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Benedetto XVI per tre ore ieri a Castel Gandolfo tra passeggiata, rosario e concerto

Posté par atempodiblog le 21 août 2013

Benedetto XVI per tre ore ieri a Castel Gandolfo tra passeggiata, rosario e concerto
A distanza di sei mesi, la decisione di “nascondersi al mondo” fa ancora riflettere. Ma la verità, come ha affermato il Papa emerito in una visita privata, è che questa scelta è stata frutto di una “esperienza mistica” con Dio
di Salvatore Cernuzio – Zenit

Benedetto XVI per tre ore ieri a Castel Gandolfo tra passeggiata, rosario e concerto dans Riflessioni 2emo

Forse aveva bisogno di respirare un’aria diversa da quella dei Giardini Vaticani, o forse, sul finire della stagione, voleva rivedere quella villa che per otto estati l’ha accolto e godere della vista del lago di Albano. Sta di fatto che, ieri pomeriggio, Benedetto XVI si è concesso una breve gita a Castel Gandolfo, nella villa che è residenza estiva dei Pontefici fin da Urbano VIII e che l’ha ospitato per i primi due mesi dopo la rinuncia al ministero petrino.

Il Papa emerito – secondo quanto riferito da fonti vaticane – ha trascorso nella cittadina laziale circa tre ore, passeggiando nei giardini del palazzo, recitando il rosario e assistendo ad un concerto di pianoforte di musica classica. Ha poi fatto ritorno in serata in Vaticano, nel monastero Mater Ecclesiae, dove ha deciso di vivere “nascosto al mondo” dopo la storica decisione dell’11 febbraio.

Ad accompagnare Benedetto XVI ieri pomeriggio c’erano i suoi immancabili “angeli custodi”: le memores domini, Loredana, Carmela, Cristina e Manuela, le quattro laiche consacrate di Comunione e Liberazione che curavano l’appartamento, la cappella e il guardaroba di Ratzinger durante gli anni di pontificato, e che continuano ad assisterlo anche ora, dopo le dimissioni.

Già Papa Francesco aveva “ceduto” il suo posto nella villa sui Colli Albani al predecessore, invitandolo a trascorrere lì il periodo estivo, dal momento che lui sarebbe rimasto a Roma per ‘impegni di lavoro’. Il Papa emerito aveva tuttavia declinato l’invito, evitando quindi il possibile scalpore di un suo trasferimento e mantenendo il basso profilo desiderato.

Dopo circa sei mesi dall’annuncio che ha sconvolto il mondo, la decisione di Ratzinger di vivere nel nascondimento fa ancora riflettere e interrogare. Qualcuno ha avuto il privilegio di sentire dalle labbra del Papa emerito le motivazioni di questa scelta. Nonostante la vita di clausura, Ratzinger concede infatti – sporadicamente e solo in determinate occasioni – alcune visite privatissime nel Mater Ecclesiae. Durante questi incontri, l’ex Pontefice non commenta, non svela segreti, non si lascia andare a dichiarazioni che potrebbero pesare come ‘le parole dette dall’altro Papa’, ma mantiene la riservatezza che lo ha sempre caratterizzato.

Al massimo osserva soddisfatto le meraviglie che lo Spirito Santo sta facendo con il suo Successore, oppure parla di sé, di come questa scelta di dimettersi sia sta un’ispirazione ricevuta da Dio.

Così avrebbe detto Benedetto ad uno degli ospiti di questi rari incontri che il sottoscritto ha avuto la fortuna di incontrare, alcune settimane fa, a Roma. “Me l’ha detto Dio” è stata la risposta del Pontefice emerito alla domanda sul perché abbia rinunciato al Soglio di Pietro. Ha poi subito precisato che non si è trattato di alcun tipo di apparizione o fenomeno del genere; piuttosto è stata “un’esperienza mistica” in cui il Signore ha fatto nascere nel suo cuore un “desiderio assoluto” di restare solo a solo con Lui, raccolto nella preghiera.

Quello di Benedetto XVI, dunque, non è stato un fuggire dal mondo, ma un rifugiarsi in Dio e vivere del suo amore. Lo stesso Ratzinger – ha rivelato la fonte che preferisce rimanere anonima – ha dichiarato che questa “esperienza mistica” si è protratta lungo tutti questi mesi, aumentando sempre di più quell’anelito di un rapporto unico e diretto con il Signore. Inoltre, il Papa emerito ha rivelato che più osserva il “carisma” di Francesco, più capisce quanto questa sua scelta sia stata “volontà di Dio”.

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Il Papa ad un gruppo di studenti giapponesi: il dialogo, fondato sulla mitezza, porta alla pace

Posté par atempodiblog le 21 août 2013

Il Papa ad un gruppo di studenti giapponesi: il dialogo, fondato sulla mitezza, porta alla pace

L’incontro, il confronto e il dialogo sono strumenti di conoscenza e di pace se hanno come fondamento la mitezza. E’ quanto ha detto Papa Francesco incontrando stamani, nel Cortile di San Damaso in Vaticano, un gruppo di studenti e di professori del Collegio “Seibu Gauken Bunri Junior High School”, di Tokyo.
di Amedeo Lomonaco – Radio Vaticana

Il Papa ad un gruppo di studenti giapponesi: il dialogo, fondato sulla mitezza, porta alla pace dans Papa Francesco I wqjl

L’isolamento in se stessi non potrà mai tradursi in una crescita culturale. Papa Francesco, che durante la Gmg in Brasile aveva ricordato il proprio sogno da giovane “di andare missionario in Giappone”, indica nella conoscenza di altre culture una autentica opportunità di crescita:
“Se noi siamo isolati in noi stessi, abbiamo soltanto quello che abbiamo, non possiamo crescere culturalmente; invece, se noi andiamo a trovare altre persone, altre culture, altri modi di pensare, altre religioni, noi usciamo da noi stessi e incominciamo quell’avventura tanto bella che si chiama dialogo”.

Il dialogo – ha aggiunto il Pontefice – è molto importante perché nel confronto con le altre culture ed anche nel confronto sano con le altre religioni si matura e si cresce. La chiusura in se stessi, invece, può generare incomprensioni e litigi. Ma quale è allora – ha chiesto il Papa – l’atteggiamento più profondo per instaurare un dialogo veramente proficuo?
“La mitezza, la capacità di trovare le persone, di trovare le culture, con pace; la capacità di fare domande intelligenti: Perché tu pensi così? Perché questa cultura fa così? Sentire gli altri e poi parlare. Prima sentire, poi parlare. Tutto questo è mitezza… E sapete una cosa, una cosa importante? Questo dialogo è quello che fa la pace. Non si può avere pace senza dialogo”.

Nella mancanza di dialogo e nella chiusura in se stessi si annidano le insidie per l’uomo:

“Tutte le guerre, tutte le lotte, tutti i problemi che non si risolvono, con cui ci scontriamo, ci sono per mancanza di dialogo. Quando c’è un problema, dialogo: questo fa la pace. E questo è ciò che auguro a voi in questo viaggio di dialogo: che sappiate dialogare; come pensa questa cultura, che bello questo, questo non mi piace, ma dialogando. E così si cresce. Vi auguro questo e vi auguro un buon viaggio a Roma”.

Una studentessa giapponese ha quindi ringraziato il Papa:
“Siamo felici di avere la possibilità di incontrarLa e ascoltare le Sue parole; d’ora in poi metteremo in pratica nella nostra vita quello che abbiamo ascoltato da Lei”.


Parole alle quali è seguita la spontanea risposta di Papa Francesco:

“Grazie tante! Ma tu sei nata a Napoli? Ma parli bene l’italiano” …

Gli studenti giapponesi hanno quindi intonato l’inno della loro scuola. Dopo il canto, il Papa ha aggiunto:

“Ah, siete bravi, eh?, cantando! C’è il principio di reciprocità anche nel dialogo: quando uno dice una cosa, l’altro deve dire un’altra. Ma io non so cantare: non posso”.

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I Vangeli, un racconto di ciò che è avvenuto

Posté par atempodiblog le 21 août 2013

L'incredulità di Tommaso dans Commenti ai Vangeli festivi

“Apro i Vangeli e constato che in essi la fede è sempre una conseguenza. I Vangeli, che riassumono la Parola annunziata agli inizi, non sono una raccolta di proposizioni di fede, ma è un racconto di ciò che è avvenuto”.

Jean Guitton – Gesù. Ed. Elledicì

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Il cronista Giovanni

Posté par atempodiblog le 21 août 2013

Il cronista Giovanni
L’autore del quarto vangelo vide di prima persona quello che poi scrisse. Lo documenta un libro di un’archeologa ebrea francese.

Intervista di Antonio Socci a Jacqueline Genot-Bismuth per Il Sabato (1992)

Il cronista Giovanni dans Antonio Socci rwej

Ebrea-francese [...] agnostica, docente di giudaismo antico medievale alla Sorbona di Parigi, fondatrice del Centro di ricerca sulla cultura rabbinica. Jacqueline Genot-Bismuth ha pubblicato [...] un libro sulle più recenti scoperte archeologiche a Gerusalemme, dopo il volume «Un homme nommé Salut» (Oeil), dedicato alla figura di Gesù nel Vangelo di Giovanni. E all’impatto di Gesù con l’ebraismo del suo tempo. «Il Sabato» le ha chiesto la sua ricostruzione di quegli eventi.

Lei scrive che i farisei cominciano ad allarmarsi per Gesù con la resurrezione di Lazzaro. Perché?
Genot-Bismuth: Tutti credettero a quella resurrezione. Io non posso giudicare se essa vi fu o no, l’importante è rilevare che tutti ne furono colpiti. I farisei erano contrari al potere profetico. Di conseguenza produrre una resurrezione – essendo un potere profetico – voleva dire mettere in discussione tutto ciò contro cui si erano battuti. Significava dare scacco al giudaismo che seguiva la Torà esclusivamente scritta con l’interpretazione di cui essi erano i maestri. Dunque era il loro potere che era battuto in breccia da un giudaismo alternativo che arrischiava la forza in qualche modo rivoluzionaria della profezia.

Non era più ragionevole credere ai propri occhi?
Genot-Bismuth: Un difensore della Legge assoluta non poteva che opporsi al profetismo attivo: ora, la popolazione era effettivamente convinta che Gesù avesse resuscitato Lazzaro, e questo fatto provava la sua pretesa di essere profeta. Dunque ormai non era più che un nemico. È ovvio. Lui stesso doveva saperlo. Del resto dal Vangelo di Giovanni si evince chiaramente che Gesù era molto, molto politico. Quando si rende conto che provocava se ne va via da Gerusalemme perché capisce di essere in pericolo. Insomma fa scelte molto politiche e strategiche. Gesù non appare affatto come un ingenuo, un sognatore naïf, è realista, uno che sa calcolare i suoi rischi e verso la fine gioca il tutto per tutto.

Le ostilità fra farisei e sadducei, dentro il Sinedrio, erano molto forti. Ve ne furono anche nel processo a Gesù?
Genot-Bismuth: Non so dirlo perché non abbiamo il verbale del processo. Ma Paolo, per esempio, quando fu chiamato in giudizio dal Sinedrio riuscì scaltramente a mettere un gruppo contro l’altro facendola franca. Nel Vangelo di Giovanni si vede che nel Sinedrio ci sono farisei che stanno dalla parte di Gesù, come Nicodemo. D’altronde anche nella missione rogatoria del Sinedrio nei confronti di Giovanni Battista sul Giordano, si evidenziano i rappresentanti dei due partiti del Sinedrio. E ciascuno fa le sue domande.

Flusser ipotizza che la condanna di Gesù da parte di Caifa fosse contro la Legge, fuori dall’ebraismo.
Genot-Bismuth: E’ una convinzione ideologica. La Mishna dice che quando uno pseudoprofeta si presenta come tale e si è certi che è uno pseudoprofeta deve subire il giudizio del Sinedrio e la condanna a morte. Tutto questo nella Mishna è molto chiaro.

Cosa teme, Caifa, da Gesù?
Genot-Bismuth: È una ragion di stato, la sua. Caifa è un uomo di governo che ragiona in termini di strategia. Prende la parola nel Sinedrio e dice: voi state dibattendo se è colpevole o no. A me non interessa. Io so che è uno pericoloso. Attirerà su di noi la vendetta dei romani, tutti noi siamo in pericolo dal momento che, alla fine, solleverà la gente contro i romani e contro di noi e il nostro regime. Lo dice chiaramente. Il suo è un giudizio politico. Del resto la carica di sommo sacerdote è nell’orbita del temporale, non è la religione come noi oggi la immaginiamo. È il regime di autonomia della Giudea che è negoziato con i romani, un’autonomia morale, la pax romana. Il sommo sacerdote è soprattutto un etnarca. E dunque ragiona in questo orizzonte politico. Le regole del gioco d’altronde erano chiare per Gesù stesso.

Cosa intende dire?
Genot-Bismuth: Sapeva benissimo di apparire come un sovversivo, che poteva essere visto come un agitatore politico, come i tantissimi messia o pseudo-messia che l’avevano preceduto o che saranno condannati a morte in seguito. Non c’era niente di straordinario, da questo punto di vista, in questa storia. Egli sapeva bene ciò che lo aspettava.

È curioso che lei – scrivendo due libri sul Vangelo di Giovanni – non contesti mai la storicità di ciò che il Vangelo riferisce. Sa che da Renan in poi…
Genot-Bismuth: Di Renan si possono leggere pagine antisemite terrificanti, veri abomini. E’ chiarissimo. La ragione essenziale che muove Renan e la scuola che nasce da lui è precisamente l’odio antisemita. Dichiara di voler fare di Cristo un “ariano” e che il cristianesimo non deve assolutamente nulla a quel popolo degenerato che sono i semiti. Allora gli è necessario negare tutto ciò che è storico di Gesù e della nascita del cristianesimo. Sono le stesse manipolazioni della verità storica in cui si specializzeranno personaggi come Stalin e oggi Le Pen.

Lei ha pubblicato testi rabbinici straordinariamente convergenti con san Giovanni sul racconto del processo a Gesù. E sostiene che il Vangelo di Giovanni è scritto da un contemporaneo, testimone oculare di quegli avvenimenti.
Genot-Bismuth: Il Vangelo si conclude con questa formula: «Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera». Una indicazione scarna come una nota d’archivio del tempo e che, senza dubbio, merita ben più credito di quanto glien’è stato accordato.

Nel Vangelo di Giovanni, Gesù dichiara di essere il Figlio di Dio, uno con il Padre.
Genot-Bismuth: Sì, dunque di essere come Dio. Ma usa volutamente un’espressione ambigua, infatti ogni uomo poteva dirsi figlio di Dio. Di per sé era un’espressione accettata. Allora cosa intende Gesù quando si definisce Figlio di Dio? Egli afferma evidentemente la sua divinità («chi vede me, vede il Padre»). Ma gioca sull’ambiguità, è qualcosa di straordinario, usa, manipola il linguaggio in tutti i suoi sensi come un profeta. Di fatto Gesù alla fine si è sostituito a Dio e questo è il punto di non ritorno rispetto all’ebraismo: da qui comincia l’eresia o – secondo il punto di vista che si adotta – completamente un’altra cosa.

I più sostengono ancora oggi che il Vangelo di Giovanni è stato scritto molto tardi.
Genot-Bismuth: Io dico che è stato scritto da chi è stato testimone. Che egli prendesse abitualmente delle note durante gli avvenimenti mi pare evidente per la civiltà in cui era stato educato. Poi può darsi che, sulla base dei ricordi scritti, abbia composto il suo Vangelo in tarda età. Secondo me Giovanni ha dubitato per tutto il tempo, ha cominciato a credere veramente al momento in cui ha scoperto la tomba vuota.

Molti vedono nel suo Vangelo un’impronta ellenistica, soprattutto nel Prologo.
Genot-Bismuth: Solo perché usa il termine Logos. Ma allora anche Ben Sira (l’Ecclesiastico) è ellenistico. No, in realtà Logos è solo la traduzione dell’ebraico «davar» (atto/parola) ed è l’antichissima interpretazione della Genesi. Giovanni appare in una linea di interpretazione molto chiara, che lega la Genesi, l’interpretazione della Genesi fatta dal libro dei Proverbi e infine l’Ecclesiastico che due secoli dopo continua, riprende e amplifica i Proverbi. E poi, due secoli dopo, c’è Giovanni.

Il Prologo è la spiegazione del primo versetto della Genesi?
Genot-Bismuth: Il Targum Neophyti, in aramaico palestinese, traduce così Genesi 1,1: «Fin dall’origine il Verbo (davar) di YHWH creò con saggezza il cielo e…». Giovanni è legato a questa antica traduzione e apre così il suo Vangelo: «E il Verbo (davar) è stato un uomo di carne ed ha posto la sua tenda fra noi…». Propriamente l’incarnazione del davar, del Logos.

Nel libro «Un homme nommé Salut», lei pubblica documenti ebraici del I secolo, dove si parla di libri cristiani che possono far pensare ai Vangeli.
Genot-Bismuth: È un passo dello Sabat 116, vv (tratto dal Talmud completo). Ed è molto chiaro. Non solo parla di «awan-gelayon» e fa dei giochi di parole polemici su «evangelio», ma riporta addirittura una citazione esplicita di Matteo.

Cosa?
Genot-Bismuth: È riportato il dialogo fra un patriarca e un cristiano. E il cristiano ad un certo punto afferma: «È scritto nel Vangelo che “non sono venuto per abolire, ma per compiere”». Testuale. Se non si vuol accettare neanche questo è finita. Allora tutto è falso, nel mondo.

Molti sostengono che non è possibile che i Vangeli siano stati scritti prima del 70.
Genot-Bismuth: È un pregiudizio. Secondo me è più che plausibile. È stupido, per degli studiosi, l’espressione “non è possibile”. E poi come volete, in una civiltà che è l’inventrice della scrittura, che riferisce tutto al testo sacro, scritto, come potete immaginare che quel genere di fatti non sia stato messo per scritto molto presto? Ricordate che per esempio i sadducei non riconoscevano per niente l’oralità, volevano che tutto fosse scritto. Dunque se i cristiani volevano veramente far conoscere il loro annuncio occorreva da subito mettere per scritto.

Publié dans Antonio Socci, Commenti al Vangelo, Fede, morale e teologia, Libri | Pas de Commentaire »