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Non è per sparlare, eh…

Posté par atempodiblog le 17 juin 2013

Non è per sparlare, eh… dans Correzione fraterna sm4w

Le volte più pericolose sono quando si comincia con “non è per sparlare, eh…”, o anche con il micidiale “non vorrei giudicare ma…”. Allora sì che il rischio è grave.

Come ha detto Papa Francesco, si comincia parlando magari benevolmente di qualcuno, si finisce regolarmente per spellarlo.

Che poi lei non voleva, non voleva proprio far notare che quella persona che l’ha criticata ha quei due o tre chiletti di troppo, e forse guardando bene sono anche dieci… “Magari è bella dentro”.

C’è la pericolosa gara di mamme (“non ho investito tanto sui miei figli per vedere assegnata a un mio virgulto la parte della pecora alla recita di Natale, noi ci meritiamo dall’angelo in su!”), la gara dei bravi cristiani (“eh, quello viene a Messa, ma detto fra noi…”), la gara al lavoro e in tutti gli altri ambiti in cui dobbiamo vivere accanto ai fratelli. Perché essere figli di Dio ci piace un sacco, ma essere fratelli è così fastidioso…

Poiché il nostro cuore è pericoloso (Gesù sapeva cosa era nel cuore dell’uomo, e non si fidava), e poiché neanche noi stessi possiamo controllarlo, c’è un’unica, fondamentale, decisiva cosa che è in nostro potere fare. Vigilare sulla lingua. Sbarrarle le porte con un cancello, una serratura chiusa a tripla mandata.

Neanche noi sappiamo cosa finiremo per dire quando cominceremo a parlare. E allora è meglio non parlare per nulla. Chiedersi piuttosto cosa direbbe Gesù in quel momento. Se le persone sono assenti, non parlarne per niente, neanche per condividere uno stato d’animo con un amico. Il fatto è che anche se partiamo con le migliori intenzioni, la lingua può sempre scivolare. La regola d’oro è parlare di un assente solo se la cosa serve direttamente a lui.

Piano piano – mi assicura un amico che questa pratica l’ha adottata come stile di vita – sforzandosi di parlare come Gesù si impara anche a pensare come lui, e poi piano piano magari anche ad agire come lui, quindi ad amare, che poi se non sbaglio è la cosa più importante, ben più della correzione fraterna che tante volte ci fa da alibi.

Se invece proprio non resistete, va be’, per una volta, dai, sfoghiamoci… Parliamone un po’, non lo dico a nessuno. Il mio numero è 33xxxxxxxx…

di Costanza Miriano – Credere

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Che cosa c’insegna l’enciclica a quattro mani

Posté par atempodiblog le 17 juin 2013

Che cosa c’insegna l’enciclica a quattro mani
di Vittorio Messori – Corriere della Sera
Tratto da: Vittorio Messori

Che cosa c'insegna l'enciclica a quattro mani dans Papa Francesco I 4ym

I portavoce vaticani avevano cercato di smussare la realtà, avevano parlato di un documento di cui Benedetto XVI aveva abbozzato qualche parte e che Francesco avrebbe ripreso e completato; dicevano di una traccia del papa emerito che il papa regnante avrebbe sviluppato di persona. Invece, sarà proprio «una enciclica a quattro mani»: così, testuale, lo schietto annuncio di Bergoglio in un’occasione ufficiale, il discorso alla Segreteria Generale del Sinodo dei vescovi. Dunque, ecco un’altra “prima volta” del pontefice argentino: un documento dottrinale di primaria importanza, addirittura sulla fede –dunque, sulla base stessa della Chiesa– voluto, pensato e in gran parte scritto da un papa e firmato da un altro. Un altro che ha annunciato nella stessa occasione che non mancherà di dire subito ai destinatari della lettera circolare alla cristianità (tale il significato di enciclica) di «avere ricevuto da Benedetto XVI un grande lavoro e di averlo condiviso, trovandolo un testo forte».
Certo, ogni papa nei documenti a sua firma ha sempre citato i suoi predecessori: ma in nota, come fonti, non certo come coautori. Anzi, viene subito da pensare –con un po’ di ironia amara– che nel caso della rinuncia di Celestino V al pontificato, il suo successore Bonifacio VIII lo fece incarcerare in un luogo nascosto per paura di uno scisma e poi braccare quando fuggì.

Ma cerchiamo di capire come si sia giunti a questa situazione inedita. Preoccupazione primaria di Joseph Ratzinger –come studioso, poi come cardinale e infine come papa– è stata sempre quella di tornare ai fondamenti, di ritrovare le basi del cristianesimo, di riproporre un’apologetica adatta all’uomo contemporaneo. Per questo, aveva progettato una trilogia sulle virtù maggiori, quelle dette “teologali”: così, ecco un’enciclica sulla carità e una sulla speranza. Restava quella sulla fede, che contava di pubblicare entro l’autunno di questo 2013, al termine cioè dell’anno che aveva voluto dedicare proprio alla riscoperta delle ragioni per credere nel Vangelo. Il lavoro era già avanzato, quando ha dovuto constatare che l’avanzare dell’età non gli permetteva più di portare sulle spalle il fardello del pontificato. Forse –libero dagli impegni di vescovo di Roma- le forze gli sarebbero bastate per concludere il testo e pubblicarlo, “declassandolo” da enciclica pontificia a opera di semplice studioso, come già ha fatto con i tre volumi dedicati alla storicità di Gesù. Volumi che non hanno valore magisteriale ma che sono aperti al dibattito degli esperti. E’ probabile che si sia consultato al proposito con Francesco ed è altrettanto probabile che sia stato lui ad assumersi ben volentieri il compito di utilizzare il lavoro già compiuto, portandolo a termine e firmandolo con il suo nome.

In qualche ambiente ecclesiale c’è sconcerto: l’idea di un documento papale di questa importanza e su un tema tanto decisivo redatto insieme lascia perplessi molti . A noi invece, per quanto vale, la cosa piace, la novità ci sembra preziosa perché potrebbe aiutare a ritrovare una prospettiva che anche molti credenti sembrano aver dimenticato. Quella prospettiva di fede , cioè, secondo la quale ciò che importa non è il papa in quanto persona, dunque con un nome, una storia, una cultura, una nazionalità, un carattere. Ciò che importa è il papato, l’istituzione voluta dal Cristo stesso con un compito: quello di condurre il gregge, da buoni pastori, nelle tempeste della storia, senza deviare dal giusto percorso. Il papa (ovviamente sempre per gli occhi del credente) esiste perché sia maestro di fede e di morale, ma non dicendo cose sue, bensì aiutando a comprendere la volontà divina, annunciando la vita eterna che attende ciascuno al termine del cammino terreno, vigilando perché non si cada nel precipizio dell’errore. E per questo gli è assicurata l’assistenza dello Spirito Santo che lo preservi dallo smarrire egli stesso la strada. Nel suo insegnamento , il pontefice romano non è “un autore“, di cui apprezzare le qualità: anzi tradirebbe il suo ruolo se dicesse cose affascinanti e originali ma fuori dalla linea indicata da Scrittura e Tradizione. A lui non è concesso il “secondo me“, che è invece proprio dell’eresia.
Semplificando all’estremo, potremmo dire che “un papa vale l’altro” in quanto alla fine non conta la sua personalità ma la sua docilità e fedeltà come strumento dell’annuncio evangelico. L’aneddotica sui pontefici, sulla loro vita quotidiana, può essere interessante, ma non è influente sulla loro missione. Ciò che importa davvero, lo dicevamo, è il papato come istituzione perenne sino alla Parusia, sino alla fine della storia e al ritorno del Cristo; istituzione, che per il cattolico non è un peso da sopportare ma un dono di cui essere grato. Ci sia o no, il pontefice del momento, “simpatico” a viste umane, amiamo o no il suo carattere e il suo stile, Joseph Ratzinger e Jorge Bergoglio hanno, come ogni uomo, grandi diversità tra loro ma non possono divergere (e il Cielo veglia proprio perché questo non avvenga) allorché parlano del Cristo e del suo insegnamento da maestri di fede e di morale. In quanto strumenti – «semplice e obbediente operaio nella vigna del Signore», disse di sé Benedetto XVI nel suo primo discorso –sono in qualche modo intercambiabili.

Possono approfondire il significato del Vangelo, aiutare a comprenderlo meglio per il loro tempo, ma sempre nel solco di Scrittura e Tradizione: non è loro lecito essere “creativi”. Non sono “scrittori” ma guide, guidate a loro volta da un Altro.

Proprio per questo non ci dispiace affatto, anzi ci sembra preziosa l’occasione offerta ora da una di quelle che Hegel chiamerebbe “le astuzie della storia”: proprio per un documento che riannuncia la fede, cioè la base di tutto, un pontefice emerito e uno regnante mostrano che gli uomini sono diversi ma che la prospettiva di chi è chiamato a condurre la Catholica è eguale, la direzione è la stessa. Ed eguali sono, in fondo, anche le parole per riproporre la scommessa sulla verità del cristianesimo. Dunque, nessuno scandalo per le “quattro mani”.

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Nella casa del Papa a Santa Marta sveglia all’alba e visite dei potenti

Posté par atempodiblog le 17 juin 2013

La residenza. Vive nell’appartamento 201, al secondo piano
Nella casa del Papa a Santa Marta sveglia all’alba e visite dei potenti
Francesco ha trasferito il centro del Vaticano nel suo «convitto»
di Paolo Conti – Corriere della Sera

Un salotto (un paio di poltrone e un divano) con una scrivania, alle spalle un austero crocifisso, una libreria a vetri, un tappeto a disegni persiani. Molto (troppo?) uso di neon. Quindi camera da letto, un frigorifero, un disimpegno e un bagno. Un parquet industriale lucidato a specchio, soprattutto quel letto di legno scuro rendono gli ambienti molto freddi. Ma l’inquilino non si lamenta. L’uomo è austero, la sveglia di solito suona alle 4.45, un quarto d’ora dopo è già in preghiera e ci resterà per un’ora, meditando sulle scritture della Messa quotidiana.

Nella casa del Papa a Santa Marta sveglia all'alba e visite dei potenti dans Papa Francesco I azhx
Residenza Santa Marta, cliccare sull’immagine per visitare l’alloggio

La mappa dei centri dei Grandi Poteri del mondo da qualche settimana è cambiata. Il nuovo Pontefice della chiesa cattolica guida i suoi fedeli (un miliardo e 214 milioni, secondo l’ultimo Annuario Pontificio) dall’appartamento 201 al secondo piano di Casa Santa Marta. Bergoglio usa un altro nome. La chiama «Convitto»: 106 suite, 22 stanze singole e un appartamento.
Si trova benissimo, ormai è impensabile che torni ad abitare nell’immenso Appartamento papale del Palazzo apostolico. Lo ha spiegato durante l’udienza alle scuole italiane dei gesuiti: «Io ho necessità di vivere fra la gente, e se io vivessi solo, forse un po’ isolato, non mi farebbe bene». Che Santa Marta, albergo nel cuore della Città del Vaticano nato per ospitare i cardinali nei Conclavi, sia ormai uno snodo fondamentale nella nuova pagina della Chiesa lo dimostra la recente nomina di monsignor Battista Mario Salvatore Ricca al posto-chiave di prelato ad interim dello Ior, il discusso Istituto per le opere di religione. Guarda caso, Ricca è direttore delle case di ospitalità vaticane, quindi soprattutto di Santa Marta. I suoi frequenti colloqui con Papa Francesco, talvolta a cena, hanno costruito uno schietto rapporto di fiducia.

Papa Francesco si muove a Santa Marta come i gesuiti nelle loro residenze collettive. Appare spesso in atrio senza preavviso (all’accoglienza c’è un turno di personale femminile laico che risponde al telefono). In quanto ai pasti, nessuna formalità: Bergoglio si siede con chi capita e la sera, se funziona il self service, si arma di vassoio. In fondo, da cardinale di Buenos Aires, si cucinava i pasti da solo e andava fiero del «suo» maialino al forno. La mensa di Santa Marta ha consolidata fama di mediocrità, in Vaticano. Cucina continentale, da vero albergo qual è Santa Marta. Arrostini, minestroni, pasta al forno. Ma il Papa non obietta. Lì vivono stabilmente una trentina di ecclesiastici della Segreteria di Stato, alcuni funzionari laici, quei vescovi che da tutto il mondo raggiungono Roma per qualche giorno. Quando viene a Roma alloggia lì anche Ernst von Freyberg, il nuovo presidente dello Ior. La gestione della Casa è pilotata da monsignor Ricca che conta su sei suore Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli (un tempo chiamate «le cappellone», per l’immenso velo). Ma il resto del personale, maschile e femminile, è laico. Cucina inclusa. Il servizio di sicurezza è discreto: gendarmeria pontificia, Guardie Svizzere. Nessun corpo speciale.

Bergoglio ama Santa Marta, la trova funzionale. Lì ha ricevuto il 19 marzo Cristina Fernández de Kirchner, la presidente argentina, che ha mangiato in mensa con lui. A Santa Marta sono stati ricevuti sabato scorso, 15 giugno, il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso e il cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cracovia ed ex segretario particolare di Giovanni Paolo II. Utilizza il grande Appartamento papale soltanto per le visite ufficiali di Stato (quella con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per esempio) e le benedizioni domenicali. Per il resto, vive nella «normalissima» Santa Marta. Dopo la sveglia all’alba e la meditazione, Messa alle 7 (ricorre un anticipo di quattro-cinque minuti) con breve omelia (sintesi quotidiana su l’Osservatore Romano ), saluti al gruppo invitato, fotografie, finalmente colazione in mensa. Alle Messe mattutine si è convocati per raggruppamenti omogenei: dipendenti vaticani all’inizio, la comunità argentina a Roma, recentemente i Gentiluomini di Sua Santità (tra cui il duca romano Leopoldo Torlonia). Poi c’è la giornata di lavoro, l’esame dei vari dossier. Breve pausa per il pranzo, seguita da mezz’ora di riposo (la sveglia all’alba pesa). Poi ancora lavoro, cena alle 19.30-20, preghiera, luce spenta poco dopo le 22. L’uso di Santa Marta ha comportato lo sgombero del parcheggio «italiano» in via della Stazione Vaticana, di fronte ai numeri civici 3-5-7, una ventina di posti sicuri nel caos romano intorno a San Pietro. Qualche mugugno dei residenti, ma era impensabile che ci fossero auto in sosta di notte quasi sotto le Sacre finestre.

Impossibile contare quante volte Papa Francesco abbia incontrato Benedetto XVI nella sua nuova residenza nell’ex monastero Mater Ecclesiae, a duecento passi di distanza da Santa Marta. Bergoglio è imprevedibile, si muove con agilità. Ratzinger continua la sua ritiratissima vita: preghiera, meditazione, lente passeggiate nei giardini vaticani. Nessuna novità. Chissà quante volte si saranno visti al riparo da occhi indiscreti. Lo sa solo Santa Marta.

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