Gli angeli si prendono alla leggera
Posté par atempodiblog le 30 octobre 2013
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Posté par atempodiblog le 30 octobre 2013
C’era una volta un re, il re Baldovino. Ma non “una volta” sperduta nel tempo, “una volta” concreta e neppure troppo lontana. Era il 4 aprile del 1990. In Italia c’era fermento per i Mondiali quando le Camere del Belgio approvarono un disegno di legge che depenalizzava l’aborto entro le prime dodici settimane di gravidanza. Il popolo belga aveva detto sì attraverso i suoi rappresentanti, ma c’era un problema: il re.
La legge, per concludere il suo iter, aveva bisogno della sua firma di ratifica, ma la sua mano proprio non ce la faceva a firmare. Qualcosa, in lui, diceva di no a quella prassi che aveva tutti i crismi della correttezza istituzionale: democratica, moderna, evoluta. Si rischiò la crisi istituzionale. Alla fine dovette cedere, ma con uno di quegli stratagemmi che ti fanno amare gli stratagemmi. Cedette l’uomo di stato, non l’uomo. Re Baldovino abdicò per due giorni, smise di essere re per permettere l’iter legislativo in sua “assenza”. Non fermò la legge sull’aborto, ma neppure la firmò.
Ci insegnò una cosa grande, di fronte ai nuovi miti della modernità, del “c’è lo chiede l’Europa”, del “non si può fermare la storia”. Ci insegnò che esiste una coscienza, nell’ultimo suddito come nel suo re. “So che agendo così - scrisse al Capo del Governo Wilfried Martens – non scelgo una strada facile e che rischio di non essere capito da un buon numero di concittadini. Ma è la sola via che in coscienza posso percorrere”.
C’era una volta un re di nome Baldovino. Lui e sua moglie, la spagnola Fabiola, avevano una grande fede cattolica. Avevano anche un dispiacere: non avevano potuto avere figli.
di Pino Suriano
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Posté par atempodiblog le 30 octobre 2013
I nodi del pastore Bergoglio
Fu lui a importare in Argentina dalla Germania la devozione alla Madonna “che scioglie i nodi”. Agli studi preferiva la cura d’anime. E oggi fa lo stesso: lascia ad altri l’esposizione della dottrina. Come nel caso della comunione ai divorziati risposati
di Sandro Magister – Chiesa Espresso
Da quando è stato eletto papa, Jorge Mario Bergoglio è costantemente sotto lo sguardo del mondo, che ne scruta ogni gesto e ogni parola. Ma la sua precedente biografia ancora attende di essere altrettanto investigata. Il libro di Nello Scavo “La lista di Bergoglio” ha sollevato il velo sul ruolo dell’allora giovane gesuita negli anni di piombo della dittatura militare:
Il gesuita che umiliò i generali
Ma ancora poco si conosce dei sei anni in cui Bergoglio fu superiore della provincia argentina della Compagnia di Gesù, tra il 1973 e il 1979, e dei reali motivi che portarono alla sua successiva emarginazione, fino all’esilio nella periferica residenza gesuita di Córdoba come semplice direttore spirituale.
Fu in uno di quei suoi anni difficili che Bergoglio si recò in Germania “per ultimare la tesi dottorale”, come dice succintamente la sua biografia ufficiale nel sito web del Vaticano.
Era il marzo del 1986. Bergoglio avrebbe compiuto 50 anni in dicembre. Per la tesi di dottorato aveva scelto come tema Romano Guardini, il grande teologo tedesco che fu maestro di due futuri papi, Paolo VI e Benedetto XVI, e di cui Bergoglio aveva letto e ammirato soprattutto due libri: “Il Signore”, sulla persona di Gesù, e “Der Gegensatz”, edito in spagnolo col titolo “Contrasteidad”, molto critico della dialettica hegeliana e marxista.
Ma da come si svolse quella sua trasferta in Germania e da come essa si interruppe dopo soli pochi mesi, con l’abbandono della tesi dottorale, si può dedurre che Bergoglio compì quel viaggio più per ordine dei suoi superiori gesuiti che di sua spontanea volontà.
Nell’intervista autobiografica “El Jesuita” Bergoglio avrebbe poi raccontato che in Germania, ogni volta che vedeva decollare un aereo, sognava di essere lui a bordo, verso l’Argentina. Tanta era la sua voglia di tornare in patria.
Gli archivi di Romano Guardini erano a Monaco, mentre la facoltà teologica nella quale Bergoglio avrebbe difeso la sua tesi dottorale era la Sankt Georgen di Francoforte.
Ma egli non si limitò a fare la spola tra queste due città. Da Monaco si arriva velocemente in treno anche ad Augsburg, Augusta.
E fu lì che la sua trasferta tedesca cambiò radicalmente di segno.
Ad Augsburg, nella chiesa dei gesuiti, dedicata a San Pietro, c’è una venerata immagine mariana: la Madonna “che scioglie i nodi”.
Maria vi è raffigurata mentre scioglie i nodi di un nastro che le porge un angelo, e che un altro angelo riceve da lei senza più i nodi. Il significato è trasparente. I nodi sono tutto ciò che complica la vita, le difficoltà, i peccati. E Maria è colei che aiuta a scioglierli.
Bergoglio fu molto colpito da questa immagine mariana. Quando pochi mesi dopo fece ritorno in Argentina, portò con sé un buon numero di cartoline con la Madonna “che scioglie i nodi”.
La tesi dottorale fu abbandonata sul nascere e lo stesso pensiero di Romano Guardini non lasciò su Bergoglio un’impronta duratura. Nell’intervista di papa Francesco a “La Civiltà Cattolica” in cui egli dedica ampio spazio ai suoi autori di riferimento, Guardini non c’è.
Ma in compenso, grazie a quel suo soggiorno in Germania nel 1986, Bergoglio fece inconsapevolmente nascere in Argentina una nuova devozione mariana.
Un artista al quale aveva dato la cartolina acquistata ad Augsburg riprodusse l’immagine e la offrì a una parrocchia del popolare Barrio de Agronomía, nel centro di Buenos Aires.
Ospitata nella chiesa, l’immagine di Maria “desatanudos” attrasse un numero crescente di devoti, convertì peccatori e segnò un’inattesa crescita della pratica religiosa. Al punto che dopo pochi anni si consolidò la tradizione di un pellegrinaggio all’immagine, proveniente dall’intera Buenos Aires e anche più da lontano, il giorno 8 di ogni mese.
“Mai come quella volta mi sono sentito uno strumento nelle mani di Dio”, confidò Bergoglio a un confratello gesuita che fu suo discepolo, padre Fernando Albistur, oggi professore di scienze bibliche al Colegio Máximo di San Miguel, a Buenos Aires.
Padre Albistur lo racconta in un libro fresco di stampa curato da Alejandro Bermúdez, con le interviste a dieci gesuiti e a dieci laici argentini amici di Bergoglio da lunga data.
E non è il solo. Nello stesso libro anche padre Juan Carlo Scannone, il più autorevole dei teologi argentini, già professore del giovane gesuita Bergoglio, riferisce lo stesso episodio.
A giudizio di Scannone, il caso della Madonna “che scioglie i nodi” aiuta a capire più a fondo il profilo “pastorale” di papa Francesco e la sua accentuata attenzione al “popolo”.
Bergoglio non è mai stato un teologo, tanto meno un accademico. Tra i teologi dice di prediligere Henri De Lubac e Michel de Certeau. Ma non perché ne abbia assimilato le posizioni complessive, peraltro tra loro diversissime. Di De Lubac cita quasi sempre un solo saggio: “Meditazioni sulla Chiesa”, e di esso quasi sempre un solo passaggio: quello contro la “mondanità” della Chiesa.
Anche da papa egli è dunque soprattutto uomo d’azione, d’azione pastorale. Chi l’ha conosciuto da vicino e gli è amico da anni – come i venti intervistati del libro di Alejandro Bermúdez – vede in lui eccezionali qualità di comando e notevole abilità di calcolo. Ogni suo gesto, ogni sua parola, non sono mai lasciati al caso. E la sua priorità è la cura pastorale del “popolo” che gli è affidato, che da quando è papa vede allargato a tutto il mondo.
La sua predicazione si addice volutamente a questo profilo. È primariamente rivolta alla gente comune, ai deboli di fede, ai peccatori, ai lontani. Non presi nel loro insieme, ma come se il papa voglia parlare a tu per tu con ciascuno di essi.
Come nel Vangelo Gesù è esigentissimo nei comandamenti ma si rivolge ai singoli peccatori con misericordia, così vuol fare papa Francesco.
Sulle questioni disputate, sul nascere, sul morire, sul generare, è di una ortodossia dottrinale indiscussa: “Il parere della Chiesa lo si conosce e io sono figlio della Chiesa”, ha tagliato corto nell’intervista a “La Civiltà Cattolica”.
Ma l’esposizione dottrinale la lascia ad altri e per sé riserva lo stile misericordioso del pastore d’anime.
L’esempio più lampante di questa azione congiunta è di pochi giorni fa, quando sulla questione disputata della comunione ai cattolici divorziati e risposati papa Francesco ha fatto intervenire il prefetto della congregazione per la dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller. Che in un ampio articolo su “L’Osservatore Romano” ha ribadito in tutto e per tutto le ragioni del “no” alla comunione:
Divorziati risposati. Müller scrive, Francesco detta
L’arcivescovo Müller è uno dei pochi capi di curia che Francesco ha confermato nel ruolo. Un uomo quindi di sua piena fiducia. Al quale non ha esitato di affidare anche il compito – nello stesso articolo – di dissipare gli equivoci nati da alcune formulazioni su “misericordia” e “coscienza” usate dallo stesso papa nel proprio pubblico conversare.
L’inaugurazione di questo doppio registro comunicativo – in questo caso del papa e del suo custode di dottrina – è sfuggita quasi del tutto ai media, tuttora abbagliati dalle presunte “aperture” di Francesco. Ma è prevedibile che si riprodurrà altre volte e su altri temi.
E consentirà forse di sciogliere un nodo interpretativo dell’attuale pontificato: quello dell’apparente distacco di papa Bergoglio dai suoi predecessori nell’affrontare la cosiddetta “sfida antropologica”.
Papa Francesco si è esplicitamente richiamato alla Madonna “che scioglie i nodi” nella prima parte della meditazione da lui pronunciata il 12 ottobre in piazza San Pietro, nella giornata mariana dell’anno della fede, alla presenza di un’ancor più celebre immagine mariana, quella di Fatima:
“La fede di Maria scioglie il nodo del peccato…”
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