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La carità non deve restare affatto chiusa nel fondo del cuore

Posté par atempodiblog le 30 septembre 2013

La carità non deve restare affatto chiusa nel fondo del cuore dans Citazioni, frasi e pensieri 1u5w

“La carità perfetta consiste nel sopportare i difetti degli altri, non stupirsi delle loro debolezze, edificarsi dei minimi atti di virtù che essi praticano, ma soprattutto ho capito che la carità non deve restare affatto chiusa nel fondo del cuore”.

Santa Teresa di Lisieux

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I Papi e la piccola Teresa di Gesù Bambino

Posté par atempodiblog le 30 septembre 2013

Tutti i pontefici del Novecento sono stati affascinati dalla fede semplice della santa di Lisieux. Basata sulla assoluta necessità della grazia
di Giovanni Ricciardi – 30Giorni

I Papi e la piccola Teresa di Gesù Bambino dans Fede, morale e teologia g1kr

Il 20 novembre 1887, santa Teresa del Bambin Gesù incontrò, a 15 anni, papa Leone XIII (1878-1903) nel corso di un pellegrinaggio organizzato dalla diocesi di Lisieux, chiedendogli con ingenua audacia il permesso di entrare nel Carmelo in anticipo sull’età prescritta. Il Papa le ripose in modo lapidario: «Bene. Entrerete se Dio lo vorrà». Il vecchio Pontefice non poteva immaginare che la vicenda di questa fanciulla avrebbe tanto segnato i pontificati dei suoi successori. Tutti i papi del Novecento sono infatti toccati, in un modo o nell’altro, dal “passaggio” di Teresa. Primo fra tutti, Pio XI, che la beatificò nel 1923 e la canonizzò due anni dopo, nominandola poi, nel 1927, patrona delle missioni. La storia di Teresa s’intreccia particolarmente con quella di papa Montini, che fu battezzato il giorno stesso della morte della piccola suora di Lisieux. Ma la prima intuizione della straordinarietà di Teresa si deve senz’altro a Pio X (1903-1914), il papa di cui il 4 agosto prossimo ricorre il centenario dell’elezione.

d52u dans RiflessioniPio X: «La più grande santa dei tempi moderni»
Erano passati solo dieci anni dalla morte di Teresa che Pio X ricevette in dono l’edizione francesce dell’Histoire d’une âme e, tre anni più tardi, nel 1910, la traduzione italiana dell’autobiografia della santa. Traduzione che allora era già alla sua seconda edizione. Pio X non ebbe esitazioni riguardo a Teresa e accelerò per questo l’introduzione della causa di beatificazione, che si data al 1914 e che fu uno degli ultimi atti del suo pontificato. Ma, già qualche anno prima, incontrando un vescovo missionario che gli aveva donato un ritratto di Teresa, il Papa aveva osservato: «Ecco la più grande santa dei tempi moderni». Un giudizio che poteva apparire temerario, anche perché Teresa non aveva allora e non ha a tutt’oggi soltanto estimatori. La semplicità della sua dottrina spirituale, semplicemente imperniata sull’assoluta necessità della grazia, faceva storcere il naso a non pochi ecclesiastici. Nella temperie di un cattolicesimo intriso di giansenismo, una spiritualità tutta imperniata sulla fiducia e sull’abbandono docile alla misericordia di Dio appariva in contrasto con il rigore di un’ascesi centrata sulla rinuncia e sul sacrificio di sé. L’eco di questo “sospetto” verso la dottrina di Teresa giunse così fino alle orecchie del Papa. Il quale, una volta, replicò con decisione ad uno di questi detrattori: «La sua estrema semplicità è la cosa più straordinaria e degna d’attenzione in quest’anima. Ristudiate la vostra teologia».

Tra le altre cose, Pio X era rimasto grandemente impressionato da una lettera che Teresa aveva scritto il 30 maggio del 1889 alla cugina Maria Guérin, la quale, per motivi di scrupolo, si asteneva dalla comunione: «Gesù è là nel tabernacolo apposta per te, per te sola, e arde dal desiderio di entrar nel tuo cuore […]. Comunicati spesso, molto spesso. Ecco il solo rimedio se vuoi guarire». Era allora un atteggiamento diffuso lo scrupolo eccessivo nell’accostarsi all’eucaristia, e la risposta di Teresa apparve al Papa un incoraggiamento a combattere questo atteggiamento. Ed è possibile che i due decreti di Pio X, Sacra Tridentina Synodus, sulla comunione frequente, e Quam singulari, sulla comunione ai bambini, siano stati influenzati della lettura degli scritti teresiani.

Benedetto XV: «Contro la presunzione di raggiungere con mezzi umani un fine soprannaturale»
Pio X non ebbe il tempo di seguire l’iter della causa di beatificazione. Il suo successore, Benedetto XV (1914-1922), lo accelerò ulteriormente. Il 14 agosto 1921 proclamò il decreto sulle virtù eroiche della piccola Teresa e, per la prima volta, un papa usò l’espressione “infanzia spirituale” per riferirsi alla “dottrina” della santa di Lisieux: «L’infanzia spirituale» disse il Papa «è formata da confidenza in Dio e da cieco abbandono nelle mani di Lui […]. Non è malagevole rilevare i pregi di questa infanzia spirituale sia per ciò che esclude sia per ciò che suppone. Esclude infatti il superbo sentire di sé; esclude la presunzione di raggiungere con mezzi umani un fine soprannaturale; esclude la fallacia di bastare a sé nell’ora del pericolo e della tentazione. E, d’altra parte, suppone fede viva nella esistenza di Dio; suppone pratico omaggio alla potenza e misericordia di Lui; suppone fiducioso ricorso alla provvidenza di Colui, dal quale possiamo ottenere la grazia e di evitare ogni male e di conseguire ogni bene. […] Auguriamo che il segreto della santità di suor Teresa di Gesù Bambino non resti occulto a nessuno».

Pio XI: «La stella del mio pontificato»
Pio XI (1922-1939), più di ogni altro papa, fu accompagnato per tutta la vita, anche prima dell’elezione al soglio di Pietro, da una profonda devozione verso la piccola Teresa. Quando era ancora nunzio apostolico a Varsavia, teneva sempre sul tavolo la Storia di un’anima; lo stesso continuò a fare dopo essere divenuto arcivescovo di Milano. Durante il suo pontificato Teresa fu elevata, con grande rapidità, all’onore degli altari. Beatificata il 29 aprile del 1923; canonizzata il 17 maggio del 1925, nel corso dell’Anno Santo; il 14 dicembre 1927 fu proclamata, insieme a san Francesco Saverio, patrona universale delle missioni cattoliche. Sia la beatificazione che la canonizzazione furono le prime del pontificato di Achille Ratti. E già l’11 febbraio del 1923, nel discorso tenuto in occasione dell’approvazione dei miracoli necessari per la beatificazione, osservava: «Miracolo di virtù in questa grande anima, da farci ripetere col Divino Poeta: “cosa venuta di cielo in terra a miracol mostrare” […]. La piccola Teresa si è fatta Ella pure una parola di Dio […]. La piccola Teresa del Bambino Gesù vuol dirci che ci è facile modo di partecipare a tutte le più grandi ed eroiche opere dello zelo apostolico, mediante la preghiera». Ai pellegrini francesi accorsi a Roma per la beatificazione di Teresa, disse: «Eccovi alla luce di questa Stella – come noi amiamo chiamarla – che la mano di Dio ha voluto far risplendere all’inizio del nostro pontificato, presagio e promessa di una protezione, di cui noi stiamo facendo la felice esperienza».

All’intercessione di Teresa papa Ratti attribuì in seguito una protezione speciale in momenti cruciali del suo pontificato. Nel 1927, in uno dei frangenti più duri della persecuzione contro la Chiesa cattolica in Messico, affidò quel Paese alla protezione di Teresa: «Quando la pratica religiosa sarà ristabilita in Messico», scriveva ai vescovi, «desidero che venga riconosciuta in santa Teresa di Gesù Bambino la mediatrice della pace religiosa nel vostro Paese». A lei si rivolse per implorare la soluzione del duro contrasto tra la Santa Sede e il governo fascista nel 1931, che portò l’Azione cattolica italiana a un passo dalla soppressione: «Mia piccola santa, fate che per la festa della Madonna tutto venga regolarizzato». La controversia giunse a soluzione il 15 agosto di quello stesso anno. Già alla fine dell’Anno Santo 1925 papa Ratti aveva inviato a Lisieux, in calce a una sua fotografia, un’espressione eloquente: «Per intercessionem S. Theresiae ab Infante Iesu protectricis nostrae singularis benedicat vos omnipotens et misericors Deus». E, nel 1937, al termine della lunga malattia da cui fu colpito negli ultimi anni di pontificato, ringraziò pubblicamente colei «la quale così validamente e così evidentemente è venuta in aiuto al sommo Pontefice e ancor sembra disposta ad aiutarlo: Santa Teresa di Lisieux». Non poté coronare il desiderio di recarsi personalmente a Lisieux negli ultimi mesi della sua vita. Alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale il pontificato passava nelle mani di Pio XII (1939-1958), che ben conosceva e apprezzava la piccola santa.

Pio XII: «Far valere davanti a Dio la povertà spirituale di una creatura peccatrice»
«Figlia di un cristiano ammirevole, Teresa ha imparato sulle ginocchia paterne i tesori di indulgenza e di compassione che si nascondono nel cuore del Signore! […] Dio è un Padre le cui braccia sono costantemente rivolte ai figli. Perché non rispondere a questo gesto? Perché non gridare senza posa verso di lui la nostra immensa angoscia? Bisogna fidarsi della parola di Teresa, quando invita, sia il più miserabile che il più perfetto, a non far valere davanti a Dio che la debolezza radicale e la povertà spirituale di una creatura peccatrice». Così papa Pacelli esprimeva, nel radiomessaggio dell’11 luglio 1954, in occasione della consacrazione della Basilica di Lisieux, il cuore della “via dell’infanzia spirituale” indicata da Teresa. Egli tenne per tutta la vita rapporti epistolari con il Carmelo di Lisieux. L’inizio di questa corrispondenza data al 1929, al tempo della nunziatura apostolica a Berlino, quando spedì a Lisieux una lettera di ringraziamento per aver ricevuto la prima edizione tedesca della Storia di un’anima. Fu poi più volte incaricato da Pio XI di recarsi al Carmelo di Teresa per presiedere alcune funzioni speciali in sua vece. Quando si recò a Buenos Aires, nel 1934, come legato pontificio al Congresso eucaristico internazionale, portò con sé una reliquia di Teresa a cui aveva affidato la sua missione. Per tutto il pontificato si mantenne in contatto per lettera con suor Agnese e suor Celina, le sorelle di Teresa che ancora vivevano nel Carmelo di Lisieux.

Giovanni XXIII: «La piccola Teresa ci conduce alla riva»
Santa Teresa la Grande [Teresa d’Avila, ndr], io l’amo molto… ma la Piccola: ella ci conduce alla riva […]. Bisogna predicare la sua dottrina così necessaria». Così Giovanni XXIII (1958-1963) si rivolgeva a un sacerdote che gli aveva offerto una collezione di ritratti della piccola Teresa. A Lisieux Angelo Roncalli si recò cinque volte, soprattutto nel periodo della sua nunziatura a Parigi, ma anche quando era ancora delegato apostolico in Bulgaria. Da pontefice si soffermò a lungo su Teresa durante l’udienza generale del 16 ottobre 1960. In quell’occasione disse: «Grande fu Teresa di Lisieux per aver saputo, nella umiltà, nella semplicità, nell’abnegazione costante, cooperare alle imprese e al lavoro della grazia per il bene di innumerevoli fedeli. A questo proposito il Santo Padre, volendo dare una adeguata similitudine, si compiaceva ricordare quanto più volte egli ebbe modo di osservare, nel porto di Costantinopoli. Giungevano colà ingenti navi da carico, che però non riuscivano, data la natura dei fondali, ad avvicinarsi alle banchine. Ecco quindi, accanto ad ogni grande nave, procedere presso i moli un battello, la cui presenza poteva, a prima vista, sembrare superflua, ed era invece preziosissima, poiché esso assolveva il compito di trasbordare le merci alla grande riva».

Paolo VI: «Sono nato alla Chiesa il giorno in cui la santa nacque al cielo»
Durante una visita ad limina del vescovo di Sées, la diocesi in cui Teresa nacque, papa Montini (1963-1978) ebbe a dire: «Sono nato alla Chiesa il giorno in cui la santa nacque al cielo. Questo le dice quali sono gli speciali legami che ad essa mi vincolano. Mia madre mi ha fatto conoscere santa Teresa di Gesù Bambino ch’ella amava. Ho già letto parecchie volte l’Histoire d’une âme, la prima volta in gioventù». Già nel 1938 scriveva alle monache del Carmelo di Lisieux confessando di «seguire da lunga data e col più vivo interesse lo sviluppo del Carmelo di Lisieux». E aggiungeva «di avere una grande devozione a santa Teresa, della quale conservo una piccola reliquia sul tavolo di lavoro».

Questi accenni basterebbero a significare il profondo legame tra Paolo VI e la piccola Teresa. Più volte, da papa, egli intervenne sulla figura e sulla dottrina della santa di Lisieux. Nel 1973, in occasione del centenario della nascita della santa, scrisse una lettera a monsignor Badré, allora vescovo di Bayeux e Lisieux, condensando in poche pagine il suo pensiero su Teresa. Realismo e umiltà sono i due concetti più espressamente sottolineati da papa Montini a proposito di Teresa: «Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo insegna a non contare su se stessi, sia che si tratti di virtù o di limitatezza, ma sull’amore misericordioso di Cristo, che è più grande del nostro cuore e ci associa all’offerta della sua passione e al dinamismo della sua vita». A proposito della vita di Teresa, che accettò il limite umano e culturale del chiostro, essa insegna, secondo Paolo VI, che «l’inserzione realista nella comunità cristiana, ove si è chiamati a vivere l’istante presente, ci sembra una grazia sommamente desiderabile per il nostro tempo». Teresa visse la sua personale via di santità in mezzo a un ambiente pieno di limiti. Tuttavia «essa non attese, per iniziare ad agire, un modo di vita ideale, un ambiente di convivenza più perfetto, diciamo piuttosto che essa ha contribuito a cambiarli dal di dentro. L’umiltà è lo spazio dell’amore. La sua ricerca dell’Assoluto e la trascendenza della sua carità le hanno permesso di vincere gli ostacoli, o piuttosto di trasfigurare i suoi limiti».
Paolo VI aveva già sottolineato il tema dell’umiltà in Teresa in un’udienza tenuta il 29 dicembre 1971: «Umiltà tanto più doverosa quanto più la creatura è qualche cosa, perché tutto dipende da Dio, e perché il confronto fra ogni nostra misura e l’Infinito obbliga a curvare la fronte». Quest’umiltà non è disgiunta in Teresa da una «infanzia piena di fiducia e di abbandono».
In un discorso pronunciato il 16 febbraio 1964, nella parrocchia di San Pio X, il Papa sottolineava con chiarezza quanto aveva praticato ed insegnato santa Teresa di Gesù Bambino riguardo alla fiducia che dobbiamo avere nella bontà di Dio, abbandonandoci pienamente alla sua Provvidenza misericordiosa: «Uno scrittore moderno assai noto conclude un suo libro affermando: tutto è grazia. Ma di chi è questa frase? Non del ricordato scrittore, perché anch’egli l’ha attinta – e lo dice – da altra sorgente. È di santa Teresa di Gesù Bambino. L’ha posta in una pagina dei suoi diari: “Tout est grâce”. Tutto può risolversi in grazia. Del resto anche la santa carmelitana non faceva che riecheggiare una splendida parola di san Paolo: “Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum”. Tutta la nostra vita può risolversi in bene, se amiamo il Signore. Ed è ciò che il Pastore Supremo augura a quanti lo ascoltano».

Giovanni Paolo I: «Con somma semplicità e andando all’essenziale»
Papa Luciani non ebbe il tempo, nei trentatré giorni del suo pontificato, di parlare di Teresa. Lo aveva fatto però in due importanti occasioni quando era patriarca di Venezia: quando, il 10 ottobre del 1973 tenne una conferenza in occasione del centenario della nascita di Teresa, e nella lettera alla santa nel libro Illustrissimi. Qui, Albino Luciani racconta di aver letto per la prima volta la Storia di un’anima quando aveva diciassette anni: «Fu per me un colpo di fulmine», scrisse. E rivela l’aiuto ricevuto da Teresa quando, giovane prete, si era ammalato di tubercolosi ed era stato ricoverato in sanatorio. «Mi vergognai di provare un po’ di paura», ricorda Luciani: «Teresa ventitreenne fino allora sana e piena di vitalità – mi dissi –, fu inondata di gioia e di speranza, quando sentì salire alla bocca la prima emottisi. Non solo, ma, attenuando il male, ottenne di portare a termine il digiuno con regime di pane secco e acqua, e tu vuoi metterti a tremare? Sei sacerdote, svegliati, non fare lo sciocco». Nella conferenza del 1973, il futuro Giovanni Paolo I sottolineava l’insegnamento di Teresa: «Essa, avendo acuta intelligenza e doni speciali, ha visto chiarissimo nelle cose di Dio e si è anche espressa chiarissimamente, cioè con somma semplicità e andando all’essenziale». Teresa non cercò esperienze diverse da quelle che il cristianesimo del suo tempo le offriva. Come scrive padre Mario Caprioli, non cercò esperienze straordinarie: «Confessione a sei anni, la preparazione alla prima comunione in famiglia, il pellegrinaggio – che per Teresa furono altamente istruttivi –, il monastero, cioè la vita religiosa coi voti, la regola, l’austerità» (M. Caprioli, I papi del XX secolo e Teresa di Lisieux, p. 349). «Oggi» commentava a questo proposito Luciani «sotto pretesto di rinnovamenti, si tende talvolta a svuotare tutte queste cose del loro valore. Teresa non sarebbe d’accordo, a mio avviso».


Giovanni Paolo II: Teresa di Gesù Bambino dottore della Chiesa universale
Proclamando, nel 1997, Teresa di Lisieux dottore della Chiesa universale, terza donna a ottenere questo titolo dopo Teresa d’Avila e Caterina da Siena, Giovanni Paolo II ha di fatto raccolto l’eredità dei suoi predecessori.

L’attualità di quel gesto può essere espressa nelle parole che don Luigi Giussani rivolgeva al Papa in piazza San Pietro durante l’incontro dei movimenti ecclesiali il 30 maggio 1998: «Al grido disperato del pastore Brand nell’omonimo dramma di Ibsen (“Rispondimi, o Dio, nell’ora in cui la morte m’inghiotte: non è dunque sufficiente tutta la volontà di un uomo per conseguire una sola parte di salvezza?”) risponde l’umile positività di santa Teresa del Bambin Gesù che scrive: “Quando sono caritatevole è solo Gesù che agisce in me”».

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Bernadette e il segno della croce

Posté par atempodiblog le 30 septembre 2013

Bernadette e il segno della croce dans Costanza Miriano 3ac

Verso la fine dell’estate un gruppo di cari amici è andato a Lourdes a fare servizio agli ammalati. Io, non potendo andare con loro, ho pensato di portare un po’ di Lourdes a casa mia, e così ho estratto dalla pila dei libri da leggere la biografia di Bernadette che era posizionata al numero centosessantuno della lista d’attesa (continuo a comprarli e a impilarli, nella speranza di rompermi una o due gambe: allora finalmente potrò dedicarmi alla lettura, stesa sul divano).

Così ho scoperto che subito dopo la prima apparizione, la pastorella, poverissima e ignorante, mostrò di avere capito alcune cose che solo la Madonna poteva averle spiegato, tanto più che Bernadette non poteva andare neppure a catechismo, era analfabeta.

Come prima cosa iniziò a farsi il segno della croce con un’attenzione e una solennità tutte diverse da prima. Quando dico nel nome del Padre e del Figlio – spiegava – con le mani vado dalla testa al cuore: l’amore, che noi collochiamo nel cuore, deve essere accompagnato dalla forza e dalla razionalità. Amare Dio con tutto il cuore e con tutta la mente. Invece il gesto di andare da una spalla all’altra significa – diceva la pastorella – avere la forza di prendere sulle nostre spalle la realtà. Sulle spalle, ma con la fiducia di chi sa che lo Spirito Santo farà per noi ciò che noi non riusciremo a portare a compimento.

In un gesto, dunque, si può esprimere il cuore della nostra fede: la misteriosa unità delle tre persone della Trinità, e la nostra partecipazione a questo mistero, che solo possiamo vagamente intuire; il nostro desiderio di essere docili alla realtà che ci viene consegnata; l’impegno di dire sì alla croce. Una fede, dunque, che esprime insieme il desiderio di farsi carico, ma anche la fiducia di sapere, come ha insegnato la Madonna a Bernadette, che a quello a cui non arriviamo noi penserà lo Spirito Santo.

Un gesto bellissimo che nasconde dunque un tesoro di fede, tramandatoci dai santi, dai martiri, dagli apostoli, dai fratelli maggiori; un gesto da insegnare ai figli. Pensiamoci la prossima volta che lo facciamo, magari distrattamente.

di Costanza Miriano – Credere
Tratto da: Il blog di Costanza Miriano

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Nelle telefonate del Pontefice la pastorale della solidarietà

Posté par atempodiblog le 30 septembre 2013

Dalla vittima di stupro, alla mamma del tossicodipendente, al bambino malato
di Andrea Tornielli – Vatican Insider

Nelle telefonate del Pontefice la pastorale della solidarietà dans Andrea Tornielli phvh

La telefonata è arrivata grazie a un tovagliolo di carta. Poche righe intrise di sofferenza e di coraggio. Nei giorni scorsi, una donna addetta alle pulizie nell’aeroporto di Buenos Aires ha saputo che l’uomo passatole di fronte era il direttore della Tv cattolica e stava imbarcandosi su un volo diretto a Roma dove avrebbe incontrato il Papa. Così ha pensato di scrivere un breve messaggio, per raccontare di suo figlio tossicodipendente e disoccupato, spiegando che lei lavora ogni giorno per lui nella speranza che possa uscire dall’incubo della droga. La donna ha scritto sul tovagliolo la richiesta di una preghiera e l’ha affidata al giornalista.

Quella singolare missiva su salvietta ha attraversato l’oceano ed è arrivata nelle mani di Bergoglio, che ne è rimasto profondamente colpito. «Era scritta in modo spartano… chiedeva solo una preghiera». Il Papa ha composto il numero che la donna aveva appuntato su un angolo del tovagliolo e le ha parlato. Ha voluto anche parlare con il figlio. Ha ascoltato entrambi, ha detto che pregava per loro. Il giorno dopo, incontrando i preti di Roma, Francesco ne ha parlato: è stato finora l’unico caso di telefonata papale rivelato dal chiamante e non dal chiamato. Bergoglio ha indicato l’esempio della donna e ha chiesto: «Non è questa santità?». La Chiesa «non crolla», ha aggiunto, perché anche oggi «c’è tanta santità quotidiana».

Le chiamate del Francesco alle persone comuni stanno diventando un’abitudine. L’ultima in ordine di tempo è quella fatta alla famiglia Chiolerio di Betlemme, frazione di Chivasso. Il Papa ha chiamato Federico, un bambino di sei anni che gli aveva inviato un disegno della frazione, l’unica località italiana a portare il nome della città dov’è nato Gesù.

Che cosa spinge il Papa venuto «dalla fine del mondo», nei rari momenti di tranquillità trascorsi nella suite 201 di Casa Santa Marta, a prendere il telefono fisso e a digitare personalmente il numero di uomini, donne, bambini che gli hanno spedito una lettera, un disegno o un messaggio di posta elettronica? «Per favore, spieghi ai giornalisti che le mie telefonate non sono una notizia», ha detto Francesco a don Dario Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano. «Io sono così, ho sempre fatto questo anche a Buenos Aires.

Ricevevo un biglietto, una lettera di un prete in difficoltà, una famiglia o un carcerato e rispondevo. Per me è molto più semplice chiamare, informarmi del problema e suggerire una soluzione, se c’è. Ad alcuni telefono, ad altri invece scrivo». Il Papa ha concluso con un sorriso ironico: «E meno male che non sanno tutte quelle che ho fatto!».

Le prime chiamate a sorpresa di Francesco erano dirette a persone conosciute. L’edicolante, per avvisarlo che causa elezione al soglio pontificio non doveva più portargli al copia del quotidiano «La Nación». Il suo dentista a Buenos Aires, per disdire, sempre a motivo della sopravvenuta elezione, un appuntamento già preso: il medico in quel momento era assente, e la segretaria per poco non sveniva dopo aver riconosciuta la voce di Bergoglio. Poi si è saputo di telefonate divenute un appuntamento fisso, come quella quindicinale, la domenica, a un gruppo di ragazzi detenuti in un carcere di Buenos Aires, che Francesco accompagna: «Sento che mi devo prendere cura di loro».

Infine si è cominciato ad aver notizia anche di chiamate fatte a persone sconosciute. Il flusso di corrispondenza è quasi triplicato, in Vaticano arrivano ogni giorno diversi sacchi pieni di lettere indirizzate a Francesco. Il Papa ha l’abitudine di leggerne un numero maggiore rispetto ai predecessori, anche se non può rispondere personalmente a tutte. Ma i messaggi che più lo colpiscono li trattiene sulla sua scrivania. Ci medita su. E in qualche caso partono le telefonate. Ripercorrendo quelle finite alla ribalta della cronaca, è possibile disegnarne quasi la «geografia».

C’è quella fatta a Michele Ferri, fratello del titolare di impianti di benzina ucciso lo scorso giugno da un suo dipendente. L’uomo, immobilizzato sulla carrozzina, gli aveva scritto per parlargli della sua sofferenza per quella morte violenta che non riusciva ad accettare. C’è quella che ha raggiunto Alejandra, una donna argentina vittima di stupro da parte di un poliziotto, che aveva scritto al Papa chiedendo giustizia. E ancora c’è la chiamata rivelata da Anna Romano, la giovane che ha deciso di non abortire nonostante il padre del bambino prima di abbandonarla glielo avesse chiesto. O quella della scorsa settimana a Michael, un dodicenne di Pinerolo ammalato di distrofia muscolare, che si stava lasciando andare ed è stato rincuorato.

Ma c’è stata anche quella a un giovane universitario padovano, che si è sentito invitare dal Papa a dargli de «tu». Proprio di questa chiamata Francesco ha parlato nell’intervista con il direttore della «Civiltà Cattolica»: «Ho visto che è stata molto ripresa dai giornali la telefonata che ho fatto a un ragazzo che mi aveva scritto una lettera. Io gli ho telefonato perché quella lettera era tanto bella, tanto semplice. Per me questo è stato un atto di fecondità. Mi sono reso conto che è un giovane che sta crescendo, ha riconosciuto un padre, e così gli dice qualcosa della sua vita. Il padre non può dire “me ne infischio”. Questa fecondità mi fa tanto bene».

«La Chiesa», ha detto Bergoglio «è una madre che non ha paura di entrare nella notte, per dare speranza… La Chiesa è una mamma misericordiosa, che cerca sempre di incoraggiare». Il filo rosso che unisce queste telefonate? Situazioni di dolore, di sofferenza, di solitudine ma anche di coraggio. E domande poste con autenticità. Francesco ha detto che bisogna recuperare la «grammatica della semplicità»: serve una Chiesa «capace di far compagnia» e di «riscaldare il cuore». Attraverso queste telefonate, e le tante altre che non conosceremo mai, il Papa «parroco» è entrato nelle singole esistenze di persone normali. Straordinariamente normali, proprio come lui.

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