Verità e Carità
Charles Péguy: “sulla soglia della Chiesa”: nel portico di accesso. E’ il titolo di un libro pubblicato in Francia pochi anni fa.
Sulla soglia della Chiesa, perché dentro la Chiesa egli era un “irregolare”: sposato civilmente nel 1897 con una donna atea – Charlette, sorella del socialista, amico fraterno, Marcel Baudouin – e padre di tre figli non battezzati, Péguy non poteva accostarsi ai Sacramenti quando ritornò a frequentare la Chiesa, avendo riscoperto nel cristianesimo cattolico le sorgenti vere della sua vita. Desiderava con tutto se stesso che i suoi cari condividessero con lui quella nuova vita che gli zampillava nel cuore; desiderava celebrare il sacramento del matrimonio con Charlette, ma era limpidamente cosciente che la conversione è “lavoro della Grazia”. La sua esperienza era chiarissima: quando, nel 1908 confessa all’amico J. Lotte: “ho ritrovato la fede… sono cattolico”, Péguy sa bene di essere stato toccato da una Grazia misteriosa e che quell’avvenimento non è “operazione di ritorno e di rimpianto”, esito di riflessioni sui propri fallimenti esistenziali…
I suoi familiari da quella Grazia non erano ancora toccati, e Péguy, fedele al patto di sposo e di padre, rimase con loro pregando ed affidandoli a Maria, la donna nella cui carne, in modo commovente, il cristianesimo è nato. Restò “sulla soglia”, senza recriminare, consapevole della sua situazione: “Sono un peccatore – scriveva – non un santo. I santi si riconoscono immediatamente. Sono un buon peccatore. Un testimone. Un peccatore che frequenta la Messa domenicale in parrocchia, un peccatore con i tesori della grazia divina”. Un decennio dopo la sua morte – avvenuta nella battaglia della Marna, vicino a Villeroy, il 5 settembre 1914 – la moglie riceverà il battesimo; saranno battezzati in quegli anni – tra il 1925 e il 1926 – anche i figli: i tre che egli conobbe ed il quarto che era nato quando già Péguy aveva terminato la sua vita quaggiù. Aveva invocato lungamente per loro l’intervento della Grazia, con la fiducia e l’audacia di un uomo che ha sperimentato l’opera di Dio; aveva scritto – come parlando di altri – nel “Portico delle seconda virtù”: “come si prendono tre bambini e li si mette tutti e tre, per gioco, nelle braccia della loro madre, che ride, che protesta perché se ne mettono troppi, lui, audacemente come un uomo, aveva preso con la preghiera i suoi tre bambini e tranquillamente li aveva messi nelle braccia di colei che si è fatta carico di tutti i dolori del mondo”.
Charles Péguy era nato ad Orléans – la città di S. Giovanna d’Arco – il 7 gennaio del 1873. Suo padre, falegname, era morto quando il bimbo aveva undici mesi; la madre divenne impagliatrice di sedie, e Charles la aiutava, in questo lavoro di precisione e pazienza, battendo la paglia e tagliando i fili. A sette anni la scuola: è un bimbo studioso ed intelligente; il suo maestro lo avvia agli studi superiori, condotti grazie a borse di studio conquistate con l’impegno e l’acume. Nel 1891 consegue la maturità classica, ed abbandona la Chiesa – “tutti i miei compagni si sono sbarazzati, come me, del loro cattolicesimo”: gli ripugnava una religiosità ridotta a moralismo, a bigotta paura dell’inferno, tranquillamente e borghesemente rassegnata all’idea che tanti si perdessero… Non poteva essere “vera” quella proposta per lui che sentiva fremere in sé una passione fortissima per la vita, la carne e lo spirito dell’uomo. In “Véronique. Dialogue de l’histoire et de l’ame charnelle”, scritto pochi mesi prima della morte, ritornerà con forza sulla incapacità – che i cristiani moderni manifestano – di comprendere la reale situazione della società e dell’uomo moderno riguardo il cristianesimo: “Quando noi parliamo di scristianizzazione, quando noi constatiamo questo disastro della scristianizzazione, bisogna intendersi sui termini. Il peccatore ed il santo sono tutti e due propri del cristianesimo. Quando si dice che il mondo di scristianizza non si vuole dire affatto che nel sistema cristiano la santità sia stata una volta di più sommersa dai peccati. Quand’anche fosse, tutto questo non sarebbe niente… Ciò che constatiamo è infinitamente più grave: questo mondo moderno non è solamente un cattivo mondo cristiano, un mondo di cattivo cristianesimo, ma un mondo in cristiano, scristianizzato. Ecco ciò che bisogna dire, vedere. Ecco ciò che tanti cristiani, e soprattutto tanti cattolici, ben intenzionati, non vogliono riconoscere, non vogliono vedere. E questa viltà impedisce loro di far qualcosa di utile, di salvare qualcosa… Sempre forse il contingente dei santi è stato miserabile in paragone al contingente dei peccatori… Ma il disastro, oggi, è che le nostre stesse miserie non sono più cristiane. Ecco la novità. Finchè le nostre bassezze erano cristiane c’era scampo, c’era materia per la grazia… C’era la cattiveria dei tempi anche sotto i Romani, ma Gesù non se ne va affatto. Non si rifugia affatto dietro alla cattiveria dei tempi. Non impiegò i suoi anni a gemere e lamentare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. Oh in modo molto semplice! Facendo il cristianesimo. Non si mise ad incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo: salvò il mondo. Questi altri invece [parla degli “ecclesiastici-intellettuali” laici o chierici che siano] vituperano, raziocinando, incriminano. Medici che ingiuriano, che se la prendono con il malato. Essi accusano l’arida sabbia del secolo; ma al tempo di Gesù c’erano anche allora il secolo e le sabbie del secolo. Ma sulla sabbia arida, una sorgente, una sorgente di grazia, inesauribile, cominciò a zampillare”. Il teologo Von Balthasar disse di Péguy: “Non si è mai parlato così cristiano”.
Prosegue gli studi all’Università di Parigi, dove consegue la licenza in Lettere ed un baccalaureato in Scienze e dove gli incontri con il socialista Herr ed il filosofo Bergson segnano la sua vita; lascia l’Università senza laurearsi: si sente ormai “maturo” e non può restare a scuola; si iscrive nel 1905 al partito socialista; inizia una convulsa, difficoltosa attività pubblicistica – i primi “Dialoghi” e i “Cahiers” –; nel 1907-08, la “conversione”, vissuta nello stupore di fronte all’opera della Grazia, toccato dalla realtà del mistero dell’Incarnazione: “Un Dio, amico mio, si è scomodato per me. Ecco il cristianesimo. Il resto è una bazzecola…Poiché il soprannaturale è esso stesso carnale, e l’albero della grazia e radicato in profondità…”.
Da CHARLES PEGUY, Lui è qui. Pagine scelte, a cura di D. Rondoni e F. Crescini, Rizzoli, 1997
“Non bisogna contarsela su. Noi sappiamo molto bene che cos’è la penitenza. Un penitente è un signore che non è molto fiero di se stesso. Che non è molto fiero di quello che ha fatto. Perché quello che ha fatto – occorre dirlo – è il peccato. Un penitente è un signore che ha onta di sé e del suo peccato. Che vorrebbe proprio seppellirsi. Soprattutto che vorrebbe proprio non averlo fatto. Mai. [Ma questo signore si sente raccontare la parabola della dracma perduta, della pecorella smarrita…]. Che cos’è quella dracma che vale nove dracme lei da sola? E’ lui, qui, nessun’altro… E’ quella pecora, è questo peccatore, è questo penitente, è quest’anima che Dio, che Gesù riporta sulle spalle, abbandonando le altre, lasciandole in quel periodo da sole… Non solo questo penitente ne vale un altro, non solamente vale un giusto, che già sarebbe un po’ tirata… Ma lui ne vale novantanove, ne vale cento, vale tutto il gregge. Nel segreto del cuore. Nel segreto del cuore eterno. E allora, bambina mia, tu sai che lei era perita e che è stata ritrovata, che lei era morta e che è risuscitata”.
“Ci sono giorni in cui i Santi ed i Patroni non bastano… Allora bisogna prendere il coraggio a due mani, e rivolgersi direttamente a quella che è al di sopra di tutti…, infinitamente bella, infinitamente buona. A colei che intercede. La sola che possa parlare con l’autorità di una madre… Infinitamente accogliente, come il prete sulla soglia della chiesa cha va di fronte al nuovo nato, fin sulla soglia, il giorno del suo battesimo, per introdurlo nella casa di Dio. A colei che è infinitamente alta perché è anche infinitamente condiscendente. A colei che è infinitamente grande perché è anche infinitamente piccola. A tutte le creature manca qualche cosa: a quelle che sono carnali manca d’essere pure; ma a quelle che sono pure [gli angeli], noi lo sappiamo, manca d’essere carnali. Una sola è pura essendo carnale. Una sola è carnale essendo anche pura. Gli angeli non sanno per niente cosa sia avere un corpo, essere un corpo. Non sanno per niente cosa sia essere una povera creatura. Carnale. Un corpo impastato col fango di questa terra. Loro non conoscono questo legarsi misterioso, infinitamente misterioso, dell’anima e del corpo…”.
Per una conoscenza di Péguy e del suo percorso: AA. VV., “Ciò che conta è lo stupore. Articoli e interviste su Charles Péguy”, Edizioni S. Paolo, 2001.
Lo stile di Péguy è particolare; chi volesse leggere in italiano un’opera intera: PEGUY, “Véronique. Dialogo della storia e dell’anima carnale”, Piemme, 2002.
Scheda a cura di P. Edoardo Cerrato, d.O.
Tratto da: Oratorio Secolare di san Filippo Neri – Biella