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La carità non deve restare affatto chiusa nel fondo del cuore

Posté par atempodiblog le 30 septembre 2013

La carità non deve restare affatto chiusa nel fondo del cuore dans Citazioni, frasi e pensieri 1u5w

“La carità perfetta consiste nel sopportare i difetti degli altri, non stupirsi delle loro debolezze, edificarsi dei minimi atti di virtù che essi praticano, ma soprattutto ho capito che la carità non deve restare affatto chiusa nel fondo del cuore”.

Santa Teresa di Lisieux

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I Papi e la piccola Teresa di Gesù Bambino

Posté par atempodiblog le 30 septembre 2013

Tutti i pontefici del Novecento sono stati affascinati dalla fede semplice della santa di Lisieux. Basata sulla assoluta necessità della grazia
di Giovanni Ricciardi – 30Giorni

I Papi e la piccola Teresa di Gesù Bambino dans Fede, morale e teologia g1kr

Il 20 novembre 1887, santa Teresa del Bambin Gesù incontrò, a 15 anni, papa Leone XIII (1878-1903) nel corso di un pellegrinaggio organizzato dalla diocesi di Lisieux, chiedendogli con ingenua audacia il permesso di entrare nel Carmelo in anticipo sull’età prescritta. Il Papa le ripose in modo lapidario: «Bene. Entrerete se Dio lo vorrà». Il vecchio Pontefice non poteva immaginare che la vicenda di questa fanciulla avrebbe tanto segnato i pontificati dei suoi successori. Tutti i papi del Novecento sono infatti toccati, in un modo o nell’altro, dal “passaggio” di Teresa. Primo fra tutti, Pio XI, che la beatificò nel 1923 e la canonizzò due anni dopo, nominandola poi, nel 1927, patrona delle missioni. La storia di Teresa s’intreccia particolarmente con quella di papa Montini, che fu battezzato il giorno stesso della morte della piccola suora di Lisieux. Ma la prima intuizione della straordinarietà di Teresa si deve senz’altro a Pio X (1903-1914), il papa di cui il 4 agosto prossimo ricorre il centenario dell’elezione.

d52u dans RiflessioniPio X: «La più grande santa dei tempi moderni»
Erano passati solo dieci anni dalla morte di Teresa che Pio X ricevette in dono l’edizione francesce dell’Histoire d’une âme e, tre anni più tardi, nel 1910, la traduzione italiana dell’autobiografia della santa. Traduzione che allora era già alla sua seconda edizione. Pio X non ebbe esitazioni riguardo a Teresa e accelerò per questo l’introduzione della causa di beatificazione, che si data al 1914 e che fu uno degli ultimi atti del suo pontificato. Ma, già qualche anno prima, incontrando un vescovo missionario che gli aveva donato un ritratto di Teresa, il Papa aveva osservato: «Ecco la più grande santa dei tempi moderni». Un giudizio che poteva apparire temerario, anche perché Teresa non aveva allora e non ha a tutt’oggi soltanto estimatori. La semplicità della sua dottrina spirituale, semplicemente imperniata sull’assoluta necessità della grazia, faceva storcere il naso a non pochi ecclesiastici. Nella temperie di un cattolicesimo intriso di giansenismo, una spiritualità tutta imperniata sulla fiducia e sull’abbandono docile alla misericordia di Dio appariva in contrasto con il rigore di un’ascesi centrata sulla rinuncia e sul sacrificio di sé. L’eco di questo “sospetto” verso la dottrina di Teresa giunse così fino alle orecchie del Papa. Il quale, una volta, replicò con decisione ad uno di questi detrattori: «La sua estrema semplicità è la cosa più straordinaria e degna d’attenzione in quest’anima. Ristudiate la vostra teologia».

Tra le altre cose, Pio X era rimasto grandemente impressionato da una lettera che Teresa aveva scritto il 30 maggio del 1889 alla cugina Maria Guérin, la quale, per motivi di scrupolo, si asteneva dalla comunione: «Gesù è là nel tabernacolo apposta per te, per te sola, e arde dal desiderio di entrar nel tuo cuore […]. Comunicati spesso, molto spesso. Ecco il solo rimedio se vuoi guarire». Era allora un atteggiamento diffuso lo scrupolo eccessivo nell’accostarsi all’eucaristia, e la risposta di Teresa apparve al Papa un incoraggiamento a combattere questo atteggiamento. Ed è possibile che i due decreti di Pio X, Sacra Tridentina Synodus, sulla comunione frequente, e Quam singulari, sulla comunione ai bambini, siano stati influenzati della lettura degli scritti teresiani.

Benedetto XV: «Contro la presunzione di raggiungere con mezzi umani un fine soprannaturale»
Pio X non ebbe il tempo di seguire l’iter della causa di beatificazione. Il suo successore, Benedetto XV (1914-1922), lo accelerò ulteriormente. Il 14 agosto 1921 proclamò il decreto sulle virtù eroiche della piccola Teresa e, per la prima volta, un papa usò l’espressione “infanzia spirituale” per riferirsi alla “dottrina” della santa di Lisieux: «L’infanzia spirituale» disse il Papa «è formata da confidenza in Dio e da cieco abbandono nelle mani di Lui […]. Non è malagevole rilevare i pregi di questa infanzia spirituale sia per ciò che esclude sia per ciò che suppone. Esclude infatti il superbo sentire di sé; esclude la presunzione di raggiungere con mezzi umani un fine soprannaturale; esclude la fallacia di bastare a sé nell’ora del pericolo e della tentazione. E, d’altra parte, suppone fede viva nella esistenza di Dio; suppone pratico omaggio alla potenza e misericordia di Lui; suppone fiducioso ricorso alla provvidenza di Colui, dal quale possiamo ottenere la grazia e di evitare ogni male e di conseguire ogni bene. […] Auguriamo che il segreto della santità di suor Teresa di Gesù Bambino non resti occulto a nessuno».

Pio XI: «La stella del mio pontificato»
Pio XI (1922-1939), più di ogni altro papa, fu accompagnato per tutta la vita, anche prima dell’elezione al soglio di Pietro, da una profonda devozione verso la piccola Teresa. Quando era ancora nunzio apostolico a Varsavia, teneva sempre sul tavolo la Storia di un’anima; lo stesso continuò a fare dopo essere divenuto arcivescovo di Milano. Durante il suo pontificato Teresa fu elevata, con grande rapidità, all’onore degli altari. Beatificata il 29 aprile del 1923; canonizzata il 17 maggio del 1925, nel corso dell’Anno Santo; il 14 dicembre 1927 fu proclamata, insieme a san Francesco Saverio, patrona universale delle missioni cattoliche. Sia la beatificazione che la canonizzazione furono le prime del pontificato di Achille Ratti. E già l’11 febbraio del 1923, nel discorso tenuto in occasione dell’approvazione dei miracoli necessari per la beatificazione, osservava: «Miracolo di virtù in questa grande anima, da farci ripetere col Divino Poeta: “cosa venuta di cielo in terra a miracol mostrare” […]. La piccola Teresa si è fatta Ella pure una parola di Dio […]. La piccola Teresa del Bambino Gesù vuol dirci che ci è facile modo di partecipare a tutte le più grandi ed eroiche opere dello zelo apostolico, mediante la preghiera». Ai pellegrini francesi accorsi a Roma per la beatificazione di Teresa, disse: «Eccovi alla luce di questa Stella – come noi amiamo chiamarla – che la mano di Dio ha voluto far risplendere all’inizio del nostro pontificato, presagio e promessa di una protezione, di cui noi stiamo facendo la felice esperienza».

All’intercessione di Teresa papa Ratti attribuì in seguito una protezione speciale in momenti cruciali del suo pontificato. Nel 1927, in uno dei frangenti più duri della persecuzione contro la Chiesa cattolica in Messico, affidò quel Paese alla protezione di Teresa: «Quando la pratica religiosa sarà ristabilita in Messico», scriveva ai vescovi, «desidero che venga riconosciuta in santa Teresa di Gesù Bambino la mediatrice della pace religiosa nel vostro Paese». A lei si rivolse per implorare la soluzione del duro contrasto tra la Santa Sede e il governo fascista nel 1931, che portò l’Azione cattolica italiana a un passo dalla soppressione: «Mia piccola santa, fate che per la festa della Madonna tutto venga regolarizzato». La controversia giunse a soluzione il 15 agosto di quello stesso anno. Già alla fine dell’Anno Santo 1925 papa Ratti aveva inviato a Lisieux, in calce a una sua fotografia, un’espressione eloquente: «Per intercessionem S. Theresiae ab Infante Iesu protectricis nostrae singularis benedicat vos omnipotens et misericors Deus». E, nel 1937, al termine della lunga malattia da cui fu colpito negli ultimi anni di pontificato, ringraziò pubblicamente colei «la quale così validamente e così evidentemente è venuta in aiuto al sommo Pontefice e ancor sembra disposta ad aiutarlo: Santa Teresa di Lisieux». Non poté coronare il desiderio di recarsi personalmente a Lisieux negli ultimi mesi della sua vita. Alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale il pontificato passava nelle mani di Pio XII (1939-1958), che ben conosceva e apprezzava la piccola santa.

Pio XII: «Far valere davanti a Dio la povertà spirituale di una creatura peccatrice»
«Figlia di un cristiano ammirevole, Teresa ha imparato sulle ginocchia paterne i tesori di indulgenza e di compassione che si nascondono nel cuore del Signore! […] Dio è un Padre le cui braccia sono costantemente rivolte ai figli. Perché non rispondere a questo gesto? Perché non gridare senza posa verso di lui la nostra immensa angoscia? Bisogna fidarsi della parola di Teresa, quando invita, sia il più miserabile che il più perfetto, a non far valere davanti a Dio che la debolezza radicale e la povertà spirituale di una creatura peccatrice». Così papa Pacelli esprimeva, nel radiomessaggio dell’11 luglio 1954, in occasione della consacrazione della Basilica di Lisieux, il cuore della “via dell’infanzia spirituale” indicata da Teresa. Egli tenne per tutta la vita rapporti epistolari con il Carmelo di Lisieux. L’inizio di questa corrispondenza data al 1929, al tempo della nunziatura apostolica a Berlino, quando spedì a Lisieux una lettera di ringraziamento per aver ricevuto la prima edizione tedesca della Storia di un’anima. Fu poi più volte incaricato da Pio XI di recarsi al Carmelo di Teresa per presiedere alcune funzioni speciali in sua vece. Quando si recò a Buenos Aires, nel 1934, come legato pontificio al Congresso eucaristico internazionale, portò con sé una reliquia di Teresa a cui aveva affidato la sua missione. Per tutto il pontificato si mantenne in contatto per lettera con suor Agnese e suor Celina, le sorelle di Teresa che ancora vivevano nel Carmelo di Lisieux.

Giovanni XXIII: «La piccola Teresa ci conduce alla riva»
Santa Teresa la Grande [Teresa d’Avila, ndr], io l’amo molto… ma la Piccola: ella ci conduce alla riva […]. Bisogna predicare la sua dottrina così necessaria». Così Giovanni XXIII (1958-1963) si rivolgeva a un sacerdote che gli aveva offerto una collezione di ritratti della piccola Teresa. A Lisieux Angelo Roncalli si recò cinque volte, soprattutto nel periodo della sua nunziatura a Parigi, ma anche quando era ancora delegato apostolico in Bulgaria. Da pontefice si soffermò a lungo su Teresa durante l’udienza generale del 16 ottobre 1960. In quell’occasione disse: «Grande fu Teresa di Lisieux per aver saputo, nella umiltà, nella semplicità, nell’abnegazione costante, cooperare alle imprese e al lavoro della grazia per il bene di innumerevoli fedeli. A questo proposito il Santo Padre, volendo dare una adeguata similitudine, si compiaceva ricordare quanto più volte egli ebbe modo di osservare, nel porto di Costantinopoli. Giungevano colà ingenti navi da carico, che però non riuscivano, data la natura dei fondali, ad avvicinarsi alle banchine. Ecco quindi, accanto ad ogni grande nave, procedere presso i moli un battello, la cui presenza poteva, a prima vista, sembrare superflua, ed era invece preziosissima, poiché esso assolveva il compito di trasbordare le merci alla grande riva».

Paolo VI: «Sono nato alla Chiesa il giorno in cui la santa nacque al cielo»
Durante una visita ad limina del vescovo di Sées, la diocesi in cui Teresa nacque, papa Montini (1963-1978) ebbe a dire: «Sono nato alla Chiesa il giorno in cui la santa nacque al cielo. Questo le dice quali sono gli speciali legami che ad essa mi vincolano. Mia madre mi ha fatto conoscere santa Teresa di Gesù Bambino ch’ella amava. Ho già letto parecchie volte l’Histoire d’une âme, la prima volta in gioventù». Già nel 1938 scriveva alle monache del Carmelo di Lisieux confessando di «seguire da lunga data e col più vivo interesse lo sviluppo del Carmelo di Lisieux». E aggiungeva «di avere una grande devozione a santa Teresa, della quale conservo una piccola reliquia sul tavolo di lavoro».

Questi accenni basterebbero a significare il profondo legame tra Paolo VI e la piccola Teresa. Più volte, da papa, egli intervenne sulla figura e sulla dottrina della santa di Lisieux. Nel 1973, in occasione del centenario della nascita della santa, scrisse una lettera a monsignor Badré, allora vescovo di Bayeux e Lisieux, condensando in poche pagine il suo pensiero su Teresa. Realismo e umiltà sono i due concetti più espressamente sottolineati da papa Montini a proposito di Teresa: «Teresa del Bambino Gesù e del Volto Santo insegna a non contare su se stessi, sia che si tratti di virtù o di limitatezza, ma sull’amore misericordioso di Cristo, che è più grande del nostro cuore e ci associa all’offerta della sua passione e al dinamismo della sua vita». A proposito della vita di Teresa, che accettò il limite umano e culturale del chiostro, essa insegna, secondo Paolo VI, che «l’inserzione realista nella comunità cristiana, ove si è chiamati a vivere l’istante presente, ci sembra una grazia sommamente desiderabile per il nostro tempo». Teresa visse la sua personale via di santità in mezzo a un ambiente pieno di limiti. Tuttavia «essa non attese, per iniziare ad agire, un modo di vita ideale, un ambiente di convivenza più perfetto, diciamo piuttosto che essa ha contribuito a cambiarli dal di dentro. L’umiltà è lo spazio dell’amore. La sua ricerca dell’Assoluto e la trascendenza della sua carità le hanno permesso di vincere gli ostacoli, o piuttosto di trasfigurare i suoi limiti».
Paolo VI aveva già sottolineato il tema dell’umiltà in Teresa in un’udienza tenuta il 29 dicembre 1971: «Umiltà tanto più doverosa quanto più la creatura è qualche cosa, perché tutto dipende da Dio, e perché il confronto fra ogni nostra misura e l’Infinito obbliga a curvare la fronte». Quest’umiltà non è disgiunta in Teresa da una «infanzia piena di fiducia e di abbandono».
In un discorso pronunciato il 16 febbraio 1964, nella parrocchia di San Pio X, il Papa sottolineava con chiarezza quanto aveva praticato ed insegnato santa Teresa di Gesù Bambino riguardo alla fiducia che dobbiamo avere nella bontà di Dio, abbandonandoci pienamente alla sua Provvidenza misericordiosa: «Uno scrittore moderno assai noto conclude un suo libro affermando: tutto è grazia. Ma di chi è questa frase? Non del ricordato scrittore, perché anch’egli l’ha attinta – e lo dice – da altra sorgente. È di santa Teresa di Gesù Bambino. L’ha posta in una pagina dei suoi diari: “Tout est grâce”. Tutto può risolversi in grazia. Del resto anche la santa carmelitana non faceva che riecheggiare una splendida parola di san Paolo: “Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum”. Tutta la nostra vita può risolversi in bene, se amiamo il Signore. Ed è ciò che il Pastore Supremo augura a quanti lo ascoltano».

Giovanni Paolo I: «Con somma semplicità e andando all’essenziale»
Papa Luciani non ebbe il tempo, nei trentatré giorni del suo pontificato, di parlare di Teresa. Lo aveva fatto però in due importanti occasioni quando era patriarca di Venezia: quando, il 10 ottobre del 1973 tenne una conferenza in occasione del centenario della nascita di Teresa, e nella lettera alla santa nel libro Illustrissimi. Qui, Albino Luciani racconta di aver letto per la prima volta la Storia di un’anima quando aveva diciassette anni: «Fu per me un colpo di fulmine», scrisse. E rivela l’aiuto ricevuto da Teresa quando, giovane prete, si era ammalato di tubercolosi ed era stato ricoverato in sanatorio. «Mi vergognai di provare un po’ di paura», ricorda Luciani: «Teresa ventitreenne fino allora sana e piena di vitalità – mi dissi –, fu inondata di gioia e di speranza, quando sentì salire alla bocca la prima emottisi. Non solo, ma, attenuando il male, ottenne di portare a termine il digiuno con regime di pane secco e acqua, e tu vuoi metterti a tremare? Sei sacerdote, svegliati, non fare lo sciocco». Nella conferenza del 1973, il futuro Giovanni Paolo I sottolineava l’insegnamento di Teresa: «Essa, avendo acuta intelligenza e doni speciali, ha visto chiarissimo nelle cose di Dio e si è anche espressa chiarissimamente, cioè con somma semplicità e andando all’essenziale». Teresa non cercò esperienze diverse da quelle che il cristianesimo del suo tempo le offriva. Come scrive padre Mario Caprioli, non cercò esperienze straordinarie: «Confessione a sei anni, la preparazione alla prima comunione in famiglia, il pellegrinaggio – che per Teresa furono altamente istruttivi –, il monastero, cioè la vita religiosa coi voti, la regola, l’austerità» (M. Caprioli, I papi del XX secolo e Teresa di Lisieux, p. 349). «Oggi» commentava a questo proposito Luciani «sotto pretesto di rinnovamenti, si tende talvolta a svuotare tutte queste cose del loro valore. Teresa non sarebbe d’accordo, a mio avviso».


Giovanni Paolo II: Teresa di Gesù Bambino dottore della Chiesa universale
Proclamando, nel 1997, Teresa di Lisieux dottore della Chiesa universale, terza donna a ottenere questo titolo dopo Teresa d’Avila e Caterina da Siena, Giovanni Paolo II ha di fatto raccolto l’eredità dei suoi predecessori.

L’attualità di quel gesto può essere espressa nelle parole che don Luigi Giussani rivolgeva al Papa in piazza San Pietro durante l’incontro dei movimenti ecclesiali il 30 maggio 1998: «Al grido disperato del pastore Brand nell’omonimo dramma di Ibsen (“Rispondimi, o Dio, nell’ora in cui la morte m’inghiotte: non è dunque sufficiente tutta la volontà di un uomo per conseguire una sola parte di salvezza?”) risponde l’umile positività di santa Teresa del Bambin Gesù che scrive: “Quando sono caritatevole è solo Gesù che agisce in me”».

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Bernadette e il segno della croce

Posté par atempodiblog le 30 septembre 2013

Bernadette e il segno della croce dans Costanza Miriano 3ac

Verso la fine dell’estate un gruppo di cari amici è andato a Lourdes a fare servizio agli ammalati. Io, non potendo andare con loro, ho pensato di portare un po’ di Lourdes a casa mia, e così ho estratto dalla pila dei libri da leggere la biografia di Bernadette che era posizionata al numero centosessantuno della lista d’attesa (continuo a comprarli e a impilarli, nella speranza di rompermi una o due gambe: allora finalmente potrò dedicarmi alla lettura, stesa sul divano).

Così ho scoperto che subito dopo la prima apparizione, la pastorella, poverissima e ignorante, mostrò di avere capito alcune cose che solo la Madonna poteva averle spiegato, tanto più che Bernadette non poteva andare neppure a catechismo, era analfabeta.

Come prima cosa iniziò a farsi il segno della croce con un’attenzione e una solennità tutte diverse da prima. Quando dico nel nome del Padre e del Figlio – spiegava – con le mani vado dalla testa al cuore: l’amore, che noi collochiamo nel cuore, deve essere accompagnato dalla forza e dalla razionalità. Amare Dio con tutto il cuore e con tutta la mente. Invece il gesto di andare da una spalla all’altra significa – diceva la pastorella – avere la forza di prendere sulle nostre spalle la realtà. Sulle spalle, ma con la fiducia di chi sa che lo Spirito Santo farà per noi ciò che noi non riusciremo a portare a compimento.

In un gesto, dunque, si può esprimere il cuore della nostra fede: la misteriosa unità delle tre persone della Trinità, e la nostra partecipazione a questo mistero, che solo possiamo vagamente intuire; il nostro desiderio di essere docili alla realtà che ci viene consegnata; l’impegno di dire sì alla croce. Una fede, dunque, che esprime insieme il desiderio di farsi carico, ma anche la fiducia di sapere, come ha insegnato la Madonna a Bernadette, che a quello a cui non arriviamo noi penserà lo Spirito Santo.

Un gesto bellissimo che nasconde dunque un tesoro di fede, tramandatoci dai santi, dai martiri, dagli apostoli, dai fratelli maggiori; un gesto da insegnare ai figli. Pensiamoci la prossima volta che lo facciamo, magari distrattamente.

di Costanza Miriano – Credere
Tratto da: Il blog di Costanza Miriano

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Nelle telefonate del Pontefice la pastorale della solidarietà

Posté par atempodiblog le 30 septembre 2013

Dalla vittima di stupro, alla mamma del tossicodipendente, al bambino malato
di Andrea Tornielli – Vatican Insider

Nelle telefonate del Pontefice la pastorale della solidarietà dans Andrea Tornielli phvh

La telefonata è arrivata grazie a un tovagliolo di carta. Poche righe intrise di sofferenza e di coraggio. Nei giorni scorsi, una donna addetta alle pulizie nell’aeroporto di Buenos Aires ha saputo che l’uomo passatole di fronte era il direttore della Tv cattolica e stava imbarcandosi su un volo diretto a Roma dove avrebbe incontrato il Papa. Così ha pensato di scrivere un breve messaggio, per raccontare di suo figlio tossicodipendente e disoccupato, spiegando che lei lavora ogni giorno per lui nella speranza che possa uscire dall’incubo della droga. La donna ha scritto sul tovagliolo la richiesta di una preghiera e l’ha affidata al giornalista.

Quella singolare missiva su salvietta ha attraversato l’oceano ed è arrivata nelle mani di Bergoglio, che ne è rimasto profondamente colpito. «Era scritta in modo spartano… chiedeva solo una preghiera». Il Papa ha composto il numero che la donna aveva appuntato su un angolo del tovagliolo e le ha parlato. Ha voluto anche parlare con il figlio. Ha ascoltato entrambi, ha detto che pregava per loro. Il giorno dopo, incontrando i preti di Roma, Francesco ne ha parlato: è stato finora l’unico caso di telefonata papale rivelato dal chiamante e non dal chiamato. Bergoglio ha indicato l’esempio della donna e ha chiesto: «Non è questa santità?». La Chiesa «non crolla», ha aggiunto, perché anche oggi «c’è tanta santità quotidiana».

Le chiamate del Francesco alle persone comuni stanno diventando un’abitudine. L’ultima in ordine di tempo è quella fatta alla famiglia Chiolerio di Betlemme, frazione di Chivasso. Il Papa ha chiamato Federico, un bambino di sei anni che gli aveva inviato un disegno della frazione, l’unica località italiana a portare il nome della città dov’è nato Gesù.

Che cosa spinge il Papa venuto «dalla fine del mondo», nei rari momenti di tranquillità trascorsi nella suite 201 di Casa Santa Marta, a prendere il telefono fisso e a digitare personalmente il numero di uomini, donne, bambini che gli hanno spedito una lettera, un disegno o un messaggio di posta elettronica? «Per favore, spieghi ai giornalisti che le mie telefonate non sono una notizia», ha detto Francesco a don Dario Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano. «Io sono così, ho sempre fatto questo anche a Buenos Aires.

Ricevevo un biglietto, una lettera di un prete in difficoltà, una famiglia o un carcerato e rispondevo. Per me è molto più semplice chiamare, informarmi del problema e suggerire una soluzione, se c’è. Ad alcuni telefono, ad altri invece scrivo». Il Papa ha concluso con un sorriso ironico: «E meno male che non sanno tutte quelle che ho fatto!».

Le prime chiamate a sorpresa di Francesco erano dirette a persone conosciute. L’edicolante, per avvisarlo che causa elezione al soglio pontificio non doveva più portargli al copia del quotidiano «La Nación». Il suo dentista a Buenos Aires, per disdire, sempre a motivo della sopravvenuta elezione, un appuntamento già preso: il medico in quel momento era assente, e la segretaria per poco non sveniva dopo aver riconosciuta la voce di Bergoglio. Poi si è saputo di telefonate divenute un appuntamento fisso, come quella quindicinale, la domenica, a un gruppo di ragazzi detenuti in un carcere di Buenos Aires, che Francesco accompagna: «Sento che mi devo prendere cura di loro».

Infine si è cominciato ad aver notizia anche di chiamate fatte a persone sconosciute. Il flusso di corrispondenza è quasi triplicato, in Vaticano arrivano ogni giorno diversi sacchi pieni di lettere indirizzate a Francesco. Il Papa ha l’abitudine di leggerne un numero maggiore rispetto ai predecessori, anche se non può rispondere personalmente a tutte. Ma i messaggi che più lo colpiscono li trattiene sulla sua scrivania. Ci medita su. E in qualche caso partono le telefonate. Ripercorrendo quelle finite alla ribalta della cronaca, è possibile disegnarne quasi la «geografia».

C’è quella fatta a Michele Ferri, fratello del titolare di impianti di benzina ucciso lo scorso giugno da un suo dipendente. L’uomo, immobilizzato sulla carrozzina, gli aveva scritto per parlargli della sua sofferenza per quella morte violenta che non riusciva ad accettare. C’è quella che ha raggiunto Alejandra, una donna argentina vittima di stupro da parte di un poliziotto, che aveva scritto al Papa chiedendo giustizia. E ancora c’è la chiamata rivelata da Anna Romano, la giovane che ha deciso di non abortire nonostante il padre del bambino prima di abbandonarla glielo avesse chiesto. O quella della scorsa settimana a Michael, un dodicenne di Pinerolo ammalato di distrofia muscolare, che si stava lasciando andare ed è stato rincuorato.

Ma c’è stata anche quella a un giovane universitario padovano, che si è sentito invitare dal Papa a dargli de «tu». Proprio di questa chiamata Francesco ha parlato nell’intervista con il direttore della «Civiltà Cattolica»: «Ho visto che è stata molto ripresa dai giornali la telefonata che ho fatto a un ragazzo che mi aveva scritto una lettera. Io gli ho telefonato perché quella lettera era tanto bella, tanto semplice. Per me questo è stato un atto di fecondità. Mi sono reso conto che è un giovane che sta crescendo, ha riconosciuto un padre, e così gli dice qualcosa della sua vita. Il padre non può dire “me ne infischio”. Questa fecondità mi fa tanto bene».

«La Chiesa», ha detto Bergoglio «è una madre che non ha paura di entrare nella notte, per dare speranza… La Chiesa è una mamma misericordiosa, che cerca sempre di incoraggiare». Il filo rosso che unisce queste telefonate? Situazioni di dolore, di sofferenza, di solitudine ma anche di coraggio. E domande poste con autenticità. Francesco ha detto che bisogna recuperare la «grammatica della semplicità»: serve una Chiesa «capace di far compagnia» e di «riscaldare il cuore». Attraverso queste telefonate, e le tante altre che non conosceremo mai, il Papa «parroco» è entrato nelle singole esistenze di persone normali. Straordinariamente normali, proprio come lui.

Publié dans Andrea Tornielli, Misericordia, Papa Francesco I, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Una “rete” di angeli per noi

Posté par atempodiblog le 29 septembre 2013

Dobbiamo venerare gli angeli custodi, dono di Dio a ciascuno di noi. Per illuminarci, custodirci, sostenerci e governarci nella quotidianità della vita. Seguiamo l’esempio dei santi.
di Rosanna Brichetti Messori – Il Timone

Una “rete” di angeli per noi dans Angeli k1j5
Napoli: Chiesa Santa Maria di Piedigrotta, particolare dell’affresco della volta della prima Cappella a sinistra raffigurante la Santissima Trinità e Angeli opera di Bellisario Corinzio, prima metà del XVII secolo. Calendario 2009 del Fondo Edifici di Culto (F.E.C.). Ministero dell’Interno.

Nella puntata precedente abbiamo visto su quali basi poggi una giusta devozione agli angeli, puri spiriti al servizio di Dio nella sua opera di salvezza. Ora cerchiamo di riflettere sulle forme che può assumere questa devozione.
Due certamente restano privilegiate.
Anzitutto la preghiera liturgica, ufficiale della Chiesa, nelle feste dedicate ad ognuno dei tre angeli maggiori (e cioè gli arcangeli Gabriele, Michele, Raffaele, di cui conosciamo ruolo e nome dalla Scrittura) e nel giorno dedicato alla commemorazione di tutti gli angeli, il 2 di ottobre. In secondo luogo la semplice, breve, ma intensa e profondissima preghiera che ciascuno di noi ha imparato a recitare fin da bambino: “Angelo di Dio che sei il mio custode illumina, custodisci, reggi e governa me che ti fui affidato dalla pietà celeste” .
Mentre, infatti, partecipare alle messe dedicate alla commemorazione degli arcangeli e degli angeli, con le letture appositamente scelte, ci aiuterà di anno in anno ad approfondire sempre più il ruolo di questi messaggeri e collaboratori celesti verso l’uomo e il mondo, recitare quelle poche parole dell’“Angelo di Dio” ci riporterà ogni volta a porci nel centro stesso di questa devozione, rendendola sempre più personale, intima, profonda.
È il cammino che hanno fatto praticamente tutti i santi, che hanno lasciato su questo tema innumerevoli testimonianze. Vi è solo l’imbarazzo della scelta. Diversissimi per temperamento, epoca nella quale sono vissuti, carisma del quale sono stati dotati, sono stati devotissimi agli angeli, per es., S. Bernardo, S. Ignazio di Loyola, don Bosco, il Beato Escrivà de Balaguer.
Raccomandava S. Bernardo ai fratelli monaci: “Che gli angeli siano i vostri confidenti; frequentate assiduamente con il pensiero e la preghiera devota coloro che sono sempre vicino a voi per custodirvi e consolarvi” .
S. Ignazio, nei suoi famosi Esercizi assegna un importante posto agli angeli, portando colui che li pratica a riflettere con impegno sul ruolo che essi hanno avuto e hanno nei misteri di salvezza. Inoltre, da fine psicologo quale era, si cimenta nella descrizione delle loro ispirazioni. Tema questo sul quale si erano applicati anche S. Tommaso, Origene, Agostino.
Don Bosco scrisse un libro al proposito: “Il devoto dell’angelo custode”. Lo fece per riconoscenza. Aveva parlato di questo tema una sera ai suoi ragazzi e li aveva caldamente esortati ad affidarsi a lui in ogni pericolo. La mattina dopo, uno di loro, un giovane muratore, ebbe subito l’occasione per verificare la verità di quelle parole. Si trovò con altri su di una impalcatura che, dal quarto piano, si schiantò al suolo. Ma egli vi giunse illeso.
Escrivà del Balaguer aveva una devozione particolare per gli angeli custodi. Così, proprio nel giorno a loro dedicato ricevette con chiarezza l’ispirazione per la fondazione dell’Opus Dei. Ai suoi figli spirituali lo raccomandò sempre come “un grande alleato” anche per gli aspetti pratici nelle imprese apostoliche. E se al proposito qualcuno gli riferiva meravigliato dell’aiuto ricevuto: “Ti sorprendi – rispondeva – perché il tuo angelo custode ti ha reso palesi servizi? Non dovresti, perché proprio per questo il Signore lo ha messo al tuo fianco”.
Giganti nella fede, i santi, saldi e sicuri anche per quel che riguarda gli angeli. E noi, noi uomini d’oggi spesso assai fragili e insicuri, anche se credenti, incerti sulle scelte del bene, confusi e frastornati dai valori diversi, talvolta opposti a quelli cristiani, che dominano il mondo? Noi, troppo spesso in preda all’emotività, sofferenti di solitudine e di depressione, prigionieri dell’angoscia?
È certo che una riscoperta della verità di fede dell’angelo custode e una conseguente devozione a lui forte, sincera, fiduciosa può davvero sollevare molte e difficili situazioni. Siamo spesso tanto speranzosi nelle cure mediche e psicologiche. Esse sono necessarie e certamente aiutano. Ma non possono togliere quell’angoscia di fondo sul significato della vita e della morte cui solo la fede può dare una risposta. La fede in un Dio che, tra i tanti doni, ci ha fatto anche quello di metterei accanto sempre, per ogni situazione, un angelo che vive con noi.
Quale solitudine, quale tristezza, quale disperazione oso dire – può resistere a ciò? Chi, se ci pensa bene, non sente il cuore aprirsi alla confidenza e alla speranza? Chi non capisce quale sollievo anche psicologico sia per dei genitori affidare i propri figli, con tutti i loro problemi, anche ai loro angeli custodi? Per un bambino crescere poco a poco con la certezza di non essere solo ad affrontare la vita? Per un marito e una moglie sapere che vi è chi veglia sul loro matrimonio, per il quale si può contare addirittura su una “rete” di angeli, quelli che custodiscono i membri della loro famiglia e la loro casa? E così via per i propri amici, per i propri nemici, il proprio paese, la nazione, il mondo intero.

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Chi sono gli Angeli?
Gli Angeli sono i ministri invisibili di Dio, ed anche nostri Custodi, avendo Dio affidato ciascun uomo ad uno di essi.
Abbiamo dei doveri verso gli Angeli?
Verso gli Angeli abbiamo il dovere della venerazione; e verso l’Angelo Custode abbiamo anche quello di essergli grati, di ascoltarne le ispirazioni e di non offenderne mai la presenza col peccato” (Catechismo di San Pio X, nn. 57-58).

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Gli Angeli, messageri e coordinatori di Dio

Posté par atempodiblog le 29 septembre 2013

Sono tornati di moda con la New Age che, sbagliando, li considera energie spirituali autonome. Ma chi sono in verità gli angeli? Creature spirituali, messaggeri di Dio, custodi di uomini, popoli, città e nazioni.
di Rosanna Brichetti Messori – Il Timone
Gli Angeli, messageri e coordinatori di Dio dans Angeli 2qfj
Napoli: Chiesa di San Nicola da Tolentino, particolare dell’affresco della volta della navata raffigurante Angeli musicanti, opera di Vincenzo Galloppi, fine del XIV secolo. Calendario 2009 del Fondo Edifici di Culto (F.E.C.). Ministero dell’Interno.

In questi ultimi anni, come forse mai prima, abbiamo potuto assistere a filmati, trasmissioni televisive, pubblicazioni sugli angeli. Un vero boom. La New Age ha fatto di questo tema addirittura uno dei suoi cavalli di battaglia. Si voleva dimostrare che non solo questi esseri spirituali esistono, ma che sono in stretta relazione con noi uomini. Che intervengono nella nostra vita, spesso in modo anche visibile, per aiutarci, per assisterci in momenti di particolare bisogno fisico o morale. Esseri dunque che hanno come scopo quello di vegliare su di noi, di proteggerci, di guidarci.
Tutto bene, direte. Sì, ma… A questo punto, infatti, si pone inevitabile la domanda sul significato profondo di queste presenze accanto a noi, su quale sia la meta di questo loro infaticabile lavoro di assistenza. Per questo sarà interessante rivisitare, seppure brevemente, quello che crede la fede cristiana al proposito proprio per fondare correttamente la nostra devozione agli angeli. La Sacra Scrittura, sia nell’Antico come nel Nuovo Testamento, è ricchissima di queste presenze angeliche.
Dalla Genesi fino alla Apocalisse gli angeli partecipano attivamente all’avventura (straordinaria, ricca di colpi di scena, perché fondata sulla libertà) del rapporto tra Dio e l’uomo. Questa creatura fragile ed esposta all’errore, vivente dello spirito di Dio e tuttavia impastato di materia corruttibile verso la quale, però, tutto sembra convergere. Infatti, non solo la storia umana, ma legata ad essa la storia dell’intero universo, non è cieca, tende a un fine: ristabilire pienamente, dopo l’iniziale caduta, il Regno di Dio e mostrarlo visibilmente in Cieli nuovi e nuova Terra. Al centro di essa l’episodio fondamentale: l’incarnazione del Verbo, la sua passione, la sua morte, la sua risurrezione, la sua ascensione. Eventi tutti determinanti, perché lo Spirito di vita ritorni a soffiare con pienezza in ogni uomo che lo invochi e lo desideri. Tramite l’amore di quel Figlio che si è addossato tutto il fardello del male umano, è avvenuta la redenzione a cui, da quel momento in avanti, ogni uomo, unito a lui come tralcio alla vite, può attingere a piene mani.
Ebbene, in questa dinamica di amore e di salvezza, gli angeli sono costantemente presenti. Ordinati in nove cori gerarchici: Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Virtù, Potenze, Principati, Arcangeli, Angeli, ognuno riflettente, dice san Bernardo, una particolare perfezione divina, essi lodano e glorificano costantemente quel Dio che contemplano faccia a faccia. Ma, al contempo, cooperano attivamente perché anche l’uomo, che a causa della caduta vive in una dimensione di fede, non più in una visione diretta, capisca sempre più profondamente il disegno di amore di Dio e vi aderisca di tutto cuore.
Così verso di noi essi si rivelano soprattutto come messaggeri del Signore e insieme come i collaboratori della provvidenza divina. Per questo li vediamo all’opera lungo tutta la storia della salvezza. Per citare solo alcuni esempi: chiudono il paradiso terrestre, trattengono la mano di Abramo che stava per uccidere Isacco, guidano il popolo di Israele verso la terra promessa, assistono i profeti nel loro compito. La stessa Legge, ci dicono gli Atti (7,53), viene comunicata a Mosé “per mano degli angeli”.
Nel Nuovo Testamento la vita di Gesù, dalla incarnazione fino alla ascensione è continuamente circondata dall’adorazione e dal servizio degli angeli. Essi annunziano a Maria la nascita del Redentore esultando poi sulla grotta di Betlemme; ne proteggono l’infanzia minacciata da Erode, lo servono nel deserto, lo confortano durante l’agonia, annunciano alle donne la sua risurrezione, accompagnano la sua ascensione. Facendo tutto questo non si limitano ad annunciare gli eventi, ma spesso li spiegano ai presenti, perché ne capiscano significato profondo, perché intuiscano in essi il piano di Dio. Per questo la Chiesa, riflettendo su tutto ciò, nel corso dei secoli ha promosso la devozione agli angeli. A quelli che vegliano sul disegno generale di salvezza, sul Cielo, sulla Terra, sulla Chiesa, sulle nazioni, sulle città ma anche su ognuno di noi. Perché sì, è verità di fede che ogni uomo abbia un angelo custode che ha il compito preciso di proteggerne la salute fisica e spirituale, facendosi mediatore della luce e della grazia divina che discendono dall’alto e che sono la vita dell’uomo. Ma anche delle preghiere di lode e al contempo delle richieste di aiuto che salgono al Cielo dai faticosi e turbolenti sentieri umani. In Gesù siamo tutti figli di Dio e come Lui è stato protetto dagli angeli del Padre così lo siamo anche noi. È una splendida e rasserenante certezza sulla quale contare.
Occorre tuttavia fare attenzione a non scambiare il mezzo con il fine. È il grave pericolo che esiste nella massiccia riproposizione New Age: fermare lo sguardo agli angeli, inducendoci così a pensare che essi possano essere potenze autonome, dotate cioè di energie salvatrici in proprio. Sarebbe un grave errore. Il loro ruolo, il loro potere trae senso e significato solo ed esclusivamente all’interno del piano divino di salvezza.
(continua)

Ricorda
“Non dimentichiamo che fuori di questo mondo materiale che conosciamo per mezzo dei sensi esiste un altro mondo che sfugge completamente a questa specie di conoscenza. Codesto mondo, composto di creature intelligenti buone o cattive, angeli o demoni, è in comunione reale, intima e misteriosa con noi. È però fuori del nostro ordine naturale, trovandosi su un piano completamente diverso. Esso costituisce, in relazione a noi, il mondo del preternaturale” (Antonio Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Paoline, Roma 19656, p. 1032-3).

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Caratteristica della teologia morale del diavolo

Posté par atempodiblog le 29 septembre 2013

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Il color cupo del sangue dei Murdstone incupiva anche la religione dei Murdstone, che era austera e rabbiosa. Questa, ebbi poi a pensare, era una necessaria conseguenza della fermezza del signor Murdstone, il quale non poteva permettere a nessuno di sfuggire ai più severi castighi, che sotto qualsiasi pretesto si potessero infliggere.

Sia come sia, ricordo bene le grinte arcigne con cui eravam soliti recarci in chiesa, e ricordo come l’atmosfera stessa del luogo sembrasse mutata.
Ecco: arriva la temuta domenica, e io m’infilo per primo nel nostro vecchio banco come un delinquente condotto, sotto buona scorta, al servizio religioso per prigionieri. Ecco la signorina Murdstone, con la sua gonna di velluto nero che sembra tagliata in un drappo funebre, venir subito dietro di me; poi mia madre; poi suo marito. Non c’è più Peggoty con noi, come una volta. Ecco la signorina Murdstone che brontola le risposte al servizio divino accentuando con crudele soddisfazione le parole più terribili. Ecco: rivedo i suoi occhi cupi fare giro della chiesa, mentr’ella dice “miserabili peccatori”, come se stesse facendo l’appello dei presenti.

Ecco: riesco a intravedere mia madre, che muove timidamente le labbra, stretta fra quei due che le riempion le orecchie col loro brontolio simile a un tuono soffocato. Ecco: mi domando, con improvviso terrore, se per caso non abbia torto il nostro vecchio buon pastore, e non abbiano invece ragione il signore e la signorina Murdstone, e se davvero tutti gli angeli del cielo non siano angeli di distruzione. Ecco: se io muovo un dito, o allento un muscolo della faccia, la signorina Murdstone mi colpisce dolorosamente le costole col suo libro di preghiere.

 di Charles Dickens – David Copperfield. Ed. Mondadori

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Caratteristica della teologia morale del diavolo

Un’altra caratteristica della teologia morale del diavolo è la distinzione esagerata che fa tra questo e quello, tra bene e male, tra giusto e ingiusto. Queste distinzioni diventano divisioni irriducibili. Non presuppongono che forse tutti più o meno abbiamo un poco di colpa, che dovremmo accollarci i torti degli altri per mezzo del perdono, della sopportazione, della comprensione paziente e dell’amore, aiutandoci così, a vicenda, a trovare la verità.

Al contrario, nella teologia del diavolo la cosa importante è di avere sempre assolutamente ragione e di dimostrare che tutti gli altri hanno torto. Questo non porta certo alla pace e all’unione tra gli uomini, perché significa che ognuno vuole aver ragione ad ogni costo o star dalla parte di chi ha ragione. E, per dimostrare di aver ragione, i «fedeli» devono punire ed eliminare tutti quelli che sono nel torto.

Thomas Merton – Nuovi semi di contemplazione. Ed. Garzanti

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Colei che ha capito Dio

Posté par atempodiblog le 29 septembre 2013

“Non abbandonare senza amore un uomo o la speranza in lui, poiché è possibile che anche il figlio più perduto si salvi, che anche il nemico più accanito possa ritornare tuo amico; è possibile che colui che è caduto così in fondo si risollevi; è possibile che l’amore che si è raffreddato torni ad ardere: perciò non abbandonare mai un uomo, neppure nell’ultimo momento, non disperare, no – spera tutto!”. (Soren Kierkegaard)

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«Quando nell’ombra cade la sera». Sono le parole che compongono la prima frase dell’omonimo canto popolare ed evocano pensieri che ci rimandano alla sera intesa come fine della giornata o come conclusione di un cammino difficoltoso o ancora come termine del cammino della vita; una sera, però, che si rischiara dall’immagine luminosa di Maria alla quale l’uomo può aprire il suo cuore nella ricerca di conforto, coraggio, aiuto. Il futuro del mondo in cui siamo immersi è incerto: la febbre dell’egoismo ha ormai contaminato tutto ciò che ci circonda, ma la certezza che Maria è speranza è ancora viva e forte.

I valori umani indicati da Maria sono le virtù basilari per guarire dall’incomprensione, dalla rivalità, dall’avidità. A un mondo schiavo del denaro Maria richiama la povertà, a un mondo provocatore e astuto consiglia la semplicità di cuore; a un mondo vecchio e indurito dall’odio porta il sorriso addolcito di giovinezza. L’uomo che affida la sua vita alla maternità di Maria è guidato verso i misteriosi legami dello Spirito che lo portano gradualmente a creare un contatto sempre più intenso con il Dio dell’amore, della misericordia, del perdono.

Nel corso dei secoli la devozione mariana ha trovato numerose espressioni: si sono sviluppati pensieri individuali in armonia con profondi sentimenti di fiducia e di speranza. In questo contesto un ruolo importante va riservato ai canti popolari mariani che hanno arricchito la preghiera della Chiesa e impresso il loro carattere alla cultura dei popoli. Le origini di queste lodi non ci sono note e oggi la maggior parte di esse sono cadute in disuso, ma bisogna riconoscere che le melodie e i testi di questi canti coinvolgono e trascinano.

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T. Grassi, Incoronazione della Vergine (1692), chiesa Madonna del Popolo, Romagnano Sesia (Novara).

«Quando nell’ombra» è un canto semplice, strutturato con strofe e ritornello; la conduzione ritmica si presenta uguale nel corso del brano, creando regolarità e continuità. La melodia delle strofe rispecchia, pur nella sua brevità, un percorso di quattro battute ascendenti, in progressione, a cui corrispondono altrettante battute, sempre in progressione, ma discendenti. È un percorso che richiede delicatezza nell’esecuzione; la graziosità melodica non va disturbata dall’appoggio sulla croma: tutto procede con linearità e spontaneità, privilegiando una sonorità delicata e leggera.

Il ritornello inizia con due battute che, data la scelta ritmica, interrompono l’atmosfera precedente. Le tre semiminime di Fa’ pura introducono una successione melodica più marcata che fa esplicito riferimento a una richiesta di aiuto, a un’invocazione resa ancora più convincente dall’apertura verso l’acuto che può essere accompagnata, anche, da un’intensità sonora maggiore.  È qui il punto che maggiormente si presta alla coralità con la possibilità di aggiungere alla melodia principale altre voci che danno rinforzo e grandiosità al ritornello. Dalla terza battuta del ritornello, poi, si riprende il ritmo iniziale, seppur leggermente variato nell’ultima parte, con un evidente richiamo melodico che conduce a una conclusione dolce e riservata.

Quando nell’ombra…
Quando nell’ombra cade la sera,
è questa, o Madre, la mia preghiera:
fa’ pura e santa l’anima mia.
Ave Maria, Ave.
Di stelle e d’angeli incoronata,
da mille popoli sempre invocata:
ave, divina bianca Regina.
Avvolta in splendida candida veste,
cinta da un serico nastro celeste:
ave, divina bianca Regina.
Nel duol, nel gaudio da mane a sera
s’innalzi unanime una preghiera
alla divina bianca Regina.

di Luisa Tarabra
a cura di Mario Moscatello e Giuseppe Tarabra – Madre di Dio

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La festa di nessun santo

Posté par atempodiblog le 27 septembre 2013

La festa di nessun santo
La laïcité dogmatica e illiberale fa passi da gigante in Francia. Ora devono essere tolte due feste cristiane. Prima si cambia il linguaggio, poi anche il calendario. Come ai tempi di Robespierre
di Giulio Meotti – Il Foglio

La festa di nessun santo dans Articoli di Giornali e News xv8k

Il ministro francese dell’Istruzione, il neoilluminista Vincent Peillon, lo aveva annunciato con parole che più chiare non potevano essere: “Non si potrà mai costruire un paese libero con la religione cattolica. Non si può fare una rivoluzione unicamente in senso materiale, bisogna farla nello spirito. Adesso abbiamo fatto la rivoluzione essenzialmente politica, ma non quella morale e spirituale. Quindi abbiamo lasciato la morale e la spiritualità alla chiesa cattolica. Dobbiamo sostituirla”. Così adesso l’Osservatorio della laicità, l’organo voluto dal presidente François Hollande per coordinare le sue politiche neosecolariste, propone di eliminare alcune feste nazionali cristiane per far posto a quelle islamiche, ebraiche e laiche.

L’idea è arrivata da Dounia Bouzar, membro del direttivo dell’Osservatorio appena nominata dal primo ministro Jean-Marc Ayrault: “La Francia deve sostituire due feste cristiane per far posto allo Yom Kippur e all’Eid”. La prima è la grande solennità ebraica del pentimento, la seconda segna la fine del ramadan islamico. Bouzar è una delle più note intellettuali pubbliche islamiche di Francia. Cresciuta da brava musulmana francese laica e repubblicana, Bouzar diventa religiosa a vent’anni e oggi insegna Antropologia. D’accordo con la sua proposta il presidente dell’Osservatorio, Jean-Louis Bianco: “Non è in cima alla nostra agenda, ma è qualcosa che può essere studiato”, ha detto l’ex ministro e grand commis Bianco. Padre Grosjean, segretario generale della commissione Etica e politica della diocesi di Versailles, denuncia il tentativo di fare tabula rasa della cattolica Francia: “Questo calendario è il risultato di una storia, una cultura, è un riflesso delle radici cristiane che fanno parte del nostro patrimonio”. Contro anche Abdallah Zekri, presidente dell’Osservatorio contro l’islamofobia: “E’ un bene pensare anche alle altre comunità. A questo punto aggiungiamo due giorni di festa ma non eliminiamone due. Non si dica che vogliono spogliare Pietro per vestire Maometto”.

Il decreto con cui nel 2007 l’allora presidente Jacques Chirac aveva posto le basi dell’Osservatorio della laicità era rimasto a lungo lettera morta. Poi, nell’aprile scorso, Hollande ha creato l’organismo dandogli ampie libertà di manovra. Dell’Osservatorio è infatti la tanto discussa “carta della laicità” immessa dal ministro Peillon nelle scuole dall’inizio di settembre. L’Osservatorio ha una visione opposta a quella del Consiglio di stato, che è sempre stato favorevole a una laicità “aperta” e “inclusiva”. L’Osservatorio ha infatti appena suggerito al premier Ayrault di varare una legge che proibisca i segni religiosi anche nelle università (la legge del 2005 li proibisce già nelle scuole superiori).
Bouzar ha risposto così a chi, come Zekri, le aveva fatto notare che le feste di altre fedi potevano essere aggiunte all’attuale calendario esistente: “No, devono essere sostituite due feste cristiane. Una festa ebraica e una festa musulmana diventerebbero una festa per tutti i francesi e farebbe progredire la causa della laicità”.

Sembra un ritorno ai fasti robespierriani sugli Champs de Mars, la cornice impareggiabile della grande festa dell’Essere Supremo ma anche teatro del mostruoso massacro del 1791. E’ la vecchia storia scritta dai francesi: prima c’è il lume che si accende a Parigi, poi la sua diffusione in Europa e poi nel mondo, al seguito delle armate napoleoniche, dei maître à penser o della burocrazia secolarista. Così anche nel vicino Belgio, sempre in nome del politicamente corretto e della nuova fede ultralaica, le autorità hanno deciso che le feste cardine della cultura europea e cristiana, come Ognissanti, Natale e Pasqua, vengano sostituite dalle più neutre e anonime “Vacanze d’autunno”, “Vacanze d’inverno” e “Vacanze di primavera”. Un solstizio laicista?

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G.K. Chesterton, anche Bergoglio lo vuole santo

Posté par atempodiblog le 27 septembre 2013

G.K. Chesterton, anche Bergoglio lo vuole santo
di Marco Respinti – La nuova Bussola Quotidiana

G.K. Chesterton, anche Bergoglio lo vuole santo dans Gilbert Keith Chesterton kx2i

Gilbert Keith Chesterton, il grande scrittore e saggista inglese, convertito al cattolicesimo nel 1922, potrebbe anche diventare santo. Certo, nessun passo ufficiale è stato ancora fatto, il processo che porterebbe all’eventuale canonizzazione non è nemmeno partito, ma l’idea ricorre oramai con una certa insistenza dal mese di agosto. E la notizia vera è che a Papa Francesco la cosa non spiacerebbe affatto.

A dare il la alle “voci” è stato Dale Alhquist, aprendo il 1° agosto, all’Assumption College di Worcester, in Massachusetts, il 32° convegno nazionale dell’American Chesterton Society, di cui è co-fondatore e presidente. Alhquist, ex protestante evangelical convertito al cattolicesimo e padre di sei figli, è un raffinato studioso di Chesterton, a cui ha dedicato numerosi libri, collabora con la famosa e prestigiosa rete televisiva cattolica statunitense Ewtn, e, nonostante la forte passione per lo scrittore inglese, non è tipo da esagerazioni e sensazionalismi. Tant’è che, com’è giusto, procede con i piedi di piombo, limitandosi ai fatti. Fra questi, vi è però notevolmente il permesso concesso da mons. Peter John Haworth Doyle, vescovo di Northampton, in Inghilterra – la diocesi in cui Chesterton visse – di rendere pubblica la propria simpateticità con chi desidera verificare se sussistano le condizioni per avviare l’iter di canonizzazione e quindi la sua nomina di un incaricato ecclesiastico, il canonico John Udris, che si muova in questa direzione. Ma il fiore all’occhiello dell’intera vicenda viene dall’America Meridionale, con una notizia che, diffusa sempre da Ahlquist, è stato il giornalista inglese William Oddie, presidente della Chesterton Society in Inghilterra ed editorialista di The Catholic Herald, a traghettare fuori dai soli circoli di aficionados.

In una lettera del 10 marzo di quest’anno inviata a Martin Thompson, leader di “Chesterton in the Chilterns” (un gruppo attivo nella cittadina inglese di Beaconsfield, dove Chesterton abitò), l’ambasciatore Miguel Ángel Espeche Gil, che guida la Sociedad Chestertoniana Argentina, ha riferito che il cardinal Jorge Mario Bergoglio, al tempo arcivescovo di Buenos Aires, «c’incoraggia nella nostra aspirazione a vedere iniziare la Causa di esaltazione di Chesterton agli altari», addirittura approvando, per uso privato, tre giorni prima di salire al Soglio di Pietro, la versione spagnola di una preghiera d’intercessione allo scrittore inglese, composta originariamente in inglese sul modello di una orazione al futuro beato John Henry Newman diffusa in Canada negli anni 1930. Del resto, la passione di Papa Francesco per Chesterton (accanto a quella per Jorge Louis Borges, Johann Christian Friedrich Hölderlin, Alessandro Manzoni e J.R.R. Tolkien) non è affatto un mistero, e si accompagna significativamente a quella per lui nutrita dal Servo di Dio Papa Giovanni Paolo I (1912-1978), il quale, quand’era Patriarca di Venezia, inviò anche a Chesterton una di quelle belle lettere immaginarie rivolte a personaggi famosi, poi raccolte nel volume Illustrissimi (Edizioni Messagero, Padova 1976; ristampa 2011). Per di più, sembra che Papa Francesco sia membro della Societad Chestertoniana Argentina: quel che è certo è che ne patrocinò il primo convegno nazionale, nel 2005, concelebrandovi la Messa. E, come ricorda Oddie – tra l’altro curatore, nel 2010, per i tipi della Gracewing di Leominster, in Inghilterra, di una raccolta di studi dal titolo coraggiosamente e sanamente assertivo, The Holiness of G.K. Chesterton – è almeno dal 1995 che in Argentina ambienti sociali, addirittura politici e certamente ecclesiastici si danno da fare per la canonizzazione del grande convertito inglese.

Ovviamente si sono già scatenati i pareri dei contrari o dei tiepidi. Per questo fa benissimo Stratford Caldecott , direttore a Oxford di Second Spring: A Journal of Faith and Culture, a puntualizzare così: «Dipende da ciò che pensiamo significhi “santo”. Il termine indica una persona che è in Paradiso, e la Chiesa crede di saper giudicare quando è il caso. Il motivo per cui la Chiesa proclama santo qualcuno è quello di proporre una persona alla nostra imitazione e alla nostra venerazione. Se la Chiesa ritiene che queste persone siano vicine a Dio, possiamo stare certi dell’efficacia delle loro preghiere e quindi cercarne l’intercessione per i nostri bisogni terreni.

Chesterton è in Paradiso? In un certo senso sarebbe preoccupante e strano se non ci fosse. […] Non è stato infallibile (i santi non hanno bisogno di esserlo), ma certamente ha vissuto santamente; e se non è in Paradiso lui, per il resto di noi c’è ben poca speranza». Sarà per questo che addirittura alcuni protestanti, come Chris Armstrong, docente di Storia della Chiesa al Bethel Seminary di St. Paul, nel Minnesota, ne siano fortemente, pubblicamente toccati?

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Preghiera a G.K. Chesterton

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Della preghiera a Chesterton, approvata in versione spagnola dal card. Jorge Mario Bergoglio tre giorni prima di diventare Papa, esiste una versione italiana, diffusa dalla Società Chestertoniana Italiana.

Dio Nostro Padre,
Tu riempisti la vita del tuo servo Gilbert Keith Chesterton di un senso di meraviglia e gioia, e desti a lui una fede che fu il fondamento del suo incessante lavoro, una carità verso tutti gli uomini, in particolare verso i suoi avversari, e una speranza che scaturiva dalla sua gratitudine di un’intera vita per il dono della vita umana.
Possano la sua innocenza e le sue risate, la sua costanza nel combattere per la fede cristiana in un mondo che perde la fede, la sua devozione di una vita per la Beata Vergine Maria e il suo amore per tutti gli uomini, specialmente per i poveri, portare allegria ai disperati, convinzione e calore ai tiepidi e la conoscenza di Dio a chi non ha fede.
Ti chiediamo di concedere le grazie che Ti imploriamo attraverso la sua intercessione (e specialmente per…) perché la sua santità possa essere riconosciuta da tutti e la Chiesa possa proclamarlo beato. Te lo chiediamo per Cristo Nostro Signore.
Amen.

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Satana in azione con la falsa profezia, le false apparizioni e i falsi messaggi

Posté par atempodiblog le 27 septembre 2013

Satana in azione con la falsa profezia, le false apparizioni e i falsi messaggi dans Anticristo nqu9C’è chi va a  Medjugorje e poi si mette in proprio con apparizioni private, locuzioni private… si mette a dare messaggi… […]
Anche di quelli che hanno risposto alla chiamata della Gospa, che vanno a frugare, si dice, nei depositi di spazzatura, no? Vanno a frugare dappertutto. A cercare che cosa? Mi  chiedo io. A cercar che cosa? Io mica le mando a dire, eh? Come ho detto a suo tempo a uno: tu segui i messaggi della Gospa e poi ti compiaci di leggere i messaggi di Vassula Ryden … ma non ti vergogni? Questo è un richiamo che faccio generalizzato. Guarda che questa non è una esagerazione. Abbiamo la Madonna che parla punto e basta. […]
Siamo già entrati in una fase dove Satana vuole scompaginare i seguaci di Maria. Come fa Satana a scompaginare i seguaci di Maria? Lo fa soprattutto con la falsa profezia, con le false apparizioni, con i falsi messaggi… che poi sembrano belli. Ragazzi miei, ma dico, uno ti può preparare un bellissimo pranzo, ma se poi ti mette l’arsenico nel caffè? Perché il diavolo ti mette il veleno alla fine, quando dici “uh, che bel pranzo”. […] Dopo che bevi il caffè ti trovi lontano da Dio e fuori dalla Chiesa. Guarda che bisogna avere il discernimento. Diceva san Bernardo che il discernimento è un uccello raro. D’accordo, ma noi abbiamo la Chiesa che ci aiuta a discernere. […]
Quando incominciano i gruppuscoli dove c’è quella che dà i messaggi, in genere è sempre quella, no? State attenti. [...]
Questo ve lo dico perché nei gruppetti son lì tutti a dipendere da quel che dice quella… e quella è la voce di Dio.. e quella è infallibile… ma fate un piacere… Questa è la schiavitù dello spirito.  E’ la dipendenza psicologica. Ma scherziamo? Quindi state attenti a queste forme che son talmente diffuse da far paura. La gente è presa dalla gola spirituale, è tirata dentro e diventa schiava di altre persone. Quindi drizzate bene le orecchie, vivete nella libertà dei figli di Dio. Noi abbiamo un grande punto di riferimento che ci ha dato veramente Dio, perché quando Gesù ha detto: “tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la Mia Chiesa e le porte dell’Inferno non prevarranno”, ha voluto dire che Dio da uno speciale aiuto al Papa, soprattutto nell’insegnamento, non nella santità della vita che se la deve conquistare, però anche se il Papa non è un grande teologo Dio gli da un carisma speciale per cui nell’insegnamento della fede e della morale, cioè di quello che noi dobbiamo credere  e di ciò che noi dobbiamo fare, gli da un aiuto speciale perché non ci tragga in inganno. Questo è il carisma di Pietro. Dio gli da un aiuto speciale perché non ci tragga in inganno, questa è l’infallibilità e che non insegni cose sbagliate, da credere o da fare. Allora proprio per questo le porte dell’inferno non prevarranno.

di Padre Livio Fanzaga (versione audio)

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Alcuni consigli per riconoscere le false apparizioni e i falsi profeti

Posté par atempodiblog le 27 septembre 2013

Alcuni consigli per riconoscere le false apparizioni e i falsi profeti
Tratto da: Maria a Medjugorje

Alcuni consigli per riconoscere le false apparizioni e i falsi profeti dans Anticristo rqci

1) Gesù e Maria sono umili nei loro messaggi, non parlano male di nessuno ne della Chiesa e del clero, annunciando punizioni su di loro, e ne delle persone che non credono all’apparizione. Credo che in questo mondo ci sia qualcosa di più grande da punire della Chiesa perciò non date retta a questo genere di apparizioni. Il demonio con questi messaggi cerca di mettere i cristiani contro la chiesa.

2) Gesù e Maria non spaventano nessuno e non annunciano punizioni o altri avvenimenti futuri, se non in forma di segreto o avvertimento come è successo a Fatima. Se la Madonna a Medjugorje ad alcuni veggenti ha rivelato avvenimenti futuri in segreti, perchè dovrebbe rivelare pubblicamente gli stessi avvenimenti ad altre persone con l’ordine di renderli pubblici???

3) Gesù e Maria danno dei messaggi significativi con lo scopo di ravvivare la fede, non messaggi vuoti e inutili, buoni solo per soddisfare le nostre curiosità. Il demonio cerca di far dimenticare o mettere in secondo piano i veri messaggi che sono quelli di Medjugorje. Non andate alla ricerca di mistici, veggenti e gente che affermano di avere il dono della locuzione: Gesù ce l’abbiamo nell’Eucarestia ricordiamocelo, perciò non abbiamo bisogno di loro.

4) Gesù e Maria non chiacchierano: sono false le apparizioni di veggenti che parlano con Gesù e Maria come se stessero a parlare del più e del meno con una persona qualsiasi.

5) Gesù e Maria non commentano i precetti della Chiesa;

6) State attenti a tutti quelle persone che distribuiscono olii, acque ed altre sostanze che affermano di venire dall’aldilà ed essere fondamentali per la nostra salvezza. Questa è solo superstizione ed ha lo scopo di far passare in secondo piano fenomeni reali come Lourdes e farci dimenticare che la salvezza ce la dobbiamo meritare con ben altro .

7) State attenti a quelle persone che affermano di parlare con le anime dei defunti. Lasciate perdere tutti quelli che praticano sedute spiritiche e simili perchè sono sempre state condannate dalla Chiesa, in particolare quelli che praticano la scrittura automatica (o gioco del cartellone). State attenti anche a quelle persone che affermano di parlare con le anime del purgatorio, del paradiso o (ancora peggio) dell’inferno perchè possono essere state ingannate dal demonio. Ne è un caso quello di Maria Simma in cui lei stessa, nelle sue svariate interviste (che hanno contribuito ad aumentare la preghiera alle anime del purgatorio), ha affermato di essere stata ingannata più volte da demoni che si sono presentati come anime in cerca di preghiere. Questo significa che tutto quello che è scritto nei suoi libri va preso con le pinze. Ne è un esempio l’eresia scoperta nel suo libro “il testamento di Maria Simma” da Padre Livio, direttore di Radio Maria, in cui afferma che l’anima dell’uomo dopo la morte ha ancora tre giorni di tempo per pentirsi. Questo è falso perchè nel momento della morte l’anima ha già fatto la sua scelta e non può fare nulla per cambiarla. E’ un grosso inganno del demonio che sta facendo credere a tante persone di aver tutto il tempo di convertirsi anche dopo la morte, cioè “fai quello che ti pare tanto anche dopo la morte potrai salvarti”.

8 ) Ricordatevi che anche il demonio può fare prodigi particolari tra cui guarigioni e miracoli. Lo scopo è quello di attirare buoni cristiani per portarli fuori strada successivamente.

9) La locuzione è un dono che viene dato a persone umili con il cuore puro. Sono imbroglioni tutti quelli che vantano di avere questi doni e che nello stesso tempo vi chiedono denaro e conducono una vita di peccato.

10) State attenti ai siti internet e sopratutto alle case editrici che pubblicano materiale su mistici e veggenti sconosciuti, profezie apocalittiche di provenienza poco chiara e che parlano male della Chiesa, degli ordini religiosi, dei cammini di fede e di tutto ciò che è di aiuto per un cristiano.

Per concludere ecco due brani molto interessanti che chiariscono molte cose. Il primo è tratto dalla seconda lettera di Pietro versetti 3,3-10 (I falsi dottori), mentre il secondo è tratto dall’opera di Maria Valtorta (n.d.r. sta pubblicato anche in questo sito in forma integrale nella sezione “discernimento spirituale” con il titolo “Ultimi tempi”):

Dalla seconda lettera di Pietro 3,3-10: i falsi dottori

Questo anzitutto dovete sapere, che verranno negli ultimi giorni schernitori beffardi, i quali si comporteranno secondo le proprie passioni e diranno: « Dov’è la promessa della sua venuta? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane come al principio della creazione ». Ma costoro dimenticano volontariamente che i cieli esistevano gia da lungo tempo e che la terra, uscita dall’acqua e in mezzo all’acqua, ricevette la sua forma grazie alla parola di Dio; e che per queste stesse cause il mondo di allora, sommerso dall’acqua, perì. Ora, i cieli e la terra attuali sono conservati dalla medesima parola, riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della rovina degli empi.

Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell’adempiere la sua promessa, come certuni credono ; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c’è in essa sarà distrutta.

Ultimi tempi:

«Satana, padre di menzogna e protettore dei menzogneri, aiuta i suoi servi e seguaci con falsi prodigi, che però possono essere riconosciuti non buoni perché sempre uniti a paura, turbamento e menzogna. I prodigi di Dio voi li conoscete: danno pace santa, letizia, salute, fede, conducono a desideri e opere sante. Gli altri no. Perciò riflettete sulla forma e le conseguenze dei prodigi che potrete vedere in futuro ad opera dei falsi Cristi e di tutti coloro che si ammanteranno nelle vesti di salvatori di popoli e saranno invece le belve che rovinano gli stessi. ….. E anche allora, per corrompere e trarre fuori della via giusta coloro che resteranno fedeli al Signore sorgeranno quelli che diranno: “Il Cristo è là, il Cristo è qua. E in quel luogo. Eccolo”. Non credete. Nessuno creda, perché sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti che faranno prodigi e portenti tali da indurre in errore, se fosse possibile, anche gli eletti, e diranno dottrine in apparenza così confortevoli e buone a sedurre anche i migliori, se con loro non fosse lo Spirito di Dio che li illuminerà verità e l’origine satanica di tali prodigi e dottrine. Io ve lo dico. Io ve lo predico perché voi possiate regolarvi. Ma di cadere non temete. Se starete nel Signore non sarete tratti in tentazione in rovina».

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Parere di p. Livio sulla statua della Madonna di Vicka

Posté par atempodiblog le 26 septembre 2013

Parere di p. Livio sulla statua della Madonna di Vicka dans Medjugorje ozhs

Cari amici,
alcuni di voi mi hanno chiesto un parere sulla statua della Madonna di Lourdes, situata nella casa natale di Vicka (ora non più abitata, ma aperta ai visitatori), che al buio emana una luce verdastra dal manto e dalla veste bianca, ma non dal volto e dalla mani (color rosato), dalla fascia blu, dalla corona del rosario e dalla corona sopra il capo (color giallo).
Non appena ho visto questa figura in internet mi è sembrato qualcosa di banale, senza capo e senza coda. Un artefatto umano e non un segno dal cielo. Che cosa può significare il chiarore notturno di una statua in un posto dove la Regina del Cielo scende viva ogni giorno in mezzo a noi? Non ci sono forse abbastanza segni del soprannaturale a Medjugorje? Non ci basta il segno della preghiera, delle conversioni, dei sublimi messaggi, del volto dei veggenti in estasi? Tutti segni che portano ad aprire il cuore a Dio.
Ho sentito subito squillare l’allarme dentro di me. Che cosa provocano queste cose se non la curiosità umana e lo sviamento dei fedeli da quell’essenziale che la Madonna ci indica?
Questo fenomeno ha la sua logica spiegazione umana e Dio non voglia che sia un inganno studiato da menti perverse per burlarsi delle apparizioni e dei fedeli che accorrono.
Nei 28 anni che frequento Medjugorje, come fedele della Gospa, ma anche come attento osservatore, ho visto infiniti inganni del demonio in cui molti sono caduti. Hanno abbondato i profittatori e gli speculatori, che hanno cercato di far mercato sulla buona fede del popolo semplice.

Stiamo lontani da tutto ciò. Attendiamo con gioia e costanza alla indilazionabile opera della nostra conversione. Vigiliamo perchè nel mirabile affresco tracciato da Maria in questi 32 anni non si inseriscano elementi discutibili che potrebbero creare perplessità alla Chiesa.

Quella meravigliosa Donna che i veggenti contemplano con gli occhi della carne, noi tutti possiamo contemplarla con gli occhi del cuore.

di Padre Livio Fanzaga – Radio Maria

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Un simbolo affascinante e misterioso

Posté par atempodiblog le 26 septembre 2013

Un simbolo affascinante e misterioso
Da duemila anni è il simbolo per eccellenza del cristianesimo. Ma da sempre la croce esprime il tentativo dell’uomo di penetrare il mistero della vita. E di mettersi in relazione con esso.
di Rosanna Brichetti Messori – Il Timone

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Perché Gesù è morto proprio su una croce? E’ stato un caso oppure dietro di essa si celano significati nascosti?
La morte di Gesù, come via alla redenzione dell’umanità, è un valore in se stessa, indipendentemente dallo strumento impiegato per ottenerla. Tuttavia, quella croce sulla quale il Nazareno è stato innalzato, quei due legni incrociati che i romani usavano per dare la morte agli schiavi, se indagati un po’ più profondamente, ci portano a fare delle scoperte molto interessanti. Fino a farci pensare che quel preciso modo di dare la morte non sia dovuto solo al caso, cioè al fatto che quello strumento era in uso nell’impero in quel preciso momento storico, ma rivesta significati più profondi che portano una luce ancor maggiore sul sacrificio di Gesù.
Da duemila anni la croce è il simbolo per eccellenza del cristianesimo, quello che lo caratterizza e lo distingue da altre fedi religiose. Ma prima ancora di diventare tale, la croce è stata e continua ad essere uno dei simboli principali che l’umanità ha elaborato per cercare di comprendere e descrivere il mistero che penetra e avvolge la vita. E, soprattutto, per cercare di entrare in relazione con esso. “Il simbolo – diceva Ugo di San Vittore, grande filosofo e mistico medievale – è quell’insieme di forme visibili che mira a mostrare cose invisibili”. È il frutto di una collaborazione complessa tra la ragione e l’intuizione, tra i livelli consci e inconsci dell’uomo; qualcosa che attinge nel profondo, là dove l’essere entra in relazione con le radici stesse della sua esistenza e del suo destino. Quella di elaborare simboli è una capacità e insieme una necessità propria solo dell’uomo che si nutre di essi come si nutre dei miti. Sono la sua mente, la sua psiche, il suo spirito che hanno bisogno dei simboli per trovarvi misteriosamente un significato e una guida per la vita.
Ebbene, la croce trova posto tra quelli che vengono considerati i quattro simboli fondamentali elaborati dall’immaginario umano: il centro, il cerchio, il quadrato e, appunto, la croce. Anzi, quest’ultima ha il potere di porre questi simboli gli uni in relazione con gli altri. Le sue due linee, infatti, si intersecano al centro, al quale giungono in un movimento centripeto ma dal quale ugualmente si dipartono in un movimento centrifugo. La croce, inoltre, può iscriversi in un cerchio, oppure in un quadrato. Così la croce si collega in particolare al simbolismo del numero quattro ma in una forma che appare dinamica, in un continuo gioco di relazioni. Per questo appare come il più totalizzante dei simboli. Quello meglio capace di aiutare l’uomo a capire davvero chi egli sia e ad orientare nelle giuste direzioni la propria esistenza. Il simbolo della croce gli consente, infatti, di scoprire il proprio centro, il punto fermo dal quale partire e al quale tornare dopo essersi aperto in tutte le direzioni: verso la terra e gli altri uomini, secondo la linea orizzontale, verso il cielo materiale e spirituale secondo la verticale. La croce, dunque, appare capace di aiutare l’uomo ad orientarsi nello spazio e nel tempo ma, al contempo, con i suoi bracci che possono non finire mai, a fargli intuire che ci può essere qualcosa che travalica lo spazio e il tempo.
Non a caso il simbolo della croce è quello nel quale è iscritto l’uomo stesso. Se, infatti, questa creatura che è la più elevata dell’intero universo, si pone eretta come la sua struttura prevede, e apre le braccia a tutto il creato nel compito che Dio stesso le ha affidato nella Genesi, si accorge di essere essa stessa una croce vivente.
Possiamo dunque pensare solo a un caso storico quando prendiamo coscienza che Gesù non è morto, che so, pugnalato, avvelenato, impiccato o in qualsiasi altro modo ma proprio su una croce? O, piuttosto, non siamo forse chiamati a renderci conto di quanto il mistero che si cela dietro quegli eventi sia ricco di vita, brulicante di significati, gravido di conseguenze? Quando Gesù si offre per tutti gli uomini, viene innalzato proprio su una croce in quel momento strumento di morte ma da sempre, presso tutte le culture, simbolo guida nella faticosa ricerca del mistero della vita.
Il cristianesimo raccoglierà e svilupperà questa eredità. I Padri parleranno della croce come del “polo del mondo”, simbolo non solo della salvezza portata da Gesù ma anche della via che il Vangelo traccia per l’uomo: elevato verso Dio, in stretto contatto con lui, per nutrirsi di quell’amore da distribuire a piene mani in tutte le direzioni. In Gesù Cristo, dunque, la croce si illumina di una luce più piena e diventa un vero e proprio faro per l’umanità che naviga faticosamente sul mare della vita.

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Ma c’è un caso particolare in cui l’antica tradizione precristiana della croce e dei simboli ad essa connessi sembra fondersi in modo singolare con gli eventi e con la fede cristiana. Si tratta del quadrato magico di Pompei. Sono cinque le parole che lo compongono: SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS. Si possono leggere in tutte le direzioni e sempre tali rimangono. Un quadrato, dunque, ben definito ma nel contempo carico di grande dinamismo al suo interno. Ma, singolarità rilevante, queste parole convergono attorno alla parola TENET che l’attraversa a forma di croce. Il centro è una N, lettera composta da due elementi simili ma contrapposti, l’uno rivolto al cielo, l’altro alla terra; gli estremi sono quattro T che in greco, guarda caso, sono il simbolo della croce.

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Vi è incertezza sul significato delle cinque parole. Qualcuno traduce: “Il seminatore Arepo tiene con cura le ruote”. È un’allusione all’uomo che, strettamente unito alla croce di Cristo, sotto la guida dello Spirito che soffia in ogni direzione (come quelle parole sembrano indicare), cerca di realizzare il disegno divino sull’intero universo? Chissà. Per certo sappiamo che, almeno a Pompei, dove tutto si fissò sotto l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., fu un simbolo adottato dai primi cristiani. Costoro certamente conoscevano bene la simbologia pagana, che probabilmente utilizzarono per esprimere in modo sintetico e celato la nuova fede. Nel 1925 ci si accorse, infatti, che quelle lettere misteriose nascondevano un segreto ancor più profondo di quelli visti fino ad ora: potevano essere disposte a formare una seconda croce costituita da due PATER NOSTER anch’essi centrati sulla N. Avanzavano due A e due O: l’Alfa e l’Omega greci indicanti Cristo.

Ricorda
“Egli è venuto in forma visibile per coloro che gli appartengono, è diventato carne ed è stato appeso alla croce per riassumere in sé l’universo”.
(S. Ireneo).

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Bartali vince ancora: Giusto tra le nazioni

Posté par atempodiblog le 25 septembre 2013

Bartali vince ancora: Giusto tra le nazioni
di Massimiliano Castellani – Avvenire

Bartali vince ancora: Giusto tra le nazioni dans Sport 4q15

C’è voluto del tempo, ma alla fine Gino Bartali è arrivato anche al traguardo di Gerusalemme: lo Yad Vashem lo ha riconosciuto “Giusto tra le nazioni” per aver strappato alla morte gli ebrei perseguitati dal regime nazifascista. «Oh quanta strada nei miei sandali! Quanta ne avrà fatta Bartali…», canta Paolo Conte. In carriera il Ginettaccio si calcola che avesse coperto in sella a una bicicletta la bellezza di «700mila chilometri».

Ma di tutte le «tappe vinte», la meno nota, la più anomala e straordinaria fu quella Firenze-Assisi e ritorno nel capoluogo toscano, che tra l’ottobre del 1943 e il giugno 1944 Bartali corse almeno «una quarantina di volte» per trarre in salvo gli ebrei in clandestinità. Una tappa temeraria, di «trecentottanta chilometri» percorsi a perdifiato in una sola giornata per consegnare nella città di San Francesco documenti di vitale importanza per gli ebrei tenuti nascosti da padre Rufino Niccacci. Nota era la fede di Bartali, la precoce entrata nelle file dell’Azione Cattolica, l’appartenenza ai terziari carmelitani, il legame stretto con papa Pio XII e i contatti tenuti con Alcide De Gasperi e Giorgio La Pira.

Così come note erano state le gesta eroiche del ciclista per salvare gli ebrei rifugiati nella città di San Francesco, raccontate nel libro dello scrittore e regista Alex Ramati « Assisi underground » (titolo dell’omonimo film). Eppure quella tappa è rimasta a lungo «clandestina» alla storia e per espressa volontà del corridore. Bartali in vita minacciò di «querele» coloro che avessero svelato i particolari del suo coinvolgimento all’operazione «Assisi underground».

Le ragioni del silenzio erano tutte in quel monito di umile trasparenza tramandato dal buon Ginettaccio al figlio Andrea: «Certe cose si fanno e basta. Io voglio essere ricordato per le mie imprese sportive e non come un eroe di guerra… Io mi sono limitato a fare ciò che sapevo fare meglio. Andare in bicicletta». E in sella a quella bicicletta «verde ramarro», maglione di lana e calzoni di flanella per ripararsi dal freddo pungente di quell’autunno gelido di morte, Bartali era pronto al via. Partenza da casa sua, in piazza del Bandino, con prima sosta in via dello Studio alla chiesetta del Collegio Eugeniano: ad attenderlo don Giacomo Meneghello, il segretario del cardinale Elia Dalla Costa, che gli consegnava dei documenti della massima segretezza da portare ad Assisi. Una corsa piena di insidie, cominciata alle 6.30 del mattino dopo aver partecipato alla Messa.

Un tracciato da fare con il cuore in gola, senza destare sospetti, perché i suoi strani viaggi gli erano già costati tre giorni di carcere in via della Scala e il suo nome era da tempo nelle liste nere. «L’Ovra aveva messo una spia fissa a controllare i suoi spostamenti – racconta Paolo Alberati nel suo libro Gino Bartali. Mille diavoli in corpo (Giunti)”. Era stato un giornalista sportivo, Franco Monza, esperto di motori, che aveva cominciato a seguire anche le gare di quello che nell’elenco dei sospettati venne schedato come Bartali Gino, n° 576. Poca roba sul suo conto, visto che la spia riferiva ai suoi superiori: «Un tipo molto strano questo Bartali che ad ogni vittoria ringrazia sempre Dio e la Madonna invece di dedicare il successo al nostro Duce».

L’antifascismo indomito, unito all’amore per il prossimo rendeva ancora più veloce il pedale del fuoriclasse che aveva già vinto due edizioni del Giro d’Italia nel 1936 e nel’37 (poi vincerà il terzo nel ’46). Un «tappone» da portare a termine con il coraggio dell’italiano che è riuscito sfidare e battere i francesi a casa loro conquistando il Tour del 1938 (sarà l’unico ciclista al mondo a rivincere la Grand Boucle a dieci anni di distanza, nel 1948). Ecco le fasi salienti di quella corsa che lo ha reso “Giusto tra le nazioni” Bartali scala con calma il San Donato e va giù ancora lento per il Valdarno.

Taglia la nebbia a Reggello dove nella bottega del calzolaio dei ciclisti Gennaro Cellai, fa rifornimento di informazioni sulle strade da evitare, quelle più battute dalle pattuglie e le camionette fasciste e naziste. Un percorso minato, da compiere nel minor tempo possibile. Per questo accelera nel tratto che da Arezzo imbocca la Statale 71 in direzione di Perugia. Alle 9,50 il campione fa una sosta al bar della stazione di Terontola gestito da Leo Lipparelli. Quel passaggio è studiato apposta con il Lipparelli per consentire la fuga degli antifascisti della zona. Nella gran bolgia che creano i tanti tifosi, quella massa di indesiderati dal regime riesce a imboscarsi sui vagoni e a mettersi in salvo dai controlli della milizia, che si concede la libertà di avvicinare il famoso ciclista per chiedergli il memorabile autografo.

Da qui Bartali riprende spedito: costeggia il Trasimeno e rivede Castiglion del Lago, dove appena qualche mese prima era stato al servizio dell’Aeronautica in qualità di «portalettere» in bicicletta. Comincia a far tardi e non c’è gruppo che insegue più tetro e invisibile di quello che il campione sente a ruota. Ma il fiato lo assiste come sempre e vola sulla piana che da Ponte San Giovanni porta alla basilica di Santa Maria degli Angeli, in uno sprint-record di 21 minuti, alla velocità di 43 km orari (su una bicicletta del peso di quasi 15 chili, il doppio di quelle odierne).

Tempi buoni per rivincere una Milano-Sanremo -due ne vinse in carriera- e lo spirito è lo stesso, con in più la motivazione umanitaria che lo spinge sul podio più alto: all’ora di pranzo è ad Assisi, al convento delle clarisse di San Quirico. Luogo dove neppure i saraceni avevano osato entrare, e invece le due suorine di clausura Eleonora e Alfonsina, tante volte avevano accolto e rifocillato un Bartali sfinito, ma con il cuore gonfio di gioia e d’orgoglio.

Ad Assisi Bartali consegna le carte d’identità da falsificare con la macchina Felix della tipografia di Luigi Brizi, che col figlio Trento dà nuova nazionalità alle persone che padre Rufino nasconde nei conventi di Assisi. Alle 14,30, con i documenti celati nella canna verticale sotto il sellino, Bartali prende la strada di casa, dove arriva alle 19,30 spaccate. Fine della corsa? No, perché avverte che ormai è braccato e decide di andare in fuga per un po’ e mettere a riparo la famiglia. Andrà a Nuvole (vicino a Città di Castello) nella casa dell’amico Nello Capaccioni. Di tutto questo non dirà mai nulla, ma oggi sappiamo bene quanta fatica e quanta strada ha fatto Bartali per salvare uomini, donne e bambini dal tragico olocausto nazifascista.

Una città... da favola: Bergamo, gioiello dell'Alta Italia dans Viaggi & Vacanze sb0nxu

Per approfondire la figura di Bartali 2e2mot5 dans Diego Manetti Gino il pio

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