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Scola e la domenica sparita: solo lavoro, non si pensa più

Posté par atempodiblog le 4 juin 2013

Scola e la domenica sparita: solo lavoro, non si pensa più
Il cardinale: “L’Europa è stanca”. E parla del giorno festivo come “provocazione a riscoprire una vita a misura d’uomo”
di Sabrina Cottone – Il Giornale

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«Domenica sempre aperto? Ma anche no!» è uno degli slogan della campagna «Libera la domenica», lanciata da Confesercenti con il sostegno della Conferenza episcopale italiana.
Alla battaglia per far tornare la domenica un giorno di festa non fa mancare sostegno il cardinale Angelo Scola.
Parla della festa come «provocazione a ritrovare una vita a misura d’uomo». Lancia un appello a chi decide su lavoro e riposo, orari di aperture e chiusure: «L’urgenza del momento presente della politica italiana non trascuri questi aspetti».
«Il riposo non può non avere una dimensione relazionale e sociale. Non ha senso che in una famiglia il padre riposi la domenica, la madre il giovedì e il figlio il venerdì. Non sarebbe un segno di civiltà» osserva l’arcivescovo di Milano. E ancora: «Da qui l’istanza di poter riposare in famiglia». Siamo alla conferenza stampa di presentazione di «Ricordati di santificare le feste», l’iniziativa che sabato 8 giugno animerà la serata milanese in piazza del Duomo con musiche, show, conferenze, nel nome del terzo comandamento. Tema attuale e particolarmente legato a Milano, che è un po’ la capitale dei consumi, dello shopping, dell’attività lavorativa febbrile.
«Liberare la domenica è un impegno giusto e un’impresa giusta» dice Scola. «Si può studiare come farlo» aggiunge, citando i casi del Libano e di Israele. Il rispetto del sabato in Israele è universalmente noto, meno lo è il dibattito per aggiungere anche la domenica come giorno di riposo. Nella gran parte del Libano, compresa Beirut, il riposo è tradizionalmente stabilito nei giorni di sabato e domenica.
«La caduta nel generico del week end» e «la perdita del senso festivo della domenica» è «uno non degli ultimi motivi per cui l’Europa è stanca». Il cardinale è cioè convinto che «la stanchezza dell’Europa», tema su cui lui insiste con regolarità, sia collegata anche alla mancanza di equilibrio tra i diversi aspetti della vita: «Sulla santificazione della festa, sul riposo, è in gioco il senso della vita nella sua globalità. La vita non è riducibile a una sola dimensione. Ci sono dimensioni costitutive dell’esistenza di ciascuno di noi che vanno sempre tenute presenti. Io di solito nella vita di tutti i giorni ne identifico tre: gli affetti, il lavoro e il riposo».
Entra nella relazione tra il lavoro, gli affetti e la festa: «Il riposo, la festa, hanno la funzione di riequilibrare il nesso tra lavoro e affetti. Un nesso non scontato. Basta riflettere sui nostri rientri serali, in cui la persona si mette in pantofole ed è se stessa». Come spiega la grande tradizione benedettina, non solo lavoro: «L’uomo deve saper ritmare il tempo con l’ora et labora, prega e lavora». E il riposo ritma questi aspetti, dà loro la possibilità di esistere in armonia.
Scola sottolinea la differenza tra la festa e il week end. Ricorda la tradizione cristiana dell’Europa: «Per noi la festa trae la sua fisionomia dalla parola Domenica, Dominica dies, il giorno del Signore, e ha come primo riferimento l’apertura a Dio». Un senso profondo e totalizzante, come ricorda la vicenda dei martiri di Abilene citata dall’arcivescovo: quarantanove cristiani guidati da Saturnino che all’inizio del IV secolo preferirono morire piuttosto che rinunciare a celebrare il giorno del Signore.
La sfida dell’oggi è cominciare a far tornare la Domenica nella vita.

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Il Papa: l’ipocrisia è la lingua dei corrotti, il cristiano parla con amore e con verità

Posté par atempodiblog le 4 juin 2013

Un cristiano non usa un “linguaggio socialmente educato”, incline all’ipocrisia, ma si fa portavoce della verità del Vangelo con la stessa trasparenza dei bambini. È l’insegnamento che Papa Francesco ha offerto nell’omelia della Messa celebrata questa mattina a Casa Santa Marta. Con il Pontefice hanno concelebrato il patriarca dei cattolici armeni, Nerses Bedros XIX Tarmouni, mons. Fernando Vianney, vescovo di Kandy nello Sri Lanka, e mons. Jean Luis Brugues della Biblioteca Apostolica Vaticana, accompagnato da un gruppo di collaboratori della struttura. Presenti anche la presidente e il direttore generale della Rai, Anna Maria Tarantola e Luigi Gubitosi, con i loro familiari.
di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana

Il Papa: l’ipocrisia è la lingua dei corrotti, il cristiano parla con amore e con verità dans Papa Francesco I papafrancesco

Dai corrotti alla loro lingua preferita: l’ipocrisia. La scena evangelica del tributo a Cesare, e della subdola richiesta dei farisei e degli erodiani a Cristo sulla legittimità di quel tributo, fornisce a Papa Francesco una riflessione in stretta continuità con l’omelia di ieri. L’intenzione con cui si avvicinano Gesù, afferma, è quella di farlo “cadere nella trappola”. La loro domanda se sia lecito o no pagare le tasse a Cesare viene posta – rileva il Papa – “con parole morbide, con parole belle, con parole troppo zuccherate”. “Cercano – soggiunge – di mostrarsi amici”. Ma è tutto falso. Perché, spiega Papa Francesco, “questi non amano la verità” ma soltanto se stessi, “e così cercano di ingannare, di coinvolgere l’altro nella loro menzogna, nella loro bugia. Loro hanno il cuore bugiardo, non possono dire la verità”:

“E’ proprio il linguaggio della corruzione, l’ipocrisia. E quando Gesù parla ai suoi discepoli, dice: ‘Ma il vostro parlare sia ‘Sì, sì! No, no!’. L’ipocrisia non è un linguaggio di verità, perché la verità mai va da sola. Mai! Va sempre con l’amore! Non c’è verità senza amore. L’amore è la prima verità. Se non c’è amore, non c’è verità. Questi vogliono una verità schiava dei propri interessi. C’è un amore, possiamo dire: ma è l’amore di se stessi, l’amore a se stessi. Quell’idolatria narcisista che li porta a tradire gli altri, li porta agli abusi di fiducia”.

Quello che sembra un “linguaggio persuasivo”, insiste Papa Francesco, porta invece “all’errore, alla menzogna”. E, sul filo dell’ironia, osserva che quelli che oggi avvicinano Gesù e “sembrano tanto amabili nel linguaggio, sono gli stessi che andranno giovedì, la sera, a prenderlo nell’Orto degli Ulivi, e venerdì lo porteranno da Pilato”. Invece, Gesù chiede esattamente il contrario a chi lo segue, una lingua “sì, sì, no, no”, una “parola di verità e con amore”:

“E la mitezza che Gesù vuole da noi non ha niente, non ha niente di questa adulazione, con questo modo zuccherato di andare avanti. Niente! La mitezza è semplice; è come quella di un bambino. E un bambino non è ipocrita, perché non è corrotto. Quando Gesù ci dice: ‘Il vostro parlare sia ‘Sì, sì! No, no!’ con anima di bambini, dice il contrario del parlare di questi”.

L’ultima considerazione riguarda quella “certa debolezza interiore”, stimolata dalla “vanità”, per cui, constata Papa Francesco, “ci piace che dicano cose buone di noi”. Questo i “corrotti lo sanno” e “con questo linguaggio cercano di indebolirci”:

“Pensiamo bene oggi: qual è la nostra lingua? Parliamo in verità, con amore, o parliamo un po’ con quel linguaggio sociale di essere educati, anche di dire cose belle, ma che non sentiamo? Che il nostro parlare sia evangelico, fratelli! Poi, questi ipocriti che cominciano con la lusinga, l’adulazione e tutto questo, finiscono, cercando falsi testimoni per accusare chi avevano lusingato. Chiediamo oggi al Signore che il nostro parlare sia il parlare dei semplici, parlare da bambino, parlare da figli di Dio, parlare in verità dall’amore”.

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