La Chiesa di misericordia di papa Francesco non è una chiesa del relativismo
Posté par atempodiblog le 20 septembre 2013
In un’ampia intervista alla rivista Civiltà Cattolica, papa Francesco spiega le priorità della Chiesa, l’importanza della misericordia e dell’uscire incontro alle situazioni e alle persone ferite. La Chiesa come “un ospedale da campo”. Accoglienza di divorziati, omosessuali, persone che hanno praticato l’aborto. Molti applaudono alla “rivoluzione”, ma in realtà tutto è nella più pura tradizione. L’importanza della donna nella Chiesa, della collegialità anche con gli ortodossi. “Sono un peccatore al quale il Signore ha guardato”.
di Bernardo Cervellera – AsiaNews
« La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: « Gesù Cristo ti ha salvato! ». E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia ».
Secondo papa Francesco, testimoniare la misericordia è il « bisogno più grande della Chiesa di oggi »: lo afferma in vari modi nella lunga conversazione
-intervista che egli ha avuto con un suo confratello gesuita, p. Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, e diffusa in contemporanea su molte
pubblicazioni dell’ordine.
Troppo spesso – spiega il papa – la Chiesa si mostra più interessata all’organizzazione e alla morale, e va incontro al mondo presentando solo delle regole: « Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza.
L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali ».
Il pontefice ribadisce così quello che è divenuto il suo slogan fin dall’elezione (anzi, fin dal conclave): « Uscire » verso « le periferie esistenziali e geografiche ». Ancora nell’intervista, egli dice: « Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è andato o è indifferente. Chi se n’è andato, a volte lo ha fatto per ragioni che, se ben comprese e valutate, possono portare a un ritorno. Ma ci vuole audacia, coraggio ».
Diversi media hanno presentato la sua intervista come una « rivoluzione », una « apertura », fino a supporre quasi una « sconfessione » del magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.
In realtà, ogni missionario e ogni cristiano sa che prima occorre l’annuncio della salvezza offerta da Gesù Cristo, poi la catechesi (e la dottrina), poi la
morale. Sottolineare sempre e solo la morale è un errore di impostazione.
La vera novità di papa Francesco, più che a livello dottrinale, è a livello di atteggiamento: « La prima riforma – egli dice – deve essere quella dell’atteggiamento. I ministri del Vangelo devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi. Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di Stato ».
« Sogno – aggiunge – una Chiesa Madre e Pastora. I ministri della Chiesa devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo. Questo è Vangelo puro. Dio è più grande del peccato. Le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo ».
Chi volesse mettere in contrasto questo atteggiamento con il passato magistero, dovrebbe ricordare che Giovanni Paolo II ha dedicato addirittura
un’enciclica alla misericordia (« Dives in misericordia« ), che Benedetto XVI ha messo la testimonianza del Dio di misericordia alla base della civiltà umana.
Anche quanto lui dice sull’accoglienza di divorziati, omosessuali, persone che hanno scelto l’aborto non presenta nessuna novità dottrinale: per
sincerarsene, basta una lettura del Catechismo della Chiesa cattolica. Nell’intervista, è lo stesso papa Francesco ad affermarlo: « Dobbiamo annunciare
il Vangelo su ogni strada, predicando la buona notizia del Regno e curando, anche con la nostra predicazione, ogni tipo di malattia e di ferita. A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono « feriti sociali » perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesa non vuole fare questo. Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo. La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è
possibile ».
Ancora, una volta, il pontefice sottolinea l’atteggiamento di apertura, di accoglienza della persona, senza mettere anzitutto davanti principi e regole:
« Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione ».
« Io vedo con chiarezza – dice anche – che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e
gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso ».
Un’altra novità interessante per una riforma della Chiesa è quanto Francesco dice a proposito della certezza di fede.
Nel « cercare e trovare Dio in tutte le cose resta sempre una zona di incertezza. Deve esserci. Se una persona dice che ha incontrato Dio con certezza totale e non è sfiorata da un margine di incertezza, allora non va bene… Se uno ha le risposte a tutte le domande, ecco che questa è la prova che Dio non è con lui ». Una simile affermazione viene vista da alcuni commentatori come la conferma che finalmente anche il papa è dei nostri, del « partito del relativismo »; finalmente possiamo brindare al fatto che non vi è alcuna verità. Lo stesso pontefice si chiede: « È relativismo? Sì, se è inteso male, come una specie di panteismo indistinto. No, se è inteso in senso biblico, per cui Dio è sempre una sorpresa, e dunque non sai mai dove e come lo trovi, non sei tu a fissare i tempi e i luoghi dell’incontro con Lui ». In realtà il papa non fa altro che sottolineare la tradizionalissima dottrina agostiniana: « se lo comprendi, non è Dio »: Dio non si può inscatolare in un’idea, in regole, in discorsi, ma lo si può incontrare. La Verità la si può incontrare nella storia, « nell’avventura della ricerca dell’incontro e del lasciarsi cercare e lasciarsi incontrare da Dio ».
Nella stessa intervista, Francesco spiega il valore dell’adorazione silenziosa serale davanti al tabernacolo, per ricordare « cosa io ho fatto per Cristo », ma soprattutto per ravvivare la coscienza « che il Signore ha memoria di me ».
Un altro punto toccato nell’intervista è quello sul ruolo della donna nella Chiesa. Il pontefice spinge per una « teologia della donna nella Chiesa » che dia valore al suo apporto specifico, anche in luoghi di responsabilità, ma mette in guardia contro il « machismo in gonnella », le rivendicazioni di tipo femminista che vogliono rendere la donna uguale all’uomo (« in realtà la donna ha una struttura differente dall’uomo »). Qualche teologo in
voga ha subito applaudito alla possibilità che « finalmente » si possa avere il sacerdozio femminile. Ma lo stesso papa, nell’intervista, dice: « La donna per la Chiesa è imprescindibile. Maria, una donna, è più importante dei Vescovi. Dico questo perché non bisogna confondere la funzione con la dignità ». Il punto perciò è ritrovare l’apporto specifico e la dignità del « genio femminile » – come diceva Giovanni Paolo II – senza voler rinchiudere questa riscoperta in una semplice equiparazione di funzioni.
Un punto piuttosto innovativo citato nella conversazione è quello della collegialità applicata al governo della Chiesa e ai rapporti ecumenici.
« Credo …che la consultazione sia molto importante. I Concistori, i Sinodi sono, ad esempio, luoghi importanti per rendere vera e attiva questa consultazione. Bisogna renderli però meno rigidi nella forma. Voglio consultazioni reali, non formali. La Consulta degli otto cardinali, questo gruppo consultivo outsider, non è una decisione solamente mia, ma è frutto della volontà dei cardinali, così come è stata espressa nelle Congregazioni Generali prima del Conclave. E voglio che sia una Consulta reale, non formale ».
E ancora: « Si deve camminare insieme: la gente, i Vescovi e il Papa. La sinodalità va vissuta a vari livelli. Forse è il tempo di mutare la metodologia del Sinodo, perché quella attuale mi sembra statica. Questo potrà anche avere valore ecumenico, specialmente con i nostri fratelli Ortodossi. Da loro si può imparare di più sul senso della collegialità episcopale e sulla tradizione della sinodalità. Lo sforzo di riflessione comune, guardando a come si governava la Chiesa nei primi secoli, prima della rottura tra Oriente e Occidente, darà frutti a suo tempo ».
Anche in questo papa Francesco è in qualche modo debitore delle visite e degli incontri di Giovanni Paolo II con molte personalità ortodosse e del fine lavoro ecumenico di Benedetto XVI, che anni fa ha chiesto alle Chiese ortodosse di aiutarlo a esprimere il ministero petrino in una maniera da loro accettabile e fedele alla tradizione della Chiesa indivisa.
Non è possibile riassumere tutta la ricchezza della conversazione intervista: vi sono ancora temi quali il rapporto fra Chiese giovani e antiche, fra teologia e popolo, fra laboratori pensanti ed esperienze di frontiera. Per questo rimandiamo alla lettura completa del testo.
Ma un aspetto vale ancora la pena di citare: quella dell’atteggiamento personale di papa Francesco, il suo cuore, quando cerca di definirsi: « Sono un peccatore al quale il Signore ha guardato ». E rivela lo stile di vita del beato Pietro Favre (1506-1546), uno dei primi compagni di sant’Ignazio di Loyola, così vicino al suo: « Il dialogo con tutti, anche i più lontani e gli avversari; la pietà semplice, una certa ingenuità forse, la disponibilità immediata, il suo attento discernimento interiore, il fatto di essere uomo di grandi e forti decisioni e insieme capace di essere così dolce, dolce… ».
« Le mie scelte – aggiunge – anche quelle legate alla normalità della vita, come l’usare una macchina modesta, sono legate a un discernimento spirituale che risponde a una esigenza che nasce dalle cose, dalla gente, dalla lettura dei segni dei tempi. Il discernimento nel Signore mi guida nel mio modo di governare ».
Per il testo completo della conversazione-intervista, vedi qui.
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