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Novena in preparazione alla festa dell’Esaltazione della Santa Croce (dal 5 al 13 settembre)

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2013

Novena in preparazione alla festa dell’Esaltazione della Santa Croce (dal 5 al 13 settembre)

“Cari figli, in questi giorni (novena in preparazione alla Festa dell’Esaltazione della Santa Croce) voglio dirvi che il centro di tutto deve essere la Croce. In particolare, pregate davanti alla Croce, dalla quale vengono grandi grazie. Nelle vostre famiglie fate una consacrazione speciale alla Croce. Promettete di  non offendere Gesù nella Croce e di non bestem­miare. Grazie per aver risposto alla mia chiamata”. (Messag­gio della Madonna di Medjugorje del 12/9/1985)

Novena in preparazione alla festa dell'Esaltazione della Santa Croce (dal 5 al 13 settembre) dans Libri wcql

O Dio vieni a salvarmi.
Signore vieni presto in mio aiuto.

Gloria al Padre…

Ti adoro, Croce Santa, che fosti ornata del Corpo Sacratissimo del mio Signore, coperta e tinta del suo Preziosissimo Sangue. Ti adoro, mio Dio, posto in croce per me. Ti adoro, Croce Santa per amore di Colui che è il mio Signore. Amen.

5 Gloria al Padre                                per le 5 piaghe di Gesù.
1 Pater, Ave e Gloria                          per la piaga della spalla.
1 Pater, Ave, Gloria                            per il Volto Santo.

Preghiera a Gesù Crocifisso
Eccomi, o mio amato e buon Gesù, che alla santissima tua presenza prostrato, Ti prego con il fervore più vivo di stampare nel mio cuore sentimenti di fede, di speranza e di carità, di dolore dei miei peccati e di proponimento di non più offenderti; mentre io con tutto l’amore e con tutta la compassione vado considerando le tue cinque Piaghe, cominciando da ciò che disse di Te, o mio Gesù,  il santo profeta Davide: “Hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa” (Sal 21,17-18).
Pio IX

Pater, Ave e Gloria (per l’acquisto dell’indulgenza plenaria)

Gesù mio, perdono e misericordia!

Per i meriti delle tue Sante Piaghe.

Fonte: Il libro delle novene - Editrice Ancilla

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Astenersi dal cibo, un modello universale. Distacco dalle cose, quindi dalla violenza

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2013

Astenersi dal cibo, un modello universale. Distacco dalle cose, quindi dalla violenza
Il cardinal Ravasi: dal Kippur a Gesù al Ramadan, un senso non soltanto religioso
di Gian Guido Vecchi – Corriere della Sera

Astenersi dal cibo, un modello universale. Distacco dalle cose, quindi dalla violenza dans Digiuno 6y8m

«Guardi, c’è un’immagine suggestiva anche nella Grecia classica. Socrate frequentava l’agorà di Atene, passeggiava per il mercato, ascoltava le chiacchiere in piazza e osservava le merci, i beni materiali. Ai discepoli che gli chiedevano perché lo facesse rispose: “Perché così scopro tutte le cose di cui non ho bisogno”».
Il cardinale Gianfranco Ravasi sorride, «non che c’entri direttamente col digiuno, però…», però il senso alla fine è lo stesso, almeno a un primo livello. Non è strano che papa Francesco abbia indetto per sabato una giornata «di digiuno e preghiera» per la pace, invitando ad «unirsi, nel modo che riterranno più opportuno» anche i cristiani non cattolici, i fedeli di altre religioni e pure «quei fratelli e sorelle» che non credono. «Il digiuno, anzitutto, è uno dei grandi archetipi universali. Non si tratta solo di astenersi dal cibo, non è una dieta. Il digiunare esprime un elemento simbolico attraverso la componente fondamentale con la quale comunichiamo, il corpo. Il nostro corpo è il grande segnale attraverso il quale mandiamo messaggi, esprimiamo sentimenti, mostriamo anche capacità di trascendenza e mistero…».
Lo stesso Gesù, nel Discorso della montagna, parla con sarcasmo degli «ipocriti» che assumono «un’aria malinconica» e «si sfigurano la faccia» per mostrare che digiunano. «Il digiuno significa entrare nell’essenzialità, spogliandoci di tutte le sovrastrutture. Per questo nella tradizione è spesso accompagnato dal silenzio, da pratiche simboliche esteriori come ritirarsi nel deserto che a sua volta è una metafora del digiuno: le necessità ridotte all’essenziale, alla sopravvivenza». In questo senso ha un valore «squisitamente antropologico e come tale universale».
Un primo segno di distacco dalle cose concrete, quindi anche dalla violenza del mondo. «Far cadere le spoglie inutili», soprattutto oggi: «L’ingordigia consumistica che sa di morte, come ne “La grande abbuffata” di Marco Ferreri», considera il «ministro» della Cultura vaticano. Ma questo è solo l’inizio. Il digiuno «apre a dimensioni di tipo religioso o più generalmente spirituale». La prima, «che troviamo anche nel Ramadan islamico», collega il digiuno a una dimensione sociale, alla generosità e alla carità: «Nel libro di Isaia, al capitolo 58, il profeta elenca ciò che il Signore vuole, il digiuno a lui gradito: “Sciogliere le catene inique, togliere i legami dal giogo, rimandare liberi gli oppressi, spezzare ogni giogo, dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, i senza tetto, vestire uno che vedi nudo, non distogliere gli occhi da quelli della tua carne”». Un elemento «che diventerà fondamentale nel cristianesimo, anche se poi la pratica si perderà un po’, fino ad essere considerata autoafflittiva ».
La seconda dimensione «diverrà fondamentale nell’ascetica cristiana ma già la vediamo nell’immagine di Gesù nel deserto: il digiuno della mente, l’astensione da ogni forma di superficialità, dai rumori, dalle distrazioni. Una catarsi interiore, spirituale, culturale». Di qui si arriva al terzo elemento del digiuno: «È la trascendenza. Dopo aver operato la carità e cancellato le cose inutili e la chiacchiera, sei solo con la tua coscienza. Attraverso l’essenzialità del digiuno si cerca tutto ciò che è divino, mistero, trascendenza. È ciò che dice Gesù: “Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete…”. Il digiuno dell’anima crea il vuoto: per fare entrare il divino». E per i non credenti? «Si fa spazio alle grandi domande: come essere uomini di pace, di giustizia».
Ma il digiuno è rivolto agli uomini o a Dio? «Certo il punto di partenza è antropologico, ha a che fare con la libertà e la coscienza dell’uomo. Ma l’ultima dimensione che dicevo è quella in cui uno incontra Dio e la Sua volontà. Fai il vuoto per lasciare entrare Dio. Qui il digiuno si connette alla preghiera. Nella tradizione biblica c’è un altro elemento importante, che vediamo nel Kippur ebraico ma non solo: l’espiazione del peccato. Il digiuno come modo di implorare la liberazione dal male. Ed è qui che deve intervenire Dio: tu prepari il terreno all’irruzione del divino. Nel non credente, alla tensione verso l’oltre».
C’è chi dice: non fermerà la guerra, non è utile. Il grande biblista scuote il capo: «Il digiuno corale di milioni di persone ha un significato anche politico, nel senso alto del termine. Magari i politici decideranno altrimenti, ma non potranno ignorare il desiderio corale di pace che si esprime nel mondo. Per un cristiano, in particolare, si tratta anche di vivere la storia in maniera più autentica, di incidere nella tua coscienza e nell’azione del mondo». In che senso, eminenza? «Nel Vangelo Gesù dice quello è un momento di gioia, ma “verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno”. Il lungo peregrinare nella storia esige questa sobrietà, questa vigilanza. Essere attenti ai segni dei tempi, specie in momenti come questi, nei quali sembra che Dio sia assente e che gli uomini impazziscano. Non una dieta, ma come un colpo di staffile. È il tempo della storia. Il momento della prova».

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L’infernale illusione delle armi

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2013

L’infernale illusione delle armi
di Adonis
Tratto da: La Repubblica

L'infernale illusione delle armi dans Articoli di Giornali e News kkh3

L’intervento americano in Siria nasce nell’illusione di una “guerra lampo”, di “colpi limitati, chirurgici, mirati”. Rischia invece di sfuggire di mano, di aizzare il conflitto e di ripetere il peccato mortale in cui sono scivolati sia l’opposizione armata sia il regime siriano. Potrebbe involontariamente trasformarsi in una forma di sterminio simile a quello dei nativi del continente nordamericano.

Continente chiamato ora “Stati Uniti d’America”. O allo sterminio perpetrato dalla Turchia all’inizio del ventesimo secolo contro il popolo armeno e le altre minoranze storiche di cristiani, siriaci, caldei ed assiri. Infatti, l’operazione militare avviene in un contesto complesso, confuso, anzi, cieco.

1. Se si trattasse davvero di una questione umanitaria e di difesa dei diritti fondamentali degli arabi, il mandato di chi se ne fa carico dovrebbe estendersi al di là della sola Siria. L’America dovrebbe fare i conti con la violazione di quei diritti, sia da parte degli Stati arabi alleati, sia da parte del suo principale alleato Israele.

2. Il conflitto siriano si consuma in un clima caotico, ambiguo, ingarbugliato. È indispensabile considerarne la dimensione religiosa, prima di un intervento militare. Gli Stati Uniti conoscono il significato delle guerre di religione oggi ed è evidente che non entrano nel conflitto come arbitri imparziali, bensì come partecipanti. Schierarsi a tal punto serve forse al progresso o all’uomo e ai suoi diritti? Serve alla pace e alla libertà?
In realtà, l’America, con questo intervento, viola i diritti umani in nome della loro difesa. Qui non si tratta di difendere il regime che, ho detto e ribadisco, deve cambiare, ma di difendere la Siria dell’Alfabeto, della Storia antica, del popolo siriano e dei grandi principi umani.

3. Ricordiamoci che gli Stati Uniti nel 2003 hanno dichiarato guerra all’Iraq. Quali sono state le conseguenze per lo Stato iracheno? Che ne è delle centinaia di migliaia di vittime innocenti, dell’avvelenamento ambientale? E dove sono le armi di distruzione di massa? È probabile che molti dei perseguitati da Saddam Hussein ora rimpiangano il regime che non c’è più. Naturalmente quel regime doveva finire, ma con altri mezzi.

Gli Stati Uniti sanno (o forse no) che la storia arabo-islamica è intrisa di sangue fin dal primo Stato islamico. La maggior parte delle pagine di questa storia sono state scritte dai conflitti confessionali mescolati alla lotta per il potere. Alimentare questo conflitto e entrare a farne parte serve forse alla pace, alla giustizia, alla libertà e ai diritti umani?

Chi conosce la storia sa che le più lunghe mediazioni sono più corte di qualsiasi guerra. Parlare di una guerra lampo e di colpi limitati “chirurgici, mirati” è un’illusione fuorviante. Quando comincia una guerra, il campo, le sue trasformazioni, le sue sorprese ne decidono le sorti.

4. Gli Stati Uniti continuano a ignorare gli oppositori democratici pacifici siriani, nonostante questi siano numerosi sia dentro, sia fuori dalla Siria. L’America ascolta i gruppi che parlano di violenza e non ascolta gli esponenti dell’opposizione pacifica neppure per scoprire quel che hanno da dire, per capirne il punto di vista. Chissà: potrebbero avere soluzioni più umane e quindi più efficaci a causare meno vittime e distruzioni.

Il rifiuto di trattare con l’opposizione pacifica è sorprendente, e io chiedo al presidente Obama, non come presidente ma come uomo di pensiero, se egli rispetta davvero una rivoluzione nazionale i cui leader  -  come nel caso dell’opposizione all’estero sostenuta dall’America  -  chiedono un intervento militare di forze straniere per colpire il proprio Paese e consegnarlo loro.

Fin dall’antichità, il pensiero e i valori attinenti alla guerra e al combattimento -  cioè uccidere  -  non si sono evoluti. La guerra è ancora considerata una pozione magica per risolvere i problemi e registrare gesta eroiche. La guerra si combatte e così si uccide anche per la pace. Uccidere! Questa è la cura magica per tutti.

Come è assetata di sangue la pace!

L’antica saggezza araba dice “curami con ciò che ha causato il male”: è una saggezza fatale in guerra. Ma com’è contorta una logica che scivola verso quella attrazione demoniaca: la guerra! Forse diremo anche: com’è assetata di sangue la giustizia.

Per esempio, il presidente Obama, nonostante le sue buone intenzioni, è riuscito a controllare l’uso delle armi in America? Le armi sono diventate parte della tradizione americana moderna.

Infatti, come dice un nostro adagio, “la gente segue la religione del suo re”. Uccidere non è forse diventato un “mito” dei nostri tempi (innanzitutto in America), non soltanto nei film, ma nella vita quotidiana?

5. Sembra quindi che il pensiero umano riguardo alla soluzione dei conflitti non si sia evoluto. Annientare le parti in lotta è ancora la via concretamente seguita per spianare i contrasti. Non v’è stato alcun progresso, tranne lo sviluppo delle armi e la loro capacità sempre maggiore di distruggere e avvelenare il pianeta Terra, nostra unica casa. Le armi si sono enormemente evolute. Ancora le definizioni di eroismo più raffinate e onorevoli hanno nomi riferiti all’uccisione e al combattimento, non alla saggezza e alla virtù del dialogo, alla creazione di soluzioni pacifiche e alla salvezza degli uomini e della loro sacra Terra.

Più un guerriero è “campione” nelle arti di uccidere, più è coperto di gloria e di medaglie e entra nella storia.

L’America ricordi, e lo ricordino i suoi alleati, che ha dichiarato guerra all’Iraq per eliminare il presidente baathista e la sua squadra al governo: ma, così facendo, ha fomentato il conflitto confessionale (che ancora provoca morti quotidianamente), conflitto che ha sconvolto gli equilibri e le intese religiose in una direzione che fa comodo al suo nuovo antagonista (l’Iran) e che contraddice gli interessi degli alleati. I calcoli della guerra spesso non producono i risultati voluti da chi la dichiara.

Ricordi l’America, e lo ricordi il presidente venuto in nome della pace e della concordia, che la guerra che non uccide innocenti non esiste nella storia. Quanti innocenti hanno ucciso quei colpi limitati, programmati, chirurgici inferti in Iraq o contro al Qaida in Afghanistan?

Il discorso utopistico non cambia la realtà infernale.

6. Quindi domando al presidente Obama “ambasciatore” di esperienze storiche amare, non soltanto vittoriose, portatore di promesse a favore dei diseredati, come farà a combattere in nome della giustizia e della pace in Siria senza vedere, allo stesso tempo, l’aggressione storica quotidiana contro i palestinesi, la terra palestinese e contro le leggi e il diritto internazionale? Non vede Obama la violazione dei diritti umani nei Paesi suoi alleati?

Preferire un’azione militare contro la Siria anziché un negoziato politico a Ginevra favorisce una soluzione di forza e fa cadere il principio che dovrebbe essere adottato, in base alle regole delle Nazioni Unite, tramite il Consiglio di sicurezza. Anzi, è l’affermazione del principio delle soluzioni militari.

L’opzione bellica è il peccato mortale in cui sono scivolati sia l’opposizione armata, sia il regime siriano.

La verità è che i grandi Stati, e per primi gli Stati Uniti, benedicono e promuovono la scelta militare, ignorano l’esistenza dell’opposizione democratica pacifica siriana o non la prendono neppure in considerazione, mentre sostenendo l’opposizione armata si invischiano in un ginepraio militare.

7. È comprensibile che l’America difenda alcuni regimi arabi, in quanto Paesi di importanza vitale per le risorse energetiche. Però, come comprendere che la grande nazione americana accetti, e faccia propri, i progetti di regimi tribali, familiari, sempre pronti a combattere con le armi chiunque sia considerato un nemico? Come può l’America accettare di essere a fianco di questi regimi nelle loro guerre?

Così facendo l’America apparirà parte del gioco politico, tribale, confessionale in Medio Oriente: complice fondamentale nell’ostacolarne la liberazione, nell’impedire la costruzione di una società moderna, di un uomo moderno, di una cultura moderna. In altre parole, la più importante forza mondiale verrà considerata come il paese che fonda e difende tirannia e schiavitù, intento a proteggere i regimi che su tirannia e schiavitù si reggono, a cominciare dai regimi arabi islamici. Se non ne prendono coscienza, gli Stati Uniti diventeranno uno strumento al servizio dei tiranni in Medio Oriente.

L’autore, considerato il massimo poeta arabo contemporaneo, è candidato al Nobel. Vive a Parigi, esule dalla Siria dagli Anni Cinquanta (traduzione dall’arabo di Fawzi Al Delmi)

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Madre Teresa, una donna scomoda

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2013

Madre Teresa, una donna scomoda
di Angelo Comastri – Toscana Oggi

Madre Teresa, una donna scomoda dans Aborto 7sbo

Madre Teresa di Calcutta è diventata beata a tempo di record: appena sei anni dopo la sua morte! E ormai tutti la considerano una «santa». Tuttavia non dimentichiamo che Madre Teresa è una persona «scomoda». Così come è scomodo un limpido raggio di luce quando illumina una parete ammuffita; come è scomoda una persona onesta dentro una combriccola di ladroni; come è scomodo un cuore umile in un raduno di arroganti; come è scomodo un «povero» all’ingresso di una discoteca; come è scomoda una mamma, con due bambini in braccio, davanti ad una clinica per aborti.

Madre Teresa è scomoda! Ne volete una prova? Lasciamola parlare. Ecco una sua affermazione chiara, ma tanto scomoda: «Se nel vostro Paese permettete l’aborto, allora diventate un Paese molto povero. Tanto povero da aver paura anche di bambini».

Ecco un altro pensiero luminoso ma controcorrente, che ella rivolse a un gruppo di lebbrosi: «Ogni volta che Dio guarda il palmo della Sua mano, vi ci vede disegnati. Per questo ogni vita umana è preziosa: sì, anche voi lebbrosi siete preziosi agli occhi di Dio!».

Ecco una presentazione di Maria che è, nello stesso tempo, originalissima e fedelissima: «La Madonna fu la prima “dama della carità”. Ma, prima di esserlo, si svuotò completamente di se stessa e si offrì come serva del Signore».

Ecco una sua norma di vita che, nell’attuale società violenta e prepotente, può avere il sapore dell’ingenuità e invece è una perla di autentica sapienza: «Preferirei commettere degli errori con gentilezza e compassione piuttosto che operare miracoli con scortesia e durezza».

Ecco, infine, una coraggiosa lettura della povertà umana: «I poveri hanno fame di pane, ma soprattutto hanno fame di Dio. La più grande disgrazia dell’India è di non conoscere Gesù Cristo: e, senza Gesù Cristo, non si conosce il valore della vita umana».

Chi è, allora, Madre Teresa. Ella è una «innamorata di Cristo», è una donna «folgorata dal Crocifisso», nel quale ha visto il Volto di Dio come «Volto di Amore» e ha sentito la sete di Dio come «sete di Amore». E ha risposto all’amore con tutta la sua vita: senza esitazione, senza risparmio, senza mezze misure. E ha cercato i poveri per amarli con l’Amore di Dio e per consolarli con l’unica vera buona notizia, che è questa: «Dio ti ama». A tutti, infatti, ella ripeteva instancabilmente: «God is Love», Dio è amore!
Il segreto di Madre Teresa sta tutto qui: ed è – vale la pena ricordarlo – il segreto stesso del cristianesimo. Potessimo capirlo! Potessimo viverlo tutti un pochino di più!

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Dopo otto anni il pizzaiolo più bravo al mondo torna ad essere napoletano

Posté par atempodiblog le 5 septembre 2013

Dopo otto anni il pizzaiolo più bravo al mondo torna ad essere napoletano
«Da piccolo giocavo con la farina»
Tratto da: Il Mattino  

Dopo otto anni il pizzaiolo più bravo al mondo torna ad essere napoletano dans Cucina e dintorni 0ybe

È tornato a Napoli il titolo di campione mondiale dei pizzaioli: da otto anni un napoletano non si aggiudicava infatti il primo posto. A conquistare il trofeo Caputo (nell’ambito del Pizza Village) è stato il ventinovenne partenopeo Davide Civitiello.

Ha sbaragliato i 500 partecipanti provenienti da 47 Paesi del mondo. Il secondo posto è andato invece ad una giovane pizzaiola giapponese, Chia Umezawa, arrivata a Napoli con 50 suoi colleghi dal Sol Levante. Terzo classificato, il bresciano Giuseppe Toriello. Quest’anno il campionato si è svolto a contatto diretto del pubblico che ha potuto seguire la selezione, durata due giorni, a due passi dai concorrenti.

Si è svegliato con il titolo di campione mondiale dei “pizzaiuol”, conquistato ieri notte Davide Civitiello, 29 anni, non sta nella pelle. «Mi sento un altro – racconta – sono così felice che non mi sembra vero».

Felice per sé e per la città che non vedeva il titolo da 8 anni. «Speriamo che porti bene anche alla nostra squadra di calcio», aggiunge. La sua storia è davvero singolare. «Quando uscivo dalla scuola, a 9 anni, correvo nella pizzeria del papà di un mio amico a via Capuana, l’antica pizzeria di Gennaro di Enzo Costa. Sono stati loro i miei primi maestri. Giocavo con la farina, lievito e acqua e impastavo, come forse altri bambini della mia età facevano con la plastilina. Poi all’età di 14 anni, dopo le scuole medie, decisi quale sarebbe stato il mio lavoro: il pizzaiolo».

Di maestri Davide ne ha avuti tanti, dopo Enzo Costa, Salvatore De Masi e altri grandi “’rtigiani” della pizza. Ma Napoli gli stava stretta, così ha lavorato due anni a New York, poi a Tokyo, ancora a Copenaghen. Sempre in giro ad insegnare agli altri come fare una vera pizza napoletana. Da autentico “pizzaiuolo”, Davide assieme allo chef che fu il cuoco personale di Gianni Versace, Donato De Santis, ha girato per una televisione americana, la Fox Latina, un programma di cucina che andrà in onda per l’Argentina in autunno.

Soddisfatti gli organizzatori del Trofeo Caputo che hanno visto aumentare i partecipanti: 500 provenienti da 47 Paesi del mondo. Evento che si è dispuntato nell’ambito del “Caputo Napoli Pizza Village”, ricco di momenti musicali, di laboratori e di approfondimenti e che durerà fino a domenica 8 settembre. Con la possibilità, tutte le sere, di degustare la pizza in uno dei 45 stand dove operano i più importanti pizzaiuoli partenopei, con un prezzo piccolo, piccolo. E Davide confida «ho un sogno, vorrei aprire una pizzeria tutta mia, A Napoli, New York, Madrid, ovunque mi si dia la possibilità».

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