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Le tre spade di Damocle

Posté par atempodiblog le 2 septembre 2013

Le tre spade di Damocle
di Mimmo Candito – La Stampa

Le tre spade di Damocle dans Articoli di Giornali e News kyxg

Un vecchio proverbio arabo ammonisce: «Non accendere mai un fuoco quando il vento soffia. Potresti bruciarti».
La Siria oggi è un fuoco bastardo, brucia che controllarlo diventa pericoloso, perché non sai da che parte vada a soffiare il vento.
Obama, però, quel proverbio mostra di averlo appreso troppo tardi, e il rischio di non poter controllare l’escalation della guerra gli sta addosso, rendendolo ancor più titubante di quanto ormai lo accusi larga parte dei media americani.
Infatti, da qualsiasi parte si osservi quanto sta avvenendo sul terreno, ci s’imbatte ovunque in focolai potenziali di deflagrazione; e sebbene siano ancora in pochi a richiamare similitudini che ricordino la crisi dei Balcani all’inizio del secolo scorso – la crisi che poi portò alla Prima guerra mondiale – non c’è dubbio che una ulteriore drammatizzazione del conflitto siriano, quale si avrebbe con l’attacco missilistico americano, richiamerebbe sul campo tutti gli attori che potrebbero finire per allargare in termini alla lunga incontrollabili quella che tuttora resta, comunque, una crisi regionale.

Chiunque abbia viaggiato per il Medio Oriente e la sua lunga storia di conflitti conosce quanto sempre si ripete in quelle capitali: che non c’è guerra possibile nelle terre della Mezzaluna se non vi sia coinvolto l’Egitto – perché l’Egitto per la sua dimensione politica e demografica e per la sua storia ha una indiscussa centralità nel mondo arabo – e che però non c’è pace possibile nelle terre della Mezzaluna se non vi sia coinvolta la Siria, perché da sempre la collocazione geografica, l’asprezza del suo regime, la sua minacciosa contiguità con Israele, le danno in mano le chiavi con cui serrare la destabilizzazione dell’area che si aprì nel secolo scorso con la nascita dello Stato ebraico.

Quanto sta avvenendo in Siria ormai da due anni ha profondamente trasformato il profilo iniziale dello scontro militare sul terreno; e se in principio lo sfondo delle Primavere arabe raccoglieva in termini credibili la rottura tra un regime autoritario e la sopportazione d’una parte della sua società, oggi a quella guerra diciamo di democrazia si sovrappongono altre due o tre guerre, di etnie (gli alawiti contro gli altri gruppi locali), di religione (i sunniti dell’Islam contro gli sciiti), di terrorismo (le infiltrazioni di Al Qaeda che punta strumentalmente a fare della Siria il nuovo Afghanistan), soprattutto di potere (l’Iran che, passando attraverso il Libano, punta a realizzare con la Siria un conglomerato «rivoluzionario» capace di destabilizzare l’equilibrio dell’intera regione per diventarne il nuovo dominus; non a caso l’Arabia Saudita interviene ormai pesantemente nel conflitto e comunque già da tempo i regni e gli sceiccati del Golfo discutono apertamente di una possibile dotazione nucleare, in termini evidentemente anti-iraniani).

Se tutto questo è già avvenuto mentre sul terreno gli attori che intervenivano erano comunque quelli che con qualche approssimazione è possibile definire «locali», e si mantenevano al margine le componenti extraregionali (Washington e Mosca influivano certamente sullo svolgimento del conflitto, con armi e assistenza militare, ma il loro ruolo non incideva direttamente sulle operazioni belliche), una volta che invece gli Usa decideranno di mettere in pratica quello che Obama ha ormai apertamente proposto come scelta dovuta del suo Paese, appare inevitabile che lo scenario muti ulteriormente, e in misura che è davvero difficile immaginare senza rischi incontrollabili.

I fattori di destabilizzazione (quasi le «piaghe» di cui ammoniva Mosè) sono tre. Il primo è l’attivazione di un esteso programma terroristico, che coinvolga, ben al di là delle frontiere siriane, i Paesi europei e gli Usa. La rete antiterroristica del mondo occidentale è oggi ben solida e strutturata, ma – come ha dimostrato l’attentato alla maratona di Boston – la capacità di infiltrazione delle cellule e dei militanti jihadisti può superare qualsiasi sbarramento. E un futuro di nuovo molto amaro si aprirebbe per il nostro mondo.

Secondo fattore di destabilizzazione è la probabile reazione iraniana. Teheran non nasconde affatto il proprio ruolo attivo nella guerra siriana, né cela le ambizioni di potere che muovono dal khomeinismo e dal suo programma nucleare in fase ormai di completamento. L’attacco americano sulla Siria suonerebbe come una sfida diretta, alla quale l’Iran non potrebbe non opporre una risposta dello stesso livello: e qui si va su una lista di possibili tattiche di contrasto che vanno dalla chiusura dello Stretto di Hormuz (con tutte le immaginabili implicazioni sul mercato del petrolio e sulla accentuazione della crisi economica dell’Occidente) a un pesante attacco missilistico di Hezbollah contro Israele, accompagnato da operazioni siriane che muovano dalle alture del Golan. Diventerebbe allo stesso modo inevitabile la reazione di Tel Aviv, e l’escalation toccherebbe tanto il Libano quanto l’Iran, con l’attacco diretto sulle installazioni nucleari e un possibile coinvolgimento di altri Paesi musulmani.

Terzo fattore di destabilizzazione è il ruolo che la Russia si troverebbe costretta a svolgere. Sebbene siano oggi operative nel Mediterraneo alcune unità navali russe, non appare credibile che questo comporti un loro intervento diretto contro la VI Flotta, perché l’azzardo comporterebbe inevitabilmente l’esplosione, davvero, della Terza guerra mondiale. Putin sta giocando con comprensibile spregiudicatezza la carta che Obama gli ha offerto, e sfrutta in termini politicamente propagandistici le difficoltà nelle quali il governo americano si trova a doversi districare. Ma, da questo, ad arrivare a un confronto militare diretto con gli Usa ci sta di mezzo assai più della crisi siriana. Tuttavia, la Russia può sicuramente approfittare dell’attuale debolezza tattica americana per guadagnarsi uno spazio politico – tattico e strategico – negli attuali equilibri mondiali, confortando le proprie ambizioni di recuperare un credibile ruolo di competitor globale degli Usa e guadagnando, non solo nel Medio Oriente, un ruolo potenziale di partner forte, serio, comunque alternativo (il vecchio ruolo della vecchia Unione Sovietica).

I tre fattori non sono alternativi l’uno all’altro, e una loro congiunzione cambierebbe per un lungo tempo a venire la storia del nostro stesso stile di vita. Quando gli arabi ammonivano con il loro antico proverbio, una saggezza antica accompagnava le loro parole. Il fuoco ormai è stato acceso, e brucia; rischiamo tutti di bruciarci alle sue fiamme.

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Diavolo, esiste!

Posté par atempodiblog le 2 septembre 2013

Diavolo, esiste!
Fin da subito Papa Francesco s’è messo a parlare di Satana. Un inquilino che certa teologia ha banalizzato e ridotto a mito
di Matteo Matzuzzi – Il Foglio

“Il Demonio è il nemico numero uno, è il tentatore per eccellenza. Sappiamo che questo essere oscuro e conturbante esiste davvero, e che con proditoria astuzia agisce ancora; è il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana” (Paolo VI, 15 novembre 1972)

Diavolo, esiste! dans Anticristo 4euu
 La tentazione di Adamo ed Eva di Michelangelo Buonarroti (Cappella Sistina)

Che guaio aver dimenticato che il Diavolo c’è, diceva qualche anno fa padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia. Satana è quasi scomparso dalle omelie dei parroci, dal catechismo. Cancellato, ridotto a puro mito, a superstizione. E’ come se l’ingresso “da qualche fessura di Satana nel tempio di Dio” di cui parlò un inquieto Paolo VI negli ultimi anni di pontificato, fosse niente di più che la sensazione di un Papa stanco, tormentato, malinconico. La colpa di questo “silenzio sul Demonio”, notava ancora il frate cappuccino, è della “posizione intellettualistica che coinvolge anche certi teologi, i quali trovano impossibile credere nell’esistenza del Demonio come entità non solo simbolica ma reale e personale”. Negli ultimi anni si preferiva parlare del Diavolo con più discrezione, prudenza, forse pudore. “Perfino qualche cardinale non crede al Diavolo”, ammetteva sconsolato padre Gabriele Amorth, decano degli esorcisti italiani e convinto assertore di quanto potente sia quello che nel Vangelo di Giovanni è chiamato il “Principe del mondo”.
Poi è arrivato Francesco, il gesuita argentino, il Papa arrivato dalla fine del mondo, e Satana è tornato a ricorrere con una certa frequenza nelle omelie e nei discorsi pronunciati a San Pietro o a Santa Marta. Lo chiama per nome, con naturalezza, perché per lui non è un mito, una metafora del male. Ma è una figura reale. La cosa ha fatto scalpore, anche perché “è invalsa da tempo nella chiesa l’abitudine di tacere su questo personaggio della divina Rivelazione, banalizzandolo”, ha scritto sull’ultimo numero di Civiltà Cattolica padre Giandomenico Mucci. Ne era consapevole agli albori del Terzo millennio monsignor Alessandro Maggiolini, fino al 2007 vescovo di Como: “E’ vero che la teologia, quella un po’ ‘saputa’, ha lasciato da parte il tema del Diavolo”, diceva al Corriere della Sera. “In particolare – aggiungeva il presule – c’è stata una certa teologia razionalista che ha cercato di demitizzare gran parte della Rivelazione. E così il Diavolo è diventato una specie di fabulazione che proiettava nel campo religioso le paure del subconscio”.

Francesco non era Papa neppure da ventiquattro ore che già ammoniva i suoi fratelli cardinali, nella messa “pro ecclesia” celebrata in Sistina all’indomani dell’elezione al Soglio pontificio, che “quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del Diavolo, la mondanità del Demonio”. Francesco citò Léon Bloy, lo scrittore che, ironia della sorte, la rivista dei gesuiti anni fa scomunicò in quanto “impaziente, talvolta esaltato e sempre estremista”: “Chi non prega il Signore, prega il Diavolo”. Tesi ripetuta e rafforzata dieci giorni dopo, Domenica delle palme, sul sagrato antistante la basilica vaticana: “Con Gesù non siamo mai soli, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili. E in questo momento viene il nemico, viene il Diavolo”. L’entità misteriosa, ma vera e reale, che è “la causa originaria di ogni persecuzione”, ribadiva poi in una delle consuete omelie a braccio tenute poco dopo l’alba nella piccola cappella di Santa Marta. Con “l’odio del Principe del mondo”, insomma, bisogna fare i conti.
L’inferno “esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore”, spiegava Benedetto XVI durante la visita alla parrocchia romana di Santa Felicita nel 2007. Eppure, qualche dubbio, sul finire del secolo scorso, era sorto. Anche perché Giovanni Paolo II – che secondo lo scomparso cardinale francese Jacques-Paul Martin avrebbe praticato in prima persona un esorcismo nel 1982 – assicurò che “la dannazione non è un luogo fisico, ma la situazione in cui viene a trovarsi chi liberamente e definitivamente si allontana da Dio”.

Certo è che “poco se ne può sapere, al punto che lo si potrebbe perfino immaginare vuoto”. Parole che all’epoca (era il 1999) ebbero notevole risonanza, ma che non differivano in nulla da ciò che era ed è rappresentato dal Magistero della chiesa, che sull’inferno insegna tre cose. “La prima: esiste dopo la morte terrena uno stato, non un luogo, che spetta a chi è morto nel peccato grave e ha perduto la grazia santificante con un atto personale. La seconda: questo stato comporta la privazione dolorosa della visione di Dio. La terza: in questo stato c’è un elemento che, con espressione neotestamentaria, è descritto come fuoco. Le due pene, e quindi anche l’inferno, sono eterne”, precisava su Civiltà Cattolica sempre padre Giandomenico Mucci qualche tempo fa. E che l’inferno sia vuoto non è altro che “una formuletta” propria della chiesa contemporanea. “Si risente l’eco del sarcasmo di Voltaire che, in una pagina antisemita, giudicava la dottrina cattolica dell’inferno cosa da domestiche e da sarti”, aggiungeva l’ecclesiologo gesuita.
Una formuletta frutto di un equivoco, l’interpretazione errata di un pensiero di Hans Urs von Balthasar secondo cui sperare nella salvezza eterna di tutti non è contrario alla fede. Ma da qui a dire che l’inferno è vuoto, ce ne passa. Il grande teologo svizzero protestava: “La soluzione da me proposta, secondo la quale Dio non condanna alcuno, ma è l’uomo che si rifiuta in maniera definitiva all’amore a condannare se stesso, non fu affatto presa in considerazione. Sono state ripetutamente travisate le mie parole nel senso che, chi spera la salvezza per tutti i suoi fratelli e tutte le sue sorelle, spera l’inferno vuoto”. E poi, parlare di inferno vuoto, “che razza di espressione!”.

Esiste, c’è, e Joseph Ratzinger lo ribadiva anche nell’enciclica “Spe Salvi” del 2007: “Prospettiva terribile, ma alcune figure della stessa nostra storia lasciano discernere in modo spaventoso profili di tal genere (persone in cui tutto è divenuto menzogna, persone che hanno vissuto per l’odio e hanno calpestato in se stesse l’amore). In simili individui non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile. E’ questo che si indica con la parola inferno”.
Sull’esistenza di Satana ha giocato, e non poco, anche il modo in cui è stato raffigurato nei secoli, come è entrato e si è sedimentato nell’immaginario popolare collettivo: un satiro orribile con corna e zampe di capra, ogni tanto pure con pizzetto e coda. Retaggio medievale che è passato al Rinascimento e fino ai giorni nostri. Una tradizione cui “tanto contribuirono le sculture mostruose delle cattedrali gotiche e il fantastico affresco che di Satana diedero Dante, Signorelli e Michelangelo”, scrive padre Mucci. Quel Demonio con corna e coda è il tentativo dei nostri antenati di dare un volto e una sembianza allo spirito del male. Oggi ci appare comica, ridicola, degna di un cartone animato per bambini e nulla di più. Ed è anche questa raffigurazione allegorica che ha progressivamente, soprattutto dai tempi di Voltaire in poi, portato a negarne l’esistenza. “Satana è un essere spirituale, inimmaginabile nella sua perversità, che non può essere compreso e descritto sul piano dell’empiria sensibile”, aggiunge il padre gesuita. Inutile perdere tempo a pensare il Diavolo, c’è e basta. “La sua realtà, esistenza e azione, va ricercata soltanto nella divina Rivelazione interpretata all’interno della tradizione della chiesa”.

Pensare al Diavolo come a una persona è normale, in quanto “facciamo necessariamente riferimento alla sola esperienza che abbiamo, quella dello spirito incarnato. Poiché non abbiamo esperienza diretta dell’esistenza demoniaca, siamo costretti a ricorrere alla terminologia desunta dalla vita umana”. Concetti estremamente chiari a Papa Francesco. Per lui, citare il Diavolo è la normalità, e in questo emerge tutta l’influenza gesuitica, dal momento che proprio negli “Esercizi spirituali” sant’Ignazio ricorda che “l’uomo vive sotto il soffio di due venti, quello di Dio e quello di Satana”. E quest’ultimo, recita la tredicesima regola degli “Esercizi”, “si comporta come un frivolo corteggiatore che vuole rimanere nascosto e non essere scoperto”, come un “condottiero che vuole vincere e fare bottino” (quattordicesima regola). Lui, “il nemico della natura umana esamina tutte le nostre virtù teologali, cardinali e morali, e poi ci attacca e cerca di prenderci dove ci trova più deboli e più sprovveduti per la nostra salvezza eterna”.
Per secoli, i Papi hanno parlato del Diavolo, delle sue legioni e dei suoi eserciti, senza farsi troppi scrupoli. Poi è arrivato Immanuel Kant e la musica è cambiata. Il filosofo di Königsberg, infatti, sosteneva che solo la fede razionale può condurre l’umanità fuori dallo stato di minorità. In pratica, come dice Mucci, “è la ragione che deve scegliere le idee che possono soddisfare il suo bisogno”. E una cultura come la nostra “potrebbe mai impegnarsi seriamente in una discussione sul Diavolo?”. L’Illuminismo, insomma, ha cambiato la prospettiva: dal tardo Settecento esso “lavora a confinare l’esperienza religiosa nel campo dell’irrazionale, tende a dissolvere le religioni positive nel pathos sacralizzato della neognosi e del panteismo”.
Michel de Certeau, gesuita pure lui, studioso della letteratura mistica del Seicento, notava anni fa che “oggi la norma non è più la religione, sono le macchine, lo scientismo, il razionalismo esasperato che nega la dimensione spirituale”. Analizzando alcuni film sulla possessione diabolica (primo fra tutti, “L’esorcista” di William Friedkin del 1973), de Certeau scriveva in un piccolo libello, “La lanterna del Diavolo, cinema e possessione”, edito da Medusa, che “il diabolico è la rivolta non contro Dio, ma contro il frastuono oceanico degli uomini”. Il cinema ha ben raccontato il “tema del male come substrato irrazionale della nostra società”.

Ma la chiesa cosa ha ancora da dire e insegnare sul Demonio? Per dare una risposta, è sufficiente richiamarsi alle Scritture e al magistero dei Papi, anche quelli del Novecento, più vicini a noi. Chiaro fu a tal proposito, durante un’udienza generale del novembre 1972, Paolo VI: “Quali sono oggi i bisogni maggiori della chiesa?”, si domandò aprendo l’intervento che non a caso recava, sui documenti ufficiali, il titoletto “Liberaci dal male”. E subito Montini rispose che “uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male che chiamiamo il Demonio”. Lo disse quasi scusandosi, in tono sommesso: “Non vi stupisca come semplicista, o addirittura come superstiziosa e irreale la nostra risposta”, disse come premessa. Il Diavolo, aggiungeva il Pontefice bresciano, “è all’origine della prima disgrazia dell’umanità; egli fu il tentatore subdolo e fatale del primo peccato, il peccato originale. Da quella caduta di Adamo il Demonio acquistò un certo impero sull’uomo”.
Non confinava, Paolo VI, quell’episodio al racconto biblico della Genesi, al serpente che incarna la “presenza di un essere invidioso” che Cristo nel Nuovo Testamento definisce “omicida fin da principio”, ma affermava che “è storia che dura tuttora”. Satana “è il nemico numero uno, è il tentatore per eccellenza. Sappiamo così che questo essere oscuro e conturbante esiste davvero, e che con proditoria astuzia agisce ancora; è il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana”. Montini lo definì “perfido e astuto incantatore, che in noi sa insinuarsi, per via dei sensi, della fantasia, della concupiscenza, della logica utopistica, o di disordinati contatti sociali nel gioco del nostro operare, per introdurvi deviazioni, altrettanto nocive quanto all’apparenza conformi alle nostre strutture fisiche o psichiche, o alle nostre istintive, profonde aspirazioni”.

Eppure, il dubbio sulla sua esistenza è forte, c’è quasi vergogna ad ammettere che Satana esiste, che la sua presenza reale esercita un potente influsso sull’individuo, la comunità, la società. “Si pensa – aggiungeva Papa Paolo VI – di trovare negli studi psicanalitici e psichiatrici o in esperienze spiritiche, un sufficiente compenso. Si teme di ricadere in vecchie teorie manichee, o in paurose divagazioni fantastiche e superstiziose. Oggi si preferisce mostrarsi forti e spregiudicati, atteggiarsi a positivisti”. Con il rischio concreto e umiliante di finire per “prestar fede a tante gratuite ubbie magiche o popolari”. Capiva con lungimiranza, il fine intellettuale Montini, che “la nostra dottrina si fa incerta, oscurata com’è dalle tenebre stesse che circondano il Demonio”. La domanda, allora, diventa legittima: “Quali sono i segni della presenza dell’azione diabolica?”. E qui il Papa ammetteva l’impossibilità di dare risposte: Serve “molta cautela. Potremmo supporre la sua sinistra azione là dove la negazione di Dio si fa radicale, sottile e assurda, dove la menzogna si afferma ipocrita e potente, contro la verità evidente, dove l’amore è spento da un egoismo freddo e crudele, dove il nome di Cristo è impugnato con odio cosciente e ribelle (…) Ma è diagnosi troppo ampia e difficile”.
Se oggi si assiste allo stupore di credenti e non credenti dinanzi alle continue citazioni che Francesco fa del Diavolo, la responsabilità va addebitata “all’assenza nella predicazione e nella catechesi della verità relativa al Demonio”. A dirlo, il 4 maggio scorso in un articolo apparso sull’Osservatore Romano, è stato il teologo Inos Biffi, che esprimeva sorpresa anche “per quei teologi che, per un verso applaudono che finalmente il Vaticano II abbia dichiarato la Scrittura ‘anima della sacra teologia’ e, per l’altro, non esitano – se non a deciderne l’inesistenza – comunque a trascurare come marginale un dato chiarissimo e largamente attestato nella stessa Scrittura, com’è quello relativo al Demonio, ritenendolo la personificazione di un’oscura e primordiale idea di male, ormai demitizzabile e inaccettabile”. Questa concezione, a parere di Biffi, è “un capolavoro di ideologia e soprattutto equivale a banalizzare la stessa opera di Cristo e la sua redenzione”.

Insomma, non dovrebbero stupire i richiami del Papa regnante a una realtà viva e presente il cui potere “è impressionante”. Anche nei documenti del Concilio Vaticano II, scrive ancora padre Giandomenico Mucci, “il Diavolo è corposamente presente”. Eppure, “alcuni teologi hanno accolto l’opinione secondo la quale Satana è frutto della fantasia umana sviluppatasi nell’area del paganesimo e penetrata successivamente nel pensiero giudaico”. Della serie, Belzebù con zampe di capra e corna in capo. Idee, queste, “fatte passare per verità definitivamente acquisite”. Sembrerebbe, dunque, che il Demonio abbia vinto la sua prima (ma fondamentale) battaglia, lui che – scriveva Charles Baudelaire – usa l’astuzia di non far credere alla sua esistenza per meglio raggiungere i suoi scopi.

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Il mistero di quelle lacrime da La Salette a Siracusa

Posté par atempodiblog le 2 septembre 2013

Lo scrittore francese Léon Bloy (1846-1917) è noto per un’affermazione, continuamente citata: «Vi è una sola tristezza, quella di non essere santi». Qui lo ricordiamo quale “difensore”delle apparizioni di La Salette (Francia), per cui scrisse “pagine di fuoco” (cf G. Vigini [a cura di], La tristezza di non essere santi, Paoline 1998, pp. 142, H 8,26). A La Salette (1846) la Vergine pianse lungamente. Questo pianto è stato messo in relazione con la lacrimazione di Siracusa (foto: il Santuario). Si tratta dell’immagine in terracotta del Cuore immacolato di Maria di cui si ricorda il 60° dell’evento in questo 2013: lacrimò dal 29 agosto al 1° settembre del 1953 (cf l’agile volumetto, fresco di stampa, di Annalisa Lorenzi: Lacrime. Breve storia della Madonnina di Siracusa, San Paolo 2013, pp. 128, H 10,00). Riguardo a questo fatto unico nella storia recente, Pio XII in un accorato radiomessaggio si chiedeva: «Comprenderanno gli uomini l’arcano linguaggio di quelle lacrime? Oh, le lacrime di Maria! Erano sul Golgota lacrime di compatimento per il suo Gesù e di tristezza per i peccati del mondo. Piange ella ancora per le rinnovate piaghe prodotte nel Corpo mistico di Cristo?».

Il mistero di quelle lacrime da La Salette a Siracusa dans Apparizioni mariane e santuari La-Salette

Parole forti, che richiamano alcune espressioni di Bloy: «Una lacrima di Maria è qualcosa davvero! Una lacrima della Purissima per me, pover’uomo sommerso nel diluvio della collera e del pentimento divini! Una lacrima della Rosa mistica per me… Perché lei ha pianto come suo Figlio ha versato il suo sangue, cioè per ciascun uomo in particolare, giudicato da lei e da lui prezioso come tutti i mondi» (Méditations d’un solitaire). E ancora: «Provate a immaginarvi una madre senza macchia di parecchi miliardi di figli lebbrosi agonizzanti, singhiozzanti nelle torture, votati alla morte più infame, coperti del fango più immondo. Solo lei rimasta pura e spettatrice intemerata della loro perdizione. Questo dappertutto e in tutti i secoli…» (Introduction à la vie de Mélanie).

Tratto da: Madre di Dio

Divisore dans San Francesco di Sales

Supplica alla Madonna delle Lacrime

Madonna-delle-lacrime-di-Siracusa dans Fede, morale e teologia

Madonna delle lacrime,
abbiamo bisogno di Te:
della luce che si irradia dai Tuoi occhi,
del conforto che emana dal Tuo cuore,
della Pace di cui sei Regina.
Fiduciosi ti affidiamo le nostre necessità:
i nostri dolori perché Tu li lenisca,
i nostri corpi perché Tu li guarisca,
i nostri cuori perché Tu li converta,
le nostre anime perché Tu le guidi a salvezza.
Degnati, o Madre buona,
di unire le Tue lacrime alle nostre
affinché il Tuo divin Figlio
ci conceda la grazia…(esprimere)
che con tanto ardore noi Ti chiediamo.
O Madre d’Amore,
di Dolore e di Misericordia,
abbia pietà di noi.

dell’Arcivescovo Ettore Baranzini

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Il coraggio di amare Dio più della moglie

Posté par atempodiblog le 2 septembre 2013

Il coraggio di amare Dio più della moglie dans Chiara Corbella Petrillo bz2n

Sebbene, si sa, una mamma non vada mai in ferie, e anzi, di solito abbia bisogno di una vacanza, dopo, per riprendersi dalla vacanza, può anche capitare di trovare qualche minuto per leggere. Se poi il libro è la storia di Chiara Corbella Petrillo, Siamo nati e non moriremo più, i minuti volano e può capitare di passare la notte in bianco, avvinti dalla storia di questa donna meravigliosa, e del suo coraggioso marito. I loro amici, Simone Troisi e Cristiana Paccini raccontano la storia di Chiara – Credere ne ha già parlato – raccogliendo, proprio come fecero i primi testimoni di Gesù, quello che hanno visto e toccato con mano. 

C’è qualcosa che mi ha colpita più ancora dell’incredibile avventura di due genitori che accolgono due figli malati, uno dopo l’altro, e li accompagnano con amore nelle loro poche ore di vita. Più ancora della decisione di non danneggiare il terzo bambino, sano, che Chiara si trova in pancia quando scopre di avere un tumore. Più ancora della tenacia con cui la mamma si è curata e ha affrontato il dolore, nel primo anno del bambino. Più del racconto della morte accolta col sorriso, e della forza con cui il marito va avanti da solo senza perdere la fede.

Più di tutto, in questo libro prezioso, mi ha colpito il racconto del tormentato fidanzamento, quando i due ragazzi superano le difficoltà che fino ad allora li hanno fatti litigare, prendersi e lasciarsi, comprendendo la cosa più importante: «Se riconosci – dice Enrico – che solo in Dio puoi amare, devi amare Dio più di tua moglie, più di tuo marito. Se cerchi la consolazione nell’amore di una persona che ti sta vicino, stai prendendo una strada sbagliata. Perché la consolazione te la deve dare solo il Signore». Arrivare a capire una cosa così grande, prima ancora di sposarsi! Che meraviglia! Non mi stupisce che il Signore li abbia scelti, Chiara ed Enrico, per essere un segno profetico del vero Matrimonio cristiano. Qualcosa che fa impallidire l’amore romantico e tutto emotivo che va per la maggiore oggi.

di Costanza Miriano - Credere, la gioia della fede

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