quando l’ho chiamata, lei stava provando l’abito da sposa… Certo, magari all’esterno sembravo sereno, sorridente, poi in casa soffrivo davanti alle partite in televisione».

L’ex centrocampista ha iniziato a percepire che qualcosa non andava nel giugno 2011, pochi giorni dopo la vittoria del campionato di B con l’Atalanta. Dopo una serie di accertamenti, da cui non è emerso nulla di preoccupante, Leonardo è passato al Varese. Quella biancorossa è stata la sua ultima maglia. Ripetuti attacchi di tachicardia l’hanno infatti costretto a un nuovo stop e solo allora la risonanza magnetica ha evidenziato la cicatrice sul ventricolo sinistro per cui gli è stata sospesa l’idoneità. Che non gli è stata restituita nemmeno dopo un ricorso, respinto a gennaio di quest’anno. «Che cosa mi ha aiutato? La mia famiglia mi ha cresciuto con valori solidi, mia mamma mi ha educato alla fede. Senza fanatismi. Sono un credente. Un peccatore, anzi. Perché non sono poi così assiduo nella pratica. Ma mi capita di rifugiarmi nella preghiera e questo mi consola e mi fa stare bene. Non prego solo per chiedere. Per questo riesco a dare un senso positivo alla mia vicenda. La diagnosi del problema al cuore è arrivata pochi mesi dopo il viaggio a Medjugorje che ho fatto nell’ottobre 2011, insieme a Giusy – mia moglie dal giugno 2012 –, i nostri genitori e Simone Tiribocchi, mio compagno all’Atalanta, con la moglie. È stato molto coinvolgente, non solo sotto il profilo religioso. In Bosnia, anche se sono passati vent’anni, si percepiscono ancora forti i segni del conflitto, non si può restare indifferenti».

La storia di Leonardo Pettinari è disseminata di segni, ma lui preferisce leggere solo quelli che gli è possibile comprendere. «No, non mi sono mai chiesto perché Morosini e non io. Sarebbe inutile, una domanda priva di senso. Quando nell’aprile del 2012 lui è morto in campo, con il Livorno, è stato tremendo. Avevamo la stessa età, la sua storia mi assomigliava e io sapevo già dei miei problemi. La sua morte ha costretto tutti a dei controlli più attenti. Non trovo giusto chiedersi di più». Tracciando il disegno del suo futuro, Pettinari lo colora ancora del verde di un campo di calcio. «Ho il patentino Uefa, mi iscriverò al corso allenatori. Amo il mio mondo, vorrei ricominciare con i bambini».

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Tra terra e cielo il senso della vita

Posté par atempodiblog le 31 octobre 2013

TUTTI I SANTI/DEFUNTI
Tra terra e cielo il senso della vita
Queste due giornate aiutano a comprendere quando un’esistenza umana può dirsi realizzata; i parametri umani di ricchezza, carriera, successo appaiono totalmente insufficienti. La realizzazione sta altrove, perché la persona umana è fatta per dare concretezza a Dio: mani, cuore, intelligenza tutto può servire per permettere a Dio di incarnarsi ancora e servire i suoi figli
di Marco Doldi – Agenzia SIR

Tra terra e cielo il senso della vita dans Festa dei Santi e commemorazione dei fedeli defunti o73jLa festa di Tutti I Santi e quella della Commemorazione dei Fedeli Defunti conducono a riflettere sul duplice orizzonte dell’umanità, che viene espresso con le semplici parole “terra” e “cielo”. La prima rappresenta il cammino storico dell’uomo e della creazione, la seconda, il cielo, l’eternità e la pienezza della vita in Dio. La Chiesa è in cammino nel tempo, ma nello stesso tempo, celebra già la festa senza fine nella Gerusalemme celeste, dove vivono in eterno coloro che sono salvi. Di molti di questi si conosce il nome, perché la Chiesa stessa li propone come modelli ed amici; accanto a loro sono posti, nella speranza, quei fedeli che sono morti in pace con Dio e per i quali si prega in modo particolare nelle chiese o nei cimiteri.

La fede nella vita eterna deve essere, però, completata dalla verità della risurrezione dei corpi. Su questo punto oggi è venuta meno in molti la convinzione. L’uso, ad esempio, di cremare i corpi e di disperdere le ceneri, quasi come un congiungimento con la madre natura non esprime forse il contrario? La fede cristiana ha sempre invitato a conservare con rispetto il corpo, che pure va disfacendosi, esprimendo con questo gesto la convinzione che un giorno Dio, il Creatore, donerà nuovamente la vita. Anche se divenuto cenere, un corpo umano ha pur sempre un’altissima dignità, superiore a quella degli animali o delle piante, perché è stato abitato dall’anima immortale, perché attraverso esso la persona si è manifestata e realizzata, perché un giorno parteciperà della resurrezione di Cristo. Sì come Cristo è risorto dai morti nel suo vero corpo, così ogni uomo e ogni donna lo faranno per la grazia di Dio.

Le due giornate – la prima addirittura è solennità – conducono a pensare con insistenza alla condizione storica dell’uomo, tante volte descritta come quella di un pellegrino in cammino verso la Citta dalle solida fondamenta. In questo viaggio nessuno è solo, come attesta la verità della comunione dei santi. Nel battesimo ciascuno è stato inserito come membro vivo nel Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa. È unito a tanti fratelli e a tante sorelle che quaggiù vivono beatitudini del vangelo ed è unito a tutti coloro, che sono già accanto al Padre. Essere cristiani, far parte della Chiesa, significa aprirsi a questa comunione, che abbraccia terra e cielo. In questa comunione tutti ricevono e, soprattutto, danno qualcosa nell’ordine della grazia: i santi intercedono per coloro che camminano quaggiù e questi ultimi con la preghiera, la penitenza e la carità aiutano chi si sta preparando all’abbraccio definitivo con il Padre.

Ancora, queste due giornate aiutano a comprendere quando un’esistenza umana può dirsi realizzata; i parametri umani di ricchezza, carriera, successo appaiono totalmente insufficienti. La realizzazione sta altrove, perché la persona umana è fatta per dare concretezza a Dio: mani, cuore, intelligenza tutto può servire per permettere a Dio di incarnarsi ancora e servire i suoi figli. La persona diviene così uno strumento libero affinché Dio possa agire ancora nella storia. E un solo gesto di carità ha il senso di una vita realizzata. La carità è l’altro nome della santità. “Ogni cristiano – ha recentemente ricordato Papa Francesco – è chiamato alla santità e la santità non consiste anzitutto nel fare cose straordinarie, ma nel lasciare agire Dio” (Udienza, 2/10/13). La santità è l’incontro tra la debolezza dell’uomo e la forza della grazia di Dio, è avere fiducia nella sua azione, che permette di fare tutto con gioia ed umiltà per la gloria di Dio e nel servizio del prossimo.

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Bambini non nati. La sepoltura è gesto di civiltà

Posté par atempodiblog le 31 octobre 2013

A DIFESA DELLA VITA
Bambini non nati. La sepoltura è gesto di civiltà
di Paolo Ferrario – Avvenire

Bambini non nati. La sepoltura è gesto di civiltà dans Aborto itym«Avere una tomba su cui piangere, dove portare un fiore, è fonte di grande consolazione. Senza una tomba non è possibile elaborare un lutto tanto grande, come quello della perdita di un figlio. E questo vale per tutti, anche per i genitori dei bambini mai nati».

Da quindici anni, don Maurizio Gagliardini, anima e guida dell’associazione “Difendere la vita con Maria” di Novara, si occupa di dare una segna sepoltura ai bambini non nati e plaude all’iniziativa del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, di riservare un’area cimiteriale a questo scopo. «Gli ho scritto una lettera – racconta – e lui mi ha risposto rivelando di aver preso questa decisione dopo aver incontrato la sofferenza di tanti genitori».

Non giudica e non chiede, don Maurizio, solo cerca di «onorare» queste piccole vite interrotte ancor prima di venire alla luce. Dal 1999 ad oggi, i volontari dell’associazione, presenti in 60 città di 12 regioni, hanno celebrato i funerali di 60mila bambini. Nei 47 centri dove l’associazione ha stipulato convenzioni con Ospedali, Asl e amministrazioni municipali, ogni mese avvengono cerimonie di sepoltura, con una media tra i 30 e i 50 piccoli per volta.

La sepoltura dei bambini non nati è definita dal decreto 285 del 1990, che prevede la possibilità, per i genitori, di chiedere, entro 24 ore dalla morte, il corpicino per la sepoltura. Non sempre, però, le famiglie sono a conoscenza di questa possibilità e così l’associazione di don Maurizio è impegnata anche in una capillare opera di informazione sul territorio.

«In caso di aborto spontaneo o terapeutico – dice il sacerdote padovano – succede spesso che i genitori chiedano di poter celebrare un funerale al proprio bambino. Questa richiesta, di solito, non avviene invece in caso di interruzione volontaria della gravidanza sotto le 20 settimane di gestazione. Nelle realtà dove noi siamo presenti, le famiglie provate da una perdita tanto grande e dolorosa, sono seguite e sostenute da un’equipe di psicologi volontari. Vogliamo davvero circondare d’affetto questi genitori».

Non capita di rado, infatti, che chi si trova in questa situazione sia costretto ad affrontare la lacerante realtà praticamente in solitudine. «È difficile che qualcuno porga le condoglianze a una mamma e a un papà che hanno perso un bimbo mai nato – racconta don Maurizio Gagliardini –. E invece è proprio in questi frangenti che servirebbe un di più di attenzione e di vicinanza umana. Spesso, poi, queste famiglie si chiudono in se stesse, quasi celando la tragedia che le ha colpite e non riuscendo così ad elaborare il lutto».

In tanti anni di servizio a fianco delle coppie, don Maurizio non ha incontrato soltanto uomini e donne sorrette dalla forza della fede. In non pochi casi ha affiancato coppie anche lontane dalla Chiesa, ma fermamente convinte di dare una degna sepoltura al proprio piccolo non nato.

«Seppellire questi bambini non significa soltanto onorarli come persone – sottolinea – ma vuol dire anche compiere un grande atto di civiltà, un gesto dal valore umano e civile incommensurabile. Per questo, confrontandomi con amministrazioni comunali di varia estrazione politica, non ho mai incontrato un’opposizione preconcetta, ideologica, al nostro servizio. Il cui valore è, evidentemente, condiviso molto di più di quanto si pensi».

Dare degna sepoltura al proprio bambino mai nato è anche, insiste don Maurizio, il primo passo per l’elaborazione del lutto. «In tutte le mamme che hanno perso un figlio emerge la domanda: “Dov’è ora il mio bambino?”. A queste donne, ma anche ai tanti papà che incontriamo negli ospedali, vogliamo dire che siamo loro vicini. Una tomba su cui piangere diventa un punto fermo, un ancoraggio. Un po’ come è avvenuto dopo la Grande Guerra mondiale con la costruzione dei sacrari. Sono stati realizzati per dare la possibilità a tante madri di portare un fiore al proprio figlio disperso al fronte. In attesa di ritrovarlo, questa volta per sempre, in Paradiso».

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Proviamo a dare a tutti i ragazzi un altro palcoscenico

Posté par atempodiblog le 31 octobre 2013

Proviamo a dare a tutti i ragazzi un altro palcoscenico
Anna Oliverio Ferraris, psicologa e psicoterapeuta, rilegge alcuni fatti di cronaca. In particolare l’episodio di prostituzione minorile a Roma con una mamma consenziente e l’altra che denuncia. L’analisi: “La vicenda dei Parioli è un caso-limite, che però ci deve far riflettere su come oggi molti ragazzi separano il sesso dal sentimento, e lo fanno anche le ragazze”. La prostituzione, poi, viene descritta dai media come un lavoro: ciò legittima e normalizza tale comportamento
di M. Michela Nicolais – Agenzia SIR

Proviamo a dare a tutti i ragazzi un altro palcoscenico dans Riflessioni uz20Oggi, a Crotone, i carabinieri hanno potuto effettuare 17 arresti “eccellenti” nel serbatoio della ‘ndrangheta anche grazie a Lea Garofalo, la donna che ha avuto il coraggio di denunciare la criminalità organizzata e ha pagato con la vita. Denise, la figlia, non ha potuto assistere di persona ai funerali civili, celebrati il 19 ottobre a Milano, ma grazie alla scelta coraggiosa di sua madre ora vive in una località segreta sotto protezione. A Roma, due ragazze minorenni, di 14 e 15 anni, sono state arrestate perché si prostituivano ai Parioli, quartiere-simbolo della “Roma bene”. La madre dell’una ha allertato i carabinieri, insospettita dal comportamento di sua figlia, che a 15 anni viveva già da sola per i contrasti con la mamma. La madre dell’altra era addirittura complice della figlia, con la quale si spartiva i proventi illeciti. A separare queste storie di madri e di figlie non ci sono soltanto centinaia di chilometri. I media le hanno raccontate nello stesso giorno. Noi ne abbiamo parlato con Anna Oliverio Ferraris, psicologa e psicoterapeuta, direttrice della rivista degli psicologi italiani, “Psicologia contemporanea”.

Madri e figlie: come possono coesistere, in una società come la nostra, modelli così opposti?
“In Italia c’è una stratificazione notevole, a livello educativo: c’è chi cresce con principi e valori, e chi cresce senza principi e valori, senza una linea-guida. Per i genitori non è facile tenere la barra dritta, soprattutto per i tanti messaggi che arrivano agli adolescenti da tutte le direzioni. Pensiamo alla prostituzione: spesso i media la descrivono nei termini di un lavoro come un altro, e ciò legittima e normalizza tale comportamento. Il linguaggio non è secondario: se non ci sono attorno a loro adulti educanti, i ragazzi possono essere frastornati. Sono abituati a vedere immagini di sesso e pornografiche: per quei ragazzi che crescono senza una scala dei valori, la prostituzione può sembrare un’attività promozionale, anzi un’attività che dà l’indipendenza, che ti permette di ‘fare soldi’ da sola, di guadagnare molto denaro in mezz’ora. La voglia d’indipendenza è un fatto fisiologico nell’adolescenza, e il desiderio di emanciparsi dal punto di vista economico può essere confuso con l’indipendenza dai genitori, non importa con quali mezzi. Senza contare che oggi gli adolescenti, per gli atteggiamenti che assumono imitando i modelli che assorbono dai media, sembrano più grandi di quelli che sono, ma in realtà sono ancora immaturi. In una società così complicata, bisogna che gli adulti intervengano, perché gli adolescenti non possono essere lasciati a se stessi”.

Una madre che denuncia, l’altra complice di sua figlia…
“Nel caso della mamma che si spartiva il bottino, quando i genitori sono così, i figli non hanno molte possibilità. La madre è la figura che ha l’influenza più forte nella famiglia, soprattutto per una figlia: sia che la scelga come esempio, sia che si scontri con essa, la madre rimane sempre per lei la figura centrale. Se tua madre ti approva in un comportamento del genere, sei portata a pensare che le cose debbano andare così, ti senti autorizzata e legittimata in ciò che fai. Il comportamento dell’altra madre appare più virtuoso: se di mattina tua figlia va a scuola e poi non torna a casa, qualcosa che non va ci deve essere. Anche quando gli adolescenti, come nel caso della quindicenne, vanno a vivere da soli, hanno bisogno di una supervisione. Basta poco a un adolescente, per perdersi: Internet, qualche complimento o apprezzamento… Il denaro, poi, ha un altissimo valore corruttore: offre il miraggio di una falsa indipendenza, del guadagno facile che mette facilmente alla propria portata la droga, di cui entrambe le ragazze facevano uso”.

Disumanizzazione, perdita della dignità, degrado della femminilità: sono questi i termini che la vicenda delle due ragazze romane evocano. Si è perso l’alfabeto dell’umano?
“Non bisogna generalizzare. A mio avviso, la vicenda dei Parioli è un caso-limite, che però ci deve far riflettere su come oggi molti ragazzi separano il sesso dal sentimento, e lo fanno anche le ragazze: pensano di poter usare il loro corpo come oggetto, ma alla fine vengono usati. L’altra illusione di cui si nutrono è che niente lasci una traccia: pensano di poter fare alcune esperienze ‘ a tempo’, in un periodo della loro vita, e che queste non lascino il segno. Ma la persona ha bisogno di coerenza e di unità, due requisiti fondamentali dell’umano di cui spesso si smarrisce il senso”.

Cosa può funzionare come antidoto?
“Non focalizzarsi solo sui casi eclatanti: nella quotidianità, i nostri giovani sono migliori di quanto appaiano sulle cronache, ma a volte non hanno la possibilità di esprimersi. Ci siamo mai chiesti perché in Italia l’immaginario giovanile sia appannaggio quasi esclusivamente dei programmi di Maria De Filippi? Perché tutto è immagine, e si vuol far credere ai ragazzi che ci si realizza solo attraverso il mondo dello spettacolo. Non si parla mai di altri tipi di realizzazione: chi, tra i giovani, ha altro da dire, non trova il suo palcoscenico”.

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Scout d’Europa

Posté par atempodiblog le 31 octobre 2013

Scout d’Europa
Formare ragazzi e ragazze secondo la metodologia tipica dello scautismo, ma con una chiara identità cattolica. In Italia sono quasi ventimila. Una realtà in crescita. Da conoscere e promuovere
de Il Timone

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C’è chi dice che per capire chi siano gli Scout d’Europa bisogna andare almeno una volta a Vezélay, in Borgogna. Nell’imponente basilica romanica che domina un paese di 400 anime, ogni anno il 31 ottobre arrivano scout di tutte le associazioni nazionali. Arrivano dopo un pellegrinaggio a piedi di tre giorni. I vari clan partono dai quattro punti cardinali fino a confluire in una grande processione. In testa le bandiere con l’orifiamma: uno stendardo con due strisce verticali, una bianca e una nera, al centro una croce rossa a otto punte e il giglio scout dorato. Poi i canti. Il silenzio della veglia nel bagliore della candele. Una moltitudine di giovani in rigorosa uniforme, riuniti in preghiera sotto le volte di una chiesa simbolo di un’Europa cristiana che è insieme passato da custodire e sogno da realizzare.

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Nel mondo
L’origine della Federazione dello Scautismo Europeo (FSE) risale al dopoguerra. Nel clima di ricostruzione anche morale di quegli anni, l’esperienza dello scautismo cattolico – iniziato negli anni ’20 da figure come il gesuita francese Jacques Sevin, di cui è prossima la beatificazione – viene ripresa e rilanciata. Il battesimo avviene a Colonia, in Germania, nel 1956, con l’approvazione di una magna charta in dieci punti e la nascita di un consiglio federale. Ma la svolta avviene sei anni dopo, quando entrano a far parte dell’associazione francese della FSE i coniugi Perig et Lizig Géraud-Keraod. Perig, scout fin dalla giovinezza, durante la guerra aveva preso parte alla resistenza e dopo la liberazione era stato attivo, insieme con la moglie, nell’accoglienza degli emigranti che si spostavano dalla regione parigina verso la Bretagna. I due, nel giro di pochi anni, imprimono al movimento un grande dinamismo. Restano per quasi 25 anni responsabili della FSE a livello europeo e commissari generali dell’associazione francese.

In Italia
In Italia la nascita degli Scout d’Europa è legata a un periodo particolare, la crisi del ’68, che investe il mondo educativo un po’ a tutti i livelli. Attilio Grieco, romano, tra coloro che hanno importato l’esperienza della FSE, ha ricordato così il clima di allora: «All’inizio degli anni ’70 la situazione dello scoutismo cattolico in Italia era una grande baraonda: la dimensione religiosa era notevolmente affievolita e molti gruppi e unità si ponevano in lotta aperta contro parroci e vescovi. La dimensione socio-politica era entrata pesantemente nella vita associativa, con capi e unità coinvolti direttamente in azioni politiche e di partito. La vita nella natura veniva ripudiata perché era vista come evasione dai problemi della società. In questa linea, l’uniforme scout, sentita solo come ostacolo alla comunicazione con gli altri, era spesso sostituita dal solo fazzoletto portato su abbigliamenti variopinti. Venivano abbandonati capisaldi del metodo scout come la Legge, la Promessa, il sistema delle squadriglie, il metodo Giungla nei Branchi e del Bosco nei Cerchi e tante altre cose ancora. In compenso si introduceva la promiscuità fra ragazzi e ragazze nelle stesse unità e spesso nelle stesse squadriglie. In questa situazione, nonostante tutti gli sforzi fatti per riportare lo scoutismo ai suoi obiettivi originali, si arrivò inesorabilmente all’epilogo, con la chiusura dell’ASCI e dell’AGI e la nascita dell’AGESCI, nel maggio 1974. Questo creò non poco scompiglio. Molti capi e molti assistenti erano contrari al nuovo andazzo, ma non c’erano praticamente possibilità di reagire al nuovo stato di cose». Le derive non riguardarono, appunto, solo l’aspetto pedagogico: nello scoutismo cattolico il distacco fu netto nei confronti del Magistero e della Gerarchia. Emblematico il fatto che nel 1975 la FSE fu l’unica associazione scout in tutto il mondo a realizzare un pellegrinaggio a Roma in occasione dell’Anno Santo.
Così, nel 1975 un gruppo di capi che avevano fatto parte dell’ASCI e dell’AGI dichiarò di voler perseguire l’educazione di ragazzi e ragazze secondo la metodologia ideata da Baden-Powell, ma con una chiara identità cattolica. La scelta fu quella del “salmone”, un faticoso nuotare per anni controcorrente: la FSE era e resta distinta dalle due “associazioni ombrello” sotto cui si raccoglie gran parte dello scautismo mondiale, WOSM e WAGGGS; l’educazione separata di maschi e femmine fu giudicata arretrata; la linea cattolica più esplicita – e a lungo il mancato riconoscimento da parte di diverse conferenze episcopali – attirò il sospetto di integralismo; stessa cosa per la sottolineatura del principio di autorità, mal visto da molti ai tempi de “L’obbedienza non è più una virtù”. Dagli anni ’70 di acqua sotto i ponti ne è comunque passata parecchia e il tempo ha attenuato, se non proprio risolto, molte frizioni e incomprensioni. E nel 2003 è arrivato il riconoscimento della FSE come associazione internazionale di fedeli di diritto pontificio.

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Uno stile
In Italia gli Scout d’Europa sono oggi circa 19.000, con una presenza forte soprattutto in Lombardia, Veneto, Lazio e Sicilia. Del loro stile fanno parte la divisione tra la sezione femminile (Coccinelle, Guide e Scolte) e quella maschile (Lupetti, Esploratori, Rover), il rispetto molto sentito delle istituzioni, il coinvolgimento delle famiglie nel processo formativo, la cura per i segni e la simbologia, in generale una metodologia strutturata che rende la vita scout uniforme e riconoscibile indifferentemente dai luoghi e dalle regioni in cui è praticata. Cruciale è anche la coerenza di vita che dev’essere propria dei Capi. In un documento diffuso in aprile – un’integrazione al direttorio religioso della Federazione dello Scautismo Europeo – si legge: «Non possono comunque proseguire il servizio attivo nelle unità i Capi e le Capo che attentano al matrimonio tramite il divorzio, l’adulterio di pubblico dominio, la convivenza extra-matrimoniale intrapresa come stato sostitutivo del matrimonio e altre forme permanenti di relazione more uxorio, o che vengano meno al rispetto della vita con l’aborto, l’abbandono dei figli, la fecondazione artificiale». Mentre sull’omosessualità si ribadisce chiaramente la posizione ufficiale della Chiesa, senza ambiguità.

Vocazioni
La “scelta religiosa” degli Scout d’Europa ha dato i suoi frutti, anche vocazionali. In Francia molte chiamate al sacerdozio maturano nel mondo FSE e questo ha attirato l’interesse di numerose congregazioni, che sperano di attrarre scout tra le proprie fila. Ci sono comunità monastiche, come quella di Notre Dame di Randol, nel cuore dell’Alvernia, i cui monaci provengono tutti dagli Scout d’Europa. Guardando ai Paesi di lingua tedesca, emblematica è la vicenda di padre Andreas Honisch, scomparso nel 2008. Nato in Slesia nel 1930, fattosi gesuita, con studi in Giappone nella provincia governata allora da padre Arrupe, tornato in Germania lì fondò nel 1976 gli Scout d’Europa. Espulso dalla Compagnia di Gesù per la sua impostazione non in linea con l’“aggiornamento” dell’ordine, fu accolto nella diocesi di Augusta da mons. Josef Stimpfle, vescovo che aprì le porte anche al primo nucleo della Fraternità di San Pietro, nata da fuoriusciti della famiglia lefebvriana. Nel 1988, Honisch fondò i Servi di Gesù e Maria, i cui primi membri erano tutti Scout d’Europa. La congregazione è diventata nel 1994 di diritto pontificio e ha tra gli apostolati principali la cura pastorale sempre degli Scout d’Europa. Con la propria casa madre e il proprio seminario a Blindenmarkt, in Austria, è una delle poche realtà religiose in crescita in un Paese spazzato da un sinistro vento anti-romano e segnato da una crisi drammatica della vita religiosa.

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