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Bartali vince ancora: Giusto tra le nazioni

Posté par atempodiblog le 25 septembre 2013

Bartali vince ancora: Giusto tra le nazioni
di Massimiliano Castellani – Avvenire

Bartali vince ancora: Giusto tra le nazioni dans Sport 4q15

C’è voluto del tempo, ma alla fine Gino Bartali è arrivato anche al traguardo di Gerusalemme: lo Yad Vashem lo ha riconosciuto “Giusto tra le nazioni” per aver strappato alla morte gli ebrei perseguitati dal regime nazifascista. «Oh quanta strada nei miei sandali! Quanta ne avrà fatta Bartali…», canta Paolo Conte. In carriera il Ginettaccio si calcola che avesse coperto in sella a una bicicletta la bellezza di «700mila chilometri».

Ma di tutte le «tappe vinte», la meno nota, la più anomala e straordinaria fu quella Firenze-Assisi e ritorno nel capoluogo toscano, che tra l’ottobre del 1943 e il giugno 1944 Bartali corse almeno «una quarantina di volte» per trarre in salvo gli ebrei in clandestinità. Una tappa temeraria, di «trecentottanta chilometri» percorsi a perdifiato in una sola giornata per consegnare nella città di San Francesco documenti di vitale importanza per gli ebrei tenuti nascosti da padre Rufino Niccacci. Nota era la fede di Bartali, la precoce entrata nelle file dell’Azione Cattolica, l’appartenenza ai terziari carmelitani, il legame stretto con papa Pio XII e i contatti tenuti con Alcide De Gasperi e Giorgio La Pira.

Così come note erano state le gesta eroiche del ciclista per salvare gli ebrei rifugiati nella città di San Francesco, raccontate nel libro dello scrittore e regista Alex Ramati « Assisi underground » (titolo dell’omonimo film). Eppure quella tappa è rimasta a lungo «clandestina» alla storia e per espressa volontà del corridore. Bartali in vita minacciò di «querele» coloro che avessero svelato i particolari del suo coinvolgimento all’operazione «Assisi underground».

Le ragioni del silenzio erano tutte in quel monito di umile trasparenza tramandato dal buon Ginettaccio al figlio Andrea: «Certe cose si fanno e basta. Io voglio essere ricordato per le mie imprese sportive e non come un eroe di guerra… Io mi sono limitato a fare ciò che sapevo fare meglio. Andare in bicicletta». E in sella a quella bicicletta «verde ramarro», maglione di lana e calzoni di flanella per ripararsi dal freddo pungente di quell’autunno gelido di morte, Bartali era pronto al via. Partenza da casa sua, in piazza del Bandino, con prima sosta in via dello Studio alla chiesetta del Collegio Eugeniano: ad attenderlo don Giacomo Meneghello, il segretario del cardinale Elia Dalla Costa, che gli consegnava dei documenti della massima segretezza da portare ad Assisi. Una corsa piena di insidie, cominciata alle 6.30 del mattino dopo aver partecipato alla Messa.

Un tracciato da fare con il cuore in gola, senza destare sospetti, perché i suoi strani viaggi gli erano già costati tre giorni di carcere in via della Scala e il suo nome era da tempo nelle liste nere. «L’Ovra aveva messo una spia fissa a controllare i suoi spostamenti – racconta Paolo Alberati nel suo libro Gino Bartali. Mille diavoli in corpo (Giunti)”. Era stato un giornalista sportivo, Franco Monza, esperto di motori, che aveva cominciato a seguire anche le gare di quello che nell’elenco dei sospettati venne schedato come Bartali Gino, n° 576. Poca roba sul suo conto, visto che la spia riferiva ai suoi superiori: «Un tipo molto strano questo Bartali che ad ogni vittoria ringrazia sempre Dio e la Madonna invece di dedicare il successo al nostro Duce».

L’antifascismo indomito, unito all’amore per il prossimo rendeva ancora più veloce il pedale del fuoriclasse che aveva già vinto due edizioni del Giro d’Italia nel 1936 e nel’37 (poi vincerà il terzo nel ’46). Un «tappone» da portare a termine con il coraggio dell’italiano che è riuscito sfidare e battere i francesi a casa loro conquistando il Tour del 1938 (sarà l’unico ciclista al mondo a rivincere la Grand Boucle a dieci anni di distanza, nel 1948). Ecco le fasi salienti di quella corsa che lo ha reso “Giusto tra le nazioni” Bartali scala con calma il San Donato e va giù ancora lento per il Valdarno.

Taglia la nebbia a Reggello dove nella bottega del calzolaio dei ciclisti Gennaro Cellai, fa rifornimento di informazioni sulle strade da evitare, quelle più battute dalle pattuglie e le camionette fasciste e naziste. Un percorso minato, da compiere nel minor tempo possibile. Per questo accelera nel tratto che da Arezzo imbocca la Statale 71 in direzione di Perugia. Alle 9,50 il campione fa una sosta al bar della stazione di Terontola gestito da Leo Lipparelli. Quel passaggio è studiato apposta con il Lipparelli per consentire la fuga degli antifascisti della zona. Nella gran bolgia che creano i tanti tifosi, quella massa di indesiderati dal regime riesce a imboscarsi sui vagoni e a mettersi in salvo dai controlli della milizia, che si concede la libertà di avvicinare il famoso ciclista per chiedergli il memorabile autografo.

Da qui Bartali riprende spedito: costeggia il Trasimeno e rivede Castiglion del Lago, dove appena qualche mese prima era stato al servizio dell’Aeronautica in qualità di «portalettere» in bicicletta. Comincia a far tardi e non c’è gruppo che insegue più tetro e invisibile di quello che il campione sente a ruota. Ma il fiato lo assiste come sempre e vola sulla piana che da Ponte San Giovanni porta alla basilica di Santa Maria degli Angeli, in uno sprint-record di 21 minuti, alla velocità di 43 km orari (su una bicicletta del peso di quasi 15 chili, il doppio di quelle odierne).

Tempi buoni per rivincere una Milano-Sanremo -due ne vinse in carriera- e lo spirito è lo stesso, con in più la motivazione umanitaria che lo spinge sul podio più alto: all’ora di pranzo è ad Assisi, al convento delle clarisse di San Quirico. Luogo dove neppure i saraceni avevano osato entrare, e invece le due suorine di clausura Eleonora e Alfonsina, tante volte avevano accolto e rifocillato un Bartali sfinito, ma con il cuore gonfio di gioia e d’orgoglio.

Ad Assisi Bartali consegna le carte d’identità da falsificare con la macchina Felix della tipografia di Luigi Brizi, che col figlio Trento dà nuova nazionalità alle persone che padre Rufino nasconde nei conventi di Assisi. Alle 14,30, con i documenti celati nella canna verticale sotto il sellino, Bartali prende la strada di casa, dove arriva alle 19,30 spaccate. Fine della corsa? No, perché avverte che ormai è braccato e decide di andare in fuga per un po’ e mettere a riparo la famiglia. Andrà a Nuvole (vicino a Città di Castello) nella casa dell’amico Nello Capaccioni. Di tutto questo non dirà mai nulla, ma oggi sappiamo bene quanta fatica e quanta strada ha fatto Bartali per salvare uomini, donne e bambini dal tragico olocausto nazifascista.

Una città... da favola: Bergamo, gioiello dell'Alta Italia dans Viaggi & Vacanze sb0nxu

Per approfondire la figura di Bartali 2e2mot5 dans Diego Manetti Gino il pio

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Ratzinger: “Caro Odifreddi le racconto chi era Gesù”

Posté par atempodiblog le 25 septembre 2013

Ratzinger: “Caro Odifreddi le racconto chi era Gesù”
La fede, la scienza, il male. Un dialogo a distanza fra Benedetto XVI e il matematico
Fonte: La Repubblica

 Ratzinger: “Caro Odifreddi le racconto chi era Gesù” dans Fede, morale e teologia fiid

Ill.mo Signor Professore Odifreddi, (…) vorrei ringraziarLa per aver cercato fin nel dettaglio di confrontarsi con il mio libro e così con la mia fede; proprio questo è in gran parte ciò che avevo inteso nel mio discorso alla Curia Romana in occasione del Natale 2009. Devo ringraziare anche per il modo leale in cui ha trattato il mio testo, cercando sinceramente di rendergli giustizia.

Il mio giudizio circa il Suo libro nel suo insieme è, però, in se stesso piuttosto contrastante. Ne ho letto alcune parti con godimento e profitto. In altre parti, invece, mi sono meravigliato di una certa aggressività e dell’avventatezza dell’argomentazione. (…)

Più volte, Ella mi fa notare che la teologia sarebbe fantascienza. A tale riguardo, mi meraviglio che Lei, tuttavia, ritenga il mio libro degno di una discussione così dettagliata. Mi permetta di proporre in merito a tale questione quattro punti:

1. È corretto affermare che « scienza » nel senso più stretto della parola lo è solo la matematica, mentre ho imparato da Lei che anche qui occorrerebbe distinguere ancora tra l’aritmetica e la geometria. In tutte le materie specifiche la scientificità ha ogni volta la propria forma, secondo la particolarità del suo oggetto. L’essenziale è che applichi un metodo verificabile, escluda l’arbitrio e garantisca la razionalità nelle rispettive diverse modalità.

2. Ella dovrebbe per lo meno riconoscere che, nell’ambito storico e in quello del pensiero filosofico, la teologia ha prodotto risultati durevoli.

3. Una funzione importante della teologia è quella di mantenere la religione legata alla ragione e la ragione alla religione. Ambedue le funzioni sono di essenziale importanza per l’umanità. Nel mio dialogo con Habermas ho mostrato che esistono patologie della religione e – non meno pericolose – patologie della ragione. Entrambe hanno bisogno l’una dell’altra, e tenerle continuamente connesse è un importante compito della teologia.

4. La fantascienza esiste, d’altronde, nell’ambito di molte scienze. Ciò che Lei espone sulle teorie circa l’inizio e la fine del mondo in Heisenberg, Schrödinger ecc., lo designerei come fantascienza nel senso buono: sono visioni ed anticipazioni, per giungere ad una vera conoscenza, ma sono, appunto, soltanto immaginazioni con cui cerchiamo di avvicinarci alla realtà. Esiste, del resto, la fantascienza in grande stile proprio anche all’interno della teoria dell’evoluzione. Il gene egoista di Richard Dawkins è un esempio classico di fantascienza. Il grande Jacques Monod ha scritto delle frasi che egli stesso avrà inserito nella sua opera sicuramente solo come fantascienza. Cito: « La comparsa dei Vertebrati tetrapodi… trae proprio origine dal fatto che un pesce primitivo « scelse » di andare ad esplorare la terra, sulla quale era però incapace di spostarsi se non saltellando in modo maldestro e creando così, come conseguenza di una modificazione di comportamento, la pressione selettiva grazie alla quale si sarebbero sviluppati gli arti robusti dei tetrapodi. Tra i discendenti di questo audace esploratore, di questo Magellano dell’evoluzione, alcuni possono correre a una velocità superiore ai 70 chilometri orari… » (citato secondo l’edizione italiana Il caso e la necessità, Milano 2001, pagg. 117 e sgg.).

In tutte le tematiche discusse finora si tratta di un dialogo serio, per il quale io – come ho già detto ripetutamente  -  sono grato. Le cose stanno diversamente nel capitolo sul sacerdote e sulla morale cattolica, e ancora diversamente nei capitoli su Gesù. Quanto a ciò che Lei dice dell’abuso morale di minorenni da parte di sacerdoti, posso  -  come Lei sa  -  prenderne atto solo con profonda costernazione. Mai ho cercato di mascherare queste cose. Che il potere del male penetri fino a tal punto nel mondo interiore della fede è per noi una sofferenza che, da una parte, dobbiamo sopportare, mentre, dall’altra, dobbiamo al tempo stesso, fare tutto il possibile affinché casi del genere non si ripetano. Non è neppure motivo di conforto sapere che, secondo le ricerche dei sociologi, la percentuale dei sacerdoti rei di questi crimini non è più alta di quella presente in altre categorie professionali assimilabili. In ogni caso, non si dovrebbe presentare ostentatamente questa deviazione come se si trattasse di un sudiciume specifico del cattolicesimo.

Se non è lecito tacere sul male nella Chiesa, non si deve però, tacere neppure della grande scia luminosa di bontà e di purezza, che la fede cristiana ha tracciato lungo i secoli. Bisogna ricordare le figure grandi e pure che la fede ha prodotto  -  da Benedetto di Norcia e sua sorella Scolastica, a Francesco e Chiara d’Assisi, a Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, ai grandi Santi della carità come Vincenzo dè Paoli e Camillo de Lellis fino a Madre Teresa di Calcutta e alle grandi e nobili figure della Torino dell’Ottocento. È vero anche oggi che la fede spinge molte persone all’amore disinteressato, al servizio per gli altri, alla sincerità e alla giustizia. (…)

Ciò che Lei dice sulla figura di Gesù non è degno del Suo rango scientifico. Se Lei pone la questione come se di Gesù, in fondo, non si sapesse niente e di Lui, come figura storica, nulla fosse accertabile, allora posso soltanto invitarLa in modo deciso a rendersi un po’ più competente da un punto di vista storico. Le raccomando per questo soprattutto i quattro volumi che Martin Hengel (esegeta dalla Facoltà teologica protestante di Tübingen) ha pubblicato insieme con Maria Schwemer: è un esempio eccellente di precisione storica e di amplissima informazione storica. Di fronte a questo, ciò che Lei dice su Gesù è un parlare avventato che non dovrebbe ripetere. Che nell’esegesi siano state scritte anche molte cose di scarsa serietà è, purtroppo, un fatto incontestabile. Il seminario americano su Gesù che Lei cita alle pagine 105 e sgg. conferma soltanto un’altra volta ciò che Albert Schweitzer aveva notato riguardo alla Leben-Jesu-Forschung (Ricerca sulla vita di Gesù) e cioè che il cosiddetto « Gesù storico » è per lo più lo specchio delle idee degli autori. Tali forme mal riuscite di lavoro storico, però, non compromettono affatto l’importanza della ricerca storica seria, che ci ha portato a conoscenze vere e sicure circa l’annuncio e la figura di Gesù.

(…) Inoltre devo respingere con forza la Sua affermazione (pag. 126) secondo cui avrei presentato l’esegesi storico-critica come uno strumento dell’anticristo. Trattando il racconto delle tentazioni di Gesù, ho soltanto ripreso la tesi di Soloviev, secondo cui l’esegesi storico-critica può essere usata anche dall’anticristo – il che è un fatto incontestabile. Al tempo stesso, però, sempre – e in particolare nella premessa al primo volume del mio libro su Gesù di Nazaret – ho chiarito in modo evidente che l’esegesi storico-critica è necessaria per una fede che non propone miti con immagini storiche, ma reclama una storicità vera e perciò deve presentare la realtà storica delle sue affermazioni anche in modo scientifico. Per questo non è neppure corretto che Lei dica che io mi sarei interessato solo della metastoria: tutt’al contrario, tutti i miei sforzi hanno l’obiettivo di mostrare che il Gesù descritto nei Vangeli è anche il reale Gesù storico; che si tratta di storia realmente avvenuta. (…)

Con il 19° capitolo del Suo libro torniamo agli aspetti positivi del Suo dialogo col mio pensiero. (…) Anche se la Sua interpretazione di Gv 1,1 è molto lontana da ciò che l’evangelista intendeva dire, esiste tuttavia una convergenza che è importante. Se Lei, però, vuole sostituire Dio con « La Natura », resta la domanda, chi o che cosa sia questa natura. In nessun luogo Lei la definisce e appare quindi come una divinità irrazionale che non spiega nulla. Vorrei, però, soprattutto far ancora notare che nella Sua religione della matematica tre temi fondamentali dell’esistenza umana restano non considerati: la libertà, l’amore e il male. Mi meraviglio che Lei con un solo cenno liquidi la libertà che pur è stata ed è il valore portante dell’epoca moderna. L’amore, nel Suo libro, non compare e anche sul male non c’è alcuna informazione. Qualunque cosa la neurobiologia dica o non dica sulla libertà, nel dramma reale della nostra storia essa è presente come realtà determinante e deve essere presa in considerazione. Ma la Sua religione matematica non conosce alcuna informazione sul male. Una religione che tralascia queste domande fondamentali resta vuota.

Ill. mo Signor Professore, la mia critica al Suo libro in parte è dura. Ma del dialogo fa parte la franchezza; solo così può crescere la conoscenza. Lei è stato molto franco e così accetterà che anch’io lo sia. In ogni caso, però, valuto molto positivamente il fatto che Lei, attraverso il Suo confrontarsi con la mia Introduzione al cristianesimo, abbia cercato un dialogo così aperto con la fede della Chiesa cattolica e che, nonostante tutti i contrasti, nell’ambito centrale, non manchino del tutto le convergenze.

Con cordiali saluti e ogni buon auspicio per il Suo lavoro.

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