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Il contagio della carità

Posté par atempodiblog le 4 juillet 2013

Il contagio della  carità
del card. François Xavier Nguyên Van Thuân
Tratto da: 30Giorni, 2002

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[...] poiché si agisce attraverso la politica, bisogna formare la gente che fa politica. Per questo io oso parlarne, facendolo da pastore. E, se il Santo Padre ha parlato del decalogo di Assisi, io vi parlo delle beatitudini del politico. Non peccati, ma beatitudini.

Le otto beatitudini del politico.

      1. Beato il politico che ha un’alta consapevolezza ed una profonda coscienza del suo ruolo.
Il Concilio Vaticano II ha definito la politica «arte nobile e difficile» (Gaudium et spes n. 73). Ad oltre trent’anni di distanza e in pieno fenomeno di globalizzazione, tale affermazione trova conferma nel considerare che alla debolezza e alla fragilità dei meccanismi economici di dimensioni planetarie si può rispondere solo con la forza della politica, cioè con un’architettura politica globale che sia forte e fondata su valori globalmente condivisi.

      2. Beato il politico la cui persona rispecchia la credibilità.
Ai nostri giorni, gli scandali nel mondo della politica, legati per lo più all’alto costo delle campagne elettorali, si moltiplicano facendo perdere credibilità ai suoi protagonisti. Per ribaltare questa situazione, una risposta forte è necessaria, una risposta che implichi riforma e purificazione al fine di riabilitare la figura del politico.

      3. Beato il politico che lavora per il bene comune e non per il suo proprio interesse.
Per vivere questa beatitudine, il politico interpelli la sua coscienza e si domandi: sto lavorando per il popolo o per me? Sto lavorando per la patria, per la cultura? Sto lavorando per onorare la moralità? Sto lavorando per l’umanità?

      4. Beato il politico che si mantiene fedelmente coerente.
Occorre una coerenza costante fra la sua fede e la sua vita di persona impegnata in politica; una coerenza ferma fra le sue parole e le sue azioni; una coerenza che onori e rispetti le promesse elettorali.

      5. Beato il politico che realizza l’unità e, facendone di Gesù il fulcro, la difende.
Questo, perché la divisione è autodistruzione. Si dice in Francia: «I cattolici francesi non sono mai in piedi tutti insieme, salvo che al momento del Vangelo». Mi sembra che questo detto popolare si possa applicare anche ai cattolici di molti altri Paesi!

      6. Beato il politico che è impegnato nella realizzazione di un cambiamento radicale.
Tale cambiamento avviene lottando contro la perversione intellettuale; avviene non chiamando bene ciò che è male; non relegando la religione nel privato; bensì stabilendo le priorità delle scelte sulla base della sua fede; avendo una magna charta: il Vangelo.

      7. Beato il politico che sa ascoltare.
Che sa ascoltare il popolo, prima, durante e dopo le elezioni; che sa ascoltare la propria coscienza; che sa ascoltare Dio nella preghiera. La sua attività ne trarrà certezze, sicurezza ed efficacia.

      8. Beato il politico che non ha paura.
Che non ha paura, prima di tutto, della verità: «La verità» dice Giovanni Paolo II «non ha bisogno di voti!». È di se stesso, piuttosto, che dovrà aver paura. Il ventesimo presidente degli Stati Uniti, James Garfield, usava dire: «Garfield ha paura soltanto di Garfield, perché si conosce». Non tema, il politico, i mass media. Al momento del giudizio finale egli dovrà rispondere a Dio, non ai mass media!

Quello che vi ho appena proposto è un sommario da pastore: io non entro nel campo della politica, posso sbagliare, ma parlo semplicemente da pastore.

Divisore dans Fede, morale e teologia

      E adesso, da vescovo che è stato in prigione, una piccola testimonianza, il racconto di una piccola esperienza. Sono stato in prigione per tredici anni, e nove anni in isolamento senza mai una visita della famiglia – soltanto due lettere della mia mamma – e senza giornali e libri. È una tortura mentale. La prigione era completamente vuota, c’era soltanto un’équipe di cinque giovani poliziotti comunisti che mi sorvegliavano senza rivolgermi mai la parola. Io mi domandavo che cosa potessi aver fatto loro, ma eravamo agli antipodi e loro evitavano di parlarmi, di comunicare. C’era soltanto una cosa: io avevo deciso di amarli. Ma poiché non potevo dare niente – ero così povero –, come mostrare loro che li amavo? Allora cominciai a raccontare loro della vita in Italia, dove avevo studiato, della mia vita prima in Europa, poi in America, in Asia, in Australia e in Nuova Zelanda. E allora pian piano la loro curiosità si eccitava, si avvicinavano e mi domandavano varie cose. Io rispondevo sempre, rispondevo anche alle domande offensive. Pian piano diventarono miei amici, mi chiesero di insegnare loro il francese e l’inglese e mi portarono libri affinché potessi studiare il russo: eravamo, infatti, sotto il comunismo.
      Un giorno dovevo tagliare della legna e chiesi ad uno di loro se mi poteva fare il favore di lasciarmi tagliare un pezzo di legno a forma di croce. «È vietato!», rispose. Poi aggiunse: «È vietato, non si può avere nessun segno religioso in prigione, ma lei è mio amico», e mi lasciò fare. «È impossibile», disse ancora, «andrò in prigione per questo», ma chiuse gli occhi e mi lasciò fare. «Sono tuo amico» mi disse; non poté più resistere. Ed andò via.
      Così mi lasciò il tempo per tagliare un pezzo di legno in forma di croce, che io nascosi nel sapone per tanti anni, fino alla mia liberazione, per evitare che i capi lo scoprissero durante i controlli. Poi lo incastonai nel metallo e ne feci la mia croce pettorale. Questa croce che oggi porto è fatta con il legno preso dalla prigione ed è stata costruita con la complicità dei poliziotti comunisti.

      In un’altra prigione un giorno domandai ad un poliziotto se mi poteva dare un filo elettrico. «Che cosa vuole fare con il filo elettrico?» mi chiese, «vuole suicidarsi?»; «No», risposi. «E allora a cosa le serve il filo elettrico?»; «vorrei fare una catena per portare la mia croce». «Ma come si può fare una catena con il filo elettrico?». In effetti i vescovi hanno almeno delle catene d’argento, ma un filo elettrico… Risposi che lo potevo fare. «Prestami due piccole tenaglie e ti mostrerò». «È contro la sicurezza» mi disse», «non posso». Ma pochi giorni dopo tornò per dirmi: «Lei è un buon amico, non posso rifiutare, domani è il mio turno di guardia ed io verrò con il filo elettrico. Ma in quattro ore bisogna finire il lavoro, dalle sette alle undici, altrimenti, se qualcuno ci vede, può denunciarci». Allora mi aiutò. Con pezzi di fiammiferi misurammo il filo elettrico per tagliarlo, e con le piccole tenaglie facemmo in quattro ore la catena per portare la croce. Anche questo con la complicità di poliziotti comunisti diventati amici di un vescovo.
Loro poi mi raccontarono: «Quando il capo ci ha convocati per mandarci a controllarla, ci ha detto: “Andate a sorvegliare questo pericoloso vescovo. Non parlategli, altrimenti lui vi contaminerà e sarò costretto a cambiarvi dopo due settimane con un altro gruppo”». Il capo però li seguiva per controllare i loro atteggiamenti. Alla fine li riconvocò e disse loro: «Ormai non vi cambierò più, perché se vi cambio ogni due settimane, questo pericoloso vescovo contaminerà tutta la polizia». 
     Ciò di cui avevano paura è l’amore cristiano. Questi poliziotti mi domandavano spesso: «Lei ci ama o no?». «Sì, io vi amo, ho vissuto con voi tanti anni». «È veramente molto bello, ma impossibile. La mettiamo in prigione per più di dieci anni senza giudizio, senza sentenza, e lei ci ama?». «Io vi amo». «Perché?». «Perché Gesù mi ha insegnato ad amarvi e se voi volete uccidermi io continuo ad amarvi». «Noi abbiamo imparato soltanto l’odio e la vendetta, è impossibile amare i nemici». «Ma siamo insieme, voi siete miei amici». «È vero, ma è incomprensibile».
Io penso, carissimi amici, che ciò che la Chiesa può fare nella giustizia, nel perdono, nella riconciliazione è un contributo molto valido per la giustizia e per la pace nel mondo di oggi. Grazie.

Divisore dans Misericordia

iconarrowti7 Beatificazione del  card. Van Thuân: domani la chiusura dell’inchiesta diocesana

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Silenzi operosi, decisionismo e pochi consiglieri. Ecco il metodo Bergoglio

Posté par atempodiblog le 4 juillet 2013

Silenzi operosi, decisionismo e pochi consiglieri. Ecco il metodo Bergoglio
di Matteo Matzuzzi – Il Foglio
Tratto da: Dagospia

Silenzi operosi, decisionismo e pochi consiglieri. Ecco il metodo Bergoglio dans Articoli di Giornali e News r576

Pochi si sbilanciano, oltretevere, sulle prossime mosse di Papa Francesco. Tra le Mura leonine si respira un clima di attesa, gli occhi sono puntati sulle finestre della suite numero 201 di Santa Marta, quella da cui Bergoglio farà partire le lettere in cui comunicherà le sue decisioni riguardo la governance vaticana.

E’ lì, su quel piccolo tavolo di legno scuro, che il Papa ha scritto il chirografo che istituisce la commissione d’inchiesta sullo Ior, ed è sempre in quella stanza al secondo piano del residence voluto da Giovanni Paolo II che ha ricevuto uno dopo l’altro i nunzi apostolici per parlare di governo della chiesa.

Prelati abituati per anni alla metodicità quasi kantiana di Joseph Ratzinger allargano le braccia, certi che ogni pronostico con questo Pontefice preso quasi alla fine del mondo” rischia di essere smentito alla prova dei fatti. L’enciclica sulla fede, secondo le indiscrezioni, sarebbe dovuta uscire non prima di novembre, a conclusione dell’Anno della fede. Invece Francesco ha sorpreso tutti, decidendo di anticiparne a luglio la pubblicazione.

Stesso copione riguardo il viaggio a Lampedusa di lunedì prossimo: nessuno ne sapeva nulla, l’agenda è stata stravolta all’ultimo minuto per volontà del Papa, nonostante solo pochi giorni prima fossero stati ufficializzati i suoi impegni per l’estate. In questi tre mesi e mezzo di pontificato, Francesco ha limitato al minimo necessario i contatti con la Segreteria di stato. Non vuole filtri, al punto che gli uffici curiali spesso si limitano a mettere in bella copia le sue volontà, prima di passarle alla Sala stampa per la diffusione ufficiale.

Niente di nuovo, dice chi lo conosce da tempo: anche a Buenos Aires faceva così. Non aveva neppure segretari. L’unico strumento indispensabile per lui era la piccola agenda da cui non si separava mai. Chiamava di persona al telefono preti e religiose della sua diocesi, senza trafile e perdite di tempo. Uno stile mantenuto anche a Roma una volta eletto Papa. Unica concessione alle pressioni della curia, l’aver accettato monsignor Alfred Xuereb come segretario personale (il sacerdote maltese rivestiva lo stesso ruolo anche con Benedetto XVI).

Per il resto, Francesco fa da solo. Le porte della suite sono aperte a tutti, lui ascolta in silenzio, si fa un’idea sul problema specifico, e poi agisce. Lo strumento con cui tiene sulla corda la curia è il silenzio. Un silenzio operoso, tipico della Compagnia ignaziana. Non fa trapelare nulla. Studia carte e documenti, prepara l’esortazione sull’evangelizzazione che sarà resa nota nei prossimi mesi, lavora alle omelie che pronuncerà a Rio de Janeiro, quando a fine luglio presiederà la Giornata mondiale della Gioventù.

Ed è nel silenzio che prepara la riforma dell’Istituto per le opere di religione. Un solo accenno pubblico alla banca presieduta dal tedesco Ernst von Freyberg, ma chiaro e netto – lo Ior è necessario, ma fino a un certo punto” – che aveva costretto la Segreteria di stato a intervenire per chiarire e rettificare il senso di quanto detto dal Papa.

Da allora Francesco ha studiato le mosse da compiere: prima la nomina (anche questa a sorpresa) del fidato Battista Ricca a prelato dell’istituto, poi l’istituzione di una commissione per fare luce sulle attività della banca con sede nel torrione di Niccolò V. Colpi silenziosi studiati a riflettori spenti che hanno portato il direttore generale e il suo vice a dimettersi subito, senza aspettare lettere ufficiali o prese di posizione dirette del Papa.

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Il segreto del beato Pier Giorgio Frassati

Posté par atempodiblog le 4 juillet 2013

Beato Pier Giorgio Frassati
Un foglio dedicato al Beato Pier Giorgio Frassati (1901 – 1925), con una breve storia della sua giovane vita e alcuni pensieri tratti dalle sue lettere.
Tratto da: Scribd

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Il Beato Pier Giorgio Frassati (6 aprile 1901 - 4 luglio 1925) è un giovane torinese di soli 24 anni, proclamato Beato da Giovanni Paolo II nel 1990 e presto divenuto uno dei Santi più amati dai giovani di tutto il mondo. La sua famiglia, una delle più ricche di Torino, era proprietaria del quotidiano “La Stampa”, ma Pier Giorgio decise ben presto che avrebbe diviso la sua eredità con i poveri. Per loro intraprese i difficili studi di ingegneria, sognando di servire Cristo fra i minatori. Egli avrebbe potuto essere l’idolo dell’alta società torinese, scelse invece il sacrificio e l’amore per gli ultimi. I suoi investimenti non erano di questo mondo: Pier Giorgio aveva una banca in Cielo che, secondo le sue stesse parole, rendeva il mille per cento. Avrebbe potuto vivere la sua giovinezza tra ricevimenti e feste da ballo, ma preferì essere il facchino dei poveri, trascinando per le vie di Torino i carretti carichi di masserizie degli sfrattati, o recapitando loro, in squallide soffitte, grossi pacchi colmi di cibo e indumenti. Egli, il figlio dell’Ambasciatore d’Italia a Berlino, il figlio del Senatore, con sorprendente umiltà si fece questuante per i suoi poveri, fino a ridursi al verde, così da rincasare spesso fuori orario per non avere neppure i pochi centesimi per il biglietto del tram.

Il segreto della santità di Pier Giorgio fu il suo grande amore per l’Eucaristia e per la Madonna. In breve tempo Gesù e Maria lo trasformarono, preparandolo per il Cielo, tanto da farlo esclamare:

“Il giorno della mia morte sarà il più bello della mia vita… Se Dio mi chiamerà, ubbidirò volentieri”.

L’Eucaristia quotidiana era il centro della sua giovane vita: per questo appuntamento si alzava molto presto, rinunciando perfino alle gite, se gli impedivano di partecipare alla S. Messa. Partecipava anche alle adorazioni notturne, notti intere passate in preghiera in una chiesa da cui usciva con gli amici alle prime luci dell’alba, urlando la sua gioia di vivere.

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La sua preghiera preferita era il S. Rosario, sgranato per strada o camminando sui sentieri di montagna, in compagnia di altri giovani o inginocchiato accanto al letto. Per ricordare loro l’impegno della preghiera e la devozione alla Vergine, che egli onorava in modo speciale nel Santuario di Oropa, Pier Giorgio amava regalare rosari.

Avrebbe potuto condurre un’esistenza spensierata e brillante, ma sentì più forte dentro di sé l’invito di Cristo Vieni e seguimi”. Fino alla fine. Fino alla morte, avvenuta nel 1925, due mesi prima della laurea, per una poliomielite fulminante, contratta proprio assistendo uno dei suoi malati. I funerali furono un accorrere di amici e soprattutto di poveri. I primi a restare allibiti, al vederlo tanto amato e tanto noto, furono i suoi familiari, che per la prima volta capirono dove Pier Giorgio avesse veramente abitato nei suoi pochi anni di vita, nonostante avesse una casa confortevole e ricca, dove arrivava sempre in ritardo a causa degli innumerevoli impegni in favore dei più bisognosi.

Nel 1989 Giovanni Paolo II, recatosi a pregare sulla tomba di Pier Giorgio, affermò:

“Volevo rendere omaggio ad un giovane che ha saputo testimoniare Cristo con singolare efficacia… Anch’io nella mia giovinezza ho sentito il benefico influsso del suo esempio e, da studente, sono rimasto impressionato dalla forza della sua testimonianza cristiana”.

E ancora, il 20 maggio 1990, giorno della sua Beatificazione, il Santo Padre disse:

“Egli se ne è andato giovane da questo mondo, ma ha lasciato un segno nell’intero secolo e non soltanto in questo secolo… Tutta immersa nel mistero di Dio e tutta dedita al costante servizio del  prossimo: così si può riassumere la sua giornata terrena”.

La Chiesa ne celebra la memoria il 4 luglio, giorno della sua nascita al Cielo.

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Preghiera al Beato Pier Giorgio Frassati

O Padre, Tu hai donato al giovane Pier Giorgio Frassati la gioia di incontrare Cristo e di vivere con coerenza la sua fede, nel servizio dei poveri e dei malati; per sua intercessione concedi anche a noi di salire come lui lungo i sentieri delle beatitudini evangeliche e di imitare la sua generosità per diffondere nella società lo spirito del Vangelo. Per Cristo Nostro Signore. Amen.

+ Giovanni Saldarini, Arcivescovo di Torino

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Pensieri del Beato Pier Giorgio Frassati

“Ho provato come sono vere le parole di S. Agostino: Signore, il nostro cuore non ha pace finché non riposa in Te. Infatti stolto è colui che va dietro alle gioie del mondo perché queste sono sempre passeggere e arrecano dolori, mentre l’unica vera gioia è quella che ci dà la fede… La fede è per me la prima cosa e per essa farò qualsiasi sacrificio… Solo la fede ci dà la possibilità di vivere”.

“Vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la Verità, non è vivere, ma vivacchiare… Anche attraverso ogni disillusione dobbiamo ricordare che siamo gli unici che possediamo la Verità”.

“Finché la fede mi darà la forza sarò sempre allegro. Ogni cattolico non può non essere allegro; la tristezza deve essere bandita dagli animi dei cattolici”.

“La fede datami dal Battesimo mi suggerisce con voce sicura: Date solo non farai nulla, ma se Dio avrai per centro di ogni tua azione allora arriverai fino alla fine”.

“Io vi esorto, o giovani, con tutte le forze dell’anima, ad accostarvi il più possibile alla Mensa Eucaristica; cibatevi di questo Pane degli Angeli e di là trarrete la forza per combattere le lotte interne, contro le passioni e contro tutte le avversità!”.

“Gesù mi fa visita ogni mattina nella Comunione, io la restituisco nel misero modo che posso, visitando i poveri”.

“Non bisogna dare degli stracci ai poveri!… Non dimenticare mai che, anche se la casa è sordida, tu ti avvicini a Cristo, che ha detto: il bene fatto a loro è fatto a Lui. Intorno al miserabile io vedo una luce che noi non abbiamo… Il nostro servizio fa maggior bene a noi che ai poveri… Dovunque si può sempre fare un po’ di bene”.

“La pace sia nel tuo animo; ogni altro dono che si possegga in questa vita è vanità, come sono vane tutte le cose del mondo”.

“La nostra vita, per essere cristiana, è una continua rinunzia, un continuo sacrificio, che però non è pesante, quando solo si pensi che cosa sono questi pochi anni passati nel dolore, in confronto all’eternità felice, dove la gioia non avrà misura e fine, dove godremo una pace che non si può immaginare”.

“Bello è vivere in quanto al di là v’è la nostra vera Vita, altrimenti chi potrebbe portare il peso di questa esistenza? Se non vi fosse un premio alle sofferenze, un gaudio eterno, come si potrebbe spiegare la rassegnazione ammirabile di tante povere creature che lottano con la vita e spesse volte muoiono sulla breccia, se non ci fosse la certezza della Giustizia di Dio?”.

“La vita degli onesti è la più difficile, ma è la più breve per raggiungere quella del Cielo… La morte, unico mistero, non guarda in faccia nessuno, e dissolverà il mio corpo e in poco tempo lo renderà in polvere. Ma, oltre al corpo, c’è l’anima a cui bisogna che dedichiamo tutte le nostre forze, perché possa presentarsi al Tribunale di Dio senza colpa… D’ora in poi cercherò di fare ogni giorno una piccola preparazione alla morte per non dovermi trovare impreparato in punto di morte e dover rimpiangere gli anni belli della gioventù, sprecati sul lato spirituale… La vita deve essere una preparazione continua per l’altra, perché non si sa mai il giorno e l’ora del nostro trapasso”.

“Questa vita è breve; soltanto dopo viene la vera Vita, nella quale trionferà la Giustizia… Nel giorno il cui il Signore vorrà, ci ritroveremo insieme nella nostra vera Patria a cantare le lodi di Dio”.

“L’avvenire è nelle mani di Dio e meglio di così non potrebbe andare”.

“Che enorme valore ha l’essere in salute come lo siamo noi! Perciò la nostra salute deve essere messa al servizio di chi non ne ha, ché altrimenti si tradirebbe il dono stesso di Dio e la sua benevolenza”.

“Non bisogna dimenticare che se gli esercizi fisici irrobustiscono il corpo, è necessario che altrettanto sani e forti principi morali affinino e irrobustiscano l’anima”.

“Non chi subisce deve temere, ma chi usa la prepotenza. Quando Dio è con noi, non si deve aver paura di nulla e di nessuno… C’è Dio che ci difende e ci dà forza”.

“Ci trattarono male, ma noi abbiamo risposto recitando il S. Rosario… Il mio testamento (il S. Rosario) lo porto sempre con me”.

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