I festeggiamenti del 3 e 4 agosto a Rue du Bac

Posté par atempodiblog le 11 août 2013

Il 3 e 4 agosto 2013 a Rue du Bac, dove vi ho ricordato in preghiera, ci sono stati i festeggiamenti per l’anniversario della dedicazione della Capella consacrata al Sacro Cuore e successivamente a Nostra Signora della Medaglia Miracolosa. La Cappella fu solennemente benedetta il 6 Agosto del 1815 e dedicata al Sacro Cuore di Gesù.

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Sainte-Chapelle, un gioiello dello stile gotico fiorito

Posté par atempodiblog le 11 août 2013

Sainte-Chapelle, un gioiello dello stile gotico fiorito

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Nel cuore de l’Île de la Cité

Il Palazzo della Cité, sede e residenza potere reale dal X al XIV secolo, comprende la Conciergerie e la Sainte-Chapelle, racchiuse nel Palazzo di giustizia, la sua nuova assegnazione.
La Sainte-Chapelle venne edificata fra il 1242 e il 1248 per conservare al suo interno, secondo la volontà di Luigi IX (re dal 1226 al 1270 e futuro San Luigi), le reliquie della Passione di Gesù. La più celebre tra queste, la Corona di Spine, venne acquistata nel 1239 per una somma che superava di gran lunga le spese di costruzione dell’edificio stesso.

Un’importanza religiosa e politica

Le Sante Reliquie appartenevano agli imperatori di Costantinopoli fin dal IV secolo.
Acquistando queste reliquie, Luigi IX aumentò il prestigio della Francia e di Parigi che diventò, agli occhi dell’Europa medievale, una nuova “Nuova Gerusalemme” e, allo stesso tempo, la seconda capitale della cristianità. Durante il periodo della Rivoluzione, la Sainte-Chapelle, simbolo della regalità di diritto divino, subì molti danni. Ciononostante, le vetrate sono ancora oggi quelle originali. Dal 1846, l’edificio fu oggetto di importanti lavori di restauro, che conferirono al momento il suo aspetto attuale.

Due santuari sovrapposti

In origine, le reliquie erano esposte e venerate nella cappella superiore. Solo il re, le personalità della sua cerchia e il collegio dei canonici incaricati degli uffici liturgici potevano accedervi tramite la terrazza esterna, in quel tempo collegata al Palazzo. La cappella inferiore era il luogo di culto riservato al personale del Palazzo.
La pianta, di tipo basilicale con abside semicircolare, è molto semplice e verrà usata come modello per le altre Sainte-Chapelle, tra cui di Vincennes e Châteaudun.

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La cappella inferiore

La statua della Vergine, patrona del santuario, accoglie il visitatore al portale. All’interno, il ripristino delle decorazioni policrome risale, come le decorazioni scolpite nel portico, ai lavori di restauro del XIX secolo. Alla sinistra dell’abside, al di sopra dell’antica sacrestia, un affresco del XIII secolo rappresenta l’Annunciazione. Si tratta della più antica pittura murale di Parigi.
La volta ribassata è sostenuta da puntelli traforati che collegano le colonne delle navate laterali ai muri laterali. Questi ultimi sono animati da fughe di archi ciechi tribolati e da 12 medaglioni raffiguranti gli apostoli. I gigli sul fondo azzurro delle volte si ritrovarono sulle colonne alternati a torri su fondo porpora, insigne della regina Bianca di Castiglia, madre di Luigi IX.

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La cappella superiore

Vero e proprio reliquiario monumentale, questa cappella è stata sontuosamente decorata. Sculture e vetrate in tripudio rendono gloria alla Passione di Cristo e danno l’impressione di raggiungere la Gerusalemme celeste, inondata di luce e di colore. Le vetrate hanno contribuito moltissimo alla fame della Sainte-Chapelle.
Le 1113 scene rappresentante nelle 15 vetrate raccontano la storia dell’Umanità, dalla Genesi alla resurrezione di Gesù. Quattordici vetrate, che rappresentano altrettanti episodi tratti dalla Bibbia, vanno lette da sinistra a destra e dal basso verso l’alto.

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1 La vetrata sulla storia delle reliquie della Passione è l’unica da leggersi secondo l’ordine della scrittura bustrofedica. Nella parte inferiore delle lancette, la vetrata illustra la scoperta delle reliquie da parte di Sant’Elena a Gerusalemme, fino al loro arrivo nel regno di Francia.

2 La statua di San Pietro è quella dell’origine, come altre 5 statue di apostoli. Il santo tiene le chiavi del Paradiso. Le statue dei 12 apostoli, “pilastri della Chiesa”, sono simbolicamente disposte lungo la navata in corrispondenza delle imposte delle volte sulle crociere a ogiva. Queste statue ben rappresentano la scultura parigina tra il 1240 e il 1260, impregnata d’armonia e caratterizzata da volti idealizzati.

3 La grande teca contenente 22 reliquie della Passione di Cristo, tra le quali il frammento della Croce e la Corona di Spine, era un tempo esposta sulla tribuna e venne fusa durante la Rivoluzione. Le restanti reliquie sono oggi conservate nel tesoro della cattedrale di Notre-Dame de Paris.

4 Il rosone occidentale illustra il libro profetico di San Giovanni: l’Apocalisse è rappresentata simbolicamente di fronte alla Passione di Cristo, nella vetrata assiale del coro. Al centro del rosone, il Cristo ritorna in gloria alla fine dei Tempi per giudicare i vivi e i morti.

I 100 capitelli con decorazione a foglie dei muri laterali sono tutti diversi. In corrispondenza delle pietre angolari delle fughe di archi, gli angeli ricordano le 42 scene di martirio raffigurate nei quadrilobi.

L’Île de la Cité

La sede del potere reale

Nel I secolo a.C., la tribù gallica dei Parisi si insediò su un’isola in mezzo alla Senna (la futura Île de la Cité) e vi fondò la città di Luteria. Nel V secolo, questa città prese il nome di Parigi. Nel VI secolo, Clodoveo, primo re dei Franchi, scelse il palazzo della Cité come dimora reale. suo figlio Childerberto, in seguito, fece costruire la prima cattedrale di Parigi. Alla fine del X secolo, Ugo Capeto, primo re capetingio, insediò il suo consiglio e la sua amministrazione nel palazzo che divenne così la sede del potere reale.

Il palazzo abbandonato dai re

Nel 1248, quando Luigi IX firmò l’atto relativo alla fonazione della Sainte-Chapelle, la vicinissima cattedrale di Notre-Dame presentava già la sua attuale facciata. Nel 1358, i consiglieri di re Giovanni II, detto il Buono, furono assassinati sotto gli occhi del Delfino, il futuro Carlo V, il quale, diventato re, scelse di abitare in luoghi più protetti: la residenza di Saint-Pol, edificio andato poi distrutto, il Louvre e Vincennes,. L’amministrazione reale, il Parlamento, la Cancelleria e la Camera dei Conti rimasero a lungo nel palazzo capetingio, ma nel corso dei secoli venne mantenuta solo la parte giudiziaria con l’annessa prigione.
Oggi, la Sainte-Chapelle e la Conciergerie sono le uniche parti ancora visibili del più antico palazzo dei re di Francia.

Fonte: Centre des monuments nationaux

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La prima incoronazione cristiana

Posté par atempodiblog le 11 août 2013

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In una battaglia decisiva a Tolbiac, vicino a Colonia, l’esercito dei Franchi, in guerra contro gli Alemanni, stava per essere messo in rotta completa. Clodoveo decise di rivolgersi al “Dio della moglie” (la cattolica Clotilde), facendo voto di battezzarsi in cambio del rovesciamento dell’esito della battaglia: «Dio di Clotilde – gridò a gran voce – dammi la vittoria e non avrò altro Dio all’infuori di te!». Pochi istanti dopo gli Alemanni, terrorizzati, fuggirono disordinatamente. La vittoria fu totale. Di fronte a tale inspiegabile cambiamento dell’esito della battaglia, Clodoveo non ebbe esitazioni. Si fece battezzare con tremila suoi ufficiali e soldati la vigilia di Natale dell’anno 496 dal vescovo san Remigio, che pronunciò la celebre frase: «Abbassa il capo, condottiero: adora quel che bruciasti e brucia quel che adorasti». Remigio lo unse con l’olio santo: fu la prima incoronazione cristiana, rito sacro, perpetuato per più di un millennio dai Re di Francia e dagli imperatori del sacro Romano Impero. La notizia è tratta dall’ottimo sussidiario di storia per la Scuola Secondaria di primo grado, Alle radici del domani. Il Medioevo (De Mattei, Nistri, Viglione).

Tratto da: Il Timone

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Un’umanità di feriti che cerca conforto

Posté par atempodiblog le 11 août 2013

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Una ventina di anni fa, a Bassano del Grappa, durante una conversazione a tavola, l’allora cardinale Ratzinger si lasciò andare a una battuta umoristica che però contiene molta verità: “per me” disse “una conferma della divinità della fede viene dal fatto che essa sopravvive a qualche milione di omelie ogni domenica”.

Chiunque frequenti abitualmente la messa sa che è drammaticamente vero. Non certo perché si pretenda che i preti siano tutti dei grandi oratori alla Bossuet. Né perché vi sia una povertà culturale del ceto ecclesiastico.

Anzi. Capita di sentire omelie di dottissimi teologi che hanno un effetto devastante sulla fede degli ascoltatori, mentre – magari – poche parole commosse balbettate da un anziano sacerdote di campagna toccano davvero il cuore.

Qual è allora il problema? Non si tratta delle parole e dei concetti, ma del cuore.

Lo abbiamo capito specialmente con l’inizio travolgente del pontificato di papa Francesco che ha scelto proprio lo strumento più povero, le sue semplici omelie quotidiane, o comunque dei discorsi fatti con tono dimesso e familiare (come l’improvvisata conferenza stampa in aereo), per guidare la Chiesa. A cui sta imprimendo una svolta formidabile.

Cos’è che colpisce e commuove in papa Francesco? Mi pare sia evidente: ogni sua parola abbraccia, consola, conforta chi ascolta. E’ questa finora la cifra segreta del suo pontificato.

Ai vescovi che ha incontrato in Brasile a un certo punto ha detto: “dovete ricordarvi che quella che avete davanti è un’umanità di feriti”.

Non è solo una bellissima immagine. Dentro queste semplici parole c’è tutto un giudizio sul mondo contemporaneo e soprattutto c’è un’intuizione immensa del cristianesimo.

Innanzitutto Francesco non punta il dito, non incrimina, non recrimina, non accusa. Innanzitutto abbraccia.

Quando gli hanno chiesto perché in Brasile non ha ripetuto ad ogni occasione la dottrina della Chiesa su matrimoni gay e tutto il resto delle questioni che i media ci martellano in testa, lui, con semplicità, ha spiegato che ormai tutti, anche i sassi, conoscono qual è la dottrina cattolica in proposito.

Ma ha aggiunto che lui doveva e voleva portare “innanzitutto”, ai tre milioni di giovani che lo aspettavano in Brasile, una parola positiva.

La “parola positiva” è un’espressione che significa “una buona notizia”, un “lieto annuncio” ed è proprio questo il significato etimologico della parola “evangelo”. La “buona notizia” è Gesù Cristo in persona, cioè Dio che ha avuto compassione degli uomini ed è venuto sulla terra a salvarli.

E’ lui il Buon Samaritano della parabola che si china su quell’uomo disteso ai margini della strada, massacrato, coperto di ferite e incapace anche solo di rialzarsi.

E’ Gesù, buon samaritano, che lo accudisce, poi se lo carica sulle spalle e lo porta al ricovero (la Chiesa) dove verrà curato, nutrito e guarito.

Questo è il cuore del cristianesimo e Francesco viene a ricordarlo anzitutto ai pastori che lo hanno dimenticato. Io stesso, un paio di domeniche orsono, quando la lettura del vangelo era proprio quella del Buon samaritano, ho sentito l’omelia di un pretino, tutto orgoglioso del suo sapere teologico, il quale ha spiegato che quell’uomo disteso e ferito a terra, su cui si china Gesù-Buon samaritano, è in quelle condizioni a causa dei suoi peccati.

Ora, il concetto è un’evidente minchiata, perché Gesù non dice affatto questo, anzi spiega che il poveretto è stato ridotto in fin di vita da dei briganti che “lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto”.
Ma l’errore del pretino in questione svela un po’ lo sguardo incriminatorio con cui un certo mondo clericale guarda agli uomini, analogo e speculare al disprezzo generalizzato e ingiusto con cui nel mondo senti parlare (male) “dei preti”.

Invece papa Francesco è pieno di compassione, sa che tutti coloro che stanno lì ad ascoltarlo sono pieni di silenziose ferite, inflitte dalla vita, pieni di pesi, ansie, angosce.

E lui vuol portare loro l’abbraccio di Gesù e la sua misericordia. Il balsamo dell’abbraccio di Dio. Quante volte il Vangelo dice: “Gesù guardò la folla e pieno di compassione…”.

Un giorno disse: “venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò”. Lui, il suo abbraccio, è l’unico luogo al mondo dove tutti noi, affaticati e oppressi dalla fatica di vivere, possiamo trovare ricovero, conforto, nutrimento e ristoro.

Perché noi da soli non riusciamo nemmeno a stare in piedi. “Ma che poss’io, Signor,/ s’a me non vieni/ coll’usata ineffabil cortesia?”, si chiede in una poesia Michelangelo Buonarroti.

Gli uomini hanno bisogno di misericordia più ancora del pane. Questo non è banale “buonismo”, come ritiene qualcuno accusando il Papa di essere un facile demagogo.

Bergoglio infatti è sempre stato estremamente esigente e rigoroso con se stesso (è noto il suo stile di vita evangelico, adottato da decenni), mentre è indulgente con il suo gregge. E invita i vescovi e i sacerdoti a fare altrettanto.

Così infatti era anche Gesù. Al contrario “scribi e farisei” erano indulgenti con se stessi ed esigenti con coloro che pretendevano di guidare : perché – diceva Gesù – “dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito” (Mt 23, 3-4).

Bergoglio indica implicitamente l’esempio dei santi pastori, come il santo Curato d’Ars o padre Pio. Erano uomini che spesso si accollavano misteriosamente i pesi o le penitenze dei loro fedeli per poter elargire loro la Grazia del perdono o della guarigione.

Ecco perché papa Francesco appare al tempo stesso così libero da tutto e tutti eppure così tradizionale. Perché null’altro desidera che portare a tutti Gesù.

Questa è la sua vera, grande “rivoluzione”: la “rivelazione” del cuore di Dio operata da Gesù. Da lui abbiamo compreso che Dio è un Padre che si strugge di pietà per le sofferenze e lo smarrimento dei suoi figli.

Anche il perdono (il Papa ripete: “Dio perdona sempre, perdona tutto e perdona tutti”) è parte essenziale di quel conforto e di quel ristoro perché l’uomo ha un bisogno estremo di sentirsi perdonato.

Non di sentirsi mettere sul banco degli accusati perché lo sa bene – nel profondo del cuore – di essere un poveraccio, pieno di peccati. Ha bisogno di chi gli dice “io ti perdonerò sempre. Se anche tuo padre o tua madre ti rinnegassero, io non ti abbandonerò mai” (e queste sono parole di Dio nella Sacra Scrittura).

Così, quando papa Francesco ha fatto irruzione nel mondo abbiamo visto la misericordia. Ascoltarlo, guardarlo, ricorda le parole che Péguy diceva su Gesù: “C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani. Ma Gesù venne. Egli non perse i suoi anni a gemere ed interpellare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. In un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Egli non si mise a incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo”.

di Antonio Socci – Libero, 4 agosto 2013

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Ora il cielo vi possiede, ma la terra non vi ha perduta

Posté par atempodiblog le 1 août 2013

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La SS. Trinità, a sua volta, v’incorona della sua stessa gloria divina, o figlia, o madre, o sposa del Signore, tutta assunta in Dio!

Eterna, infinita, immensa gloria a Dio in voi, e gloria a voi, in Dio, o Maria.
Ora il cielo vi possiede, ma la terra non vi ha perduta. Voi portate nel vostro cuore tutto il mondo delle anime, solo allora sarete pienamente beata, quando le vedrete tutte situate nella grazia e nella gloria di Dio.

Venga felicemente per noi questo giorno beato che ci apre il Paradiso.
Siate benedetta, o Maria.

Beato Giustino M. della Trinità Russolillo

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Novena all’Assunta

Posté par atempodiblog le 1 août 2013

Novena all’Assunta dans Preghiere Assunta

La seguente novena si può pregare per nove giorni consecutivi tutta intera, a partire dal 6 agosto, in preparazione alla solennità dell’Assunzione della Vergine o in qualsiasi giorno dell’anno, per esprimere la propria devozione a Maria.

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

1. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale fosti invitata dal tuo Signore al cielo.
Ave Maria

2. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale fosti assunta dagli angeli santi in cielo.
Ave Maria

3. Sia benedetta, o Maria, l’ora in cui tutta la corte celeste ti venne incontro.
Ave Maria

4. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale fosti ricevuta con tanto onore in cielo.
Ave Maria

5. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale sedesti alla destra del tuo Figlio in cielo.
Ave Maria

6. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale fosti coronata con tanta gloria in cielo.
Ave Maria

7. Sia benedetta, o Maria, l’ora in cui ti fu dato il titolo di Figlia, Madre e Sposa del Re del cielo.
Ave Maria

8. Sia benedetta, Maria, l’ora nella quale fosti riconosciuta Regina suprema di tutto il cielo.
Ave Maria

9. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale tutti i beati e i santi del cielo ti acclamarono.
Ave Maria

10. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale fosti costituita avvocata nostra in cielo.
Ave Maria

11. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale cominciasti a intercedere per noi in cielo.
Ave Maria

12. Sia benedetta, o Maria, l’ora nella quale ti degnerai di ricevere noi tutti in cielo.
Ave Maria

Preghiamo: Gioiamo con te, o Maria, perché in te il Signore ha fatto meraviglie. Sei nella gloria, accanto al tuo Figlio, Regina del cielo e della terra, vestita di sole e coronata di stelle. Tu hai vinto il nemico, o piena di grazia, e sei per noi segno di sicura speranza. Con la tua assunzione partecipi alla gloria del tuo Figlio risorto, che ti ha fatto Regina del mondo salvato, Avvocata potente e Madre di tenerezza. Sii tu benedetta, o Madre della Chiesa e Madre nostra, nei secoli dei secoli. Amen.

O Maria, assunta in cielo in corpo e anima,
prega per noi.

Tratta da: Il Giornalino di Radio Maria

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Verità e Carità

Posté par atempodiblog le 1 août 2013

Verità e Carità

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Charles Péguy: “sulla soglia della Chiesa”: nel portico di accesso. E’ il titolo di un libro pubblicato in Francia pochi anni fa.
Sulla soglia della Chiesa, perché dentro la Chiesa egli era un “irregolare”: sposato civilmente nel 1897 con una donna atea – Charlette, sorella del socialista, amico fraterno, Marcel Baudouin – e padre di tre figli non battezzati, Péguy non poteva accostarsi ai Sacramenti quando ritornò a frequentare la Chiesa, avendo riscoperto nel cristianesimo cattolico le sorgenti vere della sua vita. Desiderava con tutto se stesso che i suoi cari condividessero con lui quella nuova vita che gli zampillava nel cuore; desiderava celebrare il sacramento del matrimonio con Charlette, ma era limpidamente cosciente che la conversione è “lavoro della Grazia”. La sua esperienza era chiarissima: quando, nel 1908 confessa all’amico J. Lotte: “ho ritrovato la fede… sono cattolico”, Péguy sa bene di essere stato toccato da una Grazia misteriosa e che quell’avvenimento non è “operazione di ritorno e di rimpianto”, esito di riflessioni sui propri fallimenti esistenziali…
I suoi familiari da quella Grazia non erano ancora toccati, e Péguy, fedele al patto di sposo e di padre, rimase con loro pregando ed affidandoli a Maria, la donna nella cui carne, in modo commovente, il cristianesimo è nato. Restò “sulla soglia”, senza recriminare, consapevole della sua situazione: “Sono un peccatore – scriveva – non un santo. I santi si riconoscono immediatamente. Sono un buon peccatore. Un testimone. Un peccatore che frequenta la Messa domenicale in parrocchia, un peccatore con i tesori della grazia divina”. Un decennio dopo la sua morte – avvenuta nella battaglia della Marna, vicino a Villeroy, il 5 settembre 1914 – la moglie riceverà il battesimo; saranno battezzati in quegli anni – tra il 1925 e il 1926 – anche i figli: i tre che egli conobbe ed il quarto che era nato quando già Péguy aveva terminato la sua vita quaggiù. Aveva invocato lungamente per loro l’intervento della Grazia, con la fiducia e l’audacia di un uomo che ha sperimentato l’opera di Dio; aveva scritto – come parlando di altri – nel “Portico delle seconda virtù”: “come si prendono tre bambini e li si mette tutti e tre, per gioco, nelle braccia della loro madre, che ride, che protesta perché se ne mettono troppi, lui, audacemente come un uomo, aveva preso con la preghiera i suoi tre bambini e tranquillamente li aveva messi nelle braccia di colei che si è fatta carico di tutti i dolori del mondo”.

Charles Péguy era nato ad Orléans – la città di S. Giovanna d’Arco – il 7 gennaio del 1873. Suo padre, falegname, era morto quando il bimbo aveva undici mesi; la madre divenne impagliatrice di sedie, e Charles la aiutava, in questo lavoro di precisione e pazienza, battendo la paglia e tagliando i fili. A sette anni la scuola: è un bimbo studioso ed intelligente; il suo maestro lo avvia agli studi superiori, condotti grazie a borse di studio conquistate con l’impegno e l’acume. Nel 1891 consegue la maturità classica, ed abbandona la Chiesa – “tutti i miei compagni si sono sbarazzati, come me, del loro cattolicesimo”: gli ripugnava una religiosità ridotta a moralismo, a bigotta paura dell’inferno, tranquillamente e borghesemente rassegnata all’idea che tanti si perdessero… Non poteva essere “vera” quella proposta per lui che sentiva fremere in sé una passione fortissima per la vita, la carne e lo spirito dell’uomo. In “Véronique. Dialogue de l’histoire et de l’ame charnelle”, scritto pochi mesi prima della morte, ritornerà con forza sulla incapacità – che i cristiani moderni manifestano – di comprendere la reale situazione della società e dell’uomo moderno riguardo il cristianesimo: “Quando noi parliamo di scristianizzazione, quando noi constatiamo questo disastro della scristianizzazione, bisogna intendersi sui termini. Il peccatore ed il santo sono tutti e due propri del cristianesimo. Quando si dice che il mondo di scristianizza non si vuole dire affatto che nel sistema cristiano la santità sia stata una volta di più sommersa dai peccati. Quand’anche fosse, tutto questo non sarebbe niente… Ciò che constatiamo è infinitamente più grave: questo mondo moderno non è solamente un cattivo mondo cristiano, un mondo di cattivo cristianesimo, ma un mondo in cristiano, scristianizzato. Ecco ciò che bisogna dire, vedere. Ecco ciò che tanti cristiani, e soprattutto tanti cattolici, ben intenzionati, non vogliono riconoscere, non vogliono vedere. E questa viltà impedisce loro di far qualcosa di utile, di  salvare qualcosa… Sempre forse il contingente dei santi è stato miserabile in paragone al contingente dei peccatori… Ma il disastro, oggi, è che le nostre stesse miserie non sono più cristiane. Ecco la novità. Finchè le nostre bassezze erano cristiane c’era scampo, c’era materia per la grazia… C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani, ma Gesù non se ne va affatto. Non si rifugia affatto dietro alla cattiveria dei tempi. Non impiegò i suoi anni a gemere e lamentare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. Oh in modo molto semplice! Facendo il cristianesimo. Non si mise ad incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo: salvò il mondo. Questi altri invece [parla degli “ecclesiastici-intellettuali” laici o chierici che siano] vituperano, raziocinando, incriminano. Medici che ingiuriano, che se la prendono con il malato. Essi accusano l’arida sabbia del secolo; ma al tempo di Gesù c’erano anche allora il secolo e le sabbie del secolo. Ma sulla sabbia arida, una sorgente, una sorgente di grazia, inesauribile, cominciò a zampillare”. Il teologo Von Balthasar disse di Péguy: “Non si è mai parlato così cristiano”.
Prosegue gli studi all’Università di Parigi, dove consegue la licenza in Lettere ed un baccalaureato in Scienze e dove gli incontri con il socialista Herr ed il filosofo Bergson segnano la sua vita; lascia l’Università senza laurearsi: si sente ormai “maturo” e non può restare a scuola; si iscrive nel 1905 al partito socialista; inizia una convulsa, difficoltosa attività pubblicistica – i primi “Dialoghi” e i “Cahiers” –; nel 1907-08, la “conversione”, vissuta nello stupore di fronte all’opera della Grazia, toccato dalla realtà del mistero dell’Incarnazione: “Un Dio, amico mio, si è scomodato per me. Ecco il cristianesimo. Il resto è una bazzecola…Poiché il soprannaturale è esso stesso carnale, e l’albero della grazia e radicato in profondità…”.

Da CHARLES PEGUY, Lui è qui. Pagine scelte, a cura di D. Rondoni e F. Crescini, Rizzoli, 1997

“Non bisogna contarsela su. Noi sappiamo molto bene che cos’è la penitenza. Un penitente è un signore che non è molto fiero di se stesso. Che non è molto fiero di quello che ha fatto. Perché quello che ha fatto – occorre dirlo – è il peccato. Un penitente è un signore che ha onta di sé e del suo peccato. Che vorrebbe proprio seppellirsi. Soprattutto che vorrebbe proprio non averlo fatto. Mai. [Ma questo signore si sente raccontare la parabola della dracma perduta, della pecorella smarrita…]. Che cos’è quella dracma che vale nove dracme lei da sola? E’ lui, qui, nessun’altro… E’ quella pecora, è questo peccatore, è questo penitente, è quest’anima che Dio, che Gesù riporta sulle spalle, abbandonando le altre, lasciandole in quel periodo da sole… Non solo questo penitente ne vale un altro, non solamente vale un giusto, che già sarebbe un po’ tirata… Ma lui ne vale novantanove, ne vale cento, vale tutto il gregge. Nel segreto del cuore. Nel segreto del cuore eterno. E allora, bambina mia, tu sai che lei era perita e che è stata ritrovata, che lei era morta e che è risuscitata”.

“Ci sono giorni in cui i Santi ed i Patroni non bastano… Allora bisogna prendere il coraggio a due mani, e rivolgersi direttamente a quella che è al di sopra di tutti…, infinitamente bella, infinitamente buona. A colei che intercede. La sola che possa parlare con l’autorità di una madre… Infinitamente accogliente, come il prete sulla soglia della chiesa cha va di fronte al nuovo nato, fin sulla soglia, il giorno del suo battesimo, per introdurlo nella casa di Dio. A colei che è infinitamente alta perché è anche infinitamente condiscendente. A colei che è infinitamente grande perché è anche infinitamente piccola. A tutte le creature manca qualche cosa: a quelle che sono carnali manca d’essere pure; ma a quelle che sono pure [gli angeli], noi lo sappiamo, manca d’essere carnali. Una sola è pura essendo carnale. Una sola è carnale essendo anche pura. Gli angeli non sanno per niente cosa sia avere un corpo, essere un corpo. Non sanno per niente cosa sia essere una povera creatura. Carnale. Un corpo impastato col fango di questa terra. Loro non conoscono questo legarsi misterioso, infinitamente misterioso, dell’anima e del corpo…”.

Per una conoscenza di Péguy e del suo percorso: AA. VV., “Ciò che conta è lo stupore. Articoli e interviste su Charles Péguy”, Edizioni S. Paolo, 2001.
Lo stile di Péguy è particolare; chi volesse leggere in italiano un’opera intera: PEGUY, “Véronique. Dialogo della storia e dell’anima carnale”, Piemme, 2002.

Scheda a cura di P. Edoardo Cerrato, d.O.
Tratto da: Oratorio Secolare di san Filippo Neri – Biella

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