La questione morale della diffamazione
Posté par atempodiblog le 28 août 2013
Mezzi della diffamazione sono la menzogna, la notizia falsa o tendenziosa, la calunnia, la malignità, la bassa insinuazione, il sospetto infondato, il gusto nel rilevare i difetti, la critica facile, il sarcasmo, l’ironia sferzante, il motto pungente, la mormorazione, la derisione, la beffa. Via alla diffamazione possono essere il giudizio affrettato, la chiacchiera perditempo, il pettegolezzo, la parola leggera o imprudente, il discorso inutile.
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La diffamazione si può considerare un vero e proprio omicidio, se non fisico, certo morale e psicologico, come dice bene il proverbio: “ne uccide più la lingua che la spada”. In tal senso la Scrittura dice del diffamatore: “veleno d’aspide sotto la lingua”.
Cristo è molto severo contro il diffamatore, al quale minaccia la geenna, Egli che è stato in tutta la storia dell’uomo la vittima più innocente, santa ed illustre dei diffamatori, che erano coloro che avrebbero dovuto accoglierlo con la maggior riconoscenza.
Il peccato di diffamazione è molto grave perché è calcolato, premeditato e studiato e quindi pienamente cosciente, volontario e deliberato. Si potrebbe dire un peccato diabolico, anche se non si può escludere che il diffamatore agisca solo per leggerezza o perché sobillato da qualcuno o perché non si rende conto del danno che fa.
Non di rado avviene che persone diffamate restano talmente traumatizzate che, per debolezza di carattere o per la vergogna o per la poca fede o forse anche per orgoglio, non reggono all’insulto, e si uccidono. E’ proprio quello che hanno voluto i diffamatori, che a volte forse spargono lacrime di coccodrillo.
E a volte è talmente abile l’opera del diffamatore che, se la vittima è influenzabile ed insicura, comincia essa stessa ad autodenigrarsi secondo le calunnie del diffamatore, soprattutto se costui è un preposto o un superiore della vittima.
L’essere diffamati, soprattutto in materia grave o interessi vitali, è un colpo gravissimo, perché noi viviamo normalmente di buona fama, perché ciò ci consente di ricevere quella stima, quella considerazione e quelle comunicazioni rispettose e fiduciose che costituiscono il presupposto delle nostre normali relazioni sociali.
Per questo è comprensibile anche se non giustificabile che certi diffamati giungano alla convinzione che la loro vita non ha più senso. In questi casi ciò che può sorreggere è la nettezza della propria coscienza e il sapersi innocenti davanti a Dio. E’ di consolazione e di conforto l’esempio dei santi ed in particolare quello di Cristo. Tuttavia, tale consolazione possono averla solo coloro che hanno sofferto per Cristo, almeno implicitamente, perché se siamo diffamati perché a nostra volta abbiamo diffamato chi ci diffama, ben ci sta e chi è causa del suo mal pianga se stesso.
di Padre Giovanni Cavalcoli – Libertà e Persona
Per leggere integralmente la riflessione cliccare qui La questione morale della diffamazione
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