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Il Corriere cancella la storia

Posté par atempodiblog le 28 août 2013

Il Corriere cancella la storia dans Angela Pellicciari 3woy

Telegiornali, giornali e politici non fanno che ripetere una cosa ovvia: le sentenze si eseguono. Quindi, questa la conclusione, Berlusconi è morto. Punto. Questa logica conseguenza, però, normalmente viene passata sotto silenzio. Si ripete solo come un mantra che le sentenze vanno rispettate, che siamo tutti uguali davanti alla legge, che non si possono fare eccezioni di sorta perché crollerebbero le basi dello stato di diritto.

Vero? Falso. Falso perché è falsa la premessa: non siamo tutti uguali. Tanto è così che nessun personaggio pubblico (per non dire nessun industriale) in Italia è mai stato sottoposto a processi senza fine come è capitato a Berlusconi da quando fa politica. Berlusconi è stato accusato di ogni possibile misfatto, compreso quello, davvero inimmaginabile, di aver divulgato sul giornale di famiglia il contenuto di UNA battuta relativa ad una banca (anche noi abbiamo una banca! pressappoco così diceva Fassino) ottenuta tramite intercettazioni telefoniche. Inimmaginabile per chi non ricordasse quante migliaia di battute su e di Berlusconi siano state pubblicate dai giornali grazie alle intercettazioni telefoniche cui è stato sistematicamente sottoposto. O per chi non ricordasse come il nostro presidente del Consiglio sia stato scrupolosamente spiato non per verificare la veridicità di illeciti da lui commessi, ma solo per scovare qualche comportamento (privato!) censurabile. Il caso Ruby insegna.

Che dire? Il Vangelo di ieri aveva parole sferzanti per i farisei. Quelli che parlano bene e agiscono male. I sepolcri imbiancati. In questa categoria primeggia, sembra a me, il Corriere della sera. Nell’editoriale di ieri Galli della Loggia spiegava come il centro destra non esista, non sia mai esistito e mai, di questo passo, esisterà. Partendo dalla constatazione -ovvia dal suo punto di vista- che al Cavaliere non restino che due strade: o l’Apocalisse (scritta con la maiuscola) o il Tramonto (anche questo scritto con la maiuscola), Galli faceva una diagnosi cupa: al centro destra con il Sole (maiuscolo) al tramonto non resta che la dissoluzione. Ergo: la parte “moderata” della nazione va incontro ad una profonda crisi di rappresentanza politica.

E qui viene il bello: Galli arriva a dire che la crisi dell’ala moderata viene da lontano e caratterizza “l’intera storia della Repubblica”. E così: “se ci si pensa con attenzione una tale area in settant’anni non ha espresso che due formazioni significative: l’Uomo Qualunque (che visse una brevissima stagione dal 1944 al 1947) e Forza Italia”. Davvero strabiliante! Galli non solo paragona Forza Italia, largamente maggioritaria per due decenni, ad un movimento marginale durato tre anni. Galli semplicemente ignora la storia di larghissima influenza, prestigio e risultati ottenuta dall’ala moderata al potere per un cinquantennio: la Democrazia Cristiana.

Galli mette la DC semplicemente fra parentesi. Parlando della crisi che –questa la tesi- caratterizzerebbe da sempre i moderati italiani, sostiene che questa crisi “per mezzo secolo è stata tenuta celata dalla presenza surrogata del partito cattolico, dalla Democrazia cristiana”. La DC infatti “aveva natura e origini diverse”. Delle due l’una: o il partito dei cattolici non è stato un partito moderato, affermazione che sembrerebbe azzardata, oppure il partito cattolico non va considerato parte dell’area moderata per l’anomalia di essere cattolico.

Il Corriere scorda non la storia repubblicana di settant’anni, ma la storia italiana di centocinquanta anni. L’Italia liberale e fascista –entrambe anticattoliche o, perlomeno, rette da anticattolici- non hanno nemmeno lontanamente procurato alla popolazione italiana le conquiste di libertà e benessere che hanno saputo garantire i cattolici in politica. Ma i cattolici, si sa, sono “surrogati” che per definizione non devono essere presi in considerazione.

Il Corriere insiste nel suggerire educatamente, dolcemente, insistentemente, la propria visione di come dovrebbe essere l’Italia. Diversa da quella che è. Guidata da chi e per fare gli interessi di chi?

di Angela Pellicciari – Il Tempo

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La questione morale della diffamazione

Posté par atempodiblog le 28 août 2013

La questione morale della diffamazione dans Mormorazione gevp

Mezzi della diffamazione sono la menzogna, la notizia falsa o tendenziosa, la calunnia, la malignità, la bassa insinuazione, il sospetto infondato, il gusto nel rilevare i difetti, la critica facile, il sarcasmo, l’ironia sferzante, il motto pungente, la mormorazione, la derisione, la beffa. Via alla diffamazione possono essere il giudizio affrettato, la chiacchiera perditempo, il pettegolezzo, la parola leggera o imprudente, il discorso inutile.

[...]

La diffamazione si può considerare un vero e proprio omicidio, se non fisico, certo morale e psicologico, come dice bene il proverbio: “ne uccide più la lingua che la spada”. In tal senso la Scrittura dice del diffamatore: “veleno d’aspide sotto la lingua”.

Cristo è molto severo contro il diffamatore, al quale minaccia la geenna, Egli che è stato in tutta la storia dell’uomo la vittima più innocente, santa ed illustre dei diffamatori, che erano coloro che avrebbero dovuto accoglierlo con la maggior riconoscenza.

Il peccato di diffamazione è molto grave perché è calcolato, premeditato e studiato e quindi pienamente cosciente, volontario e deliberato. Si potrebbe dire un peccato diabolico, anche se non si può escludere che il diffamatore agisca solo per leggerezza o perché sobillato da qualcuno o perché non si rende conto del danno che fa.

Non di rado avviene che persone diffamate restano talmente traumatizzate che, per debolezza di carattere o per la vergogna o per la poca fede o forse anche per orgoglio, non reggono all’insulto, e si uccidono. E’ proprio quello che hanno voluto i diffamatori, che a volte forse spargono lacrime di coccodrillo.

E a volte è talmente abile l’opera del diffamatore che, se la vittima è influenzabile ed insicura, comincia essa stessa ad autodenigrarsi secondo le calunnie del diffamatore, soprattutto se costui è un preposto o un superiore della vittima.

L’essere diffamati, soprattutto in materia grave o interessi vitali, è un colpo gravissimo, perché noi viviamo normalmente di buona fama, perché ciò ci consente di ricevere quella stima, quella considerazione e quelle comunicazioni rispettose e fiduciose che costituiscono il presupposto delle nostre normali relazioni sociali.

Per questo è comprensibile anche se non giustificabile che certi diffamati giungano alla convinzione che la loro vita non ha più senso. In questi casi ciò che può sorreggere è la nettezza della propria coscienza e il sapersi innocenti davanti a Dio. E’ di consolazione e di conforto l’esempio dei santi ed in particolare quello di Cristo. Tuttavia, tale consolazione possono averla solo coloro che hanno sofferto per Cristo, almeno implicitamente, perché se siamo diffamati perché a nostra volta abbiamo diffamato chi ci diffama, ben ci sta e chi è causa del suo mal pianga se stesso.

di Padre Giovanni Cavalcoli – Libertà e Persona

divisore dans Medjugorje

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Il sogno di Martin Luther King

Posté par atempodiblog le 28 août 2013

Cinquant’anni dopo, le parole «I have a dream» dello storico a Washington continuano ad essere vive
Il sogno di Martin Luther King
I cinquant’anni del grido I have a dream di Martin Luther King vengono ricordati dal cardinale arcivescovo di Washington in un articolo pubblicato sul “National Catholic Reporter”, di cui riportiamo il testo integrale.
di Donald William Wuerl
Tratto da: L’Osservatore Romano

Il sogno di Martin Luther King dans Riflessioni fek6

I manifestanti, circa un milione, provenivano da tutti gli Stati Uniti e da ogni angolo di Washington. In quella indimenticabile giornata del 28 agosto 1963, i partecipanti alla marcia su Washington ascoltarono le storiche parole del reverendo Martin Luther King Jr.: “Ho un sogno”.
Questo sogno continua a essere vivo anche dopo cinquant’anni. La maestosa statua di King, nel nuovo memoriale a Washington, ci ricorda il suo imponente impegno nel guidare la nostra nazione verso la piena consapevolezza dell’uguaglianza di tutte le persone dinanzi a Dio. Il suo sogno, profondamente radicato nella preghiera e nella sacra Scrittura, continua a incoraggiarci a vederci gli uni gli altri come fratelli e sorelle, figli dello stesso Dio amorevole.
 E rivolgendosi alla folla proveniente da ambienti, esperienze di vita e tradizioni religiose diverse, King aggiunse: “Non possiamo camminare soli”. Con lui, nel Lincoln Memorial, c’era monsignor Patrick O’Boyle, mio predecessore come arcivescovo di Washington, che pronunciò l’invocazione, pregando affinché “gli ideali della libertà, benedetti sia dalla nostra fede religiosa, sia dalla nostra eredità democratica, prevalgano nel nostro Paese”.
O’Boyle aveva incoraggiato i gruppi cattolici locali, le parrocchie e le università a partecipare alla marcia, offrendo ospitalità a quanti venivano da fuori e facendo sfilare striscioni con i nomi delle rispettive parrocchie e organizzazioni. Impegnarsi per la giustizia razziale e sociale era naturale per O’ Boyle, creato cardinale nel 1967. Poco dopo aver ricevuto il pastorale come primo arcivescovo residenziale di Washington nel 1948, aveva iniziato a lavorare per l’integrazione nelle parrocchie e nelle scuole cattoliche, molti anni prima che la sentenza della Corte Suprema Brown v. Board of Education (1954) dichiarasse illegali le strutture educative segregazioniste. Si unì anche ai leader religiosi della città domandando uguali opportunità in tema di alloggi, lavoro e istruzione pubblica. Al concilio Vaticano II esortò i padri conciliari a emanare una esplicita dichiarazione di condanna verso i pregiudizi razziali.
Nel suo discorso, King lanciò un fervido appello affinché fosse costruita una società giusta per i bambini di tutte le razze e di ogni ambiente. “Ora è il momento di fare della giustizia una realtà per tutti i figli di Dio”, disse esortando la folla e l’America tutta. Come persone di fede e come americani non possiamo restare indolenti o compiacenti quando ci troviamo dinanzi al peccato del razzismo o a qualsiasi forma di ingiustizia. King chiese una risposta alla “urgenza impetuosa del momento presente”.
Rendiamo onore alle eredità di King e di O’Boyle proseguendo il loro lavoro. Un impegno questo che oggi implica anche fornire opportunità educative a tutti i bambini, e in particolare a quelli che altrimenti sarebbero destinati a scuole troppo spesso definite “scarse”. Le 96 scuole cattoliche nell’arcidiocesi di Washington servono quasi 30.000 bambini della capitale e del Maryland. Molti di questi studenti appartengono alle minoranze e non sono cattolici. Per il prossimo anno accademico 2013-2014 l’arcidiocesi ha stanziato 5,5 milioni di dollari quale contributo alle tasse scolastiche, cifra che è quasi sestuplicata negli ultimi anni. I bambini che frequentano le scuole cattoliche, nelle vie della città, nelle zone periferiche e nelle aree rurali, provengono da tutti gli ambienti e, attraverso programmi accademici impegnativi radicati nei valori cristiani, imparano a essere i futuri leader della nostra Chiesa, delle nostre comunità, della nostra nazione e del nostro mondo.
L’invito di King si realizza anche nel nostro Consorzio di Accademie Cattoliche, un gruppo di scuole cattoliche che servono i bambini più poveri nel Distretto di Columbia, offrendo un faro di speranza alle famiglie nelle aree difficili di Washington. [anche nella Sacred Heart School, con il suo programma bilingue in inglese e spagnolo. Queste porte dell'opportunità si aprono anche nella Archbishop Carroll High School, in centro, con il suo numero elevato di iscrizioni di studenti appartenenti alle minoranze e il suo programma di maturità internazionale, e attraverso l'innovativo programma di studio lavoro della Don Bosco Cristo Rey High School a Takoma Park, Md.. La St. Francis International School di Silver Spring, Md., propone un programma di apprendimento globale per bambini che hanno radici in oltre cinquanta paesi.]
La nostra arcidiocesi ha sostenuto altri sforzi innovativi per ampliare le opportunità educative. Nel 2004, alcuni leader del Congresso, rappresentanti diversi partiti e punti di vista, si sono riuniti per istituire il D.C. Opportunity Scholarship Program, che ha assegnato circa 6.000 borse di studio per i bambini della città, il 98 percento dei quali appartiene alle minoranze e avrebbe dunque ricevuto un’istruzione carente. [Lo scorso anno, il 97 percento degli studenti della 12a classe che hanno usufruito di questa borsa di studio si sono diplomati - e la percentuale di quanti avevano scelto scuole cattoliche è stata persino più alta - rispetto al 60 percento registrato nelle scuole pubbliche del Distretto di Columbia]. Uno di questi diplomati, una immigrante etiope, ha tenuto il discorso di commiato della sua classe della Archbishop Carroll High School, e sogna di diventare medico e di servire i poveri. Un altro che ha usufruito della borsa, uno studente di origine salvadoregna, ha ricevuto un riconoscimento dall’amministrazione Obama ed è stato nominato White House Champion of Change.
Come arcivescovo di Washington, sono stato testimone del sogno di King di vedere gli americani pregare e marciare insieme per la giustizia. Ogni anno, durante le marce, i raduni e le messe per la vita, centinaia di migliaia di persone provenienti da tutto il Paese si riuniscono per pregare e marciare insieme in difesa della dignità della vita umana in ogni sua fase.
La nostra fede non potrà mai essere relegata a quell’ora in chiesa la domenica. Come ci ha invitato a fare Papa Francesco, dobbiamo “uscire” e portare l’amore e la speranza di Cristo alle nostre comunità e al mondo. È per questo che i programmi delle Catholic Charities e gli ospedali cattolici continuano a portare l’amore e la speranza di Cristo a tutti coloro che ne hanno bisogno, a prescindere da razza, religione, sesso, nazionalità o orientamento sessuale. Per questo dobbiamo continuare a sostenere la dignità della vita umana, la libertà religiosa e la giustizia per gli immigranti. La nuova enciclica del nostro Papa, Lumen fidei, ci ricorda che la fede è la luce che dovrebbe guidare la nostra vita. Certamente lo è stata per King.
Parlando dai gradini dell’Islamic Center a Washinton durante un incontro interconfessionale nel 2006, ho invitato le persone ad affidarsi alla luce della loro fede per dissipare il buio, le paure e l’odio nel mondo, e a costruire insieme ponti di solidarietà e di pace. È questa l’unità che King non solo ha sognato, ma che ha creduto sarebbe diventata realtà.
“Con questa fede potremo trasformare il suono dissonante della nostra nazione in un armoniosa sinfonia di fraternità”, disse. Verrà il giorno “in cui tutti i figli di Dio, uomo negro e uomo bianco, ebreo e cristiano, Protestante e Cattolico, potremo unire le nostre mani a cantare le parole del vecchio spiritual Negro: Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo finalmente liberi”.

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