• Accueil
  • > Archives pour le Mardi 30 juillet 2013

Papa Francesco risponde alle domande dei giornalisti

Posté par atempodiblog le 30 juillet 2013

Papa Francesco risponde alle domande dei giornalisti
di Giacomo Galeazzi e Andrea Tornielli, inviati sul volo Rio de Janeiro-Roma – La Stampa

Papa Francesco risponde alle domande dei giornalisti dans Andrea Tornielli pp5a

Lobby gay, scandali finanziari, Ior, Vatileaks. Non c’è tema al quale Francesco si sia sottratto nell’ora e venti di botta e risposta con i giornalisti sul volo da Rio De Janeiro a Roma. Un confronto franco, senza nessun filtro da parte del Vaticano sugli argomenti, come accadeva invece in passato. Bergoglio è arrivato di buon passo e fresco come una rosa, nonostante un tour de force di una settimana e giornate intere passate ad abbracciare persone, fare discorsi, celebrare lunghe liturgie. Poco dopo il decollo da Rio, Francesco ha raggiunto la coda dell’Airbus 330 Alitalia dove viaggiano i giornalisti per sottoporsi al fuoco di fila delle loro richieste. Ha preso di petto anche le questioni più delicate o scottanti, anzi ha ringraziato per l’opportunità di chiarirle: le accuse di omosessualità rivolte a monsignor Ricca, il futuro della banca vaticana di cui non è esclusa la chiusura e i sacramenti ai divorziati risposati. E ancora, il ruolo della donna nella Chiesa, il lusso della Curia, fino al contenuto della borsa in cuoio nera che Francesco ha portato personalmente come suo bagaglio a mano. Bergoglio ha sorpreso tutti per la puntualità delle risposte e per la cordialità mostrata verso la stampa e ha rivelato di voler fare un viaggio di un giorno per andare a trovare i parenti in Piemonte. Ieri mattina, quando ormai l’aereo era prossimo all’atterraggio, il Papa si è nuovamente riaffacciato, da solo e senza prelati al seguito, per salutare i giornalisti. L’ennesima riprova del fatto che il nuovo Papa comunica benissimo e non ha bisogno di spin doctor o sherpa: ‘Dobbiamo essere normali’.

Il destino incerto dello Ior
« Io pensavo di trattare la questione l’anno prossimo, ma l’agenda è cambiata per i ben noti problemi da affrontare. Come riformarlo e sanare ciò che c’è da sanare? Ho nominato una commissione ‘referente’. Non so come finirà lo Ior: alcuni dicono che sia meglio avere una banca, altri che servirebbe un fondo di aiuto, altri ancora dicono di chiuderlo. Mi fido del lavoro delle persone della commissione che stanno lavorando su questo. Il presidente dello Ior rimane lo stesso di prima, invece il direttore e il vicedirettore hanno dato le dimissioni. Non saprei dire come finirà: si prova, si cerca, ed è anche bello, perché siamo umani, dobbiamo trovare il mezzo per fare questo bene. Ma di certo qualsiasi cosa diventerà lo Ior, le caratteristiche devono essere trasparenza e onestà. Deve essere così » .

La lobby gay (in Vaticano)
« Si scrive tanto della lobby gay. Io ancora non ho trovato nessuno che mi dia la carta d’identità, in Vaticano, dove c’è scritto gay. Dicono che ce ne siano. Credo che qualcuno si trova. Ma si deve distinguere il fatto che una persona sia gay dal fatto di fare lobby. Se è lobby, tutte non sono buone. Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Il Catechismo della Chiesa cattolica dice che queste persone non devono essere discriminate ma accolte. Il problema non è avere queste tendenze, sono fratelli, il problema è fare lobby: di questa tendenza o lobby d’affari, lobby dei politici, lobby dei massoni, tante lobby… questo è il problema più grave » .

Le accuse contro monsignor Ricca
« Nel caso di monsignor Ricca ho fatto quello che il diritto canonico chiede di fare, che è l’investigazione previa. E in questa investigazione non c’è niente di quello di cui lo accusano, non abbiamo trovato niente. Questa è la risposta. Ma vorrei aggiungere un’altra cosa. Vedo che tante volte nella Chiesa, fuori di questo caso e anche in questo caso, si vanno a cercare i peccati di gioventù, e questo poi si pubblica. Non i delitti, che sono un’altra cosa, l’abuso di minori per esempio è un delitto, non è un peccato. Ma se una persona, laica prete o suora, commette un peccato e poi si converte, il Signore perdona. E quando il Signore perdona, dimentica. Questo per la nostra vita è importante: quando noi andiamo a confessarci, e diciamo ‘ho peccato’, il Signore dimentica. E noi non abbiamo il diritto di non dimenticare, perché corriamo il rischio che anche il Signore non si dimentichi dei nostri peccati. Tante volte penso a San Pietro: ha commesso uno dei peccati peggiori, rinnegare Cristo, e dopo questo peccato lo hanno fatto Papa! ».

Austerità e caso Scarano
« Non potrei vivere da solo nel palazzo. L’appartamento papale è grande ma non è lussuoso. Ma io non posso vivere da solo con un piccolo gruppetto di persone. Ho bisogno di vivere con gente, di trovare gente. Per questo ho detto che sono motivi ‘psichiatrici’: psicologicamente non potevo e ognuno deve partire dal suo modo di essere. Comunque anche gli appartamenti dei cardinali sono austeri, quelli che conosco. Ognuno deve vivere come il Signore chiede di vivere. Ma un’austerità generale è necessaria per tutti quelli che lavorano al servizio della Chiesa. Ci sono santi in Curia, vescovi, preti e laici, gente che lavora. Tanti che vanno dai poveri di nascosto o che nel tempo libero vanno in qualche chiesa a esercitare il ministero. Poi c’è anche qualcuno che non è tanto santo e questi casi fanno rumore perché, come sapete, fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. A me provoca dolore quando accadono queste cose. Abbiamo questo monsignore (il riferimento è a Nunzio Scarano, contabile dell’Apsa, ndr) che è in galera. Non è andato in galera perché assomigliava alla beata Imelda! » .

L’Argentina può attendere
« In America Latina credo che non ci sia possibilità di tornare, perché il Papa latinoamericano, il primo viaggio in America Latina … arrivederci! Dobbiamo aspettare un po’! Andare in Argentina: in questo momento io credo che si possa aspettare un po’, perché altri viaggi come quello a Gerusalemme hanno una certa priorità » .

Il caso Vatileaks
« Quando sono andato a trovare Benedetto XVI a Castel Gandolfo, ho visto che sul tavolino c’erano una cassa e una busta. Benedetto XVI mi ha detto che nella cassa c’erano tutte le testimonianze delle persone ascoltate dalla commissione dei tre cardinali sul caso Vatileaks, mentre nella busta c’erano le conclusioni, il riassunto finale. Benedetto XVI sapeva tutto a memoria. È un problema grosso, ma non mi sono spaventato! ».

Il contenuto della borsa di cuoio
« Non c’era la chiave per la bomba atomica… Sono salito sull’aereo portando la mia borsa perché sempre faccio così. Che cosa c’è dentro? Il rasoio, il breviario, l’agenda e un libro da leggere: ho portato un libro su Santa Teresina, della quale sono devoto. È normale portarsi la borsa, dobbiamo essere normali, dobbiamo abituarci a essere normali e sono un po’ sorpreso del fatto che l’immagine della borsa abbia fatto il giro del mondo ».

L’aereo papale senza il letto
« Quest’aereo non ha allestimenti speciali. Io sono avanti, una bella poltrona, comune, ma comune, quella che hanno tutti. Io ho fatto scrivere una lettera e una chiamata telefonica per dire che io non volevo allestimenti speciali sull’aereo: è chiaro? ».

Il Papa ‘ingabbiato’ e la sicurezza
« Sapeste quante volte ho avuto voglia di andare per le strade di Roma! Mi piaceva tanto. Era una mia abitudine di camminare, ero un prete ‘callejero’, un prete di strada. Ma questi della Gendarmeria sono buoni, tanto buoni, e adesso mi lasciano fare qualcosa di più…
A proposito di tutte le ipotesi fatte sulla sicurezza durante il viaggio in Brasile: non c’è stato un solo incidente in tutta Rio de Janeiro in questi giorni. E tutto è stato spontaneo. Con meno sicurezza, ho potuto abbracciare la gente. Ho voluto fidarmi di un popolo.
È vero che c’era il rischio che ci fosse qualche pazzo, ma c’è anche il Signore. Non ho voluto la macchina blindata perché non si può blindare un vescovo dal suo popolo. Preferisco la pazzia di questa vicinanza che fa bene a tutti ».

Sui sacramenti ai divorziati risposati
« È un tema che torna sempre. Credo che questo sia il tempo della misericordia, questo cambio d’epoca in cui ci sono tanti problemi anche nella Chiesa, anche per le testimonianze non buone di alcuni preti. Il clericalismo ha lasciato tanti feriti e bisogna andare a curarli con la misericordia. La Chiesa è mamma, e nella Chiesa si deve trovare misericordia per tutti. E i feriti non solo bisogna aspettarli, ma bisogna andarli a trovare… I divorziati possono fare la comunione, sono i divorziati in seconda unione che non possono. Bisogna guardare al tema nella totalità della pastorale matrimoniale. Gli ortodossi ad esempio seguono la teologia dell’economia e permettono una seconda unione. Quando si riunirà il gruppo degli otto cardinali, nei primi tre giorni di ottobre, tratteremo come andare avanti nella pastorale matrimoniale. Il mio predecessore a Buenos Aires, il cardinale Quarracino, diceva sempre: ‘Per me la metà dei matrimoni sono nulli, perché si sposano senza sapere che è per sempre, perché lo fanno per convenienza sociale, etc…’. Anche il tema della nullità si deve studiare ».

Le donne nella Chiesa
« Una Chiesa senza le donne è come il collegio apostolico senza la Madonna. Il ruolo delle donne è l’icona della Vergine, della Madonna. E la Madonna è più importante degli apostoli. La Chiesa è femminile perché è sposa e madre. Si deve andare più avanti, non si può capire una Chiesa senza le donne attive in essa… Non abbiamo ancora fatto una teologia della donna. Bisogna farlo.
Per quanto riguarda l’ordinazione delle donne, la Chiesa ha parlato e ha detto no. Giovanni Paolo II si è pronunciato con una formulazione definitiva, quella porta è chiusa. Ma ricordiamo che Maria è più importante degli apostoli vescovi, e così la donna nella Chiesa è più importante dei vescovi e dei preti ».

Il rapporto con ‘nonno’ Benedetto XVI
« L’ultima volta che ci sono stati due Papi insieme non si parlavano ma lottavano per vedere chi era quello vero. Io a Benedetto XVI voglio tanto bene, è un uomo di Dio, un uomo umile, un uomo che prega. Sono stato tanto felice quando è stato eletto Papa, e poi abbiamo visto il suo gesto delle dimissioni… per me è un grande. Adesso abita in Vaticano e c’è chi chiede: ma non ti ingombra? Non ti rema contro? No, per me è come avere il nonno saggio in casa, è il mio papà. Quando in famiglia c’è il nonno, è venerato e ascoltato. Benedetto XVI non si immischia. Se ho una difficoltà posso andare a parlargli, come ho fatto per quel problema grosso di Vatileaks… Quando ha ricevuto i cardinali il 28 febbraio per accomiatarsi, ha detto: tra di voi c’è il nuovo Papa al quale io prometto fin d’ora la mia obbedienza. È un grande! »

Cose belle e brutte di questi mesi
« Tra le cose belle penso all’incontro con i vescovi italiani. Tra quelle dolorose che mi sono entrate nel cuore c’è stata la visita a Lampedusa, che mi ha fatto bene. Ho pensato con dolore a quelle persone morte in mare prima di sbarcare, che sono vittime di un sistema socio-economico mondiale. Ma la cosa peggiore che mi è capitata è una sciatica, che ho avuto nel primo mese, a causa della poltrona dove mi sedevo per ricevere. È stata dolorosissima e non la auguro a nessuno! ».

Il lavoro di vescovo e di Papa
« Fare il lavoro di vescovo è una cosa bella. Il problema è quando qualcuno cerca quel lavoro, questo non è tanto bello. C’è sempre il pericolo di pensarsi un po’ superiori agli altri, di sentirsi un po’ principe. Ma il lavoro di vescovo è bello: deve stare davanti ai fedeli, in mezzo ai fedeli e dietro ai fedeli. Facendo il vescovo a Buenos Aires sono stato felice. Ero tanto felice. E come Papa? Anche. Quando il Signore ti mette lì, se tu accetti di fare quello che il Signore ti chiede, sei felice’ ».

Publié dans Andrea Tornielli, Articoli di Giornali e News, Fede, morale e teologia, Papa Francesco I, Riflessioni | Pas de Commentaire »

È il Signore che opera. Padre Leopoldo Mandic

Posté par atempodiblog le 30 juillet 2013

“Preferisco sbagliare per troppa bontà che per troppo rigore”.
San Francesco di Sales

È il Signore che opera. Padre Leopoldo Mandic dans Fede, morale e teologia 90rn9l
San Leopoldo Mandic

È il Signore che opera
«… nel confessionale, non dobbiamo fare sfoggio di cultura, né dobbiamo dilungarci in spiegazioni, altrimenti roviniamo quello che il Signore va operando». Così raccomandava padre Leopoldo Mandic, il confessore della misericordia di Dio
Fonte: di Stefania Falasca – 30giorni
Tratto da: Sursum Corda

547q14 dans Sacramento della penitenza e della riconciliazione
Una delle ultime foto di padre Leopoldo Mandic

Confessarsi da lui era cosa breve. Anzi brevissima. Non si dilungava mai in parole, spiegazioni, discorsi. Aveva imparato dal Catechismo di san Pio X che la brevità è una delle caratteristiche di una buona confessione. Eppure il suo confessionale è stato per più di quarant’anni una specie di porto di mare per le anime. Tanti erano quelli che andavano, che assiduamente lo frequentavano. Padre Leopoldo era sempre lì, dodici, tredici, quindici ore al giorno. Confessava e assolveva oves et boves, cioè tutti. E di quella sua amabile delicatezza, di quell’umiltà semplicissima, fiduciosa nell’infinita misericordia di Dio e nell’azione della grazia che opera attraverso i sacramenti, sono testimoni quanti lo conobbero. La sua celletta confessionale è rimasta com’era, lì dove tuttora si trova, accanto alla chiesa di Santa Croce, nel convento dei frati Cappuccini a Padova. Una piccola stanza con tutte le poche cose che hanno fatto la sua vita: un inginocchiatoio, un crocifisso, un’immagine della Madonna, la stola, la sedia. Neanche la furia dei bombardamenti, che nel maggio del 1944 rasero al suolo la chiesa e il convento, è riuscita a demolirla. Da tanta distruzione solo quel confessionale rimase miracolosamente illeso. Due anni prima della sua morte, avvenuta il 30 luglio 1942, padre Leopoldo, confidandosi con un amico, aveva predetto i bombardamenti che avrebbero colpito Padova. «E questo convento?», chiese quel signore; «padre, anche questo convento sarà colpito?». «Purtroppo, anche il nostro convento sarà duramente colpito» rispose con un filo di voce padre Leopoldo. «… Ma questa celletta no, questa no. Qui il Padrone Iddio ha usato tanta misericordia alle anime… deve restare a  monumento della Sua bontà».
Leopoldo Mandic è stato proclamato santo il 16 ottobre 1983. Elevato vox populi agli onori degli altari. Dalla morte alla canonizzazione sono trascorsi solo quarantun anni: una delle canonizzazioni più rapide del nostro secolo.

Di nobile stirpe bosniaca
Nato nel 1866 in Dalmazia, a Castelnuovo di Cattaro, Adeodato Mandic era di nobile stirpe bosniaca. Prese nome di fra Leopoldo entrando nel seminario dei frati Cappuccini a Bassano del Grappa. A ventiquattro anni è ordinato sacerdote e da questo momento in poi, prima a Venezia, poi a Bassano, Thiene e dal 1909 stabilmente a Padova, non fa altro che attendere al sacramento della penitenza. Per i suoi superiori  non poteva fare altro: statura un metro e trentotto, costituzione debolissima, stentato e un po’ goffo nel camminare… Fisicamente era un nulla e per di più anche impacciato nella lingua poiché aveva lo “sdrùcciolo”, cioè mangiava le parole, e questo difetto si sentiva soprattutto quando pregava o doveva ripetere le formule a memoria, tanto che in pubblico non poteva dire neanche un «oremus». Cosa non da poco in un ordine di predicatori qual è quello dei Cappuccini! «Tante volte» ricordò al processo un suo confratello «si meravigliava egli stesso che  professori universitari, uomini importanti, persone molto qualificate venissero proprio da lui, “povero frate”; e tutto egli, con grande umiltà, attribuiva alla grazia del Signore che per mezzo suo, “meschino ministro pieno di difetti”, si degnava di fare del bene alle anime». Tutti quelli che lo hanno conosciuto ricordano questa sua umiltà sincera, piena di riconoscenza e gratitudine. A Padova, a tarda sera di un giorno di Pasqua, un giovane sacerdote incontrò padre Leopoldo che quasi non si teneva in piedi dalla stanchezza per le tante ore passate in confessionale. Con tono di filiale compassione gli disse: «Padre, quanto sarà stanco…»; «e quanto contento…», riprese lui con dolcezza. «Ringraziamo il Signore e domandiamogli perdono, perché si è degnato di permettere che la nostra miseria venisse a contatto con i tesori della sua grazia».
Davanti alla porticina del suo confessionale ogni giorno un folto gruppo di persone di tutte le classi sociali era lì ad attenderlo. Analfabeti e rozzi contadini, professionisti, sacerdoti e religiosi, magnati dell’industria e professori, tutti aspettavano in silenzio il loro turno e tutti padre Leopoldo accoglieva sempre con la stessa premura, la stessa delicata discrezione, specialmente chi si riavvicinava alla confessione dopo tanto tempo. «Eccomi, entri pure, s’accomodi… l’aspettavo sa… » si sentì dire un signore di Padova che da molti anni non si accostava ai sacramenti. E tanto era impacciato e confuso che, entrato nel confessionale, invece di mettersi in ginocchio andò a sedersi sulla sedia del prete; padre Leopoldo non disse niente, si mise lui in ginocchio al posto del penitente e  ascoltò così la sua confessione. Ed era, la sua, una delicatezza attenta a non umiliare inutilmente, comprensiva della fragilità umana: «Non abbia riguardo, veda, anch’io, benché frate e sacerdote, sono tanto misero» disse a un altro. «Se il Padrone Iddio non mi tenesse per la briglia farei peggio degli altri … Non abbia nessun timore». E a quel tale che aveva grosse colpe da confessare e a cui costava molto vuotare il sacco, dire certe miserie: «Siamo tutti poveri peccatori: Dio abbia pietà di noi…». Glielo diceva con un tono tale che quell’uomo si sentì immediatamente incoraggiato ad accusarsi con sincerità. Spesso ripeteva ai penitenti: «La misericordia di Dio è superiore a ogni aspettativa», «Dio preferisce il difetto che porta all’umiliazione piuttosto che la correttezza orgogliosa».

2agmex dans Sacramento dell’Ordine
La chiesa e il convento dei Cappuccini a Padova, fotografati prima della loro distruzione nel bombardamento aereo del 14 maggio 1944 

«Non roviniamo con le nostre spiegazioni ciò che il Signore opera»
Credendo fermamente nell’efficacia della grazia che il  Signore stesso comunica attraverso i sacramenti, padre Leopoldo su di un punto solo fu costantemente irremovibile: la brevità della confessione. Delle volte, è vero, nei giorni di scarso concorso, si intratteneva con una persona magari mezz’ora, o perché s’interessava dei suoi studi o del suo ufficio o per intrattenersi con quei chierici o quelle anime che lo chiedevano come guida spirituale. Ma la confessione, come tale, era sempre breve. E i penitenti testimoniano questa sua brevità e semplicità di parole. Scrive un monsignore di Padova: «La confessione con il padre Leopoldo era ordinariamente brevissima. Egli ascoltava, perdonava, non molte parole, spesso anche in dialetto quando si rivolgeva a persone non istruite, qualche motto, uno sguardo al crocifisso, talvolta un sospiro. Sapeva che in via ordinaria le confessioni lunghe sono a scapito del dolore, e sono, il più delle volte, accontentamento di amor proprio, pertanto sulla modalità della confessione si atteneva a quanto indicato nel catechismo della dottrina cristiana». In una lettera indirizzata a un sacerdote, padre Leopoldo scrive: «Mi perdoni padre, mi perdoni se mi permetto… ma vede, noi, nel confessionale, non dobbiamo fare sfoggio di cultura, non dobbiamo parlare di cose superiori alla capacità delle singole anime, né dobbiamo dilungarci in spiegazioni, altrimenti, con la nostra imprudenza, roviniamo quello che il Signore va in esse operando. È Dio, Dio solo che opera nelle anime! Noi dobbiamo scomparire, limitarci ad aiutare questo divino intervento nelle misteriose vie della loro salvezza e santificazione».
Sempre esortava i suoi penitenti ad avere fede, a pregare, ad accostarsi frequentemente ai sacramenti. Ma il piccolo frate, nelle penitenze, inutile dirlo, era magnanimo e diceva a chi gli obiettava di darle facili: «Oh è vero… e bisogna che dopo soddisfi io… ma è sempre meglio il purgatorio che l’inferno. Se chi viene da noi a confessarsi, col dargli poca penitenza deve poi andare in purgatorio, dandogliela grave non c’è pericolo che si disgusti e vada a finire all’inferno?». E così ordinariamente dava tre Ave Maria e tre Gloria Patri. Poco dava ai laici lontani dalla vita della Chiesa e poco dava anche alle anime che per loro vocazione hanno tante preghiere da dire ogni giorno. Un sacerdote un giorno gli chiese se non fosse il caso di assecondare il desiderio di una brava figliola di portare addosso qualche strumento di penitenza. Il buon padre subito rispose che non era affatto un desiderio da assecondare. «Ma scusi, padre, lei non la conosce: non è un’anima qualunque, è un’anima d’oro, seria…». E padre Leopoldo rimaneva ancora più deciso nel rifiuto. E l’altro insisteva. Allora il prudente confessore fece questa domanda: «Mi permetta, mi permetta: lei porta il cilicio?». «No!». «E allora? Caro padre, abituiamo i penitenti a ubbidire ai comandamenti di Dio e al loro dovere. Ce n’è abbastanza, ce n’è abbastanza! E i grilli via!».
Magnanimo, padre Leopoldo, lo era anche nell’assoluzione: non la negava davvero a nessuno. E di quelle rarissime volte che l’ebbe fatto si pentì sempre. Alcuni giorni prima di morire un sacerdote gli chiese: «Padre, c’è stata qualche cosa che vi ha procurato tanto dispiacere?». Egli rispose: «Oh! Sì… purtroppo sì. Quando ero giovane, nei primi anni di sacerdozio, ho negato tre o quattro volte l’assoluzione».

2v9uao7 dans San Leopoldo Mandic
L’esterno della celletta-confessionale  di padre Leopoldo, rimasta indenne dopo il bombardamento che distrusse la chiesa dei Cappuccini a Padova  nel 1944

«Che riposino… lo farò io per loro»
Tutti lo conoscevano per la sua bontà: el padre Leopoldo, o benedeto! Queo sì ch’el xe bon! L’è un santo diceva la gente. Tanto che quando nel 1923 i superiori lo trasferirono a Fiume, per i padovani fu lutto cittadino. Ma tanto fecero, tanto insistettero che i superiori dovettero ritornare sulle decisioni prese e rimandarlo dopo breve tempo a Padova. Anche i giovani chierici gli volevano bene. Nel 1910, l’anno seguente al suo arrivo a Padova, padre Leopoldo fu infatti nominato direttore dei chierici del seminario maggiore dei Cappuccini. Incarico dal quale fu poi presto esonerato. Racconta un suo confratello: «Per i seminaristi nutriva un grande affetto e si mostrava assai paterno con loro e li incoraggiava sempre sollecitandoli nella speranza. La nostra regola era molto austera. All’una di notte ci si alzava per la recita del mattutino e d’inverno, col freddo rigido, costava assai… E lui pensava a quei giovani poverini… Più di una volta ricordo che padre Leopoldo andava dal padre superiore perché anticipasse la recita del mattutino alla sera: “Superiore, guardi che stanotte farà freddo…”. “Ma padre, la temperatura non è scesa sotto lo zero”. “Oh, ma questa notte lo farà…”. “Lasciamoli dormire”, diceva al superiore, “che riposino… lo farò io per loro”. E si curava che stessero in salute, che mangiassero bene, che non fossero  ripresi dai superiori per qualche manchevolezza durante il pranzo, com’era costume fare». Scrive l’allora superiore generale dei Cappuccini: «Sapendo egli quanto bene gli volevo, aveva in me grande confidenza e spesso mi diceva: “Padre provinciale, se mi permette, veda di non gravare la coscienza dei frati, soprattutto dei giovani frati, con prescrizioni che non siano proprio necessarie, perché, vede, poi bisogna osservarle le prescrizioni dei superiori. Se non sono proprio necessarie sono un laccio per i deboli… Mi perdoni sa, mi perdoni…”».
Di quanta misericordia, di quanto amore fosse capace il cuore del piccolo frate, anche per coloro che non lo meritavano, lo dice questa dolorosa circostanza che riguarda un chierico espulso bruscamente dal convento per aver compiuto deliberatamente atti gravissimi. A raccontarla è un sacerdote: «Portatomi in convento, incontrai padre Leopoldo che era appena uscito dall’ospedale. Mi chiamò nel suo confessionale e mi scongiurò, in nome di Dio, di accogliere quel “poveretto” e di pregare il superiore della casa di trattarlo bene per salvare in lui almeno la fede. Piangendo mi disse più volte: “Si salvi la fede, si salvi la fede!”. Poi, inceppandosi ogni tanto per l’emozione, continuò: “Dica, dica a quel poveretto che io pregherò per lui. Gli dica che domani nella santa messa mi ricorderò di lui, anzi… anzi gli dirà che la celebrerò tutta proprio per lui e lo benedirò sempre. Gli dirà che padre Leopoldo gli vuol sempre bene!…”. Rimasi commosso anch’io al sentire un cuore così ripieno di evangelica carità. Solo le madri trovano espressioni così accorate quando un figlio degenere si allontana da loro». Ma a qualcuno intanto, questa bontà senza misura, cominciò a sembrare eccessiva accondiscendenza, e iniziò a storcere il naso.

1ystc9 dans Stile di vita
Padre Leopoldo nella sua celletta-confessionale

«Paron benedeto, questo cattivo esempio me l’avete dato voi»
Cominciarono così le critiche per la larghezza con cui trattava i penitenti, anche i più recidivi nella colpa, per  la generosità del perdono. Lo rimproveravano di essere troppo sbrigativo contentandosi persino di sommaria accusa, tanto da tacciarlo di lassismo di principi morali. Ai chierici venne perciò sconsigliato apertamente di confessarsi da lui. Le critiche giunsero all’orecchio del piccolo frate e un giorno un sacerdote gli disse: «Padre, ma lei è troppo buono… ne renderà conto al Signore!… Non teme che Iddio le chieda ragione di eccessiva larghezza?». E padre Leopoldo indicando il crocifisso: «Ci ha dato l’esempio Lui!  Non siamo stati noi a morire per le anime, ma ha sparso Lui il Suo sangue divino. Dobbiamo quindi trattare le anime come ci ha insegnato Lui col Suo esempio. Perché dovremmo noi umiliare maggiormente le anime che vengono a prostrarsi ai nostri piedi? Non sono già abbastanza umiliate? Ha forse Gesù umiliato il pubblicano, l’adultera, la Maddalena?». E allargando le braccia aggiunse: «E se il Signore  mi rimproverasse di troppa larghezza potrei dirgli: “Paron benedeto, questo cattivo esempio me l’avete dato voi, morendo sulla croce per le anime, mosso dalla vostra divina carità”».
«Mi dicono che sono troppo buono» scrive a un sacerdote suo amico «ma se qualcuno viene a inginocchiarsi davanti a me, non è questa sufficiente prova che vuole avere il perdono di Dio?».
Le critiche furono ben presto spazzate via. L’allora canonico teologo di Padova monsignor Guido Bellincini  inviò subito una lettera al convento di padre Leopoldo: «Grande larghezza di cuore la vostra, carissimo padre, che non  è lassitudine di principi morali, ma comprensione dell’umana fragilità e fiducia negli inesauribili tesori della grazia: che non è acquiescenza o indifferenza alle colpe, ma longanimità concessa al peccatore, perché non disperi delle sue possibilità di ricupero e si rassodi nei buoni propositi. Ringraziamo Iddio che fa le cose giuste: ha voluto che fosse confessore e giudice un semplice uomo e non un Angelo del cielo. Guai a noi se il confessore fosse un Angelo: quanto sarebbe rigoroso e terribile! L’uomo invece capisce l’uomo, e i sacramenti sono per gli uomini!».
Nel maggio del ’35 padre Leopoldo festeggia il suo cinquantesimo anno di vita religiosa. Inutile dire quante le manifestazioni di affetto ricevute in quel giorno. Mai si pensava di esser  trattato così, lui che era la discrezione in persona. Honor sequitur fugientes! Mai infatti, né in vita né dopo la morte, la diffusa fama di santità suscitò attorno alla sua figura chiassosa pubblicità o fanatismo. E i doni straordinari e le grandi opere che per suo mezzo il Signore si è degnato di compiere, accadevano nel silenzio, senza che quasi nessuno se ne accorgesse. Tanto che molti dei suoi stessi confratelli, come testimoniarono al processo, se ne accorsero solo dopo la morte: «Io stesso non avrei mai creduto, perché durante la sua vita non mi risultava nulla di straordinario. Padre Leopoldo appariva un frate esemplare, ma nulla di più».
Per quel «nulla di più» quanti ottennero da lui, anche quando era in vita, grazie e miracoli, quanti “pesci grossi” il pentimento fino al dono delle lacrime, quanti innominati entrarono per quella porticina del suo confessionale… Quanti ricorderanno per tutta la vita quell’abbraccio, quello sguardo… E lui tutti affidava a Maria, colei a cui tutto è stato perdonato in anticipo. Quante ore della notte passò pregando per quelle anime? Quante volte il padre guardiano lo aveva trovato prima dell’alba in ginocchio per terra, nella penombra della cappella davanti alla statua della Madonna? Per lei aveva gesti di tenerezza infantile e la baciava e l’implorava con le lacrime agli occhi, come un bambino.
Negli ultimi tempi, malato di cancro all’esofago, le preghiere alla sua «cara Parona celeste» sono ancora più piene di commovente tenerezza: «Ho estremo bisogno» scrive a un amico «che Lei, la mia dolcissima Madre celeste, si degni di avere pietà di me. Il Suo cuore di madre si degni di guardare a questo povero me; si degni di avere pietà di me». E ai suoi confidenti chiedeva che la pregassero perché la sofferenza provocata dal male non fosse d’impedimento per attendere alle confessioni: «E La supplichi», chiedeva «supplichi il Suo cuore di madre ch’io possa servire umilmente Cristo Signore secondo la natura del mio ministero fino alla fine… Tutto, tutto per la salvezza delle anime… Tutto a gloria di Dio!».
All’alba di quel 30 luglio volle celebrare la messa ma per la debolezza venne riportato a letto. Sentendo venir meno le sue forze chiese ai suoi confratelli di intonare il Salve Regina. Ai versi finali si sollevò con gli occhi pieni di lacrime… Dulcis Virgo Maria, oh dolce Vergine Maria. Fu questo l’ultimo suo respiro. La sera prima aveva confessato cinquanta persone! L’ultima a mezzanotte.

Publié dans Fede, morale e teologia, Sacramento della penitenza e della riconciliazione, Sacramento dell’Ordine, San Leopoldo Mandic, Stile di vita | Pas de Commentaire »