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L’attualità del sacrificio di Salvo D’Acquisto

Posté par atempodiblog le 21 septembre 2013

L’attualità del sacrificio di Salvo D’Acquisto
di Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l’Italia – L’Osservatore Romano – 24/09/08
Tratto da: Fides Vita

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L’Italia è un Paese bisognoso della testimonianza cristiana, per la presenza di una cultura predominante in Occidente, caratterizzata dall’autosufficienza e dominata dal laicismo. La stessa etica viene ricondotta dentro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con l’esclusione di ogni principio morale valido e vincolante per se stesso, e dove la libertà individuale è considerata valore fondamentale a cui tutti gli altri dovrebbero sottostare. In tale contesto Dio risulta estraneo e assente. Occorre, perciò, risvegliare le radici della nostra civiltà, perché l’Italia resta un terreno assai favorevole per la testimonianza cristiana.

L’esempio dei martiri cristiani
Ne è convinto assertore Papa Benedetto XVI, che, in occasione della XII seduta pubblica delle Pontificie Accademie, ha dichiarato: “È più che mai necessario riproporre l’esempio dei Martiri cristiani, sia dell’antichità sia dei nostri giorni, nella cui vita e nella cui testimonianza spinta fino all’effusione del sangue, si manifesta in modo supremo l’amore di Dio”. L’annuncio del Vangelo non avviene solo attraverso il semplice passaparola di informazioni e neppure con i mezzi di comunicazione, ma mediante uomini e donne che “provano” la perdurante verità di Cristo nella storia tramite la loro fedeltà al Vangelo, sino ad accettare di morire, perché la risurrezione sia narrata concretamente come una ragione per la quale vale la pena di vivere e dare la vita. Amare non è solo emozione, mero sentimento, è un’azione: dare ciò che fa belle e intense le giornate, ciò che fa vibrare l’animo dinanzi al bene, comunicare la bellezza dell’incontro con Dio. È il segreto del paradossale messaggio cristiano, da riscoprire sempre dietro il nome e il volto di qualcuno il cui cuore ne è rimasto positivamente trafitto.
La nostra nazione, è attraversata da un fiume di nomi, di confessori, di martiri: i testimoni, tra cui il vicebrigadiere dei carabinieri Salvo D’Acquisto, racconto vivente di quell’amore “più grande” che compendia ogni altro valore: dare la vita per i propri amici (Gv, 15, 13). Ragazzo limpido, con una intimità ricca di grande umanità e rettitudine morale, dall’agire delicato ma fermo, guidato dalla fede in Dio e dalla lealtà all’Arma, Salvo si distingue presto per la fedeltà al dovere e il rispetto per la gente, il suo innato bisogno di aiutare gli altri, armonizzando il sentire religioso con l’affetto per il prossimo e le doti tradizionali del carabiniere: l’amore di Patria, il coraggio, lo spirito di sacrificio, il senso del dovere e della solidarietà.
“Il mio dovere è di essere con la gente che è stata affidata a noi”: questa fu la netta risposta, espressione di un cuore pieno di amore, data a chi gli consigliava di nascondersi a Roma dopo l’8 settembre 1943. Immolarsi per gli altri. Una convinzione che lo porta, in un pomeriggio del 23 settembre 1943, presso la Torre di Palidoro, una borgata sulla Via Aurelia, alle porte di Roma, a offrire se stesso per salvare ventidue ostaggi che già stavano scavando la loro fossa di morte, dove sarebbero stati sepolti dopo la fucilazione come ritorsione a un presunto attentato. Un gesto, compendio di una esistenza più intensa e vera, che vuole affermare, in un momento triste per la storia dell’umanità, la possibilità di una speranza, perché gli uomini ritrovino la forza di donarsi, certi che la felicità coincide con la carità.
Donare la vita non fu per Salvo un momento episodico, di generosità occasionale, ma decisione di consacrare tutta intera la sua pur breve esistenza, coerente con il proprio ideale umano e cristiano, con la propria divisa, indossata con dignità, in difesa di una patria più giusta a solidale.
A sessantacinque anni dalla morte, l’esempio di Salvo D’Acquisto risuona nella coscienza di migliaia di uomini e donne del mondo militare e non. A suo ricordo continuano a essere dedicati monumenti, caserme, scuole, strade e piazze, invitando a ritrovare i valori della rinuncia e del sacrificio, che l’umanità ha perso e che un giovane carabiniere ha manifestato splendidamente senza clamori. Egli insegna che la giovinezza non è proprietà esclusiva di chi la vive e non di rado la sciupa. Il Vangelo della pace non si dimostra, si mostra pagando di persona.

Coerenza della testimonianza
L’attualità di Salvo, allora, è nell’indicare la coerenza come forma specifica della testimonianza evangelica, anche a prezzo del martirio. La coerenza di essere impegnati al servizio del bene comune, custodi della concordia civile, messaggeri di quella pace, che racchiude sempre qualcosa di sacro, pur cosciente delle furbizie e delle asprezze che gli altri lasciano sulla strada della vita. Testimone è chi vive nella logica delle beatitudini evangeliche. E questo in ogni situazione, anche la più complessa e difficile; a qualsiasi costo anche della rinuncia e del massimo coraggio, anche di venir incompreso, deriso, emarginato, rifiutato e ucciso.
Così, il credente, con una forte armatura spirituale, affermerà con determinazione il suo genio cristiano, humus dove fiorisce lo scambio tra esperienze del quotidiano ed esigenze del Vangelo, artefice grande e umile della crescita del Regno di Dio nella storia. La coerenza del cristiano comporterà una sua riconoscibilità e un riconoscimento di quella eredità di fede, di valori comuni e di unità che sono divenuti dote civile dell’intera società e aiutano lo sviluppo del Paese. In tal senso i battezzati – per ricordare la Lettera a Diogneto – non rinunciano alla loro testimonianza né la contrappongono semplicemente alla legge ma obbediscono alle norme stabilite, eppure vincono le leggi con il proprio specifico modo di vivere.
Salvo D’Acquisto può, dunque, considerarsi significativo modello per ammirare e imitare la professione di una autentica appartenenza a Cristo e la coraggiosa coerenza delle proprie azioni. Nell’esemplarità della sua vita sembra risuonare la voce di Ignazio di Antiochia nella Lettera agli Efesini: “È meglio essere cristiano senza dirlo che proclamarlo senza esserlo”.

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