Nostra Signora Aparecida

Posté par atempodiblog le 11 juin 2013

Nostra Signora Aparecida
Anno 1717. Dalle acque del fiume Paraíba emerge una statuetta della Vergine ricoperta di fango. È l’inizio della devozione di un intero popolo
di Stefania Falascala – 30Giorni

Il tempio fu inaugurato il 26 giugno del 1745 con l’invocazione di Nostra Signora Aparecida.
Il 16 giugno del 1930 papa Pio XI dichiarò Nostra Signora Aparecida patrona del Brasile.
Il 4 luglio del 1980, l’attuale Basilica, che ha dimensioni appena inferiori a quelle di San Pietro in Vaticano, fu consacrata da Giovanni Paolo II.

Nostra Signora Aparecida dans Apparizioni mariane e santuari aparecida

«Nostra Signora Aparecida!

In questo momento così solenne, così eccezionale, voglio aprire davanti a voi, o Madre, il cuore di questo popolo, in mezzo al quale avete voluto dimorare in un modo tanto speciale […]. Desidero aprire davanti a voi il cuore della Chiesa e il cuore del mondo al quale questa Chiesa fu mandata dal vostro Figlio. Desidero aprirvi anche il mio cuore […]. Maria! Io vi saluto e vi dico “Ave”! In questo santuario, dove la Chiesa del Brasile vi ama, vi venera e vi invoca come Aparecida, come a lei rivelata e data in modo particolare! Come sua Madre e Patrona! […] Come modello di tutte le anime che possiedono la vera sapienza e, nello stesso tempo, la semplicità del bimbo e quell’intima fiducia che supera ogni debolezza e ogni sofferenza!».
(Preghiera di Giovanni Paolo II nella Basilica di Aparecida, 4 luglio 1980)

La storia
Era il 1554. Un gruppo di gesuiti guidato da padre José de Anchieta arrivò a San Paolo con il desiderio di trasmettere il tesoro della fede cristiana agli indios Tupi e Guaraní. Fondarono San Paolo, che diventò un importante centro di evangelizzazione. I missionari insegnavano con molto fervore la devozione alla Vergine Maria, mettendo in rilievo il ruolo che lei, come Madre di Dio, ha avuto nell’opera della redenzione. Tutti i pomeriggi c’era la catechesi e si pregava il santo rosario. In molti villaggi e città si diffusero le confraternite del rosario, si facevano processioni e novene.
Arriva il 1717. Il governatore della capitania di San Paolo, don Pedro de Almeida, è in viaggio verso Minas Gerais e deve passare per la Valle del Paraíba. Per l’alimentazione del governatore e della sua comitiva era stato chiesto ai pescatori del posto che portassero la maggior quantità possibile di pesci.
I pescatori, tra cui Domingo Martins, Juan Alves e Felipe Pedroso, presero le loro canoe, andarono verso il fiume Paraíba e cominciarono a pescare. Lanciarono le reti più e più volte ma non riuscirono a prendere niente. Navigarono per circa sei chilometri lungo il fiume, fino al porto di Itaguassú. Buttarono di nuovo le reti ma l’unica cosa che presero fu una statuetta ricoperta di fango e senza la testa. Quando la ributtarono in acqua apparve la sua testa e scoprirono che era l’immagine di Nostra Signora della Concezione. I pescatori tornarono a casa con una grande quantità di pesci e molto sorpresi da quanto era accaduto. Felipe Pedroso conservò l’immagine a casa sua per circa sei anni e nel 1733 la regalò a suo figlio. Questi fece costruire un oratorio e vi pose l’immagine della Vergine.
Presto cominciarono ad accadere prodigi straordinari e la fama della Vergine si diffuse spontaneamente. Il numero di pellegrini che venivano dai villaggi vicini era molto cresciuto e la piccola cappella di Itaguassú non era più sufficiente a contenerli. Così il vicario della parrocchia di Guaratinguetá fece costruire una cappella più grande nel Morro dos Coqueiros. Il tempio fu inaugurato il 26 giugno del 1745 con l’invocazione di Nostra Signora Aparecida. Il numero di pellegrini continuò ad aumentare e la devozione si estese in tutto il Brasile. Molte chiese e cappelle vennero dedicate a Nostra Signora Aparecida e ovunque era invocata come Madre e Patrona. Nel 1852 venne fatta una nuova costruzione e nel 1888 un’altra ancora. Nel 1904 l’immagine fu solennemente incoronata e nel 1908 il tempio fu elevato a Basilica minore. Il 16 giugno del 1930 papa Pio XI dichiarò Nostra Signora Aparecida patrona del Brasile. Nel 1946 ebbe inizio la costruzione dell’attuale Basilica. Nel 1967, per commemorare i 250 anni del rinvenimento dell’immagine nelle acque del fiume, papa Paolo VI inviò una rosa d’oro che fu posta ai piedi del trono. Il 4 luglio del 1980, l’attuale Basilica, che ha dimensioni appena inferiori a quelle di San Pietro in Vaticano, fu consacrata da Giovanni Paolo II.

Divisore dans San Francesco di Sales

Per approfondire: Freccia dans Viaggi & Vacanze La Madonna Aparecida regina e patrona del Brasile

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Papa Francesco e “Il Signore degli Anelli”: la via per la salvezza

Posté par atempodiblog le 10 juin 2013

Papa Francesco e “Il Signore degli Anelli”: la via per la salvezza
di Antonio Socci – Libero

Papa Francesco e “Il Signore degli Anelli”: la via per la salvezza dans Antonio Socci portigrigi

Giovanni Paolo II è stato un grande papa condottiero della libertà. Benedetto XVI è stato il vero illuminista – ha inondato di luce razionale illuminata dalla fede – un occidente ottenebrato dall’irrazionalità nichilista.
Ma né l’uno né l’altro sono stati ascoltati da questa Europa in declino che sembra correre verso il baratro.
Così – per uno spettacolare colpo di fantasia del Conclave (e dello Spirito Santo) – è arrivato papa Francesco che parla più ai piccoli e ai semplici cristiani che alle élite, alle accademie e ai salotti. Col risultato che le élite non lo capiscono. Esce da tutti i loro schemi mentali.
Ebbene, per sintonizzarsi con questo pontificato secondo me bisogna leggere “Il Signore degli Anelli” di John R. R. Tolkien. O meglio rileggerlo attraverso l’interpretazione che ne dà un monaco benedettino, Giulio Meiattini, nel libro “La discrezione di Dio”. Interpretazione che ha, sullo sfondo, il libro di Paolo Gulisano, “Tolkien: il mito e la grazia”, opera che ha il merito di mettere a fuoco la cattolicità di Tolkien.

OCCIDENTE
Padre Meiattini nota che lo scenario  su cui si muovono le vicende narrate dallo scrittore inglese è “quello, storicamente determinato, della crisi contemporanea della civiltà occidentale”, l’epoca di Spengler, Huizinga, Jasper.
Tolkien scrisse il suo poema epico negli anni fra le due guerre mondiali, quando imperversavano i due orrendi totalitarismi, nazista e comunista, e nuove minacce planetarie – come l’arma atomica – venivano apparecchiate dalla scienza.
La Terra di mezzo “possiede alcuni tratti fondamentali del Vecchio Continente, del mondo occidentale europeo” che – in rovina – si trova a dover “fronteggiare un’immensa forza negativa, violenta e distruttrice, che da Est, dalla terra di Mordor, allarga sempre più il suo raggio d’azione”.
In questo quadro l’ultimo “baluardo a difesa dell’Occidente” – come scrive Tolkien, è rappresentato dalla fortezza di Minas Tirith, eretta degli uomini di Gondor. E’ ciò che rimane di quello che fu il magnifico regno di Numenor (nome che significa appunto “regno dell’Occidente”).
Negli anni in cui l’inglese Tolkien scriveva l’Oriente era il luogo dei totalitarismi, dell’orrore e delle ideologie assassine. Proprio perché egli non volle scrivere un poema allegorico a sfondo politico, morale o religioso, ha creato un capolavoro che contiene tutte insieme queste chiavi di lettura.
Così è attuale anche oggi che la minaccia per l’Europa è cambiata. Infatti nella nostra epoca il tenebroso oriente, la terra di Mordor e l’oscuro Sauron sono impersonati da altre forze. Ma i Sauron di tutte le epoche sono accomunati dalla stessa menzogna: la pretesa di porsi al posto di Dio.

LA SPERANZA
Per questo – come scrive Gulisano – “Il Signore degli Anelli rappresenta un autentico manuale di sopravvivenza tra gli errori e gli orrori della modernità”.
Anche oggi del resto sentiamo risuonare l’allarme apocalittico di Denethor, re di Gondor: “L’Occidente soccombe. Avvamperà un enorme incendio e tutto scomparirà”.
Qual è dunque – per Tolkien – la via della salvezza? Egli mette sulle labbra del grande e saggio Gandalf  l’intuizione più preziosa: “Le nostre forze sono state appena sufficienti a respingere il primo assalto. Il prossimo sarà più massiccio. Questa guerra è quindi senza speranza, come Denethor aveva intuito. La vittoria non può raggiungersi con le armi”.
Sembrerebbe un’affermazione disperata, ma poi Gandalf precisa: “Ho detto che la vittoria non si potrà raggiungere con le armi. Spero ancora nella vittoria, ma non nelle armi”.
E qui c’è la sorpresa, la grande intuizione di Tolkien, che poi è il paradosso cristiano. In chi Gandalf ripone la sua speranza? In un Eroe solitario? In una pattuglia di arditi? In una qualche stregoneria esoterica? In una nuova arma spettacolare e devastante?
No, nel giovane Frodo Baggins, uno hobbit, un ragazzino inerme, senza alcun potere, senza alcun sapere, un adolescente buono, semplice e inesperto.
E’ lui – la creatura meno tentata dall’Anello (metafora del Potere) – che si prenderà il gravoso incarico di avventurarsi nell’orrida terra del nemico e, in cima al monte Fato, gettare l’Anello nel vulcano.
Quell’Anello va distrutto perché – come dice Gandalf – “se Sauron lo riconquista, il vostro valore è vano e la sua vittoria sarà rapida e totale… se invece l’anello viene distrutto egli soccomberà”.

PER VINCERE
A prima vista viene da obiettare: perché non usare proprio l’anello di Sauron per sconfiggere lo stesso Sauron? Tolkien mostra che questa è la tentazione di tutti, ma è anche l’inganno più terribile e devastante.
“La salvezza dell’Occidente” scrive padre Meiattini “non è dunque dipendente dal potere militare o tecnologico, cose in cui Sauron non teme rivali e sulle quali edifica il suo regno, distruttivo contemporaneamente della natura e dei legami umani più veri”.
La salvezza è di natura spirituale.
“La salvezza” spiega Meiattini “dipende dal solitario cammino di un hobbit debole e inerme che porta, senza cedervi, il peso della tentazione e che alla fine distrugge la tentazione stessa, insieme all’anello che ne è l’oggetto e la fonte, vincendo non per forza propria, ma per un colpo di scena della Grazia”.
Quella di Frodo, “il Portatore dell’Anello”, è un’autentica Via Crucis, ma – osserva padre Meiattini – “chi sceglie la via della debolezza e della povertà, proprio grazie alla sua totale estraneità ai percorsi storici e mentali dell’autoaffermazione prevaricante del soggetto, sfugge alla presa dell’Occhio e dell’Ombra. Questa è l’unica mossa che Sauron non si aspetterebbe mai, l’unica che lo prenderebbe di sorpresa: che qualcuno decidesse di disfarsi dell’Anello del potere, di distruggerlo, invece di usarlo. Per lui questo sarebbe follia”.
E’ precisamente la “follia” cristiana, la “follia” di un Dio onnipotente che si fa uomo e che si lascia crocifiggere.
Conclude Meiattini: “la vera battaglia che salva l’Occidente, perciò, non è quella che si combatte sotto i bastioni di Minas Tirith, ma la battaglia del cuore, della mente e del corpo che in primo luogo Frodo sostiene per tutti”.

IL CAMMINO E LA GRAZIA
La sua “progressiva purificazione”, il sostegno della Compagnia dell’Anello, preziosa pur essendo anche i suoi membri soggetti alla caduta e al tradimento, come lui del resto (ma ce ne sono anche puri e fedeli come l’amico Sam), infine certi aiuti come quel cibo degli elfi, il “lembas”, che è una chiara metafora dell’eucarestia, segnano un cammino spirituale che porta il giovane Frodo alla salvezza del suo mondo.
Frodo vince non con l’autoaffermazione, ma proprio col sacrificio e la rinuncia. Del resto egli è il vero antieroe.
Il Novecento (quel Novecento delle ideologie che tanto hanno disprezzato il “piccolo borghese”) si è ubriacato con il culto dell’eroe, del superuomo, del Capo, delle forze storiche (la Classe, la Razza), delle entità divinizzate a cui sacrificare i popoli (il Mercato, lo Stato, il Partito, la Rivoluzione, la Scienza). Da qui è venuta e viene la minaccia e la rovina per la loro “pretesa divina”.
Invece la salvezza viene dal piccolo e debole uomo singolo, dalla sua silenziosa offerta di sé. Secondo Meiattini “è presente nell’opera di Tolkien una teologia della sostituzione vicaria che lo avvicina ad altri grandi romanzieri cattolici come Bernanos, Mauriac, Gertrude von le Fort”.
Vorrei aggiungere che lo avvicina ai santi del Novecento (cito padre Kolbe e padre Pio per tutti). Ma Frodo, il vero eroe del nostro tempo, è anzitutto il simbolo del bistrattato uomo semplice, del singolo, il fante delle due guerre mondiali, il padre di famiglia, l’uomo comune, il piccolo borghese, l’adolescente.
E’ soprattutto a lui che parla papa Francesco chiamandolo a salvare il mondo. Non con le proprie forze, ma con la Grazia.
Dice Meiattini: “è la grazia infatti la protagonista invisibile, ma palpabile del Signore degli Anelli”. E’ solo la Grazia che crea eroi veri.

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La memoria

Posté par atempodiblog le 8 juin 2013

La memoria dans Citazioni, frasi e pensieri papafrancescomemoria

“La memoria è una custodia della Parola di Dio. Ci aiuta a custodirla, a ricordare tutto quello che il Signore ha fatto nella mia vita”. Ci ricorda, ha detto ancora, “tutte le meraviglie della salvezza nel suo popolo e nel mio cuore. La memoria custodisce la Parola di Dio”.

Papa Francesco
Tratta da: Radio Vaticana

divisore dans Medjugorje

iconarrowti7 La preghiera di memoria (di Padre Livio Fanzaga)

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La Basilica di Nostra Signora delle Vittorie di Parigi

Posté par atempodiblog le 8 juin 2013

La Basilica di Nostra Signora delle Vittorie di Parigi dans Apparizioni mariane e santuari Nostra-Signora-delle-Vittorie-Parigi

Studiando l’apparizione della Madonna a Pellvoisin, ho scoperto che a Parigi esiste un altro luogo (oltre a Rue du Bac, ndr) dove la Madre di Dio ha riversato dal Suo cuore di madre un torrente di grazie. Infatti avendo la veggente Stella Faguette chiesto alla Madonna perché fosse apparsa in un paesino sperduto e difficilmente raggiungibile come Pellevoisin, e non nella Basilica di Nostra Signora delle Vittorie a Parigi, la Santa Vergine risponde che lì aveva già dato molti segni della sua potenza, mentre a Pellevoisin non c’era nulla ed era necessario un nuovo impulso.

Padre Livio Fanzaga

La Basilica di Nostra Signora delle Vittorie di Parigi

Originariamente costruita nel 1629 in segno di ringraziamento per i favori ricevuti da Luigi XIII e dedicata alla Beata Vergine, nel terzo decennio dell’Ottocento versava ormai in profondo declino. La Chiesa aveva subito un degrado all’epoca della Rivoluzione Francese e negli anni successivi era stata trasformata in Borsa dei Valori prima di ritornare alla sua antica destinazione nel 1809, ma con pochissimi parrocchiani.

Dopo il suo arrivo nel 1832 il parroco Charles Desgenettes dovette lottare contro la generale indifferenza religiosa e persino alcune manifestazioni di ostilità. Convinto che la causa di ciò fosse la sua incapacità personale, arrivò al punto di chiedere all’Arcivescovo di rimuoverlo dall’incarico, ma la sua richiesta fu rifiutata. Egli continuò comunque a pregare per i suoi parrocchiani e alla fine le sue preghiere furono ascoltate.

Nel celebrare la Messa del 3 dicembre 1836 fu assalito da pensieri insolitamente persistenti che lo turbarono e che lo indussero a pregare per chiedere sollievo. Quasi subito nel centro del suo essere udì una voce che gli diceva di consacrare la sua chiesa al Sacro Cuore Immacolato di Maria. In quello stesso istante il senso di malessere e turbamento che lo aveva colto svanì ed egli provò una grande calma. Tornato in sacrestia sentì nuovamente riaffiorare il turbamento, ma udì subito la voce che gli ripeteva la richiesta di consacrazione. Don Desgenettes riconobbe l’aspetto verosimilmente soprannaturale dell’accaduto.

Un impulso interiore lo spinse ad agire di conseguenza, giunto a casa stilò gli statuti di un’associazione in onore al Cuore Immacolato di Maria per la conversione dei peccatori. Nel giro di una settimana questi statuti furono accolti dall’Arcivescovo di Parigi ed ebbe così inizio l’opera della celebre confraternita di Nostra Signora delle Vittorie. Un’associazione che avrebbe esercitato la sua influenza in tutto il mondo, divenendo su istanza del Papa un’Arciconfraternita mondiale. Con tale impeto l’associazione crebbe rapidamente e riuscì a promuovere il concetto di intercessione attraverso il Cuore Immacolato di Maria. Essa inoltre rese popolare la nozione di consacrazione mariana.

L’importanza di questo movimento e di quello della Medaglia Miracolosa sta nel fatto che costituiscono lo sfondo delle varie apparizioni mariane, di carattere pubblico, verificatesi nella Francia di fine Ottocento. Ciò significa che apparizioni come quelle di La Salette, Lourdes e Pontmain andrebbero inquadrate nel contesto di una generale ripresa del cattolicesimo con particolare enfasi sulla devozione a Maria.

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Lasciamoci amare dalla tenerezza di Dio: così il Papa a Santa Marta nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù

Posté par atempodiblog le 7 juin 2013

Lasciarci amare dal Signore con tenerezza è difficile ma è quanto dobbiamo chiedere a Dio: è l’invito di Papa Francesco nella Messa di stamani a “Santa Marta”, parlando dell’odierna solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù. Era presente il personale dell’Archivio Segreto Vaticano: a concelebrare l’archivista di Santa Romana Chiesa, mons. Jean-Louis Bruguès, e il prefetto, mons. Sergio Pagano.
di Benedetta Capelli – Radio Vaticana

Il genere umano è stato consacrato al Sacro Cuore di Gesù dans Sacri Cuori di Gesù e Maria sacrocuorepapa

Gesù ci ha amato tanto non con le parole ma con le opere e con la sua vita. Papa Francesco lo ripete più volte nell’omelia di oggi, nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù che lui stesso definisce “la festa dell’amore”, di un “cuore che ha amato tanto”. Un amore che, come ripeteva Sant’Ignazio, “si manifesta più nelle opere che nelle parole” e che è soprattutto “più dare che ricevere”. “Questi due criteri – evidenzia il Papa – sono come i pilastri del vero amore” ed è il Buon Pastore a rappresentare in tutto l’amore di Dio. Lui conosce una per una le sue pecorelle, “perché – aggiunge Papa Francesco – l’amore non è un amore astratto o generale: è l’amore verso ognuno”:

“Un Dio che si fa vicino per amore, cammina con il suo popolo e questo camminare arriva ad un punto che è inimmaginabile. Mai si può pensare che lo stesso Signore si fa uno di noi e cammina con noi, rimane con noi, rimane nella sua Chiesa, rimane nell’Eucarestia, rimane nella sua Parola, rimane nei poveri, rimane con noi camminando. E questa è vicinanza: il pastore vicino al suo gregge, vicino alle sue pecorelle, che conosce una ad una”.

Spiegando ancora un passaggio del Libro del profeta Ezechiele, il Papa mette in luce un altro aspetto dell’amore di Dio: la cura per la pecora smarrita e per quella ferita e malata:

“Tenerezza! Ma il Signore ci ama con tenerezza. Il Signore sa quella bella scienza delle carezze, quella tenerezza di Dio. Non ci ama con le parole. Lui si avvicina – vicinanza – e ci dà quell’amore con tenerezza. Vicinanza e tenerezza! Queste due maniere dell’amore del Signore che si fa vicino e dà tutto il suo amore con le cose anche più piccole: con la tenerezza. E questo è un amore forte, perché vicinanza e tenerezza ci fanno vedere la fortezza dell’amore di Dio”.

“Ma amate voi come io vi ho amato?” è questa la domanda che Papa Francesco pone, sottolineando come l’amore debba “farsi vicino al prossimo”, debba essere “come quello del buon samaritano” e in particolare nel segno della “vicinanza e tenerezza”. Ma come restituire tutto questo amore al Signore? È l’altro punto sul quale il Pontefice si sofferma: senz’altro “amandolo”, farsi “vicini a Lui”, “teneri con Lui”, ma questo non basta:

“Questa può sembrare un’eresia, ma è la verità più grande! Più difficile che amare Dio è lasciarci amare da Lui! La maniera di ridare tanto amore è aprire il cuore e lasciarci amare. Lasciare che Lui si faccia vicino a noi e sentirlo vicino. Lasciare che Lui si faccia tenero, ci carezzi. Quello è tanto difficile: lasciarci amare da Lui. E questo è forse quello che dobbiamo chiedere oggi nella Messa: ‘Signore io voglio amarti, ma insegnami la difficile scienza, la difficile abitudine di lasciarmi amare da Te, di sentirti vicino e di sentirti tenero!’. Che il Signore ci dia questa grazia!”.

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Il genere umano è stato consacrato al Sacro Cuore di Gesù

Posté par atempodiblog le 7 juin 2013

Il genere umano è stato consacrato al Sacro Cuore di Gesù attraverso l’enciclica Annum sacrum di papa Leone XIII (1810-1903), del 1899. (Il Timone)

«Annum sacrum»
Lettera enciclica di Leone XIII
sulla consacrazione dell’umanità al sacro Cuore di Gesù
(25 maggio 1899)

Tratta da: Piccoli figli della Luce

Il genere umano è stato consacrato al Sacro Cuore di Gesù dans Fede, morale e teologia Il-Sacro-Cuore-di-Ges

Con nostra lettera apostolica abbiamo recentemente promulgato, come ben sapete, l’anno santo, che, secondo la tradizione, dovrà essere tra poco celebrato in quest’alma città di Roma. Oggi, nella speranza e nell’intenzione di rendere più santa questa grande solennità religiosa, proponiamo e raccomandiamo un altro atto veramente solenne. E abbiamo tutte le ragioni, se esso sarà compiuto da tutti con sincerità di cuore e con unanime e spontanea volontà, di attenderci frutti straordinari e duraturi a vantaggio della religione cristiana e di tutto il genere umano.

Più volte, sull’esempio dei nostri predecessori Innocenzo XII, Benedetto XIII, Clemente XIII, Pio VI, Pio VII, Pio IX, ci siamo adoperati di promuovere e di mettere in sempre più viva luce quella eccellentissima forma di religiosa pietà, che è il culto del sacratissimo Cuore di Gesù. Tale era lo scopo principale del nostro decreto del 28 giugno 1889, col quale abbiamo innalzato a rito di prima classe la festa del sacro Cuore. Ora però pensiamo a una forma di ancor più splendido omaggio, che sia come il culmine e il coronamento di tutti gli onori, che sono stati tributati finora a questo Cuore sacratissimo e abbiamo fiducia che sia di sommo gradimento al nostro redentore Gesù Cristo. La cosa, in verità, non è nuova. Venticinque anni fa infatti, all’approssimarsi del II centenario diretto a commemorare la missione che la beata Margherita Maria Alacoque aveva ricevuto dall’alto, di propagare il culto dei divin Cuore, da ogni parte, non solo da privati, ma anche da vescovi, pervennero numerose lettere a Pio IX, con le quali si chiedeva che si degnasse di consacrare il genere umano all’augustissimo Cuore di Gesù. Si preferì, in quelle circostanze, rimandare la cosa per una decisione più matura; nel frattempo si dava facoltà alle città, che lo desideravano, di consacrarsi con la formula prescritta. Sopraggiunti ora nuovi motivi, giudichiamo maturo il tempo di realizzare quel progetto.

La consacrazione a Gesù Cristo è dovuta per diritto di natura

Questa universale e solenne testimonianza di onore e di pietà è pienamente dovuta a Gesù Cristo proprio perché re e signore di tutte le cose. La sua autorità infatti non si estende solo ai popoli che professano la fede cattolica e a coloro che, validamente battezzati, appartengono di diritto alla chiesa (anche se errori dottrinali li tengono lontani da essa o dissensi hanno infranto i vincoli della carità), ma abbraccia anche tutti coloro che sono privi della fede cristiana. Ecco perché tutta l’umanità è realmente sotto il potere di Gesù Cristo. Infatti colui che è il Figlio unigenito del Padre e ha in comune con lui la stessa natura, «irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza» (Eb 1,3), ha necessariamente tutto in comune con il Padre e quindi il pieno potere su tutte le cose. Questa è la ragione perché il Figlio di Dio, per bocca del profeta, può affermare: «Sono stato costituito sovrano su Sion, suo monte santo. Il Signore mi ha detto: Tu sei mio Figlio; io oggi ti ho generato. Chiedi a me e ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra» (Sal 2,6-8). Con queste parole egli dichiara di aver ricevuto da Dio il potere non solo su tutta la chiesa, raffigurata in Sion, ma anche su tutto il resto della terra, fin dove si estendono i suoi confini. Il fondamento poi di questo potere universale è chiaramente espresso in quelle parole: «Tu sei mio Figlio». Per il fatto stesso di essere il figlio del re di tutte le cose, è anche erede del suo potere universale. Per questo il salmista continua con le parole: «Ti darò in possesso le genti». Simili a queste sono le parole dell’apostolo Paolo: «L’ha costituito erede di tutte le cose» (Eb 1,2).
Si deve tener presente soprattutto ciò che Gesù Cristo, non attraverso i suoi apostoli e profeti, ma con le stesse sue parole ha affermato del suo potere. Al governatore romano che gli chiedeva: «Dunque tu sei re», egli, senza esitazione, rispose: «Tu lo dici; io sono re» (Gv 18,37). La vastità poi del suo potere e l’ampiezza senza limiti del suo regno sono chiaramente confermate dalle parole rivolte agli apostoli: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (Mt 28,18). Se a Cristo è stato concesso ogni potere, ne segue necessariamente che il suo dominio deve essere sovrano, assoluto, non soggetto ad alcuno, tanto che non ne può esistere un altro né uguale né simile. E siccome questo potere gli è stato dato e in cielo e in terra, devono stare a lui soggetti il cielo e la terra. Di fatto egli esercitò questo suo proprio e individuale diritto quando ordinò agli apostoli di predicare la sua dottrina, di radunare, per mezzo del battesimo, tutti gli uomini nell’unico corpo della chiesa, e di imporre delle leggi, alle quali nessuno può sottrarsi senza mettere in pericolo la propria salvezza eterna.

La consacrazione a Gesù Cristo è dovuta per diritto acquisito

E non è tutto. Cristo non ha il potere di comandare soltanto per diritto di nascita, essendo il Figlio unigenito di Dio, ma anche per diritto acquisito. Egli infatti ci ha liberato «dal potere delle tenebre» (Col 1,13) e «ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1Tm 2,6). E perciò per lui non soltanto i cattolici e quanti hanno ricevuto il battesimo, ma anche tutti e singoli gli uomini sono diventati «un popolo che egli si è conquistato» (1 Pt 2,9). A questo proposito sant’Agostino osserva giustamente: «Volete sapere che cosa ha comprato? Fate attenzione a ciò che ha dato e capirete che cosa ha comprato. Il sangue di Cristo: ecco il prezzo. Che cosa può valere tanto? Che cosa se non il mondo intero? Per tutto ha dato tutto» (Tract. 120 In Ioan.).
San Tommaso, trattando della questione, indica perché e come gli infedeli sono soggetti al potere e alla giurisdizione di Gesù Cristo. Posto infatti il quesito se il suo potere di giudice si estenda o no a tutti gli uomini, risponde che, siccome «il potere di giudice è una conseguenza del potere regale», si deve concludere che «quanto alla potestà, tutto è soggetto a Gesù Cristo, anche se non tutto gli è soggetto quanto all’esercizio del suo potere» (Summa theol., III, q. 59, a. 4 ad 2.). Questa potestà e questo dominio sugli uomini lo esercita per mezzo della verità, della giustizia, ma soprattutto per mezzo della carità.

Gesù Cristo desidera la nostra volontaria consacrazione

Tuttavia Gesù, per sua bontà, a questo suo duplice titolo di potere e di dominio, permette che noi aggiungiamo, da parte nostra, il titolo di una volontaria consacrazione. Gesù Cristo, come Dio e Redentore, è senza dubbio in pieno e perfetto possesso di tutto ciò che esiste, mentre noi siamo tanto poveri e indigenti da non aver nulla da potergli offrire come cosa verarnente nostra. Tuttavia, nella sua infinita bontà e amore, non solo non ricusa che gli offriamo e consacriamo ciò che è suo, come se fosse bene nostro, ma anzi lo desidera e lo domanda: «Figlio, dammi il tuo cuore» (Pro 23,26). Possiamo dunque con la nostra buona volontà e le buone disposizioni dell’animo fare a lui un dono gradito. Consacrandoci infatti a lui, non solo riconosciamo e accettiamo apertamente e con gioia il suo dominio, ma coi fatti affermiamo che, se quel che offriamo fosse veramente nostro, glielo offriremmo lo stesso di tutto cuore. In più lo preghiamo che non gli dispiaccia di ricevere da noi ciò che, in realtà, è pienamente suo. Così va inteso l’atto di cui parliamo e questa è la portata delle nostre parole.
Poiché il sacro Cuore è il simbolo e l’immagine trasparente dell’infinita carità di Gesù Cristo, che ci sprona a rendergli amore per amore, è quanto mai conveniente consacrarsi al suo augustissimo Cuore, che non significa altro che donarsi e unirsi a Gesù Cristo. Ogni atto di onore, di omaggio e di pietà infatti tributati al divin Cuore, in realtà è rivolto allo stesso Cristo.
Sollecitiamo pertanto ed esortiamo tutti coloro che conoscono e amano il divin Cuore a compiere spontaneamente questo atto di consacrazione. Inoltre desideriamo vivamente che esso si compia da tutti nel medesimo giorno, affinché i sentimenti di tante migliaia di cuori, che fanno la stessa offerta, salgano tutti, nello stesso tempo, al trono di Dio.
Ma come potremo dimenticare quella stragrande moltitudine di persone, per le quali non è ancora brillata la luce della verità cristiana? Noi teniamo il posto di colui che è venuto a salvare ciò che era perduto e diede il suo sangue per la salvezza di tutti gli uomini. Ecco perché la nostra sollecitudine è continuamente rivolta a coloro che giacciono ancora nell’ombra di morte e mandiamo dovunque missionari di Cristo per istruirli e condurli alla vera vita. Ora, commossi per la loro sorte, li raccomandiamo vivamente al sacratissimo Cuore di Gesù e, per quanto sta in noi, a lui li consacriamo.

In tal modo questa consacrazione che esortiamo a compiere, potrà giovare a tutti. Con questo atto, infatti, coloro che già conoscono e amano Gesù Cristo, sperimenteranno facilniente un aumento di fede e di amore. Coloro che, pur conoscendo Cristo trascurano l’osservanza della sua legge e dei suoi precetti, avranno modo di attingere da quel divin Cuore la fiamma dell’amore. Per coloro infine che sono più degli altri infelici, perché avvolti ancora nelle tenebre del paganesimo, chiederemo tutti insieme l’aiuto del cielo, affinché Gesù Cristo, che li tiene già soggetti «quanto al potere», li possa anche avere sottomessi «quanto all’esercizio di tale potere». E preghiamo anche che ciò si compia non solo nel mondo futuro, «quando egli eseguirà pienamente su tutti la sua volontà, salvando gli uni e castigando gli altri» (S. THOMAS AQ., Summa theol, III, q. 59, a. 4 ad 2.), ma anche in questa vita terrena con il dono della fede e della santificazione, in modo che, con la pratica di queste virtù, possano onorare debitamente Dio e tendere così alla felicità del cielo.
Tale consacrazione ci fa anche sperare per i popoli un’èra migliore; può infatti stabilire o rinsaldare quei vincoli, che, per legge di natura, uniscono le nazioni a Dio.
In questi ultimi tempi si è fatto di tutto per innalzare un muro di divisione tra la chiesa e la società civile. Nelle costituzioni e nel governo degli stati, non si tiene in alcun conto l’autorità del diritto sacro e divino, nell’intento di escludere ogni influsso della religione nella convivenza civile. In tal modo si intende strappare la fede in Cristo e, se fosse possibile, bandire lo stesso Dio dalla terra. Con tanta orgogliosa tracotanza di animi, c’è forse da meravigliarsi che gran parte dell’umanità sia stata travolta da tale disordine e sia in preda a tanto grave turbamento da non lasciare vivere più nessuno senza timori e pericoli? Non c’è dubbio che, con il disprezzo della religione, vengono scalzate le più solide basi dell’incolumità pubblica. Giusto e meritato castigo di Dio ai ribelli che, abbandonati alle loro passioni e schiavi delle loro stesse cupidigie, finiscono vittime del loro stesso libertinaggio.
Di qui scaturisce quella colluvie di mali, che da tempo ci minacciano e ci spingono con forza a ricercare l’aiuto in colui che solo ha la forza di allontanarli. E chi potrà essere questi se non Gesù Cristo, l’unigenito Figlio di Dio? «Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12). A lui si deve ricorrere, che è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Si è andati fuori strada? bisogna ritornare sulla giusta via. Le tenebre hanno oscurato le menti? è necessario dissiparle con lo splendore della verità. La morte ha trionfato? bisogna attaccarsi alla vita. Solo così potremo sanare tante ferite. Solo allora il diritto potrà riacquistare l’autentica autorità; solo così tornerà a risplendere la pace, cadranno le spade e sfuggiranno di mano le armi. Ma ciò avverrà solo se tutti gli uomini riconosceranno liberamente il potere di Cristo e a lui si sottometteranno; e ogni lingua proclamerà «che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil 2,11).

Quando la chiesa nascente si trovava oppressa dal giogo dei Cesari, a un giovane imperatore apparve in cielo una croce auspice e nello stesso tempo autrice della splendida vittoria che immediatamente seguì. Ecco che oggi si offre ai nostri sguardi un altro divinissimo e augurale segno: il Cuore sacratissimo di Gesù, sormontato dalla croce e splendente, tra le fiamme, di vivissima luce. In lui sono da collocare tutte le nostre speranze; da lui dobbiamo implorare e attendere la salvezza.

Infine non vogliamo passare sotto silenzio un motivo, questa volta personale, ma giusto e importante, che ci ha spinto a questa consacrazione: l’averci Dio, autore di tutti i beni, scampato non molto tempo addietro da pericolosa infermità. Questo sommo onore al Cuore sacratissimo di Gesù, da noi promosso, vogliamo che rimanga memoria e pubblico segno di gratitudine di tanto beneficio.

Ordiniamo perciò che, nei giorni 9, 10 e 11 del prossimo 1 mese di giugno, nella chiesa principale di ogni città o paese, alla recita delle altre preghiere si aggiungano ogni giorno anche le litanie del sacro Cuore da noi approvate. Nell’ultimo giorno poi si reciti, venerabili fratelli, la formula di consacrazione. che vi mandiamo con la presente lettera.
Come pegno di favori divini e testimonianza della nostra benevolenza, a voi, al clero e al popolo affidato alle vostre cure, impartiamo di cuore, nel Signore, l’apostolica benedizione.

Roma, presso San Pietro, il 25 maggio 1899, anno XXII del nostro pontificato.

LEONE PP. XIII

Formula di consacrazione da recitarsi al sacratissimo Cuore di Gesù

O Gesù dolcissimo, o redentore del genere umano, riguardate a noi umilmente prostesi dinanzi al vostro altare. Noi siamo vostri, e vostri vogliamo essere; e per poter vivere a voi più strettamente congiunti, ecco che ognuno di noi oggi si consacra al vostro sacratissimo Cuore. – Molti purtroppo non vi conobbero mai; molti, disprezzando i vostri comandamenti, vi ripudiarono. O benignissimo Gesù, abbiate misericordia e degli uni e degli altri; e tutti quanti attirate al vostro Cuore santissimo. O Signore, siate il re non solo dei fedeli che non si allontanarono mai da voi, ma anche di quei figli prodighi che vi abbandonarono; fate che questi quanto prima ritornino alla casa paterna, per non morire di miseria e di fame. Siate il re di coloro che vivono nell’inganno dell’errore o per discordia da voi separati: richiamateli al porto della verità e all’unità della fede, affinché in breve si faccia un solo ovile sotto un solo pastore. Siate il re finalmente di tutti quelli che sono avvolti nelle superstizioni del gentilesimo, e non ricusate di trarli dalle tenebre al lume e al regno di Dio. Largite, o Signore, incolumità e libertà sicura alla vostra chiesa, largite a tutti i popoli la tranquillità dell’ordine: fate che da un capo all’altro della terra risuoni quest’unica voce: sia lode a quel Cuore divino da cui venne la nostra salute; a lui si canti gloria e onore nei secoli. Così sia.

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FEDE E DEVOZIONE: «Non temere nulla. Io regnerò malgrado i miei nemici» Gesù a S. Margherita M. Alacoque

Posté par atempodiblog le 7 juin 2013

FEDE E DEVOZIONE: «Non temere nulla. Io regnerò malgrado i miei nemici» Gesù a S. Margherita M. Alacoque
di Giovanni Ricciardi
Tratto dalla Rivista 30 Giorni – marzo – 2011

Tratto da: Luci sull’Est

«Non temere nulla. Io regnerò malgrado i miei nemici e chiunque cercherà di opporsi»

«La Santissima Vergine», scrive a proposito della propria infanzia, «si è sempre presa una gran cura di me; ricorrevo a lei in tutte le necessità, e lei mi ha tirato fuori da grandi pericoli».

Così Gesù a santa Margherita Maria Alacoque

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«Ecco il mio Cuore dove siete nati, voi fedeli, voi mia Chiesa, come Eva è nata dal costato di Adamo. Vedete come la lancia lo ha aperto, affinché vi fosse aperta la porta del Paradiso». Nella prima metà del Trecento, sant’Antonio da Padova, in una sua omelia, sembra anticipare una devozione, quella al Sacro Cuore, che ha avuto negli ultimi secoli della storia della Chiesa un’enorme diffusione, legata alla figura di santa Margherita Maria Alacoque.

Questa suora dell’Ordine della Visitazione, fondato nel 1610 da san Francesco di Sales, nei 43 anni della sua breve vita conobbe grazie straordinarie. A lei Gesù apparve più volte: l’aveva scelta, le disse, per far conoscere a tutto il mondo il Suo Sacro Cuore, sorgente del Suo amore infinito per gli uomini.

Era nata nel 1647 a Lauthecourt, un borgo nel cuore della Francia a pochi chilometri da Paray-le-Monial, il luogo dove poi trascorse la sua vita religiosa. Era la quinta figlia di Claude Alacoque, avvocato e notaio del re Luigi XIV.

Fu cresciuta prima nel castello di Corcheval, in casa di una madrina, e poi in un collegio diretto dalle suore clarisse di Charolles. Qui imparò a pregare e ad amare Gesù così ardentemente che le suore le concessero di fare la prima comunione a nove anni, un’eccezione per quei tempi. L’adorazione del Santissimo Sacramento, il Rosario: questo era ciò che più commuoveva e attirava la piccola Margherita. «La Santissima Vergine», scrive a proposito della propria infanzia, «si è sempre presa una gran cura di me; ricorrevo a lei in tutte le necessità, e lei mi ha tirato fuori da grandi pericoli».

La protezione speciale della Madonna l’accompagnerà soprattutto durante la lunga malattia che la vide costretta a letto per quattro anni, dai dieci ai quattordici, e in quelli che seguirono, fino al suo ingresso nel monastero.

Furono anni difficili, in cui Margherita perse il papà e una sorella e divenne, per così dire, “straniera” in casa sua. I parenti che la mamma aveva chiamato per amministrare i loro beni infatti privarono lei e Margherita di ogni libertà, trattandole come delle serve. Quando Margherita chiedeva un vestito decoroso per andare a messa, glielo rifiutavano e lei era costretta a farselo prestare da un’amica. Inoltre, spesso non le permettevano neanche di uscire. «Non sapevo dove rifugiarmi», scrive la santa, «se non in qualche angolo del giardino o della stalla dove mi fosse possibile mettermi in ginocchio e aprire il cuore con le lacrime a Dio».

Poi anche la mamma si ammalò e poté guarire solo grazie all’amore, alle cure e alle preghiere di Margherita, che nel frattempo cresceva e iniziava a chiedersi quale fosse la volontà di Dio per lei. La mamma avrebbe voluto vederla sposata e madre di famiglia, ma il desiderio più profondo di Margherita era quello di consacrarsi al Signore: «Mi consumavo dal desiderio d’amarlo», dirà più tardi.

A 22 anni ricevette la cresima, aggiungendo al suo nome di battesimo quello di Maria, e qualche anno più tardi, vincendo finalmente le resistenze della famiglia, riuscì a coronare il sogno di farsi suora, con il suo ingresso nel monastero della Visitazione di Paray-le-Monial, il 25 maggio 1671.

«Come una tela in attesa del pittore»
Al suo ingresso nel monastero si trovò smarrita in mezzo ai riti e alle formule latine che non capiva. Chiese allora alla maestra delle novizie di insegnarle a pregare. Lei le rispose: «Mettiti davanti a Nostro Signore, come una tela in attesa del pittore». Suor Margherita Maria non comprese subito, e mentre, tempo dopo, andava riflettendo in cuor suo sul senso di quelle parole, udì una voce interiore che le disse: «Vieni, t’insegnerò». In quel momento, ricorda la santa, Gesù le si fece vicino donandole una grande pace. A tutto avrebbe pensato Lui.

Il suo amore per Gesù la spingeva a passare in preghiera davanti al Santissimo Sacramento molte più ore delle sue consorelle, che iniziavano a guardarla con diffidenza e sospetto; pensavano che volesse mettersi in mostra, e così le affidavano i lavori più umili, per tenerla “coi piedi per terra”. Ad esempio, la mandavano nel prato del monastero a sorvegliare un’asina con il suo puledro, per badare che non andassero a brucare nell’orto. Una volta, suor Margherita Maria, immersa nella preghiera, se ne dimenticò, ma, nonostante questo, con grande sorpresa delle altre suore, gli animali non combinarono nessun guaio.

La vita continuava, divisa tra preghiera e lavoro. A suor Margherita Maria fu affidata l’infermeria del monastero, ed era a volte costretta a soffrire per la durezza con cui le superiore la trattavano. Margherita non rispondeva alle accuse e cercava di essere obbediente in ogni piccola cosa.

Discepola prediletta del Sacro Cuore

Tutto questo fu il preludio alla prima apparizione e rivelazione del Sacro Cuore a suor Margherita Maria, e alla missione affidatale di farlo conoscere al mondo, che avvenne il 27 dicembre del 1673: «Il mio divino Cuore», le disse Gesù, «è tanto appassionato d’amore per gli uomini e per te in particolare che, non potendo più contenere in sé stesso le fiamme del suo ardente amore, sente il bisogno di diffonderle per mezzo tuo e di manifestarsi a loro per arricchirli dei suoi preziosi tesori che ti svelerò e che contengono le grazie santificanti».

A partire da quel giorno Gesù le apparve molte altre volte. Durante un’apparizione del 1674, Gesù le chiese due cose semplici e concrete: comunicarsi tutti i primi venerdì del mese e passare un’ora in preghiera tutti i giovedì dalle 23 alle 24, in ricordo delle sue sofferenze nell’Orto degli ulivi, e per chiedere misericordia per i peccatori. Preghiera e sacramenti, dunque: le vie ordinarie che aprono alla grazia di Dio. Cioè al suo Sacro Cuore.

A queste pratiche, per tutti coloro che le avessero seguite, Gesù aggiunse delle promesse, chiedendo a suor Margherita Maria di farle conoscere al mondo. Margherita non sapeva come fare, circondata com’era dalla diffidenza delle sue consorelle, che non le permettevano neppure di farsi un’immagine del Sacro Cuore e di esporla pubblicamente. Ma Gesù la incoraggiava. In una delle sue apparizioni le disse: «Non temere nulla. Io regnerò malgrado i miei nemici e chiunque cercherà di opporsi». «Questo mi consolava molto», aggiunge la santa nella sua autobiografia, «perché non desideravo altro che di vederLo regnare. Affidai, quindi, a Lui la cura di difendere la sua causa, mentre io avrei sofferto in silenzio».

E infatti, ben presto le si offerse un aiuto, nella persona del padre gesuita Claude La Colombière, che fu per molti anni il suo direttore spirituale, riconobbe come ispirate veramente da Dio le rivelazioni ricevute da suor Margherita Maria, la incoraggiò, sostenne la sua causa presso le superiore della Visitazione e si fece egli stesso apostolo della devozione al Sacro Cuore.

A poco a poco, prima il suo monastero, poi alcune famiglie, infine moltissimi già nel corso della vita di santa Margherita Maria aderirono alla devozione al Sacro Cuore, che dopo la sua morte conobbe una diffusione straordinaria, tanto che, a meno di cento anni dalla scomparsa di Margherita Maria, Clemente XIII, sollecitato a istituire per tutta la Chiesa una festa del Sacro Cuore, apprese con stupore che nel mondo esistevano già 1.090 confraternite ad esso consacrate, e si convinse a concedere questa festa il 6 febbraio del 1765.

Fu poi papa Leone XIII a raccogliere pienamente il messaggio di santa Margherita Maria, consacrando il mondo intero al Sacro Cuore l’11 giugno del 1899. Venti anni dopo, a Parigi, sulla collina di Montmartre, dove san Dionigi aveva subito il martirio insieme ai suoi compagni, fu consacrata la grande Basilica del Sacro Cuore che domina la capitale della Francia.
Parallelamente a questi atti pubblici, si diffuse sempre più in tutto il mondo cattolico la devozione al Sacro Cuore.

Quanto a Margherita Maria, la sua vita si concluse, negli ultimi anni, con una crescente richiesta di consigli spirituali e con un sempre più cospicuo numero di persone che volevano vedere e toccare colei che aveva visto e toccato, come Tommaso, il Cuore di Gesù. Ma questo non faceva che aumentare il suo desiderio di vivere in disparte, l’aspirazione che aveva riassunto in una sua frase: «Tutto da Dio e niente da me; tutto di Dio e niente di me; tutto per Dio e niente per me». Questa frase era la semplice risposta alle parole amorose che Gesù le aveva rivolto direttamente poco tempo prima: «Io sono la tua vita e tu non vivrai più che in me e per me».

Promesse del Sacro Cuore
Negli scritti di santa Margherita Maria Alacoque si trovano numerose promesse fatte da Gesù ai devoti del suo Sacro Cuore. Quelle qui elencate, dedotte dalle lettere della santa, ci ricordano in modo sintetico e facile le grazie legate a questa devozione

  • Concederò le grazie necessarie al loro stato di vita.
  • Metterò e conserverò la pace nelle loro famiglie, li consolerò nelle afflizioni.
  • Sarò il loro rifugio in vita e specialmente in morte.
  • Spargerò abbondanti benedizioni su tutte le loro fatiche e imprese.
  • I peccatori troveranno nel mio Cuore la sorgente e l’oceano infinito della misericordia.
  • Le anime tiepide diverranno fervorose.
  • Le anime ferventi saliranno presto a grande perfezione.
  • La mia benedizione scenderà nei luoghi dove sarà esposta e venerata l’immagine del mio Sacro Cuore.
  • Ai sacerdoti e a coloro che opereranno per la salvezza delle anime, darò la grazia di commuovere i cuori più induriti.
  • Le persone che propagano questa devozione avranno il loro nome scritto per sempre nel mio Cuore.
  • A tutti coloro che si comunicheranno nei primi venerdì di nove mesi consecutivi, darò la grazia della perseveranza finale e della salvezza eterna.

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Noam Chomsky, “ecco 10 modi per capire tutte le menzogne che ci dicono”

Posté par atempodiblog le 6 juin 2013

Noam Chomsky, “ecco 10 modi per capire tutte le menzogne che ci dicono”
Dino Nicolia – LinkIesta
Tratto da: Anna Vercors

Noam Chomsky, “ecco 10 modi per capire tutte le menzogne che ci dicono” dans Riflessioni noamchomsky

Noam Chomsky, padre della creatività del linguaggio, definito dal New York Times “il più grande intellettuale vivente”, spiega attraverso dieci regole come sia possibile mistificare la realtà.

La necessaria premessa è che i più grandi mezzi di comunicazione sono nelle mani dei grandi potentati economico-finanziari, interessati a filtrare solo determinati messaggi.

1 - La strategia della distrazione, fondamentale, per le grandi lobby di potere, al fine di mantenere l’attenzione del pubblico concentrata su argomenti poco importanti, così da portare il comune cittadino ad interessarsi a fatti in realtà insignificanti. Per esempio, l’esasperata concentrazione su alcuni fatti di cronaca (…..).

2 - Il principio del problema-soluzione-problema: si inventa a tavolino un problema, per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Un esempio? Mettere in ansia la popolazione dando risalto all’esistenza di epidemie, come la febbre aviaria creando ingiustificato allarmismo, con l’obiettivo di vendere farmaci che altrimenti resterebbero inutilizzati.

3 - La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socio-economiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni 80 e 90: stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

4 - La strategia del differimento. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, al momento, per un’applicazione futura. Parlare continuamente dello spread per far accettare le “necessarie” misure di austerità come se non esistesse una politica economica diversa.

5 -Rivolgersi al pubblico come se si parlasse ad un bambino. Più si cerca di ingannare lo spettatore, più si tende ad usare un tono infantile. Per esempio, diversi programmi delle trasmissioni generaliste. Il motivo? Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni, in base alla suggestionabilità, lei tenderà ad una risposta probabilmente sprovvista di senso critico, come un bambino di 12 anni appunto.

6 - Puntare sull’aspetto emotivo molto più che sulla riflessione. L’emozione, infatti, spesso manda in tilt la parte razionale dell’individuo, rendendolo più facilmente influenzabile.

7 - Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità. Pochi, per esempio, conoscono cosa sia il gruppo di Bilderberg e la Commissione Trilaterale. E molti continueranno ad ignorarlo, a meno che non si rivolgano direttamente ad Internet.

8 -Imporre modelli di comportamento. Controllare individui omologati é molto più facile che gestire individui pensanti. I modelli imposti dalla pubblicità sono funzionali a questo progetto.

9 - L’autocolpevolizzazione. Si tende, in pratica, a far credere all’individuo che egli stesso sia l’unica causa dei propri insuccessi e della propria disgrazia. Così invece di suscitare la ribellione contro un sistema economico che l’ha ridotto ai margini, l’individuo si sottostima, si svaluta e addirittura, si autoflagella. I giovani, per esempio, che non trovano lavoro sono stati definiti di volta in volta, “sfigati”, choosy”, bamboccioni”. In pratica, é colpa loro se non trovano lavoro, non del sistema.

10 - I media puntano a conoscere gli individui (mediante sondaggi, studi comportamentali, operazioni di feed back scientificamente programmate senza che l’utente-lettore-spettatore ne sappia nulla) più di quanto essi stessi si conoscano, e questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un gran potere sul pubblico, maggiore di quello che lo stesso cittadino esercita su sé stesso.

Si tratta di un decalogo molto utile. Io suggerirei di tenerlo bene a mente, soprattutto in periodi difficili come questi.

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La verità nella carità

Posté par atempodiblog le 6 juin 2013

La verità nella carità dans Fede, morale e teologia papamisericordioso

«Il matrimonio precede lo Stato, è il fondamento della famiglia, la cellula della società, e viene prima di qualunque legge e della Chiesa stessa. Di conseguenza, l’adozione di un progetto di legge [che legalizzi i matrimoni omosessuali, ndr] sarà un grave passo indietro antropologico. Il matrimonio (formato da un uomo e una donna) non è uguale all’unione di due persone dello stesso sesso. Distinguere non significa discriminare, ma rispettare; differenziare per discernere vuol dire valutare correttamente, non discriminare (…).
Noi non possiamo insegnare alle generazioni future che prepararsi a sviluppare un progetto familiare fondato sull’impegno di una relazione stabile tra un uomo e una donna sia uguale a vivere con una persona dello stesso sesso. (…) Io vi scongiuro di non ospitare, né nelle vostre parole né nei vostri cuori, alcun segno di aggressività o di violenza nei confronti di nessun vostro fratello».

Card. Jorge Mario Bergoglio, da “Jorge Mario Bergoglio, papa Francesco. Solo l’amore ci salverà” (ed. Parole et Silence, Editions du Rocher, La Librairie éditrice vaticane, 190 pp., 15 euro).

Tratto da: Una casa sulla Roccia

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L’umiltà sincera

Posté par atempodiblog le 6 juin 2013

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La vanagloria è una forma di idolatria per cui l’io sta al posto di Dio e si agisce non per Dio ma per avere una lode; pertanto Dio è eliminato dalla vita, e siamo di fronte a un ateismo pratico, potremmo dire a un ateismo psicologico, in cui l’io non è più polarizzato da Dio. […] quando noi, invece di cercare la gloria di Dio, cerchiamo la gloria che viene dagli altri, ci mettiamo nell’impossibilità di credere, e anche se diciamo di credere, la nostra fede è vuota: in realtà non ci interessa nulla di Dio. […]
San Giovanni Crisostomo sviluppa un concetto che avrà molto seguito nella spiritualità monastica: il demonio attacca proprio chi compie opere buone, inducendo astutamente il giusto a compiacersi con se stesso di essere ritenuto santo dal prossimo e a cercare il plauso della gente. Egli scrive: “gli altri vizi crescono in noi a causa della nostra negligenza; l’orgoglio si sviluppa anche quando noi agiamo bene. Nulla è così propizio alla crescita dell’orgoglio come la compiacenza di essere giusti, per cui occorre stare continuamente in guardia”. Perfino l’umiltà, quando non è veramente sincera, e invece di cercare l’approvazione di Dio cerca quella degli uomini, apre spiragli all’orgoglio. A volte pratichiamo l’umiltà per essere lodati e perché si abbia una buona opinione di noi. Ecco le parole di San Giovanni Crisostomo in proposito: “hai compiuto un atto di umiltà: non esserne fiero, perché il frutto sarebbe bacato. Infatti, inorgoglirsi per le buone azioni compiute significa perderne il beneficio, come se si gettassero tutte le ricchezze dalla finestra”.

Tratto da: Padre Livio Fanzaga, I Vizi Capitali e Le Contrapposte Virtù. Ed. Sugarco

divisore dans Medjugorje

Spesso diciamo che non siamo nulla, anzi che siamo la miseria in persona, la spazzatura del mondo; ma resteremmo molto male se ci prendessero alla lettera e se ci considerassero in pubblico secondo quanto diciamo. E’ proprio il contrario: fingiamo di fuggire e di nasconderci solo perché ci inseguano e ci cerchino; dimostriamo di voler essere gli ultimi, seduti proprio all’ultimo angolino della tavola, ma soltanto per passare con grande onore a capotavola.
L’umiltà vera non finge di essere umile, a fatica dice parole di umiltà; perché è suo intendimento non solo nascondere le altre virtù, ma soprattutto vorrebbe riuscire a nascondere se stessa; se le fosse lecito mentire, o addirittura scandalizzare il prossimo, prenderebbe atteggiamenti arroganti e superbi, per potercisi nascondere e vivere completamente ignorata e nascosta.
Eccoti il mio parere, Filotea: o evitiamo di dire parole di umiltà, oppure diciamole con profonda convinzione, profondamente rispondente alle parole. Non abbassiamo gli occhi senza umiliare il cuore; non giochiamo a fare gli ultimi se non intendiamo esserlo per davvero.

Tratto da: Filotea di San Francesco di Sales

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Il pericolo dell’idolatria

Posté par atempodiblog le 6 juin 2013

Il pericolo dell’idolatria dans Citazioni, frasi e pensieri papafrancescoi

“Non basta dire: ‘Ma io credo in Dio, Dio è l’unico Dio’. Va tutto bene, ma come vivi tu questo nella strada della vita? Perché noi possiamo dire: ‘Il Signore è l’unico Dio, soltanto, non ce ne è un altro’, ma vivere come se Lui non fosse l’unico Dio e avere altre divinità a nostra disposizione… C’è il pericolo dell’idolatria: l’idolatria che è portata a noi con lo spirito del mondo. E Gesù, in questo, era chiaro: lo spirito del mondo, no. E chiede al Padre che ci difenda dallo spirito del mondo, Gesù, nell’ultima cena, perché lo spirito del mondo ci porta all’idolatria”.
“Possiamo chiedere oggi a Gesù: ‘Signore, tu sei tanto buono, insegnami questa strada per essere ogni giorno meno lontano dal Regno di Dio, questa strada per cacciare via tutti gli idoli’. E’ difficile, ma dobbiamo incominciare… Gli idoli nascosti nelle tante cavalcature, che noi abbiamo nella nostra personalità, nel modo di vivere: cacciare via l’idolo della mondanità, che ci porta a diventare nemici di Dio. Chiediamo questa grazia a Gesù, oggi”.

Papa Francesco
Fonte: Radio Vaticana

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Scola e la domenica sparita: solo lavoro, non si pensa più

Posté par atempodiblog le 4 juin 2013

Scola e la domenica sparita: solo lavoro, non si pensa più
Il cardinale: “L’Europa è stanca”. E parla del giorno festivo come “provocazione a riscoprire una vita a misura d’uomo”
di Sabrina Cottone – Il Giornale

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«Domenica sempre aperto? Ma anche no!» è uno degli slogan della campagna «Libera la domenica», lanciata da Confesercenti con il sostegno della Conferenza episcopale italiana.
Alla battaglia per far tornare la domenica un giorno di festa non fa mancare sostegno il cardinale Angelo Scola.
Parla della festa come «provocazione a ritrovare una vita a misura d’uomo». Lancia un appello a chi decide su lavoro e riposo, orari di aperture e chiusure: «L’urgenza del momento presente della politica italiana non trascuri questi aspetti».
«Il riposo non può non avere una dimensione relazionale e sociale. Non ha senso che in una famiglia il padre riposi la domenica, la madre il giovedì e il figlio il venerdì. Non sarebbe un segno di civiltà» osserva l’arcivescovo di Milano. E ancora: «Da qui l’istanza di poter riposare in famiglia». Siamo alla conferenza stampa di presentazione di «Ricordati di santificare le feste», l’iniziativa che sabato 8 giugno animerà la serata milanese in piazza del Duomo con musiche, show, conferenze, nel nome del terzo comandamento. Tema attuale e particolarmente legato a Milano, che è un po’ la capitale dei consumi, dello shopping, dell’attività lavorativa febbrile.
«Liberare la domenica è un impegno giusto e un’impresa giusta» dice Scola. «Si può studiare come farlo» aggiunge, citando i casi del Libano e di Israele. Il rispetto del sabato in Israele è universalmente noto, meno lo è il dibattito per aggiungere anche la domenica come giorno di riposo. Nella gran parte del Libano, compresa Beirut, il riposo è tradizionalmente stabilito nei giorni di sabato e domenica.
«La caduta nel generico del week end» e «la perdita del senso festivo della domenica» è «uno non degli ultimi motivi per cui l’Europa è stanca». Il cardinale è cioè convinto che «la stanchezza dell’Europa», tema su cui lui insiste con regolarità, sia collegata anche alla mancanza di equilibrio tra i diversi aspetti della vita: «Sulla santificazione della festa, sul riposo, è in gioco il senso della vita nella sua globalità. La vita non è riducibile a una sola dimensione. Ci sono dimensioni costitutive dell’esistenza di ciascuno di noi che vanno sempre tenute presenti. Io di solito nella vita di tutti i giorni ne identifico tre: gli affetti, il lavoro e il riposo».
Entra nella relazione tra il lavoro, gli affetti e la festa: «Il riposo, la festa, hanno la funzione di riequilibrare il nesso tra lavoro e affetti. Un nesso non scontato. Basta riflettere sui nostri rientri serali, in cui la persona si mette in pantofole ed è se stessa». Come spiega la grande tradizione benedettina, non solo lavoro: «L’uomo deve saper ritmare il tempo con l’ora et labora, prega e lavora». E il riposo ritma questi aspetti, dà loro la possibilità di esistere in armonia.
Scola sottolinea la differenza tra la festa e il week end. Ricorda la tradizione cristiana dell’Europa: «Per noi la festa trae la sua fisionomia dalla parola Domenica, Dominica dies, il giorno del Signore, e ha come primo riferimento l’apertura a Dio». Un senso profondo e totalizzante, come ricorda la vicenda dei martiri di Abilene citata dall’arcivescovo: quarantanove cristiani guidati da Saturnino che all’inizio del IV secolo preferirono morire piuttosto che rinunciare a celebrare il giorno del Signore.
La sfida dell’oggi è cominciare a far tornare la Domenica nella vita.

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Il Papa: l’ipocrisia è la lingua dei corrotti, il cristiano parla con amore e con verità

Posté par atempodiblog le 4 juin 2013

Un cristiano non usa un “linguaggio socialmente educato”, incline all’ipocrisia, ma si fa portavoce della verità del Vangelo con la stessa trasparenza dei bambini. È l’insegnamento che Papa Francesco ha offerto nell’omelia della Messa celebrata questa mattina a Casa Santa Marta. Con il Pontefice hanno concelebrato il patriarca dei cattolici armeni, Nerses Bedros XIX Tarmouni, mons. Fernando Vianney, vescovo di Kandy nello Sri Lanka, e mons. Jean Luis Brugues della Biblioteca Apostolica Vaticana, accompagnato da un gruppo di collaboratori della struttura. Presenti anche la presidente e il direttore generale della Rai, Anna Maria Tarantola e Luigi Gubitosi, con i loro familiari.
di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana

Il Papa: l’ipocrisia è la lingua dei corrotti, il cristiano parla con amore e con verità dans Papa Francesco I papafrancesco

Dai corrotti alla loro lingua preferita: l’ipocrisia. La scena evangelica del tributo a Cesare, e della subdola richiesta dei farisei e degli erodiani a Cristo sulla legittimità di quel tributo, fornisce a Papa Francesco una riflessione in stretta continuità con l’omelia di ieri. L’intenzione con cui si avvicinano Gesù, afferma, è quella di farlo “cadere nella trappola”. La loro domanda se sia lecito o no pagare le tasse a Cesare viene posta – rileva il Papa – “con parole morbide, con parole belle, con parole troppo zuccherate”. “Cercano – soggiunge – di mostrarsi amici”. Ma è tutto falso. Perché, spiega Papa Francesco, “questi non amano la verità” ma soltanto se stessi, “e così cercano di ingannare, di coinvolgere l’altro nella loro menzogna, nella loro bugia. Loro hanno il cuore bugiardo, non possono dire la verità”:

“E’ proprio il linguaggio della corruzione, l’ipocrisia. E quando Gesù parla ai suoi discepoli, dice: ‘Ma il vostro parlare sia ‘Sì, sì! No, no!’. L’ipocrisia non è un linguaggio di verità, perché la verità mai va da sola. Mai! Va sempre con l’amore! Non c’è verità senza amore. L’amore è la prima verità. Se non c’è amore, non c’è verità. Questi vogliono una verità schiava dei propri interessi. C’è un amore, possiamo dire: ma è l’amore di se stessi, l’amore a se stessi. Quell’idolatria narcisista che li porta a tradire gli altri, li porta agli abusi di fiducia”.

Quello che sembra un “linguaggio persuasivo”, insiste Papa Francesco, porta invece “all’errore, alla menzogna”. E, sul filo dell’ironia, osserva che quelli che oggi avvicinano Gesù e “sembrano tanto amabili nel linguaggio, sono gli stessi che andranno giovedì, la sera, a prenderlo nell’Orto degli Ulivi, e venerdì lo porteranno da Pilato”. Invece, Gesù chiede esattamente il contrario a chi lo segue, una lingua “sì, sì, no, no”, una “parola di verità e con amore”:

“E la mitezza che Gesù vuole da noi non ha niente, non ha niente di questa adulazione, con questo modo zuccherato di andare avanti. Niente! La mitezza è semplice; è come quella di un bambino. E un bambino non è ipocrita, perché non è corrotto. Quando Gesù ci dice: ‘Il vostro parlare sia ‘Sì, sì! No, no!’ con anima di bambini, dice il contrario del parlare di questi”.

L’ultima considerazione riguarda quella “certa debolezza interiore”, stimolata dalla “vanità”, per cui, constata Papa Francesco, “ci piace che dicano cose buone di noi”. Questo i “corrotti lo sanno” e “con questo linguaggio cercano di indebolirci”:

“Pensiamo bene oggi: qual è la nostra lingua? Parliamo in verità, con amore, o parliamo un po’ con quel linguaggio sociale di essere educati, anche di dire cose belle, ma che non sentiamo? Che il nostro parlare sia evangelico, fratelli! Poi, questi ipocriti che cominciano con la lusinga, l’adulazione e tutto questo, finiscono, cercando falsi testimoni per accusare chi avevano lusingato. Chiediamo oggi al Signore che il nostro parlare sia il parlare dei semplici, parlare da bambino, parlare da figli di Dio, parlare in verità dall’amore”.

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Il Papa: i corrotti fanno tanto male alla Chiesa, i santi sono luce per tutti

Posté par atempodiblog le 3 juin 2013

Il Papa: i corrotti fanno tanto male alla Chiesa, i santi sono luce per tutti
Peccatori, corrotti e santi. Papa Francesco ha incentrato su questo trinomio la sua omelia per la Messa di stamani nella Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che i corrotti fanno tanto male alla Chiesa perché sono adoratori di se stessi; i santi invece fanno tanto bene, sono luce nella Chiesa. Alla Messa – concelebrata con il cardinale Angelo Amato – ha preso parte un gruppo di sacerdoti e collaboratori della Congregazione delle Cause dei Santi e un gruppo di Gentiluomini di Sua Santità.

di Alessandro Gisotti – Radio Vaticana

Il Papa: i corrotti fanno tanto male alla Chiesa, i santi sono luce per tutti dans Fede, morale e teologia papafrancesco

Cosa succede quando vogliamo diventare noi i padroni della vigna? Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia partendo dal Vangelo odierno sulla parabola dei vignaioli malvagi per soffermarsi sui “tre modelli di cristiani nella Chiesa: i peccatori, i corrotti e i santi”. Il Papa ha osservato che dei peccatori “non è necessario parlare troppo, perché tutti noi lo siamo”. Ci conosciamo “da dentro – ha proseguito – e sappiamo cosa è un peccatore. E se qualcuno di noi non si sente così, vada a farsi una visita dal medico spirituale”, perché “qualcosa non va”. La parabola, però, ci parla di un’altra figura, di quelli che vogliono “impadronirsi della vigna e hanno perso il rapporto con il Padrone della vigna”. Un Padrone che “ci ha chiamato con amore, ci custodisce, ma poi ci dà la libertà”. Queste persone “si son sentite forti, si sono sentite autonome da Dio”:

“Questi, pian pianino, sono scivolati su quella autonomia, l’autonomia nel rapporto con Dio: ‘Noi non abbiamo bisogno di quel Padrone, che non venga a disturbarci!’. E noi andiamo avanti con questo. Questi sono i corrotti! Quelli che erano peccatori come tutti noi, ma hanno fatto un passo avanti, come se fossero proprio consolidati nel peccato: non hanno bisogno di Dio! Ma questo sembra, perché nel loro codice genetico c’è questo rapporto con Dio. E come questo non possono negarlo, fanno un dio speciale: loro stessi sono dio. Sono i corrotti”.

Questo, ha aggiunto, “è un pericolo anche per noi”. Nelle “comunità cristiane”, ha detto ancora, i corrotti pensano solo al proprio gruppo: “Buono, buono. E’ di noi” – pensano – ma, in realtà, « sono loro per se stessi”:

“Giuda ha incominciato: da peccatore avaro è finito nella corruzione. E’ una strada pericolosa la strada dell’autonomia: i corrotti sono grandi smemorati, hanno dimenticato questo amore, con il quale il Signore ha fatto la vigna, ha fatto loro! Hanno tagliato il rapporto con questo amore! E loro diventano adoratori di se stessi. Quanto male fanno i corrotti nelle comunità cristiane! Che il Signore ci liberi dallo scivolare su questa strada della corruzione”.

Il Papa ha così parlato dei santi, ricordando che oggi è il cinquantesimo della morte di Papa Giovanni XXIII, “modello di santità”. Nel Vangelo di oggi, ha soggiunto, i santi sono quelli che “vanno a prendere l’affitto” della vigna. “Loro sanno cosa li aspetta, ma devono farlo e fanno il loro dovere”:

“I santi, quelli che obbediscono al Signore, quelli che adorano il Signore, quelli che non hanno perso la memoria dell’amore, con il quale il Signore ha fatto la vigna. I santi nella Chiesa. E così come i corrotti fanno tanto male alla Chiesa, i santi fanno tanto bene. Dei corrotti, l’apostolo Giovanni dice che sono l’anticristo, che sono in mezzo a noi, ma non sono di noi. Dei santi la Parola di Dio ci parla come di luce, ‘quelli che saranno davanti al trono di Dio, in adorazione’. Chiediamo oggi al Signore la grazia di sentirci peccatori, ma davvero peccatori, non peccatori così diffusi (generici, ndr), ma peccatori per questo, questo e questo, concreti, con la concretezza del peccato. La grazia di non diventare corrotti: peccatori sì, corrotti no! E la grazia di andare sulla strada della santità. Così sia”.

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Una libertà minacciata

Posté par atempodiblog le 2 juin 2013

L’intolleranza verso la religione
Una libertà minacciata
di Ernesto Galli della Loggia – Corriere della Sera

Una libertà minacciata dans Anticristo croce

Una grande rivoluzione sta silenziosamente giungendo al suo epilogo in Europa. Una rivoluzione della mentalità e del costume collettivi che segna una gigantesca frattura rispetto al passato: la rivoluzione antireligiosa. Una rivoluzione che colpisce indistintamente il fatto religioso in sé, da qualunque confessione rappresentato, ma che per ragioni storiche, e dal momento che è dell’Europa che si parla, si presenta come una rivoluzione essenzialmente anticristiana.

Ormai, non solo le Chiese cristiane sono state progressivamente espulse quasi dappertutto da ogni ambito pubblico appena rilevante, non solo all’insieme della loro fede non viene più assegnato nella maggior parte del continente alcun ruolo realmente significativo nel determinare gli orientamenti delle politiche pubbliche – non solo cioè si è affermata prepotentemente la tendenza a ridurre il cristianesimo e la religione in genere a puro fatto privato – ma contro il cristianesimo stesso, a differenza di tutte le altre religioni, appare oggi lecito rivolgere le offese più aspre, le più sanguinose contumelie.

Ecco alcuni esempi, tra gli innumerevoli che potrebbero farsi, di quanto sto dicendo (tratti in parte da una dettagliata denuncia pubblicata su un recente numero di Avvenire). In Irlanda le chiese sono obbligate ad affittare le sale per le cerimonie di loro proprietà anche per ricevimenti di nozze tra omosessuali; a Roma, nel corso del concerto del Primo Maggio un cantante ha mimato il gesto rituale della consacrazione dell’ostia durante l’eucarestia avendo però tra le mani un preservativo al posto dell’ostia; in Danimarca il Parlamento ha approvato una legge che obbliga la Chiesa evangelica luterana a celebrare matrimoni omosessuali nonostante un terzo dei ministri di questa si siano detti contrari; in Scozia due ostetriche cattoliche sono state obbligate da una sentenza a prendere parte a un aborto effettuato dalle loro colleghe, mentre dal canto suo l’Ordine dei medici inglese ha stabilito che i medici stessi «devono» essere preparati a mettere da parte il proprio credo personale riguardo alcune aree controverse.

Ancora: in un recente video di David Bowie, in cui la celebre rockstar è abbigliato in modo che ricorda Gesù, la scena mostra un prete che dopo aver percosso un mendicante entra in un bordello e qui seduce una suora sulle cui mani subito dopo si manifestano le stigmate; in Inghilterra, a un’infermiera è stato proibito di portare una croce al collo durante l’orario di lavoro, mentre una piccola tipografia è stata costretta ad affrontare le vie legali per essersi rifiutata di stampare materiale esplicitamente sessuale commissionatole da una rivista gay; in Francia, in base alla legislazione vigente, è di fatto impossibile per i cristiani sostenere pubblicamente che le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso costituiscono secondo la loro religione un peccato. E così via in un profluvio impressionante di casi (per informarsi dei quali non c’è che andare sul sito www.intoleranceagainstchristians.eu).

Senza contare che ormai in quasi tutti i Paesi europei, al fine proclamato di impedire qualunque pratica discriminatoria, è stata cancellata l’erogazione di fondi alle istituzioni cristiane, così come è stata cancellata la clausola a protezione della libertà di coscienza nelle professioni mediche e paramediche. Non si contano infine in tutte le sedi più o meno ufficiali, a cominciare da quelle scolastiche, i casi di cancellazione, a proposito delle relative festività, della parola Natale, sostituito dal neutrale «vacanze invernali» o simili.

Ce n’è abbastanza da suscitare la preoccupazione di qualunque coscienza liberale. Qui infatti non si tratta tanto di cristianesimo, di Chiesa, o di religione, bensì di qualcosa di ben più importante: si tratta di libertà. E di storia. Di consapevolezza cioè che in Europa la libertà religiosa ha rappresentato storicamente l’origine (e la condizione) di tutte le libertà civili e politiche. Essere assolutamente liberi di adorare il proprio Dio, di propagarne la fede, di osservarne i comandamenti, di aderire alla visione del mondo e al senso dell’esistere che questi definiscono, di praticarne pubblicamente il culto; ma anche naturalmente essere libero di non avere alcun Dio e alcun culto: da qui è partito il cammino della libertà europea. E c’è bisogno di ricordare che si è trattato del Dio cristiano?

La libertà religiosa vuol dire alla fine null’altro che la libertà della coscienza, cioè il non essere obbligati per nessuna ragione ad abbracciare idee o comportamenti contrari ai dettami accettati nel proprio foro interiore. Che è appunto la libertà di autodeterminarsi: e pertanto anche di parlare, di scrivere, di discutere a sostegno delle proprie convinzioni, così come di ascoltare quelle altrui e magari farsene convincere.
Insomma, libertà religiosa da un lato e dall’altro libertà di opinione e di parola – che sono i due pilastri della libertà politica – vanno all’unisono. È innanzi tutto da questo punto di vista, dunque, che è quanto mai preoccupante il fatto che oggi, in Europa, in molti luoghi e per molti versi, la libertà dei cristiani appaia oggettivamente messa in pericolo. E non importa che ciò avvenga per il proposito di proteggere da supposte discriminazioni questa o quella minoranza. È anzi semplicemente paradossale, dal momento che nell’attuale panorama del continente sono i cristiani in quanto tali che appaiono una minoranza. Lo sono di certo – e massimamente i cristiani cattolici e la loro Chiesa – rispetto al mainstream dell’opinione e del costume dominanti e culturalmente accreditati.

Basta vedere come nelle materie più scottanti alcuna voce autorevole, riconosciuta generalmente come tale, si alzi quasi mai a sostegno del loro punto di vista; come ogni accusa nei confronti loro e del loro clero raccolga sempre larghissimo favore; come ogni attribuzione di responsabilità storica per qualunque cosa negativa del passato, anche la più fantasiosa, sia invece sempre di primo acchito giudicata fondatissima.
È forse ora che l’Europa che si dice e si vuole «Europa dei diritti» – ma che finisce troppo spesso per essere solo l’Europa del pensiero unico politicamente corretto – ricordi il celebre ammaestramento di una grande figlia dell’ebraismo rivoluzionario, Rosa Luxemburg. La quale si può presumere che come ebrea e rivoluzionaria sapesse bene ciò di cui parlava: «La libertà è sempre e solo la libertà di chi la pensa diversamente».

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